Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Stephanie86    03/05/2017    0 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

8

 
“Tali siamo
Quali la natura ci ha formato:
fragili”

[William Shakespeare, La Dodicesima Notte]

 

 

 
Città di Smeraldo. Oz. Anni fa.

 

Il sole era già sorto da quasi un’ora quando posò i fiori davanti alla tomba. Li aveva raccolti lungo il tragitto che da casa l’aveva condotta al mercato, solo un piccolo mazzo per abbellire  un pezzo di terra che rimaneva spoglio il più delle volte, perché suo padre era troppo ubriaco per pensarci o anche solo per alzarsi dal letto la mattina.

Accanto alla pietra tombale sulla quale era rozzamente inciso il nome della madre, Zelena vide una ragnatela tesa da un cespuglio ad un altro. Era grande e su uno degli angoli inferiori della tela stava raggomitolato un ragno delle dimensioni  del suo pollice. Un ragno verde.

Il morso dei ragni verdi era velenoso, lasciava la vittima paralizzata. Alla ragnatela erano sospese gocce di rugiada e molte mosche vi erano rimaste intrappolate.

Zelena inorridì, eppure fissò quelle creature in balia del ragno verde. Perché era così che spesso si sentiva. Intrappolata. Paralizzata. Senza via di scampo.

Ebbe paura e si allontanò in fretta e furia, stringendosi nella mantella e portando con sé il cesto nel quale aveva riposto il pane preso al mercato. Alzò lo sguardo, trovando le luci della Città di Smeraldo proiettate verso il cielo. Le luci del palazzo del Mago.

Arrivò a casa quasi correndo e, in cucina, trovò suo padre intento a bersi la sua scodella di latte. Aveva la barba lunga e i capelli in disordine, gli occhi rossi di chi aveva dormito male.

“Sì può sapere dove ti eri cacciata?”, domandò, rudemente.

“Scusatemi, padre. Al mercato c’era molta gente.”, si affrettò a rispondere. “Volete che vi faccia la barba?”

“Vedi di darti una sistemata e non pensare alla mia barba. Sei tutta sporca di fango!”

Zelena non perse tempo e andò sul retro, a prendere l’acqua dal pozzo. Poi la portò dentro e la scaldò sul fuoco. Era sporca di fango solo perché, nel correre a casa, era inciampata. La sera prima aveva piovuto a dirotto e la strada era un pantano.  

Ma, mentre gettava il secchio nel pozzo e  poi lo tirava su, scorticandosi le mani, Zelena sentiva qualcosa di molto brutto. Qualcosa di brutto che saliva da dentro, qualcosa che veniva da lontano, da un posto buio in fondo all’anima, qualcosa che era verde come il ragno del cimitero, verde come le luci della città e aveva gli artigli affilati, qualcosa che si preparava a dilaniare... perché Zelena faceva del suo meglio per non contrariare suo padre, però non andava bene comunque. Zelena era sempre gentile, gli faceva la barba quando a lui tremavano troppo le mani, lo temeva e lo rispettava. Ma non andava bene.

Le frustate che aveva ricevuto solo due sere prima le facevano ancora  male. Tutto perché si era permessa di approfittare di un momento in cui il padre era di buon umore per chiedergli se non fosse giusto per lei andare dal Mago di Oz. Se il Mago era davvero così potente, avrebbe potuto aiutarla a controllare i suoi poteri. Sarebbe stato meglio per chiunque.

Lui l’aveva ascoltata fino alla fine. Poi erano iniziate le frustate. Era sicura di non aver mai provato un dolore simile.

Quando tutto era finito, aveva immaginato di afferrare suo padre per il collo e gettarlo in fondo alla stanza. Aveva immaginato di prenderlo per la gola e stringere, stringere fino a farlo diventare viola. Aveva immaginato di scagliarlo fuori dalla porta. Non l’aveva fatto, ma uno scossone aveva fatto scricchiolare le fondamenta della casa, costringendo suo padre a ritirarsi in un angolo, impaurito.

Voleva sua madre. Sua madre era gentile con lei. Anche se Zelena pensava che temesse il suo potere, non comprendendolo, sua madre l’abbracciava. La proteggeva.

Ma sua madre era morta, ormai. Era sola.

Zelena si guardò alle spalle. Infine usò il suo potere per tirare su il secchio pieno d’acqua. La corda iniziò ad arrotolarsi ai suoi piedi, come un serpente che si acciambella all’ombra dopo essersi nutrito. Il secchio sbucò dal pozzo con un sobbalzo e lei lo prese.

 

 
Città di Smeraldo. Oz. Oggi.

 

Dopo il tradimento della Strega dell’Est e la scomparsa di Zelena e del principe Fiyero nel portale, Glinda si era dimostrata almeno temporaneamente incapace di qualsiasi tipo di decisione o spiegazione. Mulan aveva dovuto lottare e blandirla a lungo prima di riuscire a convincerla a lasciare andare il corpo di Locasta. Gli uomini di Robin Hood, incaricati di preparare le pire per i caduti,  avevano preso la donna senza vita e l’avevano portata fuori. Prima, Glinda aveva sganciato il medaglione dal suo collo, quello con la pietra bianca incastonata nel ciondolo.

Robin aveva cercato tracce di Zelena e della figlia ovunque, ma non c’era niente da trovare, se non un paio di streghe in miniaura che erano state parte del giostrino collocato in cima alla sua culla. Robin le aveva scagliate lontano.

Nessarose si era dissolta nel nulla. Si era letteralmente sgonfiata sotto gli artigli di Ruby e di lei non erano rimasti che gli abiti.

Toto era stato liberato dalla sua prigione e si aggirava ancora per la sala, saltellando e annusando ovunque.

- Lasciate fare a me. – aveva detto Knubbin, ad un certo punto, richiamando il proprio corvo, che era andato ad appollaiarsi sulla sua spalla.

Si era fatto portare uno specchio e aveva pronunciato poche parole. Le immagini conservate nella testa del corvo si erano riversate nello specchio e avevano preso forma, mostrando loro tutto ciò che era accaduto in quella sala, prima che gli uomini facessero irruzione.

- Non sappiamo comunque dove conduceva quel portale. – disse Robin, una volta che le immagini furono sparite.

- Non ancora. – rispose Knubbin. – E in ogni caso mi domando come sia possibile.

Glinda alzò leggermene il capo.

- La Strega dell’Est si è nascosta bene. – disse Mulan.

- Non parlo della Strega. Ma dello specchio. Lo specchio è magico. – Knubbin girò l’oggetto verso di loro, in modo che la superficie riflettesse i loro visi. Picchiettò l’indice contro la cornice.

- Io non vedo niente.  – rispose Mulan, aggrottando la fronte.

- Certo che no, tesorino. Lo specchio riflette la vostra vera natura. Se foste malvagie, questo affare lo svelerebbe all’istante. – Knubbin arricciò il naso. – Quello che mi chiedo è come può essere finito qui.

Gli uomini di Robin ornarono dal loro giro di perlustrazione. A giudicare dalla facce contrite, non avevano buone notizie.

- Allora? – chiese Ruby, apprensiva.

- Non ci sono prigionieri. Se le prigioni esistono, noi non le abbiamo trovate. – rispose John.

- Devono esistere per forza! Zelena faceva prigionieri. Forse non sono qui, ma devono esistere! – Era talmente piena di angoscia che il cuore stava per esploderle.

- Sta calma, Ruby. – disse Mulan, posandole una mano sulla spalla.

- Non posso. – replicò Ruby. - Vengo con voi. Userò il mio fiuto. Troverò qualcosa.

- Vengo anch’io. – tornò a dire Mulan.

Nessuno degli uomini di Robin si mosse per seguirla. La fissavano tutti con diffidenza.

- Mi unisco a voi. – intervenne, invece, Robin. - Portiamo anche il mago.

- Non sono molto bravo a trovare entrate segrete, signori. – rispose Knubbin.

Ruby mutò aspetto, trasformandosi nuovamente in lupo. Scoprì i denti, ringhiando.  Toto abbaiò.

Knubbin si fece rosso in viso. Era chiaro anche a lui che Glinda non era in grado di aiutare nessuno e l’ultima cosa che desiderava era di finire nelle fauci di un licantropo. – Bene. Andiamo. Fatemi strada.

 

 
Oltretomba.

 

Malefica sorvolò la casa in cui Zelena doveva essersi rifugiata dopo essere giunta nel regno di Ade.

Regina aveva detto che, durante la maledizione che aveva tolto loro i ricordi per la seconda volta, rispedendoli a Storybrooke dopo un anno trascorso nella Foresta Incantata, la strega aveva preso possesso di quella casa fuori città, dotata di una cantina nella quale aveva disposto la prigione di Tremotino.

Malefica planò leggermente, scrutando i dintorni. La casa sembrava deserta, ma intorno ad essa era stata sollevata una protezione. Il drago ci andò a sbattere contro e lanciò uno strepito infastidito, mentre scintille azzurre percorrevano l’aria rossastra dell’Oltretomba.

Poco dopo, il principe Fiyero, arrivato negli Inferi con Zelena, si accomodò sul ramo più basso di un vecchio  albero ad una cinquantina di metri dalla casa. Guardò in alto, inviando un segnale al drago. Poi sollevò una mano, facendosi vedere dalla donna di nome Marian, che si era offerta di controllare la Strega insieme a lui.

- Non sei obbligata a farlo, Marian. – aveva detto Emma, osservandola mentre riempiva di frecce una faretra.

- Lo farò, invece. – aveva risposto lei, risoluta. Il tono non ammetteva repliche.

Marian ci era andata perché quella donna l’aveva uccisa in un’altra versione del suo passato. E ci era andata perché Zelena aveva pur sempre con sé la figlia di Robin. Fiyero si era assunto quell’incarico... perché era curioso. Era consapevole che Zelena fosse pericolosa, ma era anche curioso di seguirla più vicino. Era sempre stato curioso, fin da ragazzino. Da ragazzino, anzi, era proprio un ficcanaso, lo doveva ammettere, ma col tempo aveva affinato quel lato del suo carattere.

C’erano delle cose che voleva capire.

Dentro casa, la bambina cominciò a piangere.

 

Zelena scese le scale di corsa e raggiunse la stanza in cui aveva sistemato la bambina. La culla era accanto alla finestra della sala da pranzo.

La prese in braccio e la strinse a sé.

Aveva visto il principe Fiyero appostato a pochi metri da casa sua. Aveva visto il drago sorvolare la casa e si era divertita nel vederlo andare a sbattere contro la barriera protettiva che aveva eretto con molti sforzi.

E sapeva benissimo dove si trovava.

Il portale l’aveva condotta dritta dall’ultima persona che avrebbe voluto incontrare, a parte Regina.

Posò la bambina nella culla e la coprì per bene.

Quando si voltò, sobbalzò, sconcertata.

Sul tavolo c’era un vasetto con un fiore appassito e un biglietto ripiegato. Un attimo prima quelle cose non c’erano. Nell’aria veleggiò una fiammella azzurra, che evaporò non appena Zelena prese il foglio di carta ingiallito.

 

Spero che tu abbia tutto ciò che ti serve.

Fai attenzione. Loro sono qui.

 

Il biglietto si disintegrò non appena Zelena terminò di leggere l’ultima parola. Diventò cenere, che piovve sul tavolo di legno.

“Spero che tu abbia tutto ciò che ti serve.”

Già. La casa. La casa era vuota, come in attesa della sua occupante. E tutto era in perfetto ordine. Tutto funzionava alla perfezione. L’acqua calda. Il forno. Il frigorifero. C’erano pure le provviste.

“Fai attenzione. Loro sono qui.”

Zelena spazzò via la cenere con un gesto secco della mano.

 

 
Cora arrancava lungo il ponte sospeso sulle acque del Fiume delle Anime Perdute, trascinando il carro stracolmo di sacchi di farina.

Inciampò nell’orlo dell’abito lacero da mugnaia e si mantenne in equilibrio per pura fortuna. Il ponte era stretto. Sarebbe bastato un piccolo passo falso per precipitare e trasformarsi in un guscio vuoto e ululante.

Intorno a lei non aleggiavano solo le grida delle anime condannate ad una pena eterna, ma le immagini della sua vita. Ed erano sempre le stesse.

Da una parte, Regina. Una giovane Regina legata con le cinghie per cavalli. Regina che reggeva il corpo senza vita dello stalliere di cui si era innamorata.

“Perché l’hai fatto?”

“Perché questo è il tuo lieto fine.”

Dall’altra parte, Zelena. La figlia che aveva abbandonato. Una mugnaia che sgusciava fuori dalla casa della donna che l’aveva aiutata a partorire, poco prima dell’alba. Una bambina con grandi occhi azzurri, adagiata in una cesta e lasciata nel cuore del bosco.

“Povera piccola. La vita è crudele. È piena di tradimenti. Questa è l’unica lezione che ho per te.”

Regina e Zelena. Zelena e Regina.

“...questo è il tuo lieto fine.”

“Ora ti devo abbandonare.”

“Perché l’hai fatto?”

“Per dare a me un’opportunità migliore. Finché avrò te, potrò essere solo la figlia del mugnaio.”

Cora riprese a camminare. Una volta giunta alla fine del ponte si sarebbe ritrovata nuovamente al punto di partenza. E sarebbe stata costretta a ripercorrere la strada daccapo. Avanti e avanti. E poi ancora indietro.

Intorno a lei le sue azioni e le urla delle Anime Perdute.

 

 
Città di Smeraldo. Oz. Anni fa.

 

Zelena non avrebbe dovuto farlo.

Non avrebbe dovuto perché suo padre era sempre stato contrario e l’avrebbe punita di nuovo, venendolo a sapere.

Si scostò i capelli rossi dal viso e alzò lo sguardo, spingendo indietro la testa, abbastanza da poter guardare le guglie del palazzo del Mago. Le luci sempre proiettate verso il cielo coloravano di verde anche la strada fatta di mattoni dorati, che si snodava per la Città di Smeraldo, usciva e si perdeva nelle praterie e nei boschi del regno di Oz.

Accanto alle porte del palazzo, c’erano due guardie che indossavano uniformi verdi, con le giacche chiuse da bottoni dorati.  Non le rivolsero nemmeno un’occhiata. Sembravano statue.

Le porte si aprirono per permettere ad un paio di uomini di uscire. Erano vestiti male, trasandati, con le barbe lunghe e i visi stanchi e scavati. Portavano dei sacchi sulle spalle e si allontanarono strascicando i piedi.

Zelena si domandò che cosa avessero chiesto al Mago e se lui li avesse accontentati. Restò là, indecisa sul da farsi.

‘Stavo pensando, padre... che potrei... andare dal Mago. Per i miei poteri... forse lui può aiutarmi.’

Ricordava ancora la faccia scura del padre. I suoi occhi che si riducevano a due fessure. La smorfia. ‘Non andrai da nessuna parte.’

‘Ma potrebbe aiutarmi a controllare i miei poteri. Sarebbe più facile, padre. Non dovreste più preoccuparvi di niente.’

‘Non andrai da nessuna parte.’, aveva ripetuto lui, come se Zelena non avesse nemmeno parlato. ‘Non voglio che si parli dei tuoi poteri. Più di una volta ti ho ordinato di nascondere la tua perfidia.’

‘Mi coprirò, padre. Nessuno mi riconoscerà. Mi vedrà solo il Mago.’

E poi, le frustate.

Zelena sedette su uno dei gradini che conducevano all’entrata, meditabonda. Si era coperta il capo con il cappuccio della mantella e portava una vecchia sciarpa di sua madre sul viso, cosicché nessuno poteva vedere la sua faccia, eccetto i grandi occhi azzurri.

Iniziò a piovere.

Avrebbe potuto entrare e ripararsi. Sarebbe stato facile. Tutti accedevano al Palazzo del Mago e lui riceveva gli ospiti uno alla volta, ascoltando le richieste. Ma aveva paura. Le tremavano le ginocchia e il pensiero del padre la tormentava.

“Non dovresti stare qui fuori. Piove. Ti ammalerai.”

Zelena guardò alla sua sinistra e si ritrovò a fissare un paio di stivali neri muniti di speroni d’argento. Negli stivali erano infilati un paio di pantaloni di cuoio. Più su c’era una giacca nera di ottima fattura. Allacciata alla vita, una cintura alla quale era appeso il fodero con la spada. Una spada lunga, con la lama ricurva e l’elsa costellata di piccole gemme. L’uomo si copriva con un mantello pesante, allacciato alla base del collo.

In realtà non era un uomo, ma un ragazzo. Era poco più grande di lei e aveva la pelle nera come la notte.

“Se sei venuta a parlare con il Mago di Oz ti conviene entrare. La fila è molto lunga, ma almeno starai all’asciutto.” La sua voce era calda e gentile.

“No, io... io no. Non sono venuta...”, balbettò Zelena, confusa.

“Tutti vengono qui per vedere il Mago. Non preoccuparti.”

Se la fila era davvero molto lunga, Zelena non avrebbe potuto tornare a casa per il tramonto. E cosa avrebbe raccontato a suo padre?

“Com’è?”, domandò Zelena. “Il Mago... che aspetto ha?”

Il ragazzo ci pensò un attimo. “Non lo so. Era dietro ad un tendone. Quando mi ha parlato per dirmi che cosa voleva in cambio del suo aiuto, ha assunto una forma, ma... non era la sua vera forma.”

“Quale forma?”

“Una testa. Una testa molto grande e senza corpo.”

Zelena si morse il labbro, provando ad immaginarsi una enorme testa che galleggiava di fronte a lei e parlava.

Il ragazzo non disse altro, ma si tolse il mantello e glielo posò sulle spalle, coprendole la testa. Quello di Zelena era zuppo da un pezzo.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

- Regina, aspettami! – esclamò Mary Margaret.

Per tutta risposta, Regina accelerò il passo. - Perché non ti sforzi di più per starmi dietro? Non è così difficile.

Mary Margaret arrancò per raggiungerla ed evitò di risponderle. Si stavano dirigendo verso la cripta. David, invece, era andato alla villa di Regina, accompagnato da Killian, mentre Marian e Fiyero tenevano d’occhio Zelena. Non aveva idea di che cosa stesse facendo Lily né tantomeno Emma e Regina pensava fosse meglio così.

Quella mattina non aveva fatto altro che evitarla. Aveva evitato di rivolgerle la parola anche solo per sbaglio e aveva evitato persino di guardarla. Aveva percepito i suoi occhi addosso, pressanti e forti come le labbra che l’avevano baciata la notte precedente. Ne avvertiva ancora il sapore. Ne avvertiva la concretezza, la dolcezza, il calore. Ogni tanto era tentata di toccarsi la bocca perché aveva l’impressione che Emma l’avesse baciata solo pochi secondi prima.

“Ma ora... devo chiederti di pensare a nostro figlio e alla mia famiglia. Devi portarli via da qui, se le cose si mettono male. Devi portare via tutti.”

“Regina. Devi promettermelo.”

Ma il problema era che aveva cominciato lei. Non Emma. Emma l’aveva attirata a sé per baciarla, ma era stata lei a cedere per prima e a toccarla come non aveva mai fatto.

- Siamo arrivate. – disse Regina, per colmare il silenzio.

Le porte della cripta erano aperte.

Qualcosa strisciò nelle vicinanze. Rumori di rami spezzati e foglie secche che crepitavano sotto un paio di scarpe.

Mary Margaret incoccò una freccia.

 

 
Città di Smeraldo. Oz. Durante la prima maledizione.

 

“Ho saputo che qualcuno di voi Munchkin ha rivelato a Dorothy che sono ancora viva.”, disse Zelena, camminando avanti e indietro davanti a quella gentaglia bassa e spiona. “E Dorothy è tornata qui, ha preso il mio Spaventapasseri e anche il cervello di cui avevo bisogno!”

I Munchkin tacquero, intimiditi. Alcuni nascosero le facce pallide sotto la tesa larga dei cappelli di paglia, altri si ripararono dietro qualche compagno più alto. Le donne si tormentavano le mani o si lisciavano pieghe inesistenti sulle sottane.

“Visto che vi piace tanto rovinare i miei piani... perché non provate a farvi perdonare? Potrei decidere di risparmiarvi.” Zelena si rivolse ad un Munchkin con la barba bianca e le sopracciglia arricciate. “Dov’è lo Spaventapasseri?!”

“Non lo sappiamo!”, esclamò il Munchkin, intrecciando le dita delle mani tozze a mo’ di supplica. “Davvero. Credeteci!”

“No. Non ti credo.” Con un gesto secco della mano, Zelena lo trasformò in polvere.

Tutti gridarono, spaventati e indietreggiarono.

“Allora... chi vuole farsi avanti e aprire la boccaccia?”, domandò, stringendo di più il manico della sua scopa. “Chi vuole essere il prossimo a diventare un mucchietto di cenere?”

“Fermi tutti! Non creiamo ulteriore confusione.”

Zelena si girò, aspettandosi di vedere un Munchkin un po’ più coraggioso degli altri e desideroso di voltare le spalle alla paladina di Oz. Invece, davanti a lei c’era un uomo distinto ed elegante, che non aveva nulla a che vedere con le creature basse e ridicole che la circondavano.

“Chi diavolo siete voi?”

“Oh, giusto, lasciate che mi presenti.” L’uomo avanzò, le prese una mano e le sfiorò le nocche con le labbra. “Io sono... Ade.”

“Il Signore degli Inferi?”

Un fiammante vortice azzurro esplose al centro del cortile del palazzo di Zelena. Il vortice spedì un Munchkin gambe all’aria e costrinse i rimanenti ad una fuga precipitosa. Nell’aria si diffuse un odore acre, pungente e nauseabondo.

Ade colse l’occasione per esaminare la Strega dell’Ovest, mentre lei fissava con un vago sorriso la piccola magia che aveva usato per mettersi in mostra. I suoi occhi erano dello stesso colore del vortice che si stava pian piano assottigliando. La pelle verde metteva in risalto quei capelli rossi raccolti sotto il cappello a punta. Emanava un potere ed una fierezza che lo sorprendevano, per quanto lui fosse immortale e ultramillenario e avesse conosciuto talmente tante creature da averne perso il conto.

“La mia fama mi precede.”, disse Ade. “Sono lieto di conoscervi. E mi dispiace per questa... irruzione inaspettata. Ma ho sentito molto parlare di voi.”

“Oh, sì? E in che modo?”

“In tanti modi diversi. Per questo sono venuto. Per aiutarvi.” La sua voce era sommessa, il tono rassicurante. “So che state sfidando una delle leggi più importanti della magia. State cercando di raggiungere... l’irraggiungibile.”

Il cuore cominciò a martellarle nel petto. “Irraggiungibile per la gente comune, semmai.”

“Oh, certo. E sono anche a conoscenza di una certa contadinella del Kansas che vuole mettervi i bastoni fra le ruote. Dorothy Gale.”

“La conoscete?”

“Mi sono informato a riguardo. È una donna... decisamente in gamba.” Lo disse con calma, come se fosse un dato di fatto.

“In gamba?” Zelena spalancò gli occhi, furibonda. “Non ha un briciolo di magia in corpo!”

“No. Ma ha qualcosa che tu, purtroppo, non hai.” Aveva abbandonato la forma di cortesia. La sua bocca si ammorbidì in un piccolo sorriso per niente spiritoso. “L’amore della gente.”

Zelena trattenne a stento l’ira. Mettergli le mani intorno al collo o strappargli il cuore non sarebbe servito a niente dato che era una divinità.

“Però io credo in te.”, aggiunse Ade. “Io credo che anche tu sia molto potente. E che Dorothy... abbia a sua volta più di un punto debole. Vuoi lo Spaventapasseri, giusto? È uno degli ingredienti che ti servono. Ed io sono l’alleato che ti serve.”

“E a te che cosa serve, esattamente? Oppure il diavolo è qui solo perché è colpito dalla perfida Strega dell’Ovest?”

“Non sono il diavolo. Sono un Dio, figlio di un Τitano, ma dettagli.” Ade le girò intorno. “Mi serve quello che serve a te.”

“Un viaggio nel passato? Perché?”

“Ogni cosa a tempo debito, Zelena.”

Il modo in cui lui pronunciò il suo nome le piacque e le fece sentire le farfalle nello stomaco. Era sicura che fosse semplicemente il potere che aveva su chiunque.

“Accetti?”, chiese, infine, Ade.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

Lily volava sopra la città, mantenendosi bassa e causando un certo panico per le strade.

Volò fino a quando le case non si fecero più rade e iniziò il lungo viale alberato che conduceva al confine di Storybrooke.

Allora si abbassò ancora di più. Vide il cartello con la scritta Storybrooke. Al nome impresso sullo sfondo verde mancava la lettera K e il segnale pendeva da una parte, parzialmente nascosto dalla vegetazione.

Con un ultimo battito d’ali, Lily si spinse oltre la linea di confine. Non aveva idea di che cosa aspettarsi. Non pensava che l’uscita si trovasse là e immaginava che oltre quella linea potessero esserci solo guai. Qualche trappola di Ade. Magari sarebbe finita dritta nelle sue prigioni.

Tuttavia, quando lo superò, il mondo divenne sfocato e si capovolse.

Trappola, pensò.

Ebbe la sensazione di precipitare in un vuoto senza fine, di essere risucchiata verso un abisso troppo profondo e dal quale non sarebbe mai riemersa.

Aiuto!

Invece riemerse. A Storybrooke. Nella stessa Storybrooke che aveva sorvolato pochi minuti prima, la Storybrooke infernale, immersa nella sua densa luce rossastra. Disorientata, Lily planò, atterrando direttamente sulla torre dell’orologio, semisepolta nell’asfalto. Gli artigli aprirono crepe nel cemento e i passanti si affrettarono a darsela a gambe.

Lily ripiegò le ali e riassunse la forma umana.

Storybrooke non aveva confini. Gli Inferi erano racchiusi in quella cittadina e oltrepassare una linea significava solo tornare al punto di partenza.

Lily udì un rumore secco. Un clac che riecheggiò più forte di ogni altro rumore. Guardando l’orologio si accorse che la lancetta dei minuti era scivolata all’indietro.

Indietro e non avanti. Forse un’anima aveva appena perso la sua battaglia per guadagnarsi un posto migliore.

Lily distolse lo sguardo. C’era qualcos’altro che doveva fare, ora. Qualcosa che si era ripromessa di fare da quando aveva visto Murphy precipitare nel Tartaro.

Si avviò.

Emma, avendo udito lo strepito del drago dopo che aveva oltrepassato il confine e la richiesta di aiuto, aveva istintivamente cercato la sua mente per assicurarsi che stesse bene.

Vedendo dove si stava dirigendo, la seguì.

 

 
La cripta era deserta. All’interno non c’era nessuno, solo un gran freddo e molto disordine.

Regina vide che tutti i libri, gli amuleti magici, le ampolle e le pozioni erano sparse alla rinfusa sulle mensole e sui ripiani, come se da lì fosse appena passato un tornado, ma erano anche pieni di polvere, segno che non venivano toccati da un bel pezzo. Qualunque cosa ci fosse nel bosco con loro si era allontanata.

Mary Margaret posò l’arco e prese a rovistare nei bauli, esaminando gli oggetti che le capitavano tra le mani. Regina aprì le ante dell’armadio che conteneva  i cuori dei  suoi  nemici e lo trovò vuoto. I cuori non c’erano. Lo richiuse con un colpo secco. Mary Margaret urtò un’ampolla, che cadde e si ruppe.

- Vuoi stare attenta? – esclamò Regina. – Non sappiamo cosa può succedere se rompiamo qualcosa!

- Scusami. L’ampolla era vuota. – rispose Mary Margaret.

- Non importa cosa conteneva o non conteneva l’ampolla. È la mia cripta. Fa attenzione!

Mary Margaret sospirò. Gettò a terra la faretra. – Regina, che cosa ti prende?

- Cosa mi prende? – Il libro che aveva aperto si richiuse da solo, sollevando una nuvola di polvere. – Non abbiamo idea di che cosa stiamo cercando né di come faremo a portare Emma fuori da questo maledetto posto. Ovunque io guardi c’è qualcuno che ha un conto in sospeso con me. William è morto... beh, lo era già, ma ora è condannato. E mia sorella...

- Non potevi fare niente per William. – la interruppe Mary Margaret, roteando gli occhi. – E poi io non credo affatto che sia questo il motivo del tuo malumore.

- Oh, davvero?

-  Credi che io non ti conosca, Regina? Vedo quanto sei preoccupata.

- Anch’io conosco la tua boccaccia! Non so perché ti ho chiesto di venire con me. Avrei potuto portarmi dietro tuo marito, almeno non avrei ascoltato tutte queste chiacchiere. – Regina evitava di guardare la madre di Emma. Non le piaceva il suo tono.

Mary Margaret non se la prese. – Che cosa succede con Emma?

- Cosa ti fa pensare che stia succedendo qualcosa?

- Non hai fatto altro che evitarla. A malapena le hai rivolto la parola. Vi ho sentite parlare in giardino ieri sera.

Il cuore iniziò a martellarle. – Abbiamo parlato di Henry.

- Allora dovreste smettere di parlare di Henry e iniziare a parlare di voi. Sarebbe... la cosa più giusta.

Non poteva credere alle sue orecchie. Si voltò, quasi Mary Margaret l’avesse appena pugnalata in mezzo alle scapole. Avrebbe tanto voluto trovare una risposta adeguata, ma la sua mente faticava a riordinare i pensieri.

- Ho cominciato a notarlo quando eravamo a Camelot. Ma forse l’ho notato anche prima e non riuscivo a capire che cosa stessi vedendo. – continuò Mary Margaret.

- Non dire un’altra parola.

“Ma ora... devo chiederti di pensare a nostro figlio e alla mia famiglia. Devi portarli via da qui, se le cose si mettono male. Devi portare via tutti.”

“Regina. Devi promettermelo.”

- So benissimo che non approvi, quindi non dire niente. – ribadì.

- Non ho mai detto che non approvo, Regina.

- E che ne è della tua approvazione per Capitan Mascara?

Mary Margaret si appoggiò ad un mobile. – Quello che voglio io è che Emma sia felice. E mi importa anche della tua felicità.

- Tutto questo è folle. Non ne avrai parlato con qualcuno, spero!

- Non ho parlato con nessuno, Regina. – Le si avvicinò. – E poi... effettivamente sì, è folle. Ma non mi stupisce. L’amore... è una cosa strana. Quando ho conosciuto Azzurro l’ho colpito in faccia.

E lei quando aveva conosciuto Emma le aveva offerto da bere e aveva cercato di capire quanto potesse nuocerle.

- Beh ed io volevo eliminare tua figlia. Volevo che se ne andasse... ed evitare che fosse la mia rovina. 

- Lo so. Ma sai... quello è il passato. Il presente è ben diverso. Tu... sei diversa.

Suo malgrado, Regina sorrise.

- Insomma, siamo tutti diversi. Guarda noi. Siamo qui a parlare tranquillamente nella tua cripta... all’Inferno. L’avresti creduto possibile solo un paio di anni fa?

- Immagino che la cosa ti diverta.

- Oh, sì.

Regina avrebbe voluto sentirsi più sollevata, eppure non lo era affatto. – Io non... non credo di...

- Ti fa paura, vero?

Non rispose.

- L’amore fa sempre paura. – Mary Margaret le appoggiò le mani sulle braccia, per confortarla. – Ma pensaci... io e David ne abbiamo passate tante, ma non abbiamo mai smesso di credere che ci saremmo ritrovati. Quello che ottieni in cambio quando ami qualcuno... supera di gran lunga i rischi.

- Io non sono come te. – replicò Regina. – Ed Emma è qui per colpa mia.

- Non è colpa tua, Regina. Abbiamo sbagliato tutti, a Camelot. E quello che ha fatto Emma... è stata una sua scelta. Voleva distruggere l’oscurità.

- Aveva chiesto a me, di farlo. – Regina si sentiva la gola stretta in una dolorosa morsa che quasi le impediva di respirare. La sua mente evocò l’immagine di una Emma ancora oscura che le chiedeva di ucciderla. Evocò le parole di Τremotino, che le diceva che non avrebbe portato a termine quel compito, perché lei non era più la Regina Cattiva. Evocò l’immagine di se stessa, con Excalibur levata sopra la testa, pronta a colpire. Ma era venuta meno alla promessa.

- Ora dobbiamo pensare a come uscire da qui. E credo che sia proprio questo il punto, Regina. – Mary Margaret aveva abbassato il tono di voce, come se temesse che qualcuno si fosse appostato nell’ombra per ascoltarle. Il che era possibile. Ade aveva occhi e orecchie un po’ ovunque.

- Di che cosa stai parlando, adesso?

- Killian non ha potuto aiutare Emma. Il suo cuore... non è servito. E il suo nome non è su quelle tombe, come i nostri. 

I suoi occhi verdi la fissavano con tale risolutezza che Regina ne fu sconcertata.

- E allora?

- Forse tu puoi, Regina. – concluse Mary Margaret. – Forse il tuo cuore può aiutarla.

 

 
Città di Smeraldo. Oz. Durante la prima maledizione.

 

Nessarose, la Strega dell’Est, entrò nella grande sala del palazzo della Sorellanza e trovò un uomo seduto al suo posto, intento ad ammirare il grande cristallo al centro della tavola rotonda.

Le altre tre sedie erano vuote. Glinda e Locasta non c’erano.

“Chi diavolo siete? Dove sono le mie sorelle?”, domandò Nessarose, sollevando una mano, pronta a scagliare la propria magia contro l’intruso.

“Non agitatevi. Stanno bene. Sono solo occupate.” L’uomo si alzò. “Ed io sono... Ade. Immagino che abbiate sentito parlare di me.”

Le porte si chiusero di scatto alle spalle di Nessarose e il chiavistello si mosse, infilandosi nell’anello di ferro.

“Che cosa state facendo? Cosa ci fate qui?”, chiese la Strega dell’Est, mentre la sua mente pensava febbrilmente ad un modo per difendersi.

“Non affannatevi. Nessuno verrà ad aiutarvi. Ma non sono venuto per combattere. Solo per parlare. E proporre un accordo.”

“Accordo?”

“Vi interesserà. Io so chi siete voi.”

Nessarose non capiva se il Signore degli Inferi fosse serio o la stesse prendendo sonoramente in giro. Non riusciva a leggere la sua espressione, né tantomeno comprendeva appieno l’inflessione della sua voce.

“Nessarose, la Strega dell’Est. Vediamo: che cosa dovrebbe rappresentare l’Est?” Ade si alzò, girando lentamente intorno al tavolo. “Oh. Ecco. Il coraggio. Quello che voi pensate di aver avuto quando avete posto fine alla vita di vostra madre e strappato il cuore a vostra sorella per soggiogarla.”

Nessarose rispose senza esitazioni. “Non so di che cosa stiate parlando.”

“Sul serio? Vostra sorella era nata per prima. E non solo. Era più potente. Vostra madre lo sapeva e per quanto  fosse gentile che entrambe... era più severa con la maggiore, perché avrebbe preso il suo posto.”

“E con questo?”

“E con questo... voi avreste voluto lo stesso trattamento. Siete sempre stata così, fin dal principio. E avete sempre saputo fingere bene.” Ade si accomodò sul bordo del tavolo. Sorrideva, ma la sua sembra una normalissima chiacchierata. “Come quando, a dodici anni, avete preso due gattini che piacevano tanto ad Evanora e li avete annegati nel fiume.”

Pur essendoci una grande distanza tra loro, Nessarose riusciva a sentire il suo profumo, pungente e viscido come quello di un fiore in putrefazione.

“C’e chi dice che cattivi non si nasce ma lo si diventa, solo che nel vostro caso non solo si nasce cattivi... ma lo si diventa sempre di più.”

“Mia madre sarebbe morta comunque. Ho solo alleviato le sue sofferenze.”

“Forse no. Evanora pensava di poterla salvare. Aveva trovato gli ingredienti per curarla. Voi, invece... avete usato la Sognombra. Che cosa terribile.”

Nessarose si morse il labbro. “Mia sorella era incapace di governare.”

“Quindi avete atteso che tornasse a casa con gli ingredienti e... l’avete aggredita alle spalle. Rubandole il cuore e usandolo contro di lei per... quanti anni? Molti, vero?”

Nessarose scagliò una sfera di fuoco contro Ade, che se ne infischiò e la spense semplicemente soffiandoci sopra.

“Suvvia, non fate così. Non sono certo venuto qui per giudicarvi.”, continuò, imperterrito. “Anzi, al contrario. Avete fatto passare vostra sorella per una tiranna, anche se in realtà era in vostro potere, avete schiavizzato un intero popolo e vi siete divertita a distruggere le vite altrui... e avete mandato molte anime nel mio regno. Davvero notevole.”

“Cosa intendete fare? Dirlo alle mie sorelle?”

“Le vostre sorelle sono delle incapaci. Su questo siamo entrambi d’accordo. Altrimenti vi avrebbero già smascherata. Lo avrebbero fatto il giorno in cui l’Est è stato liberato da una finta Strega Malvagia per consegnarne un’altra alla Sorellanza di Oz.” Ade rise di gusto. “No, io sono qui perché ho bisogno del vostro aiuto. Vogliamo tutti qualcosa.”

“Voi che cosa volete?”

Ade le parlò del suo incontro con Zelena, del suo piano per cambiare il passato. Le disse di suo fratello Zeus e di quanto desiderasse impadronirsi dell’Olimpo.

“Zelena non ci riuscirà mai. Non è fattibile.”, concluse Nessarose, in tono sprezzante.

“Oh, credetemi. È molto determinata. Una cosa che ammiro.”, le rispose, proiettando nella propria mente quegli sfolgoranti occhi azzurri. “Potrebbe riuscirci. Ma io non sono sicuro che si fiderà di me. E che mi aiuterà a far ripartire il mio cuore.”

“Ed io che cosa c’entro?”

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

Frugando nella cripta, Regina aveva ritrovato il libro di incantesimi di sua madre e l’aveva portato via con sé. Uscì con Mary Margaret alle calcagna, lei e i suoi dannati discorsi sulla speranza, che poco avevano a che fare con quella cappa rossa e fastidiosa che avvolgeva l’intera città.

- Regina...

- Ed io che ti ho pure dato retta. Ma che cosa mi passa per la testa? Deve essere questo posto. Dobbiamo andarcene il prima possibile!

Mary Margaret l’afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi.

- Non provarci. – la minacciò Regina.

“Forse tu puoi, Regina. Forse il tuo cuore può aiutarla.”

Tuttavia la madre di Emma ci provò comunque. Non le importava niente dei suoi avvertimenti. -Puoi davvero aiutarla. Possiamo almeno tentare.

- No, non possiamo. E sai anche tu il perché.

- Non credo di saperlo.

Regina aveva una mezza idea di usare la magia per andarsene da quel posto da sola e lasciare che Mary Margaret tornasse a piedi. Era in grado di cavarsela anche all’Inferno e non avrebbe più dovuto affrontare un simile argomento, non davanti ad Uncino e a David.

Invece, affondò una mano nel proprio petto ed estrasse il cuore.

- Regina! – gridò Mary Margaret, colta di sorpresa.

- Guardalo. – le ordinò, reggendo il cuore nella mano destra. – Guarda il cuore che secondo te potrebbe salvare Emma.

- Lo conosco già.

- Guardalo lo stesso.

Mary Margaret osservò l’organo pulsante nella mano di Regina. L’oscurità si contorceva, aprendosi in alcuni punti  per lasciare spazio al rosso.

- Credi  davvero che io possa dividere questo cuore e darne una parte ad Emma... dopo che lei è morta per distruggere l’oscurità?

- Regina...

Lei sollevò l’indice per ammonirla. – No. La risposta è no.

- Sono disposta a tutto pur di salvare mia figlia. – replicò Mary Margaret, senza curarsi della sua espressione dura e sconvolta.  – Non la perderò di nuovo. E so che anche tu faresti qualsiasi cosa.

- E allora troveremo un altro modo! – Regina rimise il proprio cuore al suo posto, serrando le palpebre contro la fitta di dolore e trattenendo il respiro.

- E se non esistesse un altro modo?

Il cuore che Regina si era appena strappata era oppresso da una strisciante e spaventosa sensazione di perdita, la stessa che aveva provato quando aveva visto il corpo senza vita di Emma sulla barella, prima che lo portassero via. – Esisterà. Deve esistere.

 

 
Emma sostò dietro agli occhi di Lily mentre l’amica spingeva la porta del Granny’s Diner e lo attraversava, dirigendosi verso il bancone. La Strega Cieca diede un ordine secco ad una delle cameriere, piazzandogli in mano un vassoio con due tazze fumanti.

Non appena Lily si avvicinò, lei arricciò il naso e si sporse in avanti. – Conosco questo odorino. Lilith, vero?

- Lily. Cerco informazioni su una persona. – rispose, andando dritta al punto.

- Un’altra? Credevo l’avessi già trovata.

- Non Emma. Un uomo. Si chiama Murphy Logan. – Appoggiò i gomiti sul bancone. – Sei qui da un po’ di tempo. Immagino che tu conosca molta gente.

- In effetti... – iniziò la Strega Cieca. – È difficile dire da quanto tempo sono qui, ma deve essere molto... e in ogni caso non posso aiutarti. Che io sappia quel tizio... ha avuto ciò che si meritava.  

- Ed io vorrei solo qualche informazione. So bene che fine ha fatto. – precisò Lily, acidamente. In realtà, lo rivide mentre precipitava nel Τartaro. Le sembrò di udire di nuovo il suo grido, un attimo prima di cadere.

- Le informazioni non sono gratis. – si limitò a rispondere la Strega.

- Lo immaginavo. Che cosa vuoi?

Una mano si infilò sotto al banco e iniziò a tastare, fino a quando non afferrò qualcosa, che si rivelò essere un’ampolla. La stappò. – Soffiaci dentro.

Lily guardò l’ampolla, perplessa. – Come?

- Soffiaci dentro. – ribadì la Strega. – Non hai idea di quanto valga il respiro di un vivo al mercato nero. Mi serve. E quando ci appiccicherò sopra un’etichetta con scritto... Lilith... ti assicuro che faranno la fila!

Non perse alro tempo e consegnò uno sbuffo del suo respiro. La Strega si affrettò a appare nuovamente l’ampolla, con un sorriso soddisfatto.

- Ebbene? – disse Lily, impaziente.

- Oh, già. – La Strega si riscosse e andò sul retro del locale, a mettere al sicuro il respiro della ragazza via. Quando tornò, aveva una chiave in mano. – Prendi. La chiave della sua stanza.

- Viveva qui?

- Purtroppo sì.

Lily prese la chiave e la soppesò, come se volesse assicurarsi che fosse vera. Poi si diresse verso le scale che conducevano alle camera da letto, al primo piano.

Si può sapere che cosa pensi di fare?, domandò Emma. Che cosa pensi di fare con le chiavi della stanza di Neal, in particolare?

Lily corrugò le sopracciglia. Beh... non avevo idea che fosse la camera di Neal!

Lo é. Perché vuoi metterti a frugare in quella camera? Cosa pensi di trovare?

Non lo so. Forse niente. Forse qualcosa... sulla figlia di Murphy.

Arrivò in cima alle scale e svoltò a destra. La camera era in fondo al corridoio. Lily infilò la chiave nella toppa ed entrò, senza troppe cerimonie.

Un senso di inquietudine la pervase.

Vuoi cercare la figlia di Murphy, quindi?, domandò Emma, con cautela.

Sì. Devo farlo.

Lily, quello che è successo a Murphy... era inevitabile. Τi avrebbe uccisa.

Lo avrebbe fatto di cero. Ma sono stata io ad ucciderlo per prima. E ho lasciato il suo corpo in un’area di servizio, dopo averlo preso a calci.

Silenzio. Emma era ancora lì, ma non commentò. Lily cominciò a frugare in giro. Il letto era intatto, ma scostò comunque le coperte e mise le mani sotto la fodera del cuscino. Poi sollevò il materasso.

Come pensi di trovarla, sua figlia?

Quando orneremo a Storybrooke mi darai il nome di quel contatto... quello che ti ha dato una mano a trovare me.

Nell’armadio c’erano ancora dei vestiti, ma nulla che potesse esserle utile. Allora aprì i cassetti del comodino.

Avremo bisogno di qualche informazioni in più, Lily.

Stava per risponderle, ma poi scovò qualcosa fra le cianfrusaglie ammassate nel terzo cassetto. Estrasse la lunga catena arrugginita nella quale era infilato un grosso medaglione.

Che cos’è?, domandò Emma, improvvisamene guardinga.

Il medaglione era una grossa pietra rossa al centro di una fiamma bordata d’oro. E aveva l’impressione che non fosse una chincaglieria qualunque.

Non ne ho idea.

 

_________________________

 

 
Angolo autrice:

 
Eccomi. So che qualcuno magari si stava chiedendo dove fossi finita, ma i problemi con la mia tastiera continuano, inesorabili, quindi non riesco più a postare come vorrei.

Anyway, il nuovo capito avrebbe dovuto essere una cosa sola con il seguente, però era davvero troppo lungo quindi... l’ho diviso in due.


   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Stephanie86