8
“Tali
siamo
Quali la natura ci ha formato:
fragili”
[William
Shakespeare,
La Dodicesima Notte]
Città di Smeraldo. Oz. Anni fa.
Il
sole era già sorto da quasi un’ora quando
posò
i fiori davanti alla tomba. Li aveva raccolti lungo il tragitto che da
casa l’aveva
condotta al mercato, solo un piccolo mazzo per abbellire un pezzo di terra che
rimaneva spoglio il più
delle volte, perché suo padre era troppo ubriaco per
pensarci o anche solo per
alzarsi dal letto la mattina.
Accanto
alla pietra tombale sulla quale era
rozzamente inciso il nome della madre, Zelena vide una ragnatela tesa
da un
cespuglio ad un altro. Era grande e su uno degli angoli inferiori della
tela
stava raggomitolato un ragno delle dimensioni
del suo pollice. Un ragno verde.
Il
morso dei ragni verdi era velenoso, lasciava
la vittima paralizzata. Alla ragnatela erano sospese gocce di rugiada e
molte
mosche vi erano rimaste intrappolate.
Zelena
inorridì, eppure fissò quelle creature
in balia del ragno verde. Perché era così che
spesso si sentiva. Intrappolata.
Paralizzata. Senza via di scampo.
Ebbe
paura e si allontanò in fretta e furia,
stringendosi nella mantella e portando con sé il cesto nel
quale aveva riposto
il pane preso al mercato. Alzò lo sguardo, trovando le luci
della Città di
Smeraldo proiettate verso il cielo. Le luci del palazzo del Mago.
Arrivò
a casa quasi correndo e, in cucina,
trovò suo padre intento a bersi la sua scodella di latte.
Aveva la barba lunga
e i capelli in disordine, gli occhi rossi di chi aveva dormito male.
“Sì
può sapere dove ti eri cacciata?”,
domandò,
rudemente.
“Scusatemi,
padre. Al mercato c’era molta gente.”,
si affrettò a rispondere. “Volete che vi faccia la
barba?”
“Vedi
di darti una sistemata e non pensare alla
mia barba. Sei tutta sporca di fango!”
Zelena
non perse tempo e andò sul retro, a
prendere l’acqua dal pozzo. Poi la portò dentro e
la scaldò sul fuoco. Era
sporca di fango solo perché, nel correre a casa, era
inciampata. La sera prima
aveva piovuto a dirotto e la strada era un pantano.
Ma,
mentre gettava il secchio nel pozzo e
poi lo tirava su, scorticandosi le mani, Zelena
sentiva qualcosa di molto brutto. Qualcosa di brutto che saliva da
dentro, qualcosa
che veniva da lontano, da un posto buio in fondo all’anima,
qualcosa che era verde
come il ragno del cimitero, verde come le luci della città e
aveva gli artigli affilati,
qualcosa che si preparava a dilaniare... perché Zelena
faceva del suo meglio per
non contrariare suo padre, però non andava bene comunque.
Zelena era sempre
gentile, gli faceva la barba quando a lui tremavano troppo le mani, lo
temeva e
lo rispettava. Ma non andava bene.
Le
frustate che aveva ricevuto solo due sere
prima le facevano ancora male.
Tutto
perché si era permessa di approfittare di un momento in cui
il padre era di
buon umore per chiedergli se non fosse giusto per lei andare dal Mago
di Oz. Se
il Mago era davvero così potente, avrebbe potuto aiutarla a
controllare i suoi
poteri. Sarebbe stato meglio per chiunque.
Lui
l’aveva ascoltata fino alla fine. Poi erano
iniziate le frustate. Era sicura di non aver mai provato un dolore
simile.
Quando
tutto era finito, aveva immaginato di
afferrare suo padre per il collo e gettarlo in fondo alla stanza. Aveva
immaginato di prenderlo per la gola e stringere, stringere fino a farlo
diventare viola. Aveva immaginato di scagliarlo fuori dalla porta. Non
l’aveva
fatto, ma uno scossone aveva fatto scricchiolare le fondamenta della
casa,
costringendo suo padre a ritirarsi in un angolo, impaurito.
Voleva
sua madre. Sua madre era gentile con
lei. Anche se Zelena pensava che temesse il suo potere, non
comprendendolo, sua
madre l’abbracciava. La proteggeva.
Ma
sua madre era morta, ormai. Era sola.
Zelena
si guardò alle spalle. Infine usò il suo
potere per tirare su il secchio pieno d’acqua. La corda
iniziò ad arrotolarsi
ai suoi piedi, come un serpente che si acciambella all’ombra
dopo essersi
nutrito. Il secchio sbucò dal pozzo con un sobbalzo e lei lo
prese.
Città di Smeraldo. Oz. Oggi.
Dopo
il tradimento della Strega dell’Est e la scomparsa di Zelena
e del principe
Fiyero nel portale, Glinda si era dimostrata almeno temporaneamente
incapace di
qualsiasi tipo di decisione o spiegazione. Mulan aveva dovuto lottare e
blandirla a lungo prima di riuscire a convincerla a lasciare andare il
corpo di
Locasta. Gli uomini di Robin Hood, incaricati di preparare le pire per
i caduti, avevano
preso la donna senza vita e l’avevano
portata fuori. Prima, Glinda aveva sganciato il medaglione dal suo
collo,
quello con la pietra bianca incastonata nel ciondolo.
Robin
aveva cercato tracce di Zelena e della figlia ovunque, ma non
c’era niente da trovare,
se non un paio di streghe in miniaura che erano state parte del
giostrino
collocato in cima alla sua culla. Robin le aveva scagliate lontano.
Nessarose
si era dissolta nel nulla. Si era letteralmente sgonfiata sotto gli
artigli di
Ruby e di lei non erano rimasti che gli abiti.
Toto
era stato liberato dalla sua prigione e si aggirava ancora per la sala,
saltellando e annusando ovunque.
-
Lasciate fare a me. – aveva detto Knubbin, ad un certo punto,
richiamando il
proprio corvo, che era andato ad appollaiarsi sulla sua spalla.
Si
era fatto portare uno specchio e aveva pronunciato poche parole. Le
immagini
conservate nella testa del corvo si erano riversate nello specchio e
avevano
preso forma, mostrando loro tutto ciò che era accaduto in
quella sala, prima
che gli uomini facessero irruzione.
-
Non sappiamo comunque dove conduceva quel portale. – disse
Robin, una volta che
le immagini furono sparite.
-
Non ancora. – rispose Knubbin. – E in ogni caso mi
domando come sia possibile.
Glinda
alzò leggermene il capo.
-
La
Strega dell’Est si è nascosta bene. –
disse Mulan.
-
Non parlo della Strega. Ma dello specchio. Lo specchio è
magico. – Knubbin girò
l’oggetto verso di loro, in modo che la superficie
riflettesse i loro visi.
Picchiettò l’indice contro la cornice.
-
Io
non vedo niente. –
rispose Mulan, aggrottando
la fronte.
-
Certo che no, tesorino. Lo specchio riflette la vostra vera natura. Se
foste
malvagie, questo affare lo svelerebbe all’istante.
– Knubbin arricciò il naso.
– Quello che mi chiedo è come può
essere finito qui.
Gli
uomini di Robin ornarono dal loro giro di perlustrazione. A giudicare
dalla
facce contrite, non avevano buone notizie.
-
Allora? – chiese Ruby, apprensiva.
-
Non ci sono prigionieri. Se le prigioni esistono, noi non le abbiamo
trovate. –
rispose John.
-
Devono esistere per forza! Zelena faceva prigionieri. Forse non sono
qui, ma
devono esistere! – Era talmente piena di angoscia che il
cuore stava per
esploderle.
-
Sta calma, Ruby. – disse Mulan, posandole una mano sulla
spalla.
-
Non posso. – replicò Ruby. - Vengo con voi.
Userò il mio fiuto. Troverò
qualcosa.
-
Vengo anch’io. – tornò a dire Mulan.
Nessuno
degli uomini di Robin si mosse per seguirla. La fissavano tutti con
diffidenza.
-
Mi
unisco a voi. – intervenne, invece, Robin. - Portiamo anche
il mago.
-
Non sono molto bravo a trovare entrate segrete, signori. –
rispose Knubbin.
Ruby
mutò aspetto, trasformandosi nuovamente in lupo.
Scoprì i denti, ringhiando. Toto
abbaiò.
Knubbin
si fece rosso in viso. Era chiaro anche a lui che Glinda non era in
grado di
aiutare nessuno e l’ultima cosa che desiderava era di finire
nelle fauci di un
licantropo. – Bene. Andiamo. Fatemi strada.
Oltretomba.
Malefica
sorvolò la casa in cui Zelena doveva essersi rifugiata dopo
essere giunta nel
regno di Ade.
Regina
aveva detto che, durante la maledizione che aveva tolto loro i ricordi
per la
seconda volta, rispedendoli a Storybrooke dopo un anno trascorso nella
Foresta
Incantata, la strega aveva preso possesso di quella casa fuori
città, dotata di
una cantina nella quale aveva disposto la prigione di Tremotino.
Malefica
planò leggermente, scrutando i dintorni. La casa sembrava
deserta, ma intorno
ad essa era stata sollevata una protezione. Il drago ci andò
a sbattere contro
e lanciò uno strepito infastidito, mentre scintille azzurre
percorrevano l’aria
rossastra dell’Oltretomba.
Poco
dopo, il principe Fiyero, arrivato negli Inferi con Zelena, si
accomodò sul
ramo più basso di un vecchio
albero ad una
cinquantina di metri dalla casa. Guardò in alto, inviando un
segnale al drago.
Poi sollevò una mano, facendosi vedere dalla donna di nome
Marian, che si era
offerta di controllare la Strega insieme a lui.
-
Non sei obbligata a farlo, Marian. – aveva detto Emma,
osservandola mentre
riempiva di frecce una faretra.
-
Lo
farò, invece. – aveva risposto lei, risoluta. Il
tono non ammetteva repliche.
Marian
ci era andata perché quella donna l’aveva uccisa
in un’altra versione del suo
passato. E ci era andata perché Zelena aveva pur sempre con
sé la figlia di
Robin. Fiyero si era assunto quell’incarico...
perché era curioso. Era
consapevole che Zelena fosse pericolosa, ma era anche curioso di
seguirla più
vicino. Era sempre stato curioso, fin da ragazzino. Da ragazzino, anzi,
era
proprio un ficcanaso, lo doveva ammettere, ma col tempo aveva affinato
quel
lato del suo carattere.
C’erano
delle cose che voleva capire.
Dentro
casa, la bambina cominciò a piangere.
Zelena
scese le scale di corsa e raggiunse la stanza in cui aveva sistemato la
bambina. La culla era accanto alla finestra della sala da pranzo.
La
prese in braccio e la strinse a sé.
Aveva
visto il principe Fiyero appostato a pochi metri da casa sua. Aveva
visto il
drago sorvolare la casa e si era divertita nel vederlo andare a
sbattere contro
la barriera protettiva che aveva eretto con molti sforzi.
E
sapeva benissimo dove si trovava.
Il
portale l’aveva condotta dritta dall’ultima persona
che avrebbe voluto
incontrare, a parte Regina.
Posò
la bambina nella culla e la coprì per bene.
Quando
si voltò, sobbalzò, sconcertata.
Sul
tavolo c’era un vasetto con un fiore appassito e un biglietto
ripiegato. Un
attimo prima quelle cose non c’erano. Nell’aria
veleggiò una fiammella azzurra,
che evaporò non appena Zelena prese il foglio di carta
ingiallito.
Spero
che tu abbia tutto ciò che ti serve.
Fai
attenzione. Loro sono qui.
Il
biglietto si disintegrò non appena Zelena terminò
di leggere l’ultima parola.
Diventò cenere, che piovve sul tavolo di legno.
“Spero
che tu abbia tutto ciò che ti serve.”
Già.
La casa. La casa era vuota, come in attesa della sua occupante. E tutto
era in
perfetto ordine. Tutto funzionava alla perfezione. L’acqua
calda. Il forno. Il
frigorifero. C’erano pure le provviste.
“Fai
attenzione. Loro sono qui.”
Zelena
spazzò via la cenere con un gesto secco della mano.
Cora
arrancava lungo il ponte sospeso sulle acque del Fiume delle Anime
Perdute,
trascinando il carro stracolmo di sacchi di farina.
Inciampò
nell’orlo dell’abito lacero da mugnaia e si
mantenne in equilibrio per pura
fortuna. Il ponte era stretto. Sarebbe bastato un piccolo passo falso
per
precipitare e trasformarsi in un guscio vuoto e ululante.
Intorno
a lei non aleggiavano solo le grida delle anime condannate ad una pena
eterna,
ma le immagini della sua vita. Ed erano sempre le stesse.
Da
una parte, Regina. Una giovane Regina legata con le cinghie per
cavalli. Regina
che reggeva il corpo senza vita dello stalliere di cui si era
innamorata.
“Perché
l’hai fatto?”
“Perché
questo è il tuo lieto fine.”
Dall’altra
parte, Zelena. La figlia che aveva abbandonato. Una mugnaia che
sgusciava fuori
dalla casa della donna che l’aveva aiutata a partorire, poco
prima dell’alba.
Una bambina con grandi occhi azzurri, adagiata in una cesta e lasciata
nel
cuore del bosco.
“Povera
piccola. La vita è crudele. È piena di
tradimenti. Questa è l’unica lezione che ho per
te.”
Regina
e Zelena. Zelena e Regina.
“...questo
è il tuo lieto fine.”
“Ora
ti devo abbandonare.”
“Perché
l’hai fatto?”
“Per
dare a me un’opportunità migliore.
Finché
avrò te, potrò essere solo la figlia del
mugnaio.”
Cora
riprese a camminare. Una volta giunta alla fine del ponte si sarebbe
ritrovata
nuovamente al punto di partenza. E sarebbe stata costretta a
ripercorrere la
strada daccapo. Avanti e avanti. E poi ancora indietro.
Intorno
a lei le sue azioni e le urla delle Anime Perdute.
Città
di Smeraldo. Oz. Anni fa.
Zelena
non avrebbe dovuto farlo.
Non
avrebbe dovuto perché suo padre era sempre
stato contrario e l’avrebbe punita di nuovo, venendolo a
sapere.
Si
scostò i capelli rossi dal viso e alzò lo
sguardo, spingendo indietro la testa, abbastanza da poter guardare le
guglie
del palazzo del Mago. Le luci sempre proiettate verso il cielo
coloravano di
verde anche la strada fatta di mattoni dorati, che si snodava per la
Città di
Smeraldo, usciva e si perdeva nelle praterie e nei boschi del regno di
Oz.
Accanto
alle porte del palazzo, c’erano due
guardie che indossavano uniformi verdi, con le giacche chiuse da
bottoni dorati. Non
le rivolsero nemmeno un’occhiata.
Sembravano statue.
Le
porte si aprirono per permettere ad un paio
di uomini di uscire. Erano vestiti male, trasandati, con le barbe
lunghe e i
visi stanchi e scavati. Portavano dei sacchi sulle spalle e si
allontanarono
strascicando i piedi.
Zelena
si domandò che cosa avessero chiesto al
Mago e se lui li avesse accontentati. Restò là,
indecisa sul da farsi.
‘Stavo
pensando, padre... che potrei... andare
dal Mago. Per i miei poteri... forse lui può
aiutarmi.’
Ricordava
ancora la faccia scura del padre. I
suoi occhi che si riducevano a due fessure. La smorfia. ‘Non
andrai da nessuna
parte.’
‘Ma
potrebbe aiutarmi a controllare i miei poteri.
Sarebbe più facile, padre. Non dovreste più
preoccuparvi di niente.’
‘Non
andrai da nessuna parte.’, aveva ripetuto
lui, come se Zelena non avesse nemmeno parlato. ‘Non voglio
che si parli dei tuoi
poteri. Più di una volta ti ho ordinato di nascondere la tua
perfidia.’
‘Mi
coprirò, padre. Nessuno mi riconoscerà. Mi
vedrà solo il Mago.’
E
poi, le frustate.
Zelena
sedette su uno dei gradini che
conducevano all’entrata, meditabonda. Si era coperta il capo
con il cappuccio
della mantella e portava una vecchia sciarpa di sua madre sul viso,
cosicché
nessuno poteva vedere la sua faccia, eccetto i grandi occhi azzurri.
Iniziò
a piovere.
Avrebbe
potuto entrare e ripararsi. Sarebbe
stato facile. Tutti accedevano al Palazzo del Mago e lui riceveva gli
ospiti
uno alla volta, ascoltando le richieste. Ma aveva paura. Le tremavano
le
ginocchia e il pensiero del padre la tormentava.
“Non
dovresti stare qui fuori. Piove. Ti
ammalerai.”
Zelena
guardò alla sua sinistra e si ritrovò a
fissare un paio di stivali neri muniti di speroni d’argento.
Negli stivali
erano infilati un paio di pantaloni di cuoio. Più su
c’era una giacca nera di
ottima fattura. Allacciata alla vita, una cintura alla quale era appeso
il
fodero con la spada. Una spada lunga, con la lama ricurva e
l’elsa costellata
di piccole gemme. L’uomo si copriva con un mantello pesante,
allacciato alla
base del collo.
In
realtà non era un uomo, ma un ragazzo. Era
poco più grande di lei e aveva la pelle nera come la notte.
“Se
sei venuta a parlare con il Mago di Oz ti
conviene entrare. La fila è molto lunga, ma almeno starai
all’asciutto.” La sua
voce era calda e gentile.
“No,
io... io no. Non sono venuta...”, balbettò
Zelena, confusa.
“Tutti
vengono qui per vedere il Mago. Non
preoccuparti.”
Se
la fila era davvero molto lunga, Zelena non
avrebbe potuto tornare a casa per il tramonto. E cosa avrebbe
raccontato a suo
padre?
“Com’è?”,
domandò Zelena. “Il Mago... che
aspetto ha?”
Il
ragazzo ci pensò un attimo. “Non lo so. Era dietro
ad un tendone. Quando mi ha parlato per dirmi che cosa voleva in cambio
del suo
aiuto, ha assunto una forma, ma... non era la sua vera forma.”
“Quale
forma?”
“Una
testa. Una testa molto grande e senza
corpo.”
Zelena
si morse il labbro, provando ad
immaginarsi una enorme testa che galleggiava di fronte a lei e parlava.
Il
ragazzo non disse altro, ma si tolse il
mantello e glielo posò sulle spalle, coprendole la testa.
Quello di Zelena era
zuppo da un pezzo.
Oltretomba. Oggi.
-
Regina, aspettami! – esclamò Mary Margaret.
Per
tutta risposta, Regina accelerò il passo. -
Perché non ti sforzi di più per
starmi dietro? Non è così difficile.
Mary
Margaret arrancò per raggiungerla ed evitò di
risponderle. Si stavano dirigendo
verso la cripta. David, invece, era andato alla villa di Regina,
accompagnato
da Killian, mentre Marian e Fiyero tenevano d’occhio Zelena.
Non aveva idea di
che cosa stesse facendo Lily né tantomeno Emma e Regina
pensava fosse meglio
così.
Quella
mattina non aveva fatto altro che evitarla. Aveva evitato di rivolgerle
la
parola anche solo per sbaglio e aveva evitato persino di guardarla.
Aveva
percepito i suoi occhi addosso, pressanti e forti come le labbra che
l’avevano
baciata la notte precedente. Ne avvertiva ancora il sapore. Ne
avvertiva la
concretezza, la dolcezza, il calore. Ogni tanto era tentata di toccarsi
la
bocca perché aveva l’impressione che Emma
l’avesse baciata solo pochi secondi
prima.
“Ma
ora... devo chiederti di pensare a nostro
figlio e alla mia famiglia. Devi portarli via da qui, se le cose si
mettono
male. Devi portare via tutti.”
“Regina.
Devi promettermelo.”
Ma
il problema era che aveva cominciato lei. Non Emma. Emma
l’aveva attirata a sé
per baciarla, ma era stata lei a cedere per prima e a toccarla come non
aveva
mai fatto.
-
Siamo
arrivate. – disse Regina, per colmare il silenzio.
Le
porte della cripta erano aperte.
Qualcosa
strisciò nelle vicinanze. Rumori di rami spezzati e foglie
secche che
crepitavano sotto un paio di scarpe.
Mary
Margaret incoccò una freccia.
Città
di Smeraldo. Oz. Durante la prima
maledizione.
“Ho
saputo che qualcuno di voi Munchkin ha
rivelato a Dorothy che sono ancora viva.”, disse Zelena,
camminando avanti e
indietro davanti a quella gentaglia bassa e spiona. “E
Dorothy è tornata qui,
ha preso il mio Spaventapasseri e anche il cervello di cui avevo
bisogno!”
I
Munchkin tacquero, intimiditi. Alcuni
nascosero le facce pallide sotto la tesa larga dei cappelli di paglia,
altri si
ripararono dietro qualche compagno più alto. Le donne si
tormentavano le mani o
si lisciavano pieghe inesistenti sulle sottane.
“Visto
che vi piace tanto rovinare i miei
piani... perché non provate a farvi perdonare? Potrei
decidere di
risparmiarvi.” Zelena si rivolse ad un Munchkin con la barba
bianca e le
sopracciglia arricciate. “Dov’è lo
Spaventapasseri?!”
“Non
lo sappiamo!”, esclamò il Munchkin,
intrecciando le dita delle mani tozze a mo’ di supplica.
“Davvero. Credeteci!”
“No.
Non ti credo.” Con un gesto secco della
mano, Zelena lo trasformò in polvere.
Tutti
gridarono, spaventati e indietreggiarono.
“Allora...
chi vuole farsi avanti e aprire la
boccaccia?”, domandò, stringendo di più
il manico della sua scopa. “Chi vuole
essere il prossimo a diventare un mucchietto di cenere?”
“Fermi
tutti! Non creiamo ulteriore confusione.”
Zelena
si girò, aspettandosi di vedere un
Munchkin un po’ più coraggioso degli altri e
desideroso di voltare le spalle
alla paladina di Oz. Invece, davanti a lei c’era un uomo
distinto ed elegante,
che non aveva nulla a che vedere con le creature basse e ridicole che
la
circondavano.
“Chi
diavolo siete voi?”
“Oh,
giusto, lasciate che mi presenti.” L’uomo
avanzò, le prese una mano e le sfiorò le nocche
con le labbra. “Io sono... Ade.”
“Il
Signore degli Inferi?”
Un
fiammante vortice azzurro esplose al centro
del cortile del palazzo di Zelena. Il vortice spedì un
Munchkin gambe all’aria
e costrinse i rimanenti ad una fuga precipitosa. Nell’aria si
diffuse un odore
acre, pungente e nauseabondo.
Ade
colse l’occasione per esaminare la Strega
dell’Ovest, mentre lei fissava con un vago sorriso la piccola
magia che aveva
usato per mettersi in mostra. I suoi occhi erano dello stesso colore
del
vortice che si stava pian piano assottigliando. La pelle verde metteva
in
risalto quei capelli rossi raccolti sotto il cappello a punta. Emanava
un
potere ed una fierezza che lo sorprendevano, per quanto lui fosse
immortale e
ultramillenario e avesse conosciuto talmente tante creature da averne
perso il
conto.
“La
mia fama mi precede.”, disse Ade. “Sono
lieto di conoscervi. E mi dispiace per questa... irruzione inaspettata.
Ma ho
sentito molto parlare di voi.”
“Oh,
sì? E in che modo?”
“In
tanti modi diversi. Per questo sono venuto.
Per aiutarvi.” La sua voce era sommessa, il tono
rassicurante. “So che state
sfidando una delle leggi più importanti della magia. State
cercando di
raggiungere... l’irraggiungibile.”
Il
cuore cominciò a martellarle nel petto.
“Irraggiungibile
per la gente comune, semmai.”
“Oh,
certo. E sono anche a conoscenza di una
certa contadinella del Kansas che vuole mettervi i bastoni fra le
ruote.
Dorothy Gale.”
“La
conoscete?”
“Mi
sono informato a riguardo. È una donna... decisamente
in gamba.” Lo disse con calma, come se fosse un dato di
fatto.
“In
gamba?” Zelena spalancò gli occhi,
furibonda. “Non ha un briciolo di magia in corpo!”
“No.
Ma ha qualcosa che tu, purtroppo, non
hai.” Aveva abbandonato la forma di cortesia. La sua bocca si
ammorbidì in un
piccolo sorriso per niente spiritoso. “L’amore
della gente.”
Zelena
trattenne a stento l’ira. Mettergli le
mani intorno al collo o strappargli il cuore non sarebbe servito a
niente dato
che era una divinità.
“Però
io credo in te.”, aggiunse Ade. “Io credo
che anche tu sia molto potente. E che Dorothy... abbia a sua volta
più di un
punto debole. Vuoi lo Spaventapasseri, giusto? È uno degli
ingredienti che ti
servono. Ed io sono l’alleato che ti serve.”
“E
a te che cosa serve, esattamente? Oppure il
diavolo è qui solo perché è colpito
dalla perfida Strega dell’Ovest?”
“Non
sono il diavolo. Sono un Dio, figlio di un
Τitano, ma dettagli.” Ade le girò intorno.
“Mi serve quello che serve a te.”
“Un
viaggio nel passato? Perché?”
“Ogni
cosa a tempo debito, Zelena.”
Il
modo in cui lui pronunciò il suo nome le
piacque e le fece sentire le farfalle nello stomaco. Era sicura che
fosse
semplicemente il potere che aveva su chiunque.
“Accetti?”,
chiese, infine, Ade.
Oltretomba. Oggi.
Lily
volava sopra la città, mantenendosi bassa e causando un
certo panico per le
strade.
Volò
fino a quando le case non si fecero più rade e
iniziò il lungo viale alberato
che conduceva al confine di Storybrooke.
Allora
si abbassò ancora di più. Vide il cartello con la
scritta Storybrooke. Al nome
impresso sullo sfondo verde mancava la lettera K e il segnale pendeva
da una
parte, parzialmente nascosto dalla vegetazione.
Con
un ultimo battito d’ali, Lily si spinse oltre la linea di
confine. Non aveva
idea di che cosa aspettarsi. Non pensava che l’uscita si
trovasse là e
immaginava che oltre quella linea potessero esserci solo guai. Qualche
trappola
di Ade. Magari sarebbe finita dritta nelle sue prigioni.
Tuttavia,
quando lo superò, il mondo divenne sfocato e si capovolse.
Trappola,
pensò.
Ebbe
la sensazione di precipitare in un vuoto senza fine, di essere
risucchiata
verso un abisso troppo profondo e dal quale non sarebbe mai riemersa.
Aiuto!
Invece
riemerse. A Storybrooke. Nella stessa Storybrooke che aveva sorvolato
pochi
minuti prima, la Storybrooke infernale, immersa nella sua densa luce
rossastra.
Disorientata, Lily planò, atterrando direttamente sulla
torre dell’orologio,
semisepolta nell’asfalto. Gli artigli aprirono crepe nel
cemento e i passanti
si affrettarono a darsela a gambe.
Lily
ripiegò le ali e riassunse la forma umana.
Storybrooke
non aveva confini. Gli Inferi erano racchiusi in quella cittadina e
oltrepassare
una linea significava solo tornare al punto di partenza.
Lily
udì un rumore secco. Un clac che
riecheggiò più forte di ogni altro rumore.
Guardando l’orologio si accorse che
la lancetta dei minuti era scivolata all’indietro.
Indietro
e non avanti. Forse un’anima aveva appena perso la sua
battaglia per
guadagnarsi un posto migliore.
Lily
distolse lo sguardo. C’era qualcos’altro che doveva
fare, ora. Qualcosa che si
era ripromessa di fare da quando aveva visto Murphy precipitare nel
Tartaro.
Si
avviò.
Emma,
avendo udito lo strepito del drago dopo che aveva oltrepassato il
confine e la
richiesta di aiuto, aveva istintivamente cercato la sua mente per
assicurarsi
che stesse bene.
Vedendo
dove si stava dirigendo, la seguì.
La
cripta era deserta. All’interno non c’era nessuno,
solo un gran freddo e molto
disordine.
Regina
vide che tutti i libri, gli amuleti magici, le ampolle e le pozioni
erano
sparse alla rinfusa sulle mensole e sui ripiani, come se da
lì fosse appena
passato un tornado, ma erano anche pieni di polvere, segno che non
venivano
toccati da un bel pezzo. Qualunque cosa ci fosse nel bosco con loro si
era
allontanata.
Mary
Margaret posò l’arco e prese a rovistare nei
bauli, esaminando gli oggetti che le
capitavano tra le mani. Regina aprì le ante
dell’armadio che conteneva
i cuori dei
suoi nemici
e lo trovò vuoto. I cuori
non c’erano. Lo richiuse con un colpo secco. Mary Margaret
urtò un’ampolla, che
cadde e si ruppe.
-
Vuoi stare attenta? – esclamò Regina. –
Non sappiamo cosa può succedere se
rompiamo qualcosa!
-
Scusami. L’ampolla era vuota. – rispose Mary
Margaret.
-
Non importa cosa conteneva o non conteneva l’ampolla.
È la mia cripta. Fa
attenzione!
Mary
Margaret sospirò. Gettò a terra la faretra.
– Regina, che cosa ti prende?
-
Cosa
mi prende? – Il libro che aveva aperto si richiuse da solo,
sollevando una
nuvola di polvere. – Non abbiamo idea di che cosa stiamo
cercando né di come
faremo a portare Emma fuori da questo maledetto posto. Ovunque io
guardi c’è
qualcuno che ha un conto in sospeso con me. William è
morto... beh, lo era già,
ma ora è condannato. E mia sorella...
-
Non potevi fare niente per William. – la interruppe Mary
Margaret, roteando gli
occhi. – E poi io non credo affatto che sia questo il motivo
del tuo malumore.
-
Oh, davvero?
- Credi che io non ti
conosca, Regina? Vedo
quanto sei preoccupata.
-
Anch’io
conosco la tua boccaccia! Non so perché ti ho chiesto di
venire con me. Avrei
potuto portarmi dietro tuo marito, almeno non avrei ascoltato tutte
queste
chiacchiere. – Regina evitava di guardare la madre di Emma.
Non le piaceva il
suo tono.
Mary
Margaret non se la prese. – Che cosa succede con Emma?
-
Cosa ti fa pensare che stia succedendo qualcosa?
-
Non hai fatto altro che evitarla. A malapena le hai rivolto la parola.
Vi ho
sentite parlare in giardino ieri sera.
Il
cuore iniziò a martellarle. – Abbiamo parlato di
Henry.
-
Allora dovreste smettere di parlare di Henry e iniziare a parlare di
voi.
Sarebbe... la cosa più giusta.
Non
poteva credere alle sue orecchie. Si voltò, quasi Mary
Margaret l’avesse appena
pugnalata in mezzo alle scapole. Avrebbe tanto voluto trovare una
risposta
adeguata, ma la sua mente faticava a riordinare i pensieri.
-
Ho
cominciato a notarlo quando eravamo a Camelot. Ma forse l’ho
notato anche prima
e non riuscivo a capire che cosa stessi vedendo. –
continuò Mary Margaret.
-
Non dire un’altra parola.
“Ma
ora... devo chiederti di pensare a nostro
figlio e alla mia famiglia. Devi portarli via da qui, se le cose si
mettono
male. Devi portare via tutti.”
“Regina.
Devi promettermelo.”
-
So
benissimo che non approvi, quindi non dire niente. –
ribadì.
-
Non ho mai detto che non approvo, Regina.
-
E
che ne è della tua approvazione per Capitan Mascara?
Mary
Margaret si appoggiò ad un mobile. – Quello che
voglio io è che Emma sia felice.
E mi importa anche della tua felicità.
-
Tutto questo è folle. Non ne avrai parlato con qualcuno,
spero!
-
Non ho parlato con nessuno, Regina. – Le si
avvicinò. – E poi... effettivamente
sì, è folle. Ma non mi stupisce.
L’amore... è una cosa strana. Quando ho
conosciuto Azzurro l’ho colpito in faccia.
E
lei quando aveva conosciuto Emma le aveva offerto da bere e aveva
cercato di
capire quanto potesse nuocerle.
-
Beh ed io volevo eliminare tua figlia. Volevo che se ne andasse... ed
evitare
che fosse la mia rovina.
-
Lo
so. Ma sai... quello è il passato. Il presente è
ben diverso. Tu... sei
diversa.
Suo
malgrado, Regina sorrise.
-
Insomma,
siamo tutti diversi. Guarda noi. Siamo qui a parlare tranquillamente
nella tua
cripta... all’Inferno. L’avresti creduto possibile
solo un paio di anni fa?
-
Immagino che la cosa ti diverta.
-
Oh, sì.
Regina
avrebbe voluto sentirsi più sollevata, eppure non lo era
affatto. – Io non...
non credo di...
-
Ti
fa paura, vero?
Non
rispose.
-
L’amore
fa sempre paura. – Mary Margaret le appoggiò le
mani sulle braccia, per
confortarla. – Ma pensaci... io e David ne abbiamo passate
tante, ma non
abbiamo mai smesso di credere che ci saremmo ritrovati. Quello che
ottieni in
cambio quando ami qualcuno... supera di gran lunga i rischi.
-
Io
non sono come te. – replicò Regina. – Ed
Emma è qui per colpa mia.
-
Non è colpa tua, Regina. Abbiamo sbagliato tutti, a Camelot.
E quello che ha
fatto Emma... è stata una sua scelta. Voleva distruggere
l’oscurità.
-
Aveva chiesto a me, di farlo. – Regina si sentiva la gola
stretta in una
dolorosa morsa che quasi le impediva di respirare. La sua mente
evocò
l’immagine di una Emma ancora oscura che le chiedeva di
ucciderla. Evocò le
parole di Τremotino, che le diceva che non avrebbe portato a
termine quel
compito, perché lei non era più la Regina
Cattiva. Evocò l’immagine di se
stessa, con Excalibur levata sopra la testa, pronta a colpire. Ma era
venuta
meno alla promessa.
-
Ora dobbiamo pensare a come uscire da qui. E credo che sia proprio
questo il
punto, Regina. – Mary Margaret aveva abbassato il tono di
voce, come se temesse
che qualcuno si fosse appostato nell’ombra per ascoltarle. Il
che era
possibile. Ade aveva occhi e orecchie un po’ ovunque.
-
Di
che cosa stai parlando, adesso?
-
Killian non ha potuto aiutare Emma. Il suo cuore... non è
servito. E il suo
nome non è su quelle tombe, come i nostri.
I
suoi occhi verdi la fissavano con tale risolutezza che Regina ne fu
sconcertata.
-
E
allora?
-
Forse tu puoi, Regina. – concluse Mary Margaret. –
Forse il tuo cuore può
aiutarla.
Città
di Smeraldo. Oz. Durante la prima
maledizione.
Nessarose,
la Strega dell’Est, entrò nella
grande sala del palazzo della Sorellanza e trovò un uomo
seduto al suo posto,
intento ad ammirare il grande cristallo al centro della tavola rotonda.
Le
altre tre sedie erano vuote. Glinda e
Locasta non c’erano.
“Chi
diavolo siete? Dove sono le mie sorelle?”,
domandò Nessarose, sollevando una mano, pronta a scagliare
la propria magia contro
l’intruso.
“Non
agitatevi. Stanno bene. Sono solo
occupate.” L’uomo si alzò. “Ed
io sono... Ade. Immagino che abbiate sentito
parlare di me.”
Le
porte si chiusero di scatto alle spalle di
Nessarose e il chiavistello si mosse, infilandosi nell’anello
di ferro.
“Che
cosa state facendo? Cosa ci fate qui?”,
chiese la Strega dell’Est, mentre la sua mente pensava
febbrilmente ad un modo
per difendersi.
“Non
affannatevi. Nessuno verrà ad aiutarvi. Ma
non sono venuto per combattere. Solo per parlare. E proporre un
accordo.”
“Accordo?”
“Vi
interesserà. Io so chi siete voi.”
Nessarose
non capiva se il Signore degli Inferi
fosse serio o la stesse prendendo sonoramente in giro. Non riusciva a
leggere
la sua espressione, né tantomeno comprendeva appieno
l’inflessione della sua
voce.
“Nessarose,
la Strega dell’Est. Vediamo: che
cosa dovrebbe rappresentare l’Est?” Ade si
alzò, girando lentamente intorno al
tavolo. “Oh. Ecco. Il coraggio. Quello che voi pensate di
aver avuto quando
avete posto fine alla vita di vostra madre e strappato il cuore a
vostra
sorella per soggiogarla.”
Nessarose
rispose senza esitazioni. “Non so di
che cosa stiate parlando.”
“Sul
serio? Vostra sorella era nata per prima.
E non solo. Era più potente. Vostra madre lo sapeva e per
quanto fosse
gentile che entrambe... era più severa
con la maggiore, perché avrebbe preso il suo
posto.”
“E
con questo?”
“E
con questo... voi avreste voluto lo stesso
trattamento. Siete sempre stata così, fin dal principio. E
avete sempre saputo
fingere bene.” Ade si accomodò sul bordo del
tavolo. Sorrideva, ma la sua
sembra una normalissima chiacchierata. “Come quando, a dodici
anni, avete preso
due gattini che piacevano tanto ad Evanora e li avete annegati nel
fiume.”
Pur
essendoci una grande distanza tra loro,
Nessarose riusciva a sentire il suo profumo, pungente e viscido come
quello di
un fiore in putrefazione.
“C’e
chi dice che cattivi non si nasce ma lo si
diventa, solo che nel vostro caso non solo si nasce cattivi... ma lo si
diventa
sempre di più.”
“Mia
madre sarebbe morta comunque. Ho solo
alleviato le sue sofferenze.”
“Forse
no. Evanora pensava di poterla salvare.
Aveva trovato gli ingredienti per curarla. Voi, invece... avete usato
la
Sognombra. Che cosa terribile.”
Nessarose
si morse il labbro. “Mia sorella era
incapace di governare.”
“Quindi
avete atteso che tornasse a casa con
gli ingredienti e... l’avete aggredita alle spalle. Rubandole
il cuore e
usandolo contro di lei per... quanti anni? Molti, vero?”
Nessarose
scagliò una sfera di fuoco contro
Ade, che se ne infischiò e la spense semplicemente
soffiandoci sopra.
“Suvvia,
non fate così. Non sono certo venuto
qui per giudicarvi.”, continuò, imperterrito.
“Anzi, al contrario. Avete fatto passare
vostra sorella per una tiranna, anche se in realtà era in
vostro potere, avete
schiavizzato un intero popolo e vi siete divertita a distruggere le
vite
altrui... e avete mandato molte anime nel mio regno. Davvero
notevole.”
“Cosa
intendete fare? Dirlo alle mie sorelle?”
“Le
vostre sorelle sono delle incapaci. Su
questo siamo entrambi d’accordo. Altrimenti vi avrebbero
già smascherata. Lo
avrebbero fatto il giorno in cui l’Est è stato
liberato da una finta Strega
Malvagia per consegnarne un’altra alla Sorellanza di
Oz.” Ade rise di gusto.
“No, io sono qui perché ho bisogno del vostro
aiuto. Vogliamo tutti qualcosa.”
“Voi
che cosa volete?”
Ade
le parlò del suo incontro con Zelena, del
suo piano per cambiare il passato. Le disse di suo fratello Zeus e di
quanto
desiderasse impadronirsi dell’Olimpo.
“Zelena
non ci riuscirà mai. Non è fattibile.”,
concluse Nessarose, in tono sprezzante.
“Oh,
credetemi. È molto determinata. Una cosa
che ammiro.”, le rispose, proiettando nella propria mente
quegli sfolgoranti
occhi azzurri. “Potrebbe riuscirci. Ma io non sono sicuro che
si fiderà di me.
E che mi aiuterà a far ripartire il mio cuore.”
“Ed
io che cosa c’entro?”
Oltretomba. Oggi.
Frugando
nella cripta, Regina aveva ritrovato il libro di incantesimi di sua
madre e
l’aveva portato via con sé. Uscì con
Mary Margaret alle calcagna, lei e i suoi
dannati discorsi sulla speranza, che poco avevano a che fare con quella
cappa
rossa e fastidiosa che avvolgeva l’intera città.
-
Regina...
-
Ed
io che ti ho pure dato retta. Ma che cosa mi passa per la testa? Deve
essere
questo posto. Dobbiamo andarcene il prima possibile!
Mary
Margaret l’afferrò per un braccio, costringendola
a voltarsi.
-
Non provarci. – la minacciò Regina.
“Forse
tu puoi, Regina. Forse il tuo cuore può
aiutarla.”
Tuttavia
la madre di Emma ci provò comunque. Non le importava niente
dei suoi
avvertimenti. -Puoi davvero aiutarla. Possiamo almeno tentare.
-
No, non possiamo. E sai anche tu il perché.
-
Non credo di saperlo.
Regina
aveva una mezza idea di usare la magia per andarsene da quel posto da
sola e
lasciare che Mary Margaret tornasse a piedi. Era in grado di cavarsela
anche
all’Inferno e non avrebbe più dovuto affrontare un
simile argomento, non
davanti ad Uncino e a David.
Invece,
affondò una mano nel proprio petto ed estrasse il cuore.
-
Regina! – gridò Mary Margaret, colta di sorpresa.
-
Guardalo. – le ordinò, reggendo il cuore nella
mano destra. – Guarda il cuore
che secondo te potrebbe salvare Emma.
-
Lo
conosco già.
-
Guardalo lo stesso.
Mary
Margaret osservò l’organo pulsante nella mano di
Regina. L’oscurità si
contorceva, aprendosi in alcuni punti
per lasciare spazio al rosso.
-
Credi davvero che
io possa dividere
questo cuore e darne una parte ad Emma... dopo che lei è
morta per distruggere
l’oscurità?
-
Regina...
Lei
sollevò l’indice per ammonirla. – No. La
risposta è no.
-
Sono disposta a tutto pur di salvare mia figlia. –
replicò Mary Margaret, senza
curarsi della sua espressione dura e sconvolta.
– Non la perderò di nuovo. E so che
anche tu faresti qualsiasi cosa.
-
E
allora troveremo un altro modo! – Regina rimise il proprio
cuore al suo posto,
serrando le palpebre contro la fitta di dolore e trattenendo il
respiro.
-
E
se non esistesse un altro modo?
Il
cuore che Regina si era appena strappata era oppresso da una
strisciante e spaventosa
sensazione di perdita, la stessa che aveva provato quando aveva visto
il corpo
senza vita di Emma sulla barella, prima che lo portassero via.
– Esisterà. Deve
esistere.
Emma
sostò dietro agli occhi di Lily mentre l’amica
spingeva la porta del Granny’s
Diner e lo attraversava, dirigendosi verso il bancone. La Strega Cieca
diede un
ordine secco ad una delle cameriere, piazzandogli in mano un vassoio
con due tazze
fumanti.
Non
appena Lily si avvicinò, lei arricciò il naso e
si sporse in avanti. – Conosco questo
odorino. Lilith, vero?
-
Lily. Cerco informazioni su una persona. – rispose, andando
dritta al punto.
-
Un’altra? Credevo l’avessi già trovata.
-
Non Emma. Un uomo. Si chiama Murphy Logan. –
Appoggiò i gomiti sul bancone. –
Sei qui da un po’ di tempo. Immagino che tu conosca molta
gente.
-
In
effetti... – iniziò la Strega Cieca. –
È difficile dire da quanto tempo sono
qui, ma deve essere molto... e in ogni caso non posso aiutarti. Che io
sappia
quel tizio... ha avuto ciò che si meritava.
-
Ed
io vorrei solo qualche informazione. So bene che fine ha fatto.
– precisò Lily,
acidamente. In realtà, lo rivide mentre precipitava nel
Τartaro. Le sembrò di
udire di nuovo il suo grido, un attimo prima di cadere.
-
Le
informazioni non sono gratis. – si limitò a
rispondere la Strega.
-
Lo
immaginavo. Che cosa vuoi?
Una
mano si infilò sotto al banco e iniziò a tastare,
fino a quando non afferrò
qualcosa, che si rivelò essere un’ampolla. La
stappò. – Soffiaci dentro.
Lily
guardò l’ampolla, perplessa. – Come?
-
Soffiaci dentro. – ribadì la Strega. –
Non hai idea di quanto valga il respiro
di un vivo al mercato nero. Mi serve. E quando ci
appiccicherò sopra un’etichetta
con scritto... Lilith... ti assicuro che faranno la fila!
Non
perse alro tempo e consegnò uno sbuffo del suo respiro. La
Strega si affrettò a
appare nuovamente l’ampolla, con un sorriso soddisfatto.
-
Ebbene? – disse Lily, impaziente.
-
Oh, già. – La Strega si riscosse e andò
sul retro del locale, a mettere al
sicuro il respiro della ragazza via. Quando tornò, aveva una
chiave in mano. –
Prendi. La chiave della sua stanza.
-
Viveva qui?
-
Purtroppo sì.
Lily
prese la chiave e la soppesò, come se volesse assicurarsi
che fosse vera. Poi
si diresse verso le scale che conducevano alle camera da letto, al
primo piano.
Si
può sapere che cosa pensi di fare?, domandò
Emma. Che cosa pensi di fare con le chiavi
della stanza di Neal, in particolare?
Lily
corrugò le sopracciglia. Beh...
non avevo
idea che fosse la camera di Neal!
Lo
é. Perché vuoi metterti a frugare in quella
camera?
Cosa pensi di trovare?
Non
lo so. Forse niente. Forse qualcosa...
sulla figlia di Murphy.
Arrivò
in cima alle scale e svoltò a destra. La camera era in fondo
al corridoio. Lily
infilò la chiave nella toppa ed entrò, senza
troppe cerimonie.
Un
senso di inquietudine la pervase.
Vuoi
cercare la figlia di Murphy, quindi?, domandò
Emma, con cautela.
Sì.
Devo farlo.
Lily,
quello che è successo a Murphy... era inevitabile.
Τi avrebbe uccisa.
Lo
avrebbe fatto di cero. Ma sono stata io ad
ucciderlo per prima. E ho lasciato il suo corpo in un’area di
servizio, dopo
averlo preso a calci.
Silenzio.
Emma era ancora lì, ma non commentò. Lily
cominciò a frugare in giro. Il letto
era intatto, ma scostò comunque le coperte e mise le mani
sotto la fodera del
cuscino. Poi sollevò il materasso.
Come
pensi di trovarla, sua figlia?
Quando
orneremo a Storybrooke mi darai il nome
di quel contatto... quello che ti ha dato una mano a trovare me.
Nell’armadio
c’erano ancora dei vestiti, ma nulla che potesse esserle
utile. Allora aprì i
cassetti del comodino.
Avremo
bisogno di qualche informazioni in più,
Lily.
Stava
per risponderle, ma poi scovò qualcosa fra le cianfrusaglie
ammassate nel terzo
cassetto. Estrasse la lunga catena arrugginita nella quale era infilato
un
grosso medaglione.
Che
cos’è?, domandò
Emma, improvvisamene guardinga.
Il
medaglione era una grossa pietra rossa al centro di una fiamma bordata
d’oro. E
aveva l’impressione che non fosse una chincaglieria
qualunque.
Non
ne ho idea.
_________________________
Angolo
autrice:
Eccomi.
So che qualcuno magari si stava chiedendo dove fossi finita, ma i
problemi con
la mia tastiera continuano, inesorabili, quindi non riesco
più a postare come
vorrei.
Anyway,
il nuovo capito avrebbe dovuto essere una cosa sola con il seguente,
però era
davvero troppo lungo quindi... l’ho diviso in due.