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Autore: Stephanie86    22/01/2017    0 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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7

 

“I am a stag: of seven tines,
I am a flood: across a plain,

I am a wind: on a deep lake,

I am a tear: the Sun lets fall,

I am a hawk: above the cliff,

I am a thorn: beneath the nail,

I am a wonder: among flowers,

I am a wizard: who but I

Sets the cool head aflame with smoke?”

[Song of Amergin]

 

 

 
Oltretomba.

 
La notte nel regno di Ade era nera come la pece. Un’oscurità terribile e tinta di rosso porpora. Le nuvole sembravano più basse e incombenti. Le strade erano deserte e ogni edificio era immerso nel buio. Nessun lume. Nessun bagliore.

Però Uncino aveva la sensazione che molti occhi lo stessero fissando, mentre camminava, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Si guardava costantemente intorno, sempre all’erta.

Posò la mano sulla maniglia di una porta e spinse. Si aprì e il suo arrivo fu annunciato da una breve scampanellata. Si fermò poco oltre la soglia, cercando di mettere a fuoco l’ambiente.

- C’è qualcuno? – disse.

Non ottenne risposta.

Gli oggetti nelle vetrine e sugli scaffali del negozio di Gold erano solo forme vaghe e sinistre. Sul bancone polveroso c’era un cubo sormontato da una pietra rossa. Il Vaso di Pandora. Killian si avvicinò lentamente, circospetto.

- Dunque siete venuto, capitano. – Il Coccodrillo scostò il tendaggio che separava il negozio dal retro e fece il suo ingresso. Calmo, placido come un vero coccodrillo che scivola silenzioso sotto il pelo dell’acqua e punta la preda con occhi maligni e furbi.

- Sono venuto per sentire che cos’hai da dirmi. – rispose Killian, acidamente. - Sono abbastanza sicuro che i tuoi accordi non mi interesseranno.

- Io non ne sarei così convinto. Non avete ancora sentito la parte migliore.

- Non esistono parti migliori, con te.

- Tuttavia siete qui. Ne sono lieto, perché quello che ho da dirvi riguarda anche voi. – asserì il Coccodrillo, con malcelata soddisfazione.

- Arriva al dunque, allora.

- Sì. – disse un’altra voce maschile alle spalle di Killian. - Arriviamo al dunque. Immagino che al capitano manchino il rum e la sua donna.

Killian sollevò l’uncino, girandosi di scatto, pronto a colpire.

La prima impressione fu quella di un ragazzino che aveva deciso di infilarsi gli abiti del padre per gioco. Era in giacca e cravatta, elegante e posato come Tremotino. Ma era impossibile non scorgere l’astuzia e la malvagità in quegli occhi verdi.

Pan rise, divertito. – Non siate così precipitoso, capitano.

- Tu, maledetto demonio. – sibilò Killian.

- Già, io. L’uncino non vi servirà. Potreste anche provarci, ma perdereste tempo. – Pan sfiorò il Vaso di Pandora con le dita. – Parliamo.

- Vi ho già detto che non farò niente che possa nuocere ad Emma. – replicò Killian, risoluto, guardandosi bene dall’avvicinarsi ai due.

- Non siamo qui per parlare di Emma, infatti. Capitano, perché dovremmo fare qualcosa per nuocere ad Emma Swan? Vi ho aiutati a liberarla. – osservò Tremotino.

- E abbiamo perso Milah!

- Un imprevisto. Si trova nelle prigioni di Ade. Possiamo ancora recuperarla. Ma prima... abbiamo altro a cui pensare. Mettetevi comodo.

Killian non si mise affatto comodo. Il suo pensiero andò improvvisamente a Belle. Lei era a Storybrooke, ignara di ciò che il marito stava facendo. Ignara di quello che Gold era diventato.

Di nuovo.

 

 
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 
“Belle!”, gridò Tremotino. “Si può sapere dove siete finita?”

Belle lo ignorò e lottò per riuscire ad allacciarsi la mantella alla base del collo.

“Oh, eccovi, finalmente. Dove credete di andare, mia cara? Pensavate, per caso, di uscire?”, chiese l’Oscuro, appoggiandosi alla parete, con le braccia conserte.

“Sì, è proprio ciò che intendo fare, Tremotino.”, rispose lei, armeggiando ancora con la spilla, che aveva deciso di non collaborare e di non chiudersi. “Abbiamo bisogno di provviste. O almeno, io ne ho bisogno. Quindi andrò al mercato. Non preoccupatevi. Sarò di ritorno il prima possibile.”

“Ovviamente sì.” Scivolò alle sue spalle e allungò le mani, prendendo la spilla. In un baleno, le allacciò la mantella verde. “Non potreste andare lontano, del resto. La mantella è incantata. Se scappate, verrò a saperlo.”

“Mi chiedo quando capirete che sono una donna di parola. “, fu la risposta di Belle. “Ho promesso che sarei rimasta con voi e così sarà.”

Tremotino non commentò quell’esternazione. Le sistemò meglio il cappuccio sul capo. “Badate a non perdervi nella foresta. E non prendete freddo. Non vorrei mai che qualche malanno vi costringesse a letto.”

Belle uscì, portandosi un cestino e una sacchetta piena di monete. “Non converrebbe nemmeno a voi. Questo castello finirebbe col cadere a pezzi senza di me.”

 

Il villaggio era in fermento. I mercanti avevano esposto la merce poco dopo l’alba e si sgolavano per attirare i clienti. Alcuni soldati pattugliavano le strade.

Belle non impiegò molto tempo a rendersi conto degli occhi puntati su di lei. Due donne, una delle quali con un bambino piccolo tra le braccia, la fissarono a lungo e poi bisbigliarono qualcosa sull’Oscuro. Un paio di uomini si fecero da parte, come se temessero di intralciare Tremotino in persona.

Belle li ignorò e si avviò verso il banco della verdura. “Salve, Robert.”

“Oh!”, esclamò lui, levandosi il cappello e iniziando a sudare copiosamente. “Belle. Che piacere vedervi. Cosa posso fare per voi?”

“Ehm, veramente ero io il primo della fila...”, cominciò un uomo.

Il mercante gli diede una spinta tale che l’altro quasi finì gambe all’aria. “Dovrai aspettare. Prima le signore!”

“Posso attendere, Robert. Non ho fretta. Servi prima lui, ti prego.”, rispose Belle, gentilmente.

“No!” Robert scosse il testone calvo, risoluto. “Cosa cercate? Oggi ho tutto. Qualsiasi cosa. Non esitate a chiedere!”

“Mi servono delle patate. Se aveste qualcuna di quelle patate gialle...”

“Le ho! Beh, non molte... però le ho. Potete averle tutte.” Robert non se lo fece ripetere. Prese un sacchetto e mise dentro tutte le patate gialle che erano rimaste sul bancone.

Belle si costrinse a non badare all’agitazione che stava creando e pagò il mercante, infilando il sacchetto nel cestino.

‘Tremotino’, pensò, roteando gli occhi.

“Largo! Fate largo!”

La folla si divise subito in due ali, lasciando passare un carro trainato da un paio di muli stanchi e magri. Un soldato in cotta di maglia ed elmo guidava il carro, frustando gli animali. Sistemato sul retro, sopra ad un mucchio di sacchi di farina, c’era un uomo ferito ad una gamba.

“Muovetevi, bestiacce! E voi fate largo! Non vedete che è ferito?”

Una vecchia mormorò qualcosa a proposito degli orchi che infestavano le regioni a nord. Belle si fece da parte, osservando il giovane. La gamba destra era stata fasciata, ma le bende erano già intrise di sangue ed erano sporche di terra. Il ragazzo era incosciente e aveva la fronte madida di sudore. Era anche incredibilmente pallido.

Era...

“Fermi!”, gridò Belle, avvicinandosi al carro. “Fermi, lo conosco!”

L’uomo tirò le redini e i muli recalcitrarono. “Lo conoscete?”

Belle si sporse per guardare il ragazzo disteso sul carro. Quello sollevò leggermente le palpebre, fissandola con occhi verdi, arrossati e opachi.

“Samuel?”

Le palpebre si abbassarono di nuovo.

“Giocavamo insieme quando eravamo bambini.”, disse Belle.

“È una ferita molto seria.”, le spiegò il soldato, che era sceso dal carro. “Non guarisce. L’arma era incantata. Lo stiamo portando all’accampamento più in fretta che possiamo.”

“Quanto dista l’accampamento?”

“Due giorni di viaggio.”

Belle appoggiò una mano sul petto di Samuel. Pensò febbrilmente per alcuni secondi, mentre la gente si stava assiepando intorno al carro per vedere meglio. Era chiaro che Samuel non sarebbe mai sopravvissuto altri due giorni in quelle condizioni. La benda andava cambiata e la ferita doveva essere curata in qualche altro modo. Inoltre, doveva riposare in un luogo sicuro.

“Io posso aiutarlo.”, decise Belle.

 

 
Storybrooke. Oggi.

 
- Ehi, Neal. - Belle si chinò sulla culla che era stata riservata al figlio degli Azzurri e accarezzò la pancia del bambino, che gorgogliò qualcosa e socchiuse gli occhi.

Roland si avvicinò e infilò la testa tra le sbarre di legno, osservandolo. Allungò la mano, offrendo l’indice a Neal, che lo strinse leggermente con le dita minuscole.

- Come stai, Roland? – domandò Belle, scompigliandogli i capelli scuri.

- Le fate fanno i biscotti al cioccolato. – rispose lui, sfiorando la tutina azzurra di Neal. Sul davanti, Mary Margaret aveva cucito un unicorno con la criniera dorata. – Quando torna il mio papà?

Belle si diede da fare per trovare la risposta adeguata. – Presto. Lui deve... deve aiutare la tua sorellina. Vedrai che tornerà il prima possibile.

Voleva aggiungere qualcos’altro, rassicurarlo, ma le parole le morirono in gola e si rifiutarono di venir fuori. Intorno a lei, sembrava tutto normale. Le fate erano impegnate nelle loro attività. Alcune si occupavano dei fiori in giardino, altre tenevano d’occhio i bambini, altre ancora rassettavano e pulivano le stanze finché esse non risplendevano come specchi. Erano tutte cose che lei aveva fatto per Tremotino, molto tempo prima, quando ancora viveva nel suo castello.

Le aveva detto che non sarebbe stato via tanto, ma era trascorsa quasi una settimana e di lui non c’era traccia. La sera prima, spinta da un sogno distorto che l’aveva svegliata, si era recata sulle rive del lago, che era la porta per l’Oltretomba. Aveva guardato i raggi della luna riflettersi sulle acque calme e aveva atteso, sperando di vedere il fumo bianco che annunciava l’apertura dei cancelli, sperando di vedere la barca guidata dal demoniaco traghettatore con i suoi occhi cerchiati di fuoco. Sperando che Tremotino tornasse da lei.

Tornerà, si disse, decisa. Tornerà insieme agli altri ed Emma sarà con loro.

Mantenne la sua routine quotidiana e lasciò il convento delle fate per recarsi da Granny a prendere il pranzo. Quel giorno aveva ordinato anche qualcosa per Merida, che passava le sue notti alla centrale di polizia.

Posò il sacchetto con i panini e la crostata alla frutta preparata da Granny sulla scrivania di David. Scrivania sulla quale Merida aveva comodamente appoggiato i propri piedi.

- Ti ho portato qualcosa da mangiare. – annunciò Belle. Adocchiò Artù, disteso sulla branda nella sua cella. Era sveglio. I suoi occhi verde chiaro erano terribilmente vigili.

- Beh... grazie. – disse Merida, afferrando il sacchetto e sbirciandoci dentro.

- Granny fa un’ottima torta. Dovresti provare anche gli hamburger.

Artù si alzò, facendo cigolare la branda e si sgranchì il collo.

La porta della centrale si aprì. Ginevra entrò senza degnare di un’occhiata le due donne presenti e si diresse verso la cella.

- Ehi. Aspettate. Non potete stare qui. – disse Merida.

- È mio marito. Certo che posso. – Ginevra sorrise all’uomo nella cella. Aveva risposto con un tono di voce calmo, annoiato persino. Privo di qualsiasi inflessione. Si muoveva come se stesse fluttuando, come se non ci fosse niente da vedere eccetto l’uomo che l’aveva legata a sé con un incantesimo.

Artù tese le mani tra le sbarre e prese quelle di Ginevra. – Mia cara... sono felice che tu sia qui. Finalmente qualcosa di bello.

Merida roteò gli occhi. Provava solo repulsione per lui e teneva a freno a stento il desiderio di conficcargli una freccia in un ginocchio.

- Presto sarò fuori da questa cella. Questa gente non sa con chi ha a che fare. – disse Artù, parlando alla moglie. Passò il pollice sulle labbra di Ginevra con una lieve carezza. – La pagheranno cara.

- Con chi abbiamo a che fare? Con un re senza regno. – rispose Merida. Belle le posò una mano sul braccio per trattenerla.

- Camelot sarà anche stata distrutta, ma la ricostruiremo. Lo abbiamo già fatto una volta, vero? – disse Artù, sprezzante.

Ginevra annuì.

- Presto sarai tu quella senza regno. – disse Artù. – Avresti dovuto uccidermi quando ne avevi l’opportunità.

- Io non sono come te. – rispose Merida, duramente.

- No. Su questo sono d’accordo. Io sono un re. Tu... sei solo una pessima imitazione di ciò che dovrebbe essere una regina. Non sei stata nemmeno capace di aiutare tuo padre.

- Non parlare di mio padre!

Ma Artù perseverò. – Almeno lui è morto sul campo di battaglia. Tu avrai il coraggio di combattere e morire?

- Mi stai sfidando? – chiese Merida.

- Merida, no... – mormorò Belle.

- Sì. – rispose Artù. Lasciò le mani di Ginevra per aggrapparsi alle sbarre della cella. Il suo sguardo dardeggiava. La sua bocca era distorta in un ringhio. – Esigo un verdetto per singolar tenzone.

L’aria sembrò addensarsi e riempirsi di pericolo e morte. Belle lo leggeva nei lineamenti di Artù, nell’intensità con cui la guardava. Merida rimase perfettamente immobile, senza distogliere lo sguardo dall’uomo che aveva ucciso re Fergus, infilzandolo alle spalle. Dall’uomo che la fissava come un predatore che pensava di aver costretto la vittima in un angolo.

- Noi due ci affronteremo. Oggi, al tramonto. Ti lascio scegliere il posto. – Artù sogghignò. – Se perdi, morirai. Farò in modo che la tua gente abbia indietro la sua regina. A pezzi. La tua adorata madre riceverà la tua testa. I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si inginocchieranno a me.

Merida aveva l’impressione che gli occhi le bruciassero nelle orbite. Si sentiva intorpidita e distaccata dal suo stesso corpo. – Non lo faranno mai.

- Lo faranno. – ribatté Artù. – Quando vedranno cos’è capitato alla loro sorella, lo faranno. In caso contrario, ciò che avranno in cambio sarà la morte.

- Parliamo di cosa accadrà se tu perderai.

Belle notò che Artù non aveva la minima intenzione di perdere e non pensava che sarebbe successo. Finse di rifletterci. – Sentiamo. Cosa succederà? Detta le condizioni.

- Verrai con me a Dunbroch. Come prigioniero. E sarai giudicato dopo un processo. Sarai giudicato non solo da me, ma anche dal mio popolo.

A Belle gelò il sangue nelle vene. Stava ancora trattenendo Merida per un braccio. Lei era rigida come un tronco di legno, con gli occhi sgranati e fissi su Artù.

Il prigioniero sorrise. – E sia.  

 

 
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 
“Sapevo che sareste tornata con qualcosa di più di un sacco di patate o un po’ di frutta.”, esclamò Tremotino, quando Belle fece la sua comparsa sul viale sterrato che conduceva al castello. Guidava un carro e dietro ad esso giaceva un uomo ferito e pallido.

Belle si affrettò a saltare giù e a correre verso Tremotino. “Ha bisogno del vostro aiuto!”

“E perché mai dovrei aiutarlo?”

“La vostra magia è ciò che gli serve. Morirà. Lui è... era un mio amico.” insistette Belle. Il soldato che lo stava trasportando all’accampamento non aveva protestato quando si era offerta di guidare il carro, soprattutto sapendo dove voleva condurre il ferito. Aveva persino rifiutato il denaro che Belle gli aveva teso.

“La vera domanda è: cosa ottengo io in cambio?”

Era furibonda. Gli puntò contro un dito. “Niente. È solo la cosa giusta da fare. Non siete in grado di vederlo?”

Tremotino sbirciò l’uomo sul carro. Si stava lamentando nel suo stato di incoscienza. “La mia dimora non è per gente come lui.”

“Siete orribile.”, fu la risposta di Belle. Si scostò, con una smorfia. “Non me ne starò qui ad aspettare che muoia. Provate ad impedirmi di portarlo dentro, se ne avete il coraggio.”

Tremotino ne avrebbe anche avuto il coraggio, tuttavia scrollò le spalle. “Bene. Portatelo pure dentro, allora. Ma non aspettatevi che vi aiuti. Non lo ucciderò, ma lascerò che sia il fato a scegliere. Se morirà... morirà.”

 

 
“B-Belle?”

‘Non lo ucciderò, ma lascerò che sia il fato a scegliere. Se morirà... morirà.’

Belle si voltò, udendo la voce smorzata di Samuel, che giaceva nel letto, con la gamba posata su una pila di cuscini. Aveva cambiato la fasciatura, ma la ferita era ancora aperta. Continuava a sanguinare e non accennava a guarire. La pelle intorno ad essa era violacea. Belle aveva preso tutti i libri che parlavano di armi magiche e li aveva portati nella stanza di Samuel. Li aveva sfogliati a lungo, fino a quando non aveva trovato delle pozioni che potevano alleviare il dolore e farle guadagnare tempo. Ma non aveva idea di quale arma lo avesse ferito.

“Sì, Samuel. Sono io... bevi.” Gli porse dell’acqua, sorreggendogli la testa.

“Dove... dove siamo?”

Belle gli scostò ciuffi di capelli biondi dalla fronte sudata. “Nel castello dell’Oscuro.”

“Oscuro?” Si allarmò, spalancando i grandi occhi verdi. “Siamo prigionieri?”

“No... non proprio. Tu non sei un prigioniero... ti ho trovato al villaggio e ti ho portato qui.”,  spiegò Belle.

“Non capisco.”

Belle prese una sedia e si accomodò accanto al letto. Gli raccontò tutto dall’inizio, ovvero da quando le truppe di suo padre avevano richiesto rinforzi contro gli orchi per proteggere i villaggi vicini fino al momento in cui Tremotino aveva proposto l’accordo.

“Belle... questo è... non è possibile. Dobbiamo andarcene. Siamo in pericolo.” disse Samuel, tirandosi su.

“Non devi preoccuparti. Andrà tutto bene. L’Oscuro ha promesso che non ti farà alcun male. E credimi... saresti già morto, se non fosse stato sincero.” Belle prese una pezza bagnata e gliela passò sulla fronte. Poi gli diede l’intruglio che aveva preparato. “Bevi questo. Non guarirà la ferita, ma dovrebbe abbassare la febbre.”

“Sei sempre... la ragazza gentile che ricordavo.”, sorrise lui, prendendo la tazza dalle sue mani e sfiorandole le dita. Le sue erano molto calde. Bruciavano, persino. “Non hai perso la speranza.”

“No.”, rispose Belle. “Ma ora raccontami cosa ti è successo. Come ti sei procurato quella ferita? Che tipo di arma era?”

Samuel aggrottò la fronte. Si portò una mano alla testa, come se gli dolesse più della gamba. “È... difficile ricordare. L’orco aveva una spada. Una spada con l’elsa argentata e piena di gemme rosse. Questo lo ricordo... qualcuno ha scagliato una freccia e lo ha centrato, ma poi... è tutto confuso.”

“È la febbre. Quando ti passerà, ricorderai.”

“Guarirò?”

Belle cercò di sembrare il più rassicurante possibile. “Certo. Lascia fare a me.”

 

 
Storybrooke. Oggi.

 
David le aveva detto dove trovare le armi se ne avesse avuto bisogno e Merida prese la spada che faceva al caso suo.

“Se perdi, morirai. Farò in modo che la tua gente abbia indietro la sua regina. A pezzi. La tua adorata madre riceverà la tua testa. I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si inginocchieranno a me.”

- Merida...

- Hai detto ai nani di tenerlo d’occhio? Non credo che scapperà. È troppo sicuro di vincere.

Belle la guardò mentre saggiava la sua arma, provava un affondo e poi un fendente. Non aveva idea di quanto fosse bravo Artù con la spada, ma era comunque preoccupata e non poté nasconderlo. – Merida, forse dovresti prendere tempo. Lui non combatterà lealmente.

- No, non lo farà. – ammise, portando la spada fuori dal deposito, accanto al Granny’s. – Ma non posso rifiutarmi di combattere. Ha ucciso mio padre. E mi ha sfidata.

- Gli altri torneranno presto. Forse David ed Emma...

- Sono andati nell’Oltretomba, Belle! Non sappiamo quando torneranno. Se torneranno.

- Certo che torneranno!

- Non puoi esserne certa.

- Lo sono! – Belle ripensò al sogno di quella notte. Non ricordava più molto, ma ricordava bene Tremo avvolto da una spirale di fiamme azzurre. Nel sogno aveva udito anche una risata beffarda.

- Spero che tu abbia ragione. Ma anche se fossero qui non potrebbero fermarmi. – Menò qualche altro fendente, con una e con entrambe le mani. La spada era robusta, ma poteva maneggiarla facilmente.

“Se perdi, morirai. Farò in modo che la tua gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”

- So che sei molto forte, Merida. – disse Belle. – Ma potrebbe essere una trappola. E se cadi in quella trappola... sarà la fine per il tuo popolo. Loro hanno bisogno di te. Tua madre, i tuoi fratelli...

“La tua adorata madre riceverà la tua testa. I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si inginocchieranno a me.”

- E mio padre ha bisogno di giustizia! – replicò Merida, furente. - Ho già fallito una volta. Questa volta non sbaglierò.

 

 
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 
“Belle!”, gridò Tremotino.

Lei alzò il capo dal libro di erbe medicinali che stava consultando e lanciò un’occhiata a Samuel, che dormiva avvolto nelle coperte. Gli aveva messo la pezza umida sulla fronte e ogni tanto gliela passava sul viso arrossato per rinfrescarlo. La febbre era scesa grazie all’infuso che gli aveva preparato, ma era sicura che non bastasse. Era solo un sollievo momentaneo.

Andò alla porta e scivolò fuori dalla stanza. Tremotino se ne stava appoggiato alla parete, con il solito ghigno stampato sul viso verdognolo e squamoso.

“Si può sapere perché urlate?”

“Non si sa mai, mia cara. Sembrate così occupata con il vostro infermo.” Nella voce di Tremotino c’era un certo scherno, ma anche una qualche forma di fastidio e una punta di collera. “Se avessi saputo che avrebbe impiegato così tanto a morire...”

“Non morirà!”, esclamò Belle. “Non contateci. La febbre è scesa e troverò un modo per guarire la ferita.”

“Bene. In ogni caso, prima se ne andrà e meglio sarà.” Tremotino sbirciò il giovane nel letto. L’aveva visto chiaramente quando la domestica l’aveva trasportato in casa. Un bel giovane. Di sicuro Belle lo trovava piacente, con quei capelli biondo grano e i grandi occhi verdi, il fisico forte, un’ombra di spavalderia sul viso sbarbato e accaldato per la febbre.

Non che a lui importasse, ovviamente...

“Il castello è vostro. Devo occuparmi di certi affari.”, annunciò, poi, Tremotino.

“Ve ne state andando?”

“Non starò via molto, cara. Nel frattempo, evitate che quel soldatino combini qualche pasticcio. Ricordategli che è solo un ospite. Un mio ospite. Sono stato fin troppo magnanimo.” Detto ciò, svanì in una nube magica.

Belle roteò gli occhi e rientrò. Samuel dormiva ancora.

 

Più tardi, quella sera, Belle stava armeggiando con erbe e tazze per preparare un nuovo infuso e intanto sfogliava il libro alla ricerca di un’arma simile a quella che Samuel le aveva descritto. Una spada con l’elsa in argento e delle gemme rosse. Trovò svariati pugnali con un’impugnatura simile a quella, lance, frecce elfiche, spade di gnomi...

‘Gáe Bulg, la lancia dell’eroe Cù Chulainn, affidatagli dalla sua maestra d’armi, è stata ricavata dall’osso di un mostro marino, morto in combattimento contro un altro Leviatano...’

‘Claìomh Solais, detta la Spada di Luce, appartenuta a re Nuada dalla Mano d’Argento, splende non appena viene estratta dal fodero ed è invincibile in battaglia...’

‘Fragarach, conosciuta come ‘colei che dà risposte’, è una spada capace di placare i venti e di costringere chiunque a dire la verità, se puntata alla sua gola...’

‘Nothung, appartenuta all’eroe Sigfrido, è una spada dai prodigiosi poteri, estratta dal tronco di un melo secolare...’

“Tremotino!”, esclamò Belle, parlando con la stanza vuota. “Avreste anche potuto essere più gentile e aiutarmi. Ma state pur certo che quando tornerete ve le canterò, dovesse essere l’ultima cosa faccio...”

Portò il vassoio verso le scale e, nel farlo, dovette attraversare il salone dove Tremotino soleva filare.

Qui vide l’uomo in piedi davanti alla finestra.

“Che cosa succede?”

 

 
Storybrooke. Oggi.

 
Era venuta davvero molta gente.

Gli uomini di Artù erano schierati a destra e a sinistra, lungo il bordo dei marciapiedi. Gli abitanti di Storybrooke erano arrivati alla spicciolata e sostavano a gruppetti intorno all’area in cui si sarebbe svolto il duello tra Merida e il re di Camelot. 

La strada era spazzata dal vento e il sole stava tramontando, colorando il cielo di rosso e arancione.

Osservando le ombre della sera che avanzavano, Belle rabbrividì. Aveva passato le ultime ore in biblioteca, immersa nella lettura, cercando di non pensare a che cosa attendeva Merida. In realtà non era riuscita a concentrarsi sulle parole stampate e aveva spesso perso il filo, cosa che l’aveva costretta a ricominciare daccapo più di una volta. Aveva persino sfogliato un vecchio volume che parlava di armi magiche, che era sicura di aver già sfogliato molti anni prima, quando aveva soccorso un vecchio amico di infanzia, costringendo Tremotino ad accoglierlo nel suo castello.

“Se perdi, morirai. Farò in modo che la tua gente abbia indietro la sua regina. A pezzi. La tua adorata madre riceverà la tua testa. I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si inginocchieranno a me.”

Alla fine si era messa a leggere alcuni capitoli di un volume che parlava di duelli e verdetti per singolar tenzone.

Avanzò verso la prima fila e vide Merida che estraeva la spada dal vecchio fodero in cui era stata riposta. Aveva posato l’arco e la faretra sull’asfalto. Le persone la fissavano, incuriosite, bisbigliando fra di loro.

- Dov’è? Ho bisogno di sgranchirmi. – disse Merida.

- Suppongo che sarà qui a momenti. – Belle scorse Ginevra in mezzo al manipolo di cavalieri, sul lato opposto della strada.

“Non lo ucciderò, ma lascerò che sia il fato a scegliere. Se morirà... morirà.”

Continuavano a tornarle in mente le parole che le aveva detto Tremotino il giorno in cui era tornata dal mercato con Samuel.

“Il fato... se morirà... morirà.”

Belle vide che l’elsa della spada era molto lunga e su di essa erano incise delle parole in filigrana di ottone.

- Am gài i fodb fras feochtu, Am dé delbas do chind codnu. Coiche nod gleith clochur slébe. – lesse Merida, accorgendosi dello sguardo di Belle. – È la canzone di Amergin. Quando ero piccola, nelle notti di luna piena, alcuni uomini di mio padre la cantavano.

- Amergin?

- Era un druido e un bardo. A mia madre la canzone non piaceva. – Merida sorrise, presa nel vortice dei ricordi. A Belle sembrò immensamente giovane, quasi sperduta, per qualche momento. – Diceva che le metteva i brividi.

Vennero interrotte da un brusio concitato e dal rumore di passi in marcia. Artù fece la sua poco gradita comparsa circondato dai nani. Tre di loro camminavano dietro al re e due davanti a lui, tutti armati di picconi. Intanto Brontolo ed Eolo lo accompagnavano, tenendolo per le braccia. Quando giunsero al centro della strada principale di Storybrooke, Brontolo, con riluttanza, tirò fuori una chiave e la usò per aprire le manette che stringevano i polsi di Artù.

- Is maith an scáthán súil charad. – disse Merida.

Belle non ebbe modo di chiederle che cosa significasse, perché lei si allontanò, per raggiungere il centro della strada, con la spada in pugno. Artù la fissò con astio e domandò a gran voce che gli portassero la sua arma. Ginevra se la fece consegnare da uno degli uomini di suo marito che, nell’offrirgliela dentro al fodero nero, chinò il capo rispettosamente. Poi Ginevra raggiunse il marito e gli porse la spada.

- Fa attenzione. – disse ad Artù.

Lui le accarezzò una guancia. Infine prese l’arma e la estrasse dal fodero con un gesto deciso.

 

 
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 
“Samuel.”, mormorò Belle. Il vassoio le scivolò di mano e la tazza, cadendo, si ruppe in mille pezzi. “La tua ferita...”

Samuel era in piedi davanti ad una delle finestre e aveva aperto una piccola borsa che portava legata alla cintura. Non sembrava che stesse male. Aveva persino spostato il peso sulla gamba malata e il suo viso era roseo. Nei suoi occhi brillava un certo senso di colpa.

“Come fai a... ad essere in piedi?”, domandò Belle, incredula.

“Mi dispiace.”, disse Samuel, allargando le braccia. “Forse è giunto il momento di spiegarti perché sono qui.”

“Era tutto falso. Erano bugie...”, disse Belle, precedendolo. “Non eri davvero ferito.”

“La ferita me la sono procurata con la magia. Ma faceva parte del piano.”, spiegò Samuel. “Sono stato da un mago di nome Knubbin. La ferita era un’illusione. Così come la febbre.”

“Quale piano?!”

“Tuo padre mi ha assoldato perché ti salvassi, Belle.”

“Vuoi dire che ti ha pagato!”, lo interruppe lei, furiosa. “Sei un mercenario, non è così?”

“Sono un messaggero. Durante gli scontri con gli orchi, facevo da tramite tra gli uomini di tuo padre. Portavo messaggi e all’occorrenza la gente mi pagava perché facessi loro dei favori.” Samuel appariva fiero dei suoi compiti. Il suo viso era duro, ma deciso. Gli occhi scintillavano di orgoglio. “Tuo padre mi ha trovato e mi ha chiesto di aiutarlo. Mi ha offerto un compenso notevole, ma l’ho fatto anche per te. So che ti ricordi di quando giocavamo insieme da bambini... eravamo amici.”

“Lo eravamo, sì...”, mormorò Belle.

Samuel le prese una mano, stringendola nella sua, grande e callosa. “Posso portarti via da qui, Belle. Lascia che ti aiuti.”

“Non puoi ingannare l’Oscuro, Samuel! Con chi credi di avere a che fare? E poi ho dato la mia parola...”

“La tua parola?” Samuele era basito. “Sei stata costretta a promettere! Ti posso liberare da quell’impegno. Non sei obbligata a restare qui con questa... con questa bestia.”

Belle incrociò le braccia al petto.

“Ascolta, ho qualcosa che può fermare l’Oscuro una volta per tutte.” Estrasse un oggetto dalla borsa appesa alla cintura. Era un cubo con strani intarsi contorti, sormontato da una pietra rossa.

“Che cos’è?”

“Il Vaso di Pandora. Una volta aperto, intrappolerà l’Oscuro.” Samuel glielo fece vedere più da vicino. “Non potrà uscire, Belle. E tu sarai libera.”

“Perché dovrei fare una cosa simile?”

“Per tutti. Pensa a come sarebbe il mondo senza l’Oscuro! Vendicheresti tutte le persone a cui ha fatto del male! Saresti un’eroina.” Il sorriso di Samuel era largo e abbagliante, il sorriso di chi credeva di avere la vittoria in pugno.

Belle pensò a suo padre e alla sofferenza che gli aveva causato quando aveva deciso di accettare l’accordo di Tremotino. Pensò a Gaston. Non era l’uomo che amava, solo lo sposo scelto da Maurice per lei, un giovane attraente, ma avido, che la vedeva come una delle sue tante conquiste. Non aveva idea di che fine avesse fatto, forse combatteva contro gli orchi per Maurice.

Pensò a sua madre... a com’era morta. A tutto il dolore che aveva provato quando si era destata e le avevano detto che era stata uccisa.

“Belle, non è quello che hai sempre fatto? Hai sempre aiutato gli altri. Sei sempre stata buona...”, continuò Samuel.

“È vero.”, rispose Belle, risoluta. “Hai ragione. Dobbiamo farlo.”

“Mi aiuterai, quindi?”

“Sì. Ti aiuterò.”

 

 
Storybrooke. Oggi.

 
L’atmosfera era schiacciante, grigia e pensatissima. Non si udiva cantare un uccello e tutto era avvolto da un silenzio di tomba angosciante che si appiccicava ai vestiti, come se dovesse trascinarli negli abissi più profondi.

- Questa è pazzia. Dovremmo usare i picconi e dargli una lezione. – disse Brontolo, scuro in volto.

- Noi dare una lezione a lui? – intervenne Gongolo.

- Perché no? Siamo in sette!

- E lui ha tutti i suoi cavalieri armati a disposizione!

- Noi abbiamo i picconi! Niente ferma il piccone di un nano! E abbiamo Granny! Lei ha il fucile.

Belle guardò con apprensione i due contendenti che si studiavano, ad una distanza di un paio di metri.

Merida stringeva l’elsa della spada così forte da sbiancarsi le nocche.

“Ah! Tua madre mi ha fatto promettere di tenerti al sicuro... così ho assunto un soldato perché ti addestrasse nell’arte della guerra.”

Toccava a lei vincere per tenere al sicuro sua madre e i suoi fratelli, ora.

“In combattimento non vince il più forte, ma il più furbo.”

I due contenenti si studiarono, muovendosi in cerchio, senza mai distogliere gli occhi l’uno dall’altro. Il re senza regno era anche senza armatura.

“Se perdi, morirai. Farò in modo che la tua gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”

Artù si mosse con rapidità, tentando un affondo deciso.

Merida lo parò e scivolò a destra. Rispose con un manrovescio, al quale lui si oppose, spingendo per allontanarla da sé. Merida vacillò sulle gambe, ma riuscì a parare anche il colpo successivo. Lo incalzò con una serie di mosse che miravano alle gambe e alle braccia. La lama lo raggiunse poco sopra il polso, aprendo un taglio superficiale. Artù balzò indietro, digrignando i denti.

Per Belle era difficile staccare gli occhi dai due.

- È una follia. Hai ragione! Non so perché l’abbiamo permesso! – sussurrò Eolo, pallido come se uno dei due contenenti fosse stato lui stesso.

- Sssh. – gli intimò Gongolo.

- Biancaneve potrebbe decidere di ucciderci e ne avrebbe tutte le ragioni. Ci ha detto di tenere d’occhio la situazione prima di partire... – continuò Eolo.

Gli altri nani strascicarono i piedi.

- L’abbiamo tenuta d’occhio! – esclamò Brontolo, irritato. – Che cosa vi avevo detto? Potevamo usare i picconi!

Merida menò un fendente che quasi sorprese Artù, ma lui lo fermò, incrociando la sua spada con quella dell’avversaria. Artù spinse con tutte le sue forze, fino a costringere Merida a piegarsi sulle ginocchia. A lei tremavano i muscoli delle braccia. Vide una furia cieca bruciare nello sguardo verde del suo nemico. Una furia che gli deformava i lineamenti.

- Morirai. Sei finita come tuo padre. – Spinse ancora più forte. Merida avvertì il morso gelido della lama vicino al suo volto.

“Se perdi, morirai. Farò in modo che la tua gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”

“In combattimento non vince il più forte, ma il più furbo.”

Merida afferrò la lama della spada di Artù con la mano destra, ferendosi. Ignorò il dolore e usò le sue energie per opporsi al suo tentativo di chiudere il duello. Artù si stupì di quell’improvvisa esplosione di forza e fu costretto ad indietreggiare di un paio di passi. Il clangore delle armi vibrò nell’aria, riecheggiando come se stessero combattendo in un lungo tunnel.

 

 
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 

“Dove mi stai portando?”, domandò Samuel, seguendo Belle fino ad una grande porta di legno vecchio.

“Nelle stanze sotterranee dell’Oscuro. Lui ci va spesso, soprattutto quando è di ritorno da uno dei suoi viaggi.”

“Dovrò aspettarlo là?”

“È il posto più adatto.”

Samuel sorrise. Belle aprì la porta e prese una delle fiaccole appese al muro di pietra, accendendola alla svelta. Davanti a loro, poco oltre la soglia, iniziava una serie di scalini che conducevano nelle viscere della dimora dell’Oscuro. La scala si avvitava, perdendosi nel buio.

“Sei sicura che sia per di qua?”, chiese Samuel, aggrottando le sopracciglia.

“Sì. Vivo in questo castello. Ormai conosco quasi ogni angolo.”

Samuel la seguì giù per le scale. Il passo di Belle era sicuro, le fiamme illuminavano i gradini uno dopo l’altro e ogni minimo rumore riecheggiava lungo le pareti, spandendosi in una serie di echi sinistri.

“Siamo arrivati. Devi passare da qui.”, disse Belle, sollevando la fiaccola perché Samuel potesse vedere la seconda porta.

“Quello non è il magazzino delle provviste?”, le fece notare lui. “Vuoi che mi riempia la pancia, prima?”

“No. Ma le camere dell’Oscuro sono protette dai suoi incantesimi. L’unico modo per raggiungerle è passando dai magazzini.” Aprì i chiavistelli arrugginiti. “Fidati di me. Ho imparato un bel po’ di trucchi da quando abito con lui. Non sono solo una domestica.”

Samuel intervenne per aiutarla a sollevare la trave che bloccava il passaggio. “Uff. Già... vedo che ti sei data da fare... uff. È una vera fortuna, Belle.”

Lei sorrise leggermente. Scostarono la trave e Belle aprì la porta, che cigolò orribilmente sui cardini. “Cerca di fare attenzione. Potrebbe accorgersi di te non appena metterà un piede nelle sue stanze.”

“Ma lui non ha il Vaso di Pandora.”, le ricordò Samuel, battendo una mano sulla borsa. Si infilò oltre la soglia. Prima di inoltrarsi nel magazzino, si girò un’ultima volta, guardandola, deciso. “Ci riuscirò, Belle, non preoccuparti per me. Ce ne andremo. Τuo padre sarà così felice di rivederti.”

“Ne sono sicura. E... non ho bisogno di preoccuparmi per te.”

“Beh...”

Belle gli chiuse la porta in faccia. Samuel non se l’aspettava e inciampò, cadendo lungo disteso. Lei afferrò la trave, scorticandosi i palmi e usò la forza che aveva per rimetterla al suo posto e bloccare la porta. Infine tirò i chiavistelli.

“Belle!” gridò Samuel, picchiando i pugni contro il legno. “Belle, che stai facendo? Qui non c’è  niente! Fammi uscire!”

Belle appoggiò le spalle contro il legno, respirando con affanno. “No, non c’è niente, Samuel. Non si tratta nemmeno del magazzino. Sei fuori dal castello. Vattene finché sei in tempo.”

“Non puoi farlo, Belle! Non puoi chiudermi fuori!”

“Posso. Τi ho già salvato la vita una volta. Se l’Oscuro scopre che cosa intendevi fare, morirai. Quindi va via. Per favore.”

Samuel si aggrappò alle sbarre della piccola grata che si apriva in cima alla porta. “Belle, no... come puoi farmi questo? Eravamo amici!”

“Un tempo lo eravamo. Sono passati anni.”, osservò Belle, incrociando le braccia. “E Τremotino sarà anche il Signore Oscuro, ma non merita di essere ingannato in questo modo.”

Quando Samuel parlò di nuovo, la sua voce aveva assunto un tono accusatorio, come quella di un bambino che voleva essere rispettato e trattato alla pari, ma che sapeva già di desiderarlo invano. “Io ero tuo amico. Sono venuto fino a qui per te. Ho rischiato la mia vita per riportarti a casa. Che cosa dirò a tuo padre? Che preferisci la compagnia dell’Oscuro a quella della tua famiglia? Lui ti ha traviata, vero? Ha usato la magia e ora fai ciò che lui chiede!”

Sul viso di Belle balenò un lampo di dispiacere. “Puoi dirgli quello che ritieni più giusto. E... no, nessuno ha usato la magia su di me. So quello che faccio. Al contrario di te.”

 

 
Storybrooke. Oggi.

 
Merida e Artù continuavano a scambiarsi colpi su colpi.

Ormai l’unico rumore era il clangore delle spade. Sembrava che la folla stesse trattenendo il respiro, in attesa della mossa che avrebbe deciso le sorti del duello. Artù aveva la fronte imperlata di sudore, ma non cedeva. Merida era evidentemente stanca, eppure continuava a parare gli affondi e a restituirli.

“In combattimento non vince il più forte, ma il più furbo.”

Artù cercò di sorprenderla con un colpo di taglio, dato dal basso verso l’alto. Sembrava un colpo lento, ma era anche molo potente. Merida lo sentì riverberare lungo il braccio. Fu sul punto di lasciar cadere la spada. Strinse l’elsa più forte che poté, sbiancandosi le nocche e lo respinse. Barcollò, trovandosi sbilanciata.

“Se perdi, morirai. Farò in modo che la tua gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”

Artù sollevò la spada, infierendole un colpo in diagonale. Merida fu costretta ad usare entrambe le mani per non essere disarmata. Dalle labbra le sfuggì un verso inarticolato.

- Arrenditi. - le disse Artù, fissandola tra le lame incrociate. – Arrenditi, maledetta. Non puoi vincere.

“La tua adorata madre riceverà la tua testa. I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si inginocchieranno a me.”

Ginevra assisteva al duello con gli occhi sbarrati, il pugno premuto contro la bocca. Belle avvertiva il battito accelerato del proprio cuore. Le rimbombava nelle tempie, frastornandola.

“Il fato... se morirà... morirà.”

Le lame slittarono e Merida scivolò via. L’arma di Artù colpì l’asfalto. Lui gettò un grido di rabbia e si girò di scatto. La spada fendette l’aria.

“La tua adorata madre riceverà la tua testa.”

Artù vibrò l’ennesimo affondo. Si scagliò contro di lei come una furia, mirando al suo petto.

“I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si inginocchieranno a me.”

Merida si difese, parando l’affondo e Artù si ritrovò proiettato dal suo stesso impeto in avanti. Vacillò e, quando si voltò d’istinto, aspettandosi un nuovo colpo morale, Merida gli regalò un fendente che quasi gli tranciò le dita della mano destra.

Il suo polso cedette e Artù lasciò cadere la spada.

 

 
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 
“Complimenti, mia cara! Davvero notevole!” Τremotino apparve dietro di lei, battendo le mani come se avesse appena assistito al migliore degli spettacoli. “Sono felice di essere arrivato giusto in tempo! Non avrei mai voluto perdermi una scena simile.”

“Τremotino...”, iniziò Belle, che se ne stava appoggiata alla parete, ignorando le grida di Samuel.

“Vi ringrazio per avermi aiutato a recuperare qualcosa che desideravo da anni.”, disse l’Oscuro, aprendo la mano. Vi fu un pof e il Vaso di Pandora, quella che avrebbe dovuto essere la sua prigione, si materializzò. Intanto, due fili di fumo violaceo uscirono dalla finestrella sopra la porta sbarrata. “Non ero mai riuscito a metterci le mani sopra, ma il vostro molesto amico l’ha portato direttamente da me.”

“Cosa avete fatto a Samuel?! Non lo avrete mica...”

“Oh, non preoccupatevi per lui, cara. Non l’ho ucciso. Ho promesso che non l’avrei fatto ed io mantengo sempre la parola.” Rise, accarezzando il Vaso con la punta delle dita. Fece scorrere l’indice sulla gemma rossa, che inviò un barbaglio luminoso. “Però... mi sono permesso di spedirlo da qualche altra parte... in un posto... molto lontano da qui e decisamente meno confortevole.”

Belle incrociò le braccia e sollevò il mento, con aria di sfida.

“Sì, giusto. Devo ringraziarvi per avergli impedito di rinchiudermi in questa... prigione.”, disse Tremotino, reggendo l’oggetto con due dia e sorridendole. “Avete fatto un ottimo lavoro e me ne compiaccio. Non oso nemmeno immaginare che cosa avrei combinato lì dentro. Non lo trovate stretto? Come avrei fatto a distendere le gambe?”

“Mi dispiace deludervi, ma non ho chiuso fuori Samuel per voi.”, lo interruppe Belle. “L’ho fatto per il popolo della Foresta Incantata. E perché sono una donna che mantiene la parola. Proprio come voi.”

“Oh?”

“Volevo credere alla storia di Samuel. Lo volevo davvero. Era un mio amico.”, spiegò Belle. “Ho provato a credergli anche quando ho scoperto che la sua non era una vera ferita, ma solo un incantesimo... un’illusione. Volevo credere che almeno lo stesse facendo per una buona causa.”

Lui non disse niente. Aspettò che continuasse.

“Ma mentiva. Ha sempre mentito. Quando mi ha raccontato come si era procurato la ferita, ho capito che qualcosa non andava nella sua storia e quindi ho frugato fra le sue cose.”

“Molto acuta.”

“Ho trovato una mappa che conduceva proprio qui e un disegno... rappresentava il vostro pugnale. Non era qui per rinchiudervi nel Vaso di Pandora. Era qui per il pugnale. Voleva rubarlo e controllarvi. Lui... e i suoi uomini.”

“Ah, il pugnale. Ma guarda...” Τremotino toccò la propria arma, accuratamente riposa in un fodero in cuoio appeso alla cintura.

“Era un mercenario. Se anche fosse vero che mio padre l’ha assoldato, era qui solo per il suo tornaconto. Non potevo permettere che accadesse una cosa simile.” Gli puntò contro l’indice. “Quindi, c’era di più in ballo della vostra vita.”

“Già. Questo lo vedo.”, osservò Tremotino, corrucciato. Era sorpreso e faticava a nasconderlo.

“Bene.” Belle si sistemò i capelli dietro le spalle. “Ne ho abbastanza. Me ne vado a letto, con il vostro permesso.”

“Fate pure.”, mormorò l’Oscuro.

“Ho solo una domanda.”, disse Belle, voltandosi di nuovo. Sulle labbra aleggiò un sorrisetto. “Dopo quello che è successo oggi... vi fidate di me?”

Τremotino annaspò, alla ricerca di una frase sensata da rifilare a quella domestica impertinente.

“Non importa.”, aggiunse Belle, scuotendo il capo. “Conosco già la risposta.”

 

 
Storybrooke. Oggi.

 
Belle trattenne il respiro ancora per qualche momento, dopo che Artù era stato disarmato.

Merida gli puntava la spada alla gola.

Le persone tacevano. Non uno fece un passo verso i due contendenti. I nani sembravano statue di sale, con i picconi in mano. Granny impugnò il fucile, aspettandosi una carica da parte degli uomini del re, che fissavano la scena come inebetiti. Ginevra era pallida, con i pugni serrati ai lati del corpo.

- È finita. – annunciò Merida. La sua voce risuonò forte e chiara, poiché il silenzio era denso, pesane come un macigno. – Rispettate la vostra pare dell’accordo. La ricordate, vero?

Artù non era mai sembrato così furioso. Così livido.

- Avete detto che sareste venuto con me a Dunbroch e che sareste stato giudicato da me e dal mio popolo per ciò che avete fatto a mio padre. – ripeté Merida.

- Ho detto questo, sì. – bofonchiò Artù.

- Credo che i vostri uomini non vi abbiano sentito.

- Ho detto proprio questo! 

Un brusio si diffuse tra la folla, percorrendola come un’onda anomala.

- E sappiate che così sarà. – Merida alzò gli occhi sui nani e fece loro un cenno.

Quelli appoggiarono i picconi sulla spalla e Brontolo recuperò le manette che aveva tolto ad Artù.

- Merida! – gridò Belle.

Aveva alzato gli occhi solo per un istante, sempre tenendo la spada puntata contro la gola dell’uomo. Con la coda dell’occhio, vide il guizzo della mano di Artù. Fu rapidissimo. Un lampo. Le dita scattarono come tenaglie verso l’arma che era caduta poco più in là. Quelle dita strinsero l’elsa e il braccio si mosse per sferrare il colpo morale.

“Ah! Tua madre mi ha fatto promettere di tenerti al sicuro... così ho assunto un soldato perché ti addestrasse nell’arte della guerra.”

“In combattimento non vince il più forte, ma il più furbo.”

Merida lo trapassò con la sua spada. La lama fuoriuscì dalla schiena, insanguinata. Schizzi di sangue volarono sull’asfalto e quasi raggiunsero le scarpe di Gongolo, che si ritrasse con un guaio ansioso, urtando Eolo. Capitombolarono a terra entrambi.

Ginevra gridò.

E quando Merida estrasse la spada, con gli occhi pieni di lacrime, fissando il corpo che si afflosciava, l’incantesimo con cui lui aveva tenuto la moglie legata a sé si dissolse.

Granelli di polvere luminosa piovvero dai capelli e dal vestito color porpora di Ginevra. Rotolarono sulle maniche dell’abito ed evaporarono prima di toccare la strada.

Ginevra battè le palpebre.

 

 
Oltretomba.

 
Mentre Killian Jones usciva dal negozio di Gold e si incamminava nuovamente verso l’appartamento degli Azzurri, invischiato in una fitta rete di oscuri pensieri, le lancette della torre dell’orologio scattarono.

Non si mossero in avanti, com’era accaduto quando il padre di Regina era passato oltre, ma all’indietro. 

Il suono secco vibrò nell’aria densa e buia di Underbrooke.

Ade, nelle profondità del suo covo, lo udì e sorrise, sorseggiando un calice di vino rosso.


   
 
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