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Autore: Bubbles_    24/01/2017    7 recensioni
When the moon fell in love with the sun
All was golden in the sky ~
.
"Posso farla innamorare di te in un batter d’occhio e tu potresti ricambiare il favore"
"E trasformarti nella ragazza dei sogni di Bright?"
"Io sono già la sua ragazza dei sogni, deve solo rendersene conto"
"Quindi mi stai offrendo il tuo aiuto, quando in realtà sei tu a voler qualcosa da me"
"Siamo sulla stessa barca, sfigato"
"La tua sta decisamente affondando per chiedere aiuto a me, principessa"
.
All was golden when the day met the night ~
La solita vecchia storia - Blue Moon.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rosa Corallo significa
Desiderio 
 
 
 
 
 

 

Quella mattina mi svegliò un forte profumo di caffè nell’aria.
Caffè e … qualcosa di dolce. Di dolce e caldo, tutto intorno a me. Semi sveglio inspirai a fondo, godendo di quegli ultimi attimi di incoscienza. Il mio cervello registrò a malapena il dolore che provavo alla schiena e quel peso sconosciuto che premeva contro di me. Quel piacevole tepore e quel profumo erano tutto ciò a cui la mia mente, non ancora del tutto sveglia, voleva pensare.
Caffè e miele.
No.
Caffè e…
Caffè e pesca.
Mi faceva stare bene.
Mi piacevano le pesche.
Risvegliava in me un senso di piacevole agitazione.
Rein profumava di pesca.
Spalancai gli occhi terrorizzato, ogni traccia di sonno sparita. Come temevo, Rein era lì, accovacciata al mio fianco, i capelli sparsi sul mio petto e il respiro profondo di chi è ancora nel mondo dei sogni.
E forse mi sarei preso qualche secondo per osservarla con attenzione, perché non capitava spesso di averla così vicino e allo stesso tempo così mansueta. Sì, forse, lo avrei fatto se non fosse stato per un colpo di tosse forzato che catturò la mia totale attenzione. La madre di Rein, l’ultima persona che un ragazzo vorrebbe vedere dopo un risveglio del genere, mi osservava divertita e con un pizzico di malizia dall’altro lato della stanza, una grande tazza di caffè fumante tra le mani.
“Buongiorno” sussurrò trattenendo una risata “Caffè?”
 
 
Svegliarsi e trovarsi davanti la madre della ragazza con la quale si era appena passata la notte entrava di diritto nei peggiori risvegli di sempre. Superava persino quello in cui Milky aveva deciso di dormire nel mio letto e, malauguratamente, di farci pipì.
Non che fosse successo nulla tra me e Rein, ma la sorpresa di trovarla lì, accanto a me, come prima cosa messa a fuoco non appena aperti gli occhi il mattino mi aveva lasciato balbettante e decisamente fuori di me per un buon quarto d’ora.
Ricordavo benissimo gli eventi della sera precedente, l’uscita con Fine, la conversazione con Rein, la scelta del film, ricordavo persino i suoi piedi gelati contro le mie gambe. Rein si era addormentata meno di dieci minuti dopo l’inizio del film, impossessandosi di più di metà del divano, ed evidentemente mi ero addormentato anche io. Non solo, avevo dormito come un sasso fino al mattino nonostante quella piovra si fosse appicciata a me durante la notte, probabilmente alla ricerca di calore. Cercando di fare il minimo rumore, ero riuscito ad alzarmi senza svegliarla, evitandole il trauma della vita che invece io mi sarei dovuto portare dentro per sempre.
Se uno dei due doveva ricordare quella terrificante notte, era bene quello fossi io. Il tutto era già abbastanza strano e imbarazzante senza che Rein ci mettesse del suo.
Evadere le mille domande della madre era stato decisamente più difficile, ma il mio evidente disagio dovette intenerirla perché decise di lasciarmi libero.
Ero già fuori dalla porta quando mi sentii chiamare un’ultima volta.
“Shade, grazie per averle fatto compagnia. Sei sempre il benvenuto”.
Sorpreso mi limitai ad un segno di saluto.
Quella donna mi lasciava sempre senza parole.
Una dote che la figlia aveva decisamente ereditato.
 
 

 
Erano le dieci e qualche minuto quando finalmente varcai la soglia di casa. Mi sentivo intontito e pesante in quei vestiti che indossavo dalla sera precedente. L’unica cosa che desideravo in quel momento era una lunga doccia bollente, ma non feci in tempo a chiudere la porta dietro di me, che subito dovetti riconsiderare i miei piani.
“Shade! Gne gnato!” Milky mi si lanciò addosso e io fui costretto a prenderla al volo per evitarle una rovinosa caduta. Urlò qualcosa di incomprensibile tutta soddisfatta, sfregando il viso contro la mia camicia.
“Signorina Milky! Torni subito qui!” Dolores, la tata, apparve subito dopo. Aveva i capelli in disordine e il maglione macchiato di qualcosa di verde e disgustoso probabilmente prodotto da Milky stessa. Agitava una piccola calza rosa tra le mani. Lanciai un sguardo interrogativo alla mia sorellina la quale mi sorrise colpevole muovendo appena il piedino rimasto senza calza. Essere la tata di Milky non era una lavoro facile, per niente.
“Signorino Shade, bentornato! Sua madre era in pensiero, avrebbe dovuto avvisare!” Dolores mi guardò con aria di rimprovero e Milky, ora tra le braccia di Dolores e completamente vestita, sembrò fare lo stesso. Dolores era con la nostra famiglia da quando potevo ricordare e sapevo che anche lei doveva essere stata in pensiero.
“Mi dispiace, non lo farò più” mormorai avviandomi verso la cucina. Profumava di cannella e zucchero. Afferrai un biscotto che riposava sul tavolo, ancora caldo dal forno, e lo addentai.
“Questi non sono per lei, signorino! Sono per il compleanno dell’amichetta di Milky!” Dolores si affrettò a spostare i biscotti lontano dalle mie mani, mentre Milky, arrampicata sulla sua spalla, tendeva le mani cercando di afferrarne uno a sua volta, il piede sinistro magicamente di nuovo senza calza.
“Dolores, hanno tre anni. Mangiano la colla”
“Solo uno! E ora, vada! Sua madre vuole vederla!” mi consegnò un biscotto, il più grande del vassoio, e mi spinse fuori dalla cucina. Mi piaceva Dolores, portava un po’ di caos e musica in quella casa sempre, così, vuota. Quando era soprappensiero cantava canzoni di grandi cantanti del passato, guardava solo film in bianco e nero vecchi di un secolo e raccontava a Milky una storia ogni sera da quando aveva appena poco più di due mesi.
Senza di lei, quella casa sarebbe potuta essere scambiata per un museo dell’antiquariato, con quei corridoio silenziosi e quei quadri che ritraevano uomini e donne dimenticati, pronti a giudicarti ogni qual volta tornavi tardi da una festa. Per non parlare di quegli orribili lenzuoli, intere stanze coperte di bianco e dimenticate dal mondo.
Le risatine di Milky e la voce di Dolores diventarono sempre più deboli per lasciar spazio al rumore dei miei passi sui gradini di marmo delle scale. La camera di mamma era l’ultima in fondo al corridoio del terzo piano. Una volta davanti feci un lungo respiro e mi sforzai di sorridere nonostante avessi voluto fare tutto il contrario. Bussai più volte e dopo qualche secondo entrai.
Mamma mi aspettava sdraiata al centro del grosso letto matrimoniale che occupava una buona parte della stanza. Stava leggendo un libro, la camera quasi completamente al buio se non per la luce che proveniva dalla lampada del comodino. Non appena mi vide smise di leggere e si aprì in un sorriso. Un sorriso stanco, ma comunque felice.
“Amore, finalmente sei a casa, ti sei divertito?” aveva il viso pallido e gli occhi circondati da profonde occhiaie. I capelli scuri lasciati sciolti non facevano altro che accentuare il suo pallore.
“Vuoi che ti apra le tende, mamma? Sta piovendo”
“Mi piace la pioggia”
“Lo so” le sorrisi e tirai le tende della finestra che ricopriva l’intera parete. La stanza fu invasa da un luce grigiastra e che portava con sé le ultime tracce dell’inverno.
Mia madre si lasciò cullare un secondo dalla calma di quel momento, prima di fare segno di avvicinarmi. Le sedetti accanto, il letto talmente grande da sfiorarla a malapena.
“Come ti senti?” le chiesi, il rumore della pioggia che timido si diffondeva nella stanza.
“Un po’ stanca, come al solito” scherzò e con la mano cercò la mia. Il suo profumo mi avvolse e mi lasciai accarezzare dolcemente.
“Ti lascio riposare”
“E no signorino! Non te la caverai così, devi raccontarmi tutto” una risata genuina mi scappò dalle labbra e per un attimo mi sentii meglio. L’aria meno pesante e quella situazione più familiare.
“Ti avevo detto che sarei uscito con Bright” tentai consapevole non fosse la risposta giusta.
“Non mi avevi detto però che avresti passato la notte fuori” mi guardò con un pizzico di furbizia, le labbra tese in un sorriso “Qualcosa mi dice tu non abbia passato la notte da Bright” abbassai subito lo sguardo colpevole e mia madre si aprì in una risata delicata.
“Ero da Rein. Ci siamo addormentati dopo aver visto un film” le avevo raccontato di Rein qualche giorno prima, sapeva tutto quello che c’era da sapere su di lei, o meglio tutto quello che avevo potuto dirle.
Quando rialzai lo sguardo mia madre mi stava ancora guardando.
“Passi molto tempo con questa ragazza” commentò con il tono di qualcuno che sa qualcosa che altri non sanno.
“Mamma tu non puoi capire. Mi fa impazzire”
“Quindi ti fa impazzire?” quel tono stava cominciando davvero a darmi sui nervi.
“Un attimo è tutta gentile e quello dopo mi insulta. Io… non la capisco” mi abbandonai in uno sbuffo di frustrazione e mia madre rise di nuovo. Almeno uno dei due si stava divertendo.
“Che ci trovi di divertente in tutto questo?”
“Niente!” si affrettò a rispondere cercando di trattenere una nuova risata.
“Mamma…!”
“Niente, solo non ti ho mai visto passare così tanto tempo con una ragazza. Vai a casa sua a studiare, avete fatto shopping e ieri siete usciti insieme”
“Con altre persone!”
“Sto solo dicendo che tu e questa Re-”
“Creatura demoniaca”
“Tu e questa Rein siete molto affiatati ultimamente” terminò dolcemente, quel sorriso furbo ormai incollato alla sue labbra.
“Vado a fare una doccia, le tue idiozie stanno uccidendo gli ultimi miei neuroni sopravvissuti a Rein” mi alzai e corsi in ritirata verso la porta. Quella conversazione stava prendendo una piega troppo strana per i miei gusti
“Quando me la farai conoscere?” urlò dal letto.
“Non succederà!” la sentii ridere per l’ennesima volta e in cuor mio fui contento di essere riuscito a portarle un po’ di buon umore. Anche se a mie spese.
“Ti voglio bene mamma”
“Anche io, tesoro”
 
 

 
“Spiegami di nuovo perché sono dovuto venire a guardarti allenare?” chiesi con tono piatto, mostrandomi più irritato di quanto in realtà fossi. Non mi stava andando poi così tanto male, la squadra di pallavolo femminile aveva deciso di allenarsi all’aperto quel giorno. Poche cose sapevano rendermi più felice della scelta delle loro divise.
“Io ti avevo chiesto di allenarti con me. Sei tu che hai preferito sdraiarti sugli spalti a fumare una sigaretta tra un pisolino e l’altro” Bright aveva il fiato corto e i capelli bagnati di sudore. Dopo aver fatto il giro del campo di corsa per una miriade di volte aveva deciso di migliore la sua tecnica di affondo o un qualcosa del genere. Non ero mai stato un grande esperto di scherma e poco mi importava.
“Non ho dormito granché stanotte” mormorai a mo’ di scusa, tutta la mia attenzione sulla partita che stava avendo luogo a pochi metri da noi. Una mezza bugia era comunque una mezza verità. Bright si limitò a lanciarmi un’occhiataccia prima di riprendere ad agitare quella sua spada nell’aria.
Avevo capito ci fosse qualcosa di storto non appena Bright mi aveva chiesto di allenarmi con lui, non che ci volesse un genio ad interpretare quel suo muso lungo e sguardo preoccupato. Nonostante avrei preferito di gran lunga ignorare la cosa e continuare a godermi il gruppo di ragazze saltellante accanto a noi, il fatto che Bright fosse il mio migliore amico mi conferiva l’incarico speciale di interessarmi a lui e suoi sbalzi d’umore da donna in menopausa.
“Bright c’è qualcosa che non va? Di solito mi inviti a bere una birra o giocare alla play”.
Lunga pausa. Si fermò un secondo per poi riprendere la sua routine.
“Avevo un po’ di energia repressa”
Affondo. Passo indietro. Affondo.
“E questa energie repressa potrebbe essere in un qualche modo connessa all’appuntamento di ieri?”
Passo indietro. Affondo. Inciampo.
“Non era un appuntamento!” Bright si voltò immediatamente verso di me, il viso paonazzo e gli occhi sbarrati.
Bingo.
“Rein di certo sembrava pensarla così” finsi disinteresse, facendo un tiro prima di buttare quel che rimaneva della mia ultima sigaretta a terra.
“T-tu dici? No! Lascia stare, ieri sera non c’entra niente” cercò di ricomporsi, ma ciò che gli girava nella testa non avrebbe potuto essere più ovvio. Se dovevo imboccarlo parola per parola, lo avrei fatto.
Bright tentò di tornare ai suoi esercizi, ma quando fu evidente anche a lui che non sarebbe riuscito a concentrarsi di nuovo buttò la spada a terra e mi raggiunse sugli spalti.
“Cos’è successo dopo che me ne sono andato?” chiesi cercando di mantenere un tono il più neutro possibile.
“Io non lo so! All’improvviso ho cominciato ad essere nervoso e… Shade, ho sempre pensato Rein fosse una dei miei più cari amici. Pensavo di conoscerla e invece c’è tutto questa lato di lei che non avevo mai visto. Che mi sta succedendo?”
“Ormoni?” azzardai per spezzare un po’ la tensione, Bright sembrava genuinamente preoccupato.
“Non sei d’aiuto, amico”
“Senti Bright, per come la vedo io, non c’è nulla di sbagliato ad essere attratto da Rein. Insomma, l’hai vista?” quelle parole sorpresero anche me stesso. Non avevo mai negato Rein fosse una bella ragazza, ma ammetterlo così, in pieno giorno e senza nessuna droga in corpo, era decisamente bizzarro.
“Piace anche a te?”
“C-cosa?” per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Sentii il cuore battere sempre più veloce e la temperatura del mio corpo salire.
“Sì, insomma, pensi anche tu che sia attraente” a quelle parole cercai di ridarmi un po’ di contegno. Okay, quella di Bright era solo curiosità. Pura e innocente curiosità.
“Certo, ovviamente”
Si lasciò andare in un sospiro di sollievo e io feci lo stesso anche se per differenti ragioni.
“Sai, ieri abbiamo fatto una foto in una di quelle cabine per le fototessere, ce le hai presente? Eravamo così vicini, Rein seduta sulle mie gambe e… e il suo profumo era tutto intorno a me, sapeva di… di…”
“Pesca” conclusi senza neanche accorgermene.
Bright sbatté due volte le palpebre prima di annuire con esagerata enfasi.
“Sì, di pesca! È così dolce, non lo avevo mai notato prima, sai? Insomma, io non sapevo cosa fare. Non eravamo mai stati in quella situazione, vicini in un ambiente così piccolo, lontano da tutti, solo noi due”.
Per un attimo riuscii ad immaginare la scena. Rein stretta tra le braccia di Bright, le mani impacciate di lui sulle sue cosce, i loro visi a pochi centimetri l’uno dall’altro.
Le sue labbra lucide e gonfie.
Quel profumo di pesca tutto intorno.
Gli occhi pesanti e lucidi.
All’improvviso sentii uno strano peso nel petto, lo stomaco aggrovigliarsi e la bocca farsi sempre più amara.
“E sai cosa avrei voluto fare?”
“C-cosa?” chiesi con voce spezzata, un sussurro appena.
“L’avrei voluta baciare”.
 
 
Che diavolo era successo? Avevo bisogno di una birra, forse più di una, e di ventiquattro ore di sonno.
Avevo continuato ad annuire senza capire nulla finché con le mani strette a pugni e la gola secca m’inventai una scusa per andarmene il più lontano da lì.
Senza un apparente motivo avevo iniziato a sentirmi male. Era difficile da spiegare: un attimo primo l’immagine di lui e Rein insieme mi era completamente indifferente, un attimo dopo il cuore mi batteva all’impazzata e lo stomaco mi si era capovolto. Stavo camminando a passo spedito verso la macchina quando mi sentii chiamare, una voce femminile stranamente familiare.
Mi voltai e subito vidi Fine camminare nella mia direzione, il braccio teso in un saluto. Dovevo essere davvero sconvolto per non riconoscere la sua voce. La grande borsa sportiva che portava con sé, le guance arrossate e i capelli ancora umidi mi fecero capire fosse appena usciti dagli spogliatoi.
“Che ci fai qui?” mi chiese una volta raggiuntomi.
“Io e Bright abbiamo fatto un po’ di movimento”
“Questa pioggia non ci dà tregua” mi sorrise gentile e io ricambiai il gesto.
Un silenzio lontano dall’essere piacevole si fece largo tra di noi. Quella era la prima volta Fine mi parlava al di fuori del suo negozio.
La serata che avevamo trascorso insieme la sera prima era stata divertente. Certo, senza eventi degni di nota, ma era convinto le cose dovessero andare con calma. Non volevo rovinare tutto mostrandomi poco paziente. Dovevo imparare a conoscerla e lei doveva fare lo stesso con me.
Quando fu evidente ad entrambi che quel silenzio fosse durato anche troppo, decisi di prendere l’iniziativa. Non avevo ascoltato una lista di trecentoventitrè punti per perdermi un’occasione del genere.
“Ti andrebbe una caffè?” domandai più velocemente di quanto avrei voluto.
Fine strinse con entrambe la mani lo spallaccio della borsa e sorrise radiosa, “Che ne dici di una fetta di torta invece?”
 
 

 
Seduti alla Sunny Bakery aspettavamo l’arrivo di due fette di torta al triplo cioccolato. Avevo ordinato la stessa cosa perché in un attimo di panico mi ero completamente dimenticato tutte le dritte di Rein. Che diavolo avevo stretto quel patto a fare se davanti a Fine il mio cervello diventava una pappetta molliccia incapace di processare qualsiasi pensiero complesso.
L’incontro non stava poi andando così male. Sì, forse avevo miserabilmente fallito con le mie due ultime battute, ma questo mi aveva fatto capire Fine non fosse una grande amante del sarcasmo. Un po’ come Bright. Fine me lo ricordava parecchio. Sportiva, gentile con tutti e decisamente troppo ingenua per il suo bene. Avrei dovuto trattenermi e mordermi la lingua evitando battute controverse.
Quando il cameriere arrivò Fine interruppe la sua storia su come avesse obbligato il padre a inserire quella torta nel menù e s’illuminò completamente. Gli occhi le diventarono enormi e sorrise da orecchia a orecchia. Si lasciò scappare un mugolio di piacere al primo morso e io non riuscii a trattenere una piccola risata.
“Ti piace lavorare qui in pasticceria?” Fine ci mise qualche secondo a rispondere, masticando veloce il boccone che aveva in bocca.
“È divertente e aiuto un po’ papà, anche se sono stata bandita dalla cuci-” la suoneria del mio cellulare la interruppe. Il nome di Rein lampeggiava sullo schermo, rifiutai la chiamata e le feci segno di continuare. Non appena aprì bocca il cellulare riprese a suonare e di nuovo rifiutai la chiamata.
“Forse dovresti rispondere” azzardò Fine.
“Non preoccuparti, sono sicuro possa aspettare” appoggiai il telefono sul tavolo e riconcentrai la mia attenzione su Fine.
“Scusa, cosa mi stavi dicendo?”
“In cucina ero una vera frana. Una volta sono persino riuscita a far finire Rein all’ospedale. È una lunga storia e a mia discolpa era la mia prima volta ai fornelli” mentre Fine parlava la mia attenzione piano piano si spostava su altri pensieri. Il cellulare si era nuovamente illuminato e io non ero riuscito a trattenermi. Veloce lessi i messaggi che era comparsi sullo schermo.
 
Da Rein [16:22]
[Bright mi ha chiesto di uscire! E come osi rifiutare le mie chiamate?]
Da Rein [16:22]
[Non posso essere arrabbiata! Sono troppo felice!]
Da Rein [16:23]
[Chiamami quando hai tempo!]
 
Di nuovo sentii lo stomaco contrarsi e per un attimo ogni suono nel locale sparì. Fu la voce di Fine a riportarmi alla realtà.
“Shade c’è qualcosa che non va?” cercai di ricompormi velocemente e subito riposi il cellulare in tasca, quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio.
“Scusami, mi ha scritto Rein per fissare delle ripetizioni e mi sono distratto” come avevo detto? Una mezza bugia era comunque una mezza verità.
“Come va con Rein?”
“Come posso dire, Rein è…”
“Speciale”
“Stavo per dire impegnativa, ma anche speciale le si addice” Fine, per la prima volta quel giorno, si aprì in una risata. Quel fastidioso nodo allo stomaco cominciò a sciogliersi e io a sentirmi più a mio agio.
“Sai, Rein ha sempre voluto avere una festa a sorpresa. Un anno, stanca di aspettare, ha deciso di organizzarsela. Abbiamo decorato la pasticceria per una intera giornata, esattamente come voleva lei. Non mi ha lasciato riposare neanche un minuto e quando è arrivata alla festa abbiamo dovuto nasconderci e gridare sorpresa nonostante lei avessi partecipato ad ogni preparativo”.
“È così… da Rein” commentai divertito da quel piccolo aneddoto.
“Sa quel che vuole e fa di tutto per ottenerlo, non la ferma nessuno” e io ne sapevo decisamente qualcosa.
“Sarebbe addirittura disposta a cambiare se stessa, ma non sa quanto lei valga esattamente così sia” quell’ultimo commento fu detto piano, quasi sottovoce. Fine si affrettò a fare un sorso di te nascondendosi dietro la tazza.
Sapevo benissimo di cosa stava parlando, ma era chiaro non volesse affrontare l’argomento, almeno non con me e che quelle parole le fossero sfuggite di bocca, così le chiesi di raccontarmi altre storie. Alla mia richiesta, Fine si era aperta in un enorme sorriso e aveva iniziato a raccontare. Tra una storia e l’altra avevo scoperto Rein fosse un’amante del Blues anni 50’, avesse una piccola cicatrice sul labbro inferiore ottenuta in un match di wrestling che avevano messo in scena a sei anni e andasse matta per la panna montata, tanto che vi era una torta sul menu della Sunny Bakery dedicata a lei.
Stavamo ancora parlando quando Fine s’interruppe all’improvviso. Guardò l’orologio che portava al polso e saltò in piedi.
“Il mio turno è iniziato due minuta fa! Sono già ritardo!” afferrò il suo borsone e prima di andarsene mi rivolse un sorriso gentile.
“Grazie Shade per la chiacchierata, mi dispiace interromperla così, ma mio padre mi ucciderà se non mi do una mossa”
“Non preoccuparti, continueremo un’altra volta”
“Ho tantissime altre storie da raccontarti”
“Non vedo l’ora”

 



 
La stanza era sempre più piccola. Il suo corpo era incredibilmente caldo sotto il mio. Il suo seno esposto andava su e giù, seguendo il ritmo frenetico dei suoi respiri. Mi fermai a baciarlo, succhiarlo, godendo di ogni minimo contatto con la sua pelle.
“Shade…” la sua voce era roca e carica di desiderio.
“Shade continua” una vera e propria supplica e io non sarei mai riuscito a dirle di no.
“Sei bellissima” mi ritrovai a mormorare risalendo con umidi baci il suo collo fino ad arrivare alle labbra. Le intrappolai tra le mie, soffocando così un mugolio di piacere. Il ritmo dei nostri corpi si stava facendo sempre più veloce, sempre più disordinato. I suoi capelli erano sparsi su tutto il cuscino e le sue unghie graffiavano silenziose la mia schiena.
Tutto profumava di pesca.
Mi svegliai all’improvviso. Il viso sudato, una spiacevole situazione nei pantaloni e gli occhi di chi aveva appena visto un fantasma.
No, molto peggio di un fantasma.
Sentivo ancora la pelle bruciare e avevo il respiro affannato.
Che diavolo mi stava succedendo?
 
 
 






 
 
Chi non muore si rivede parte 3, yay.
Grazie a tutte le lettrici che non hanno abbandonato questa storia, mi rendo conto di averci messo tantissimo ad aggiornare, ma questo capitolo proprio non voleva scriversi.
Detto questo, spero vi piaccia, alcune parti in realtà sono state abbastanza divertenti (come la prima scena).
Ringrazio anche Mya_chan che è sempre pronta ad aiutarmi, se oggi pubblico è principalemtne grazie a lei.
Un bacione e fatemi sapere che ne pensate!
 
 
 
  
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