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Autore: Shine     30/05/2009    2 recensioni
Spesso si ha la convinzione che il destino non esiste, perchè la vita è quasi sempre condizionata dalle nostre scelte. Tuttavia, esistono delle forze sovrannaturali che sono in grado di controllare determinate situazioni. Per esempio, in un'estate che si prospetta calda e afosa come sempre, può succedere qualcosa che modifichi l'esistenza di una diciottenne come tante. Può presentarsi un'occasione così improvvisa e di tale portata da sconvolgere le basi delle più profonde convinzioni umane. Perchè è solo il destino che ci fa sapere che esiste qualcos'altro, al di là del cielo...
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La rosa blu
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La rosa blu

Non mi ero mai sentita così. Era una di quelle nuove e splendide sensazioni, che mi facevano capire quanto la vita riservi molteplici sorprese, sia incantevoli come quella, sia meno piacevoli, ma comunque costruttive ed utili per forgiare il carattere. Non c’era spiegazione al fatto che sentissi ogni cosa attorno a me perfetta, che il caldo, il sole e l’assenza di brezza mi risultassero sopportabili.  Ma ancor più strano era il fatto che, a differenza di come facevo di solito, non osservavo. Difficile spiegarsi. Attorno a me sentivo un clima d’appagamento completo, che, però, non nasceva da qualcosa che vedevo. Scaturiva da qualcuno. O meglio dalla vicinanza di qualcuno. Di lui. E chi altri sarebbe riuscito a provocare in me quell’ondata di sorprendenti sensazioni?

Adesso che ripensavo lucidamente al mio sogno e, soprattutto al risveglio, mi rendevo conto di quanto stare con lui mi facesse enormemente piacere. Di quanto l’essermi abbandonata sul suo petto mi avesse fatta rilassare istantaneamente. Era stato così dolce, così perfetto. Non avevo mai incontrato una persona come lui, una persona che fosse al tempo stesso familiare ed enigmatica, limpida e misteriosa. Mi sentivo veramente esaltata.

Ripensai al giorno prima. Sembrava che fossi un libro aperto per lui. Mi aveva galantemente salvato dalla compagnia di Robert, che ultimamente mi risultava insopportabile. Gliene ero grata, ma allo stesso tempo morivo di curiosità. Possibile che sapesse l’intera faccenda? O forse aveva solo intuito che non avevo voglia di stare in compagnia del mio ragazzo?

Sospirai.

“Sono troppo silenzioso?”, mi chiese Matt, fraintendo.

Io risi.

“Ma no!”, esclamai, decisa. “Ero immersa nei miei pensieri, anzi. Scusa.”

Lui scosse il capo.

“Sono indiscreto se ti chiedo su cosa riflettevi?”, domandò poi, evidentemente interessato.

Io gli sorrisi. Pensavo a te, risposi mentalmente, fissandolo negli occhi. Feci fatica a non perdermi di nuovo nell’emozioni che nascevano dal suo sguardo.

“Mi chiedevo come avessi intuito, ieri, che non mi andava di stare con Robert.”, annunciai, curiosa.

“Era abbastanza chiaro.”, replicò, evasivo.

Rimasi a guardarlo, ma lui non aggiunse altro. Sembrava che tra noi dovesse calare di nuovo il solito silenzio ed io non riuscivo ad impedirlo. Contemplavo con un’attenzione smisurata il suo viso, il suo profilo, il suo corpo, così meravigliosamente statuari, così belli, così magici.

“Perché stai con lui, se non vuoi?”, mi chiese all’improvviso, cogliendomi alla sprovvista.

Io arrossii.

Era la domanda che avevo più temuto mi facesse, quella a cui neanche io riuscivo a dare una risposta soddisfacente. Cercai di spiegarmi, pregando che non mi giudicasse male. L’idea, anche solo il pensiero che avrei potuto indurlo a farlo, mi distruggeva.

“Robert sta attraversando un brutto periodo. Credo che, lasciandolo, lo farei soffrire troppo, in un momento che è già critico di per sé.”

Lui aggrottò le sopracciglia.

“Scusa se te lo dico, ma tu, al suo posto, vorresti che lui fingesse come stai facendo tu?”, domandò, serio.

Quelle parole mi colpirono profondamente. Era così lampante la verità che cercavo di nascondere a me stessa, che mi lasciò senza parole.

Realizzai la realtà delle cose, in un instante. Per mezzo delle sue parole. Il mio comportamento mi disgustava. Ero codarda. Ecco tutto. Non avevo il coraggio di dirgli la verità, temevo di farlo soffrire ancora, ma così sarebbe stato peggio, senz’ombra di dubbio. Ero abominevole.

Respirai a fondo e quando ebbi raggiunto un giusto contegno, sussurrai, debole: “Hai ragione.”

Con mia grande sorpresa, s’incupì terribilmente.

“Mi sono immischiato in faccende troppo personali. Mi spiace.”, si scusò, serio. Sembrava che avesse intuito la mia confusione, letto i miei pensieri.

Io scossi il capo, decisa.

“La tua era una constatazione di fatto, peraltro giusta.”, risposi, guardandolo con gli occhi ardenti.

Lui abbozzò un mezzo sorriso.

Io alzai gli occhi al cielo.

“Sai, sei un ragazzo veramente strano. Conosci una ragazza assurda, che si addormenta e fa incubi in una spiaggia affollata, ed invece di evitarla, le dai lezioni di vita.”, dichiarai, con un’espressione scettica ben costruita.

Questa volta, lui sorrise più apertamente. Aveva capito il mio impacciato tentativo di risollevargli il morale.

“Ti assicuro, Emily, che sei tutt’altro che assurda.”, replicò, convinto. “Anzi, direi che forse un po’ lo sei. Insomma, te ne vai in giro con un ragazzo che sta sempre zitto e grave, che è saccente e cerca di importi la sua visione delle cose.”

“Forse hai ragione. Io però sostituirei gli ultimi difetti elencati, con uno solo: la paranoia.”, ribattei, alzando gli occhi al cielo.

Lui sorrise.

La conversazione su quell’argomento parve definitivamente conclusa ed io mi abbandonai nel silenzio dell’ammirazione per l’effetto del sole sul suo viso e sui suoi splendidi occhi. Il mio sguardo si mosse rapidamente sulla carnagione scura, il torace appena scoperto dalla camicia, espressione di una perfezione indescrivibile. Notai un ciondolo che portava al collo, che prima mi era sfuggito.

Gli chiesi cosa rappresentasse.

Il suo viso s’illuminò, quando mi rispose.

“Me lo ha regalato Sophie. È il simbolo di una promessa che ci siamo fatti due anni fa. Di aiutarci a vicenda, sempre e comunque.”

I miei occhi si animarono all’istante di piacevole sorpresa.

“Mi piacerebbe tanto avere un fratello più grande. Qualcuno che possa guidarmi, aiutarmi e volermi bene.”, dichiarai, con una punta d’invidia nei confronti della mia nuova amica.

Matt rise alla mia espressione, divertito.

“Eppure, deduco che ti piace la realtà in cui vivi.”, affermò, d’un tratto pensieroso.

La domanda mi colse di sorpresa, ma risposi ugualmente.

“Molto.”, risposi, sorridendo. Poi soggiunsi, curiosa: “Da cosa lo deduci?”

Lui rivolse lo sguardo verso il mio, sorridendo in modo indecifrabile, quasi amaro.

“L’hai detto tu. Hai detto che non ti piacerebbe vivere in nessun altro posto.”, mi ricordò, pensoso, quasi triste.

Io abbozzai un’espressione serena, domandandomi cosa provocasse in lui una reazione del genere.

“Già, è vero.”, assentii, domandandomi come facesse a ricordare quello che avevo detto. Quell’affermazione doveva averlo particolarmente colpito, a quanto pareva.

“Non vorresti stare neanche in un luogo magico, un mondo diverso, magari più bello, più sincero, più intenso?”, mi domandò, fissandomi, inesplicabilmente avido di conoscere la mia risposta.

Quelle parole mi colpirono profondamente, risvegliando il mio più recondito desiderio, o almeno quello che lo era stato. C’era stato un periodo della mia vita in cui mi ero chiesta se ci fosse una realtà migliore, una fatta per me, a mia misura, secondo le mie esigenze ed i miei ideali. Ma era passato tanto tempo. Adesso avevo capito che non era quello che desideravo.

“Sono le persone che fanno parte del mio mondo, ma anche gli oggetti, i profumi, le immagini, che lo rendono perfetto, seppur non lo è.”, spiegai, pacata. “Questa è la mia piccola, ma bella realtà. Se dovessi cambiarla, dovrei trovare qualcosa di pari valore dall’altra parte.”

Lui mi guardò, abbozzando un sorriso.

I suoi occhi erano bellissimi. Mi fissava con un’espressione che non avevo mai visto, e le emozioni che riuscivo a scorgere nell’universo scuro in cui ero immersa erano nuove e fantastiche. Ero incatenata a lui e lui sembrava, strano a dirsi, esserlo a me.

“Cosa intendi per pari valore?”, sussurrò, avvicinandosi a me.

“Qualcosa che non mi faccia mai avere rimpianti.”, replicai in un bisbiglio.

Inconsciamente mi avvicinai a lui.

Non sentivo il mio respiro, il battito del mio cuore. Scorgevo nei suoi occhi una tempesta di desideri e il riflesso della mia unica, vera speranza in quel momento.

E poi, all’improvviso, tutto finì.

I suoi occhi si riempirono di un’espressione inorridita e li abbassò.

Poi, d’un tratto, alzò lo sguardo.

“Devo andare.”, disse solo.

“Cosa…?”, provai a domandargli.

Lui scosse il capo.

“Mi spiace, scusa.”, asserì guardandomi, tormentato.

Prima che avessi il tempo di fargli altre domande, lui era già sparito dalla mia vista. Osservai sbalordita il punto in cui era corso via.

Ma cosa era successo?

Non riuscivo a spiegarmi perché… Non poteva essere scappato così, solo per… E poi quell’espressione… No, era tutto assurdo.

Respirai a fondo, cercando di riprendermi.

Ero passata da una dimensione di sogni e magia, alla realtà. Cercai di analizzare lucidamente tutto, ma non mi era possibile.

Il mio sguardo era inchiodato sul punto in cui era sparito. Perché era corso via così? Senza un apparente motivo, una spiegazione logica. Non riuscivo a venire a capo di nulla, mentre domande su domande mi sommergevano, sempre più confuse.

M’imposi autocontrollo. Decisi di dirigermi verso casa e mi avviai a passo lento.

Ordinai a me stessa di analizzare ogni cosa con cognizione, quindi mi addentrai nelle mie riflessioni. Non mi sembrava di aver fatto qualcosa di sbagliato, quindi non era a causa mia che era se ne era andato. Ma allora perché? Sembrava veramente sconvolto, spaventato per qualcosa. Ma cosa? Per quale motivo?

Sospirai.

Non sarei arrivata ad una spiegazione soddisfacente, seppur mi fossi tormentata per tanto tempo. Era inutile continuare a fare congetture.

Mi accasciai triste sulla mia panchina, a cui ero arrivata proprio in quel momento.

C’era una parte di me, un luogo recondito della mia ragione, che mi urlava un possibile chiarimento della faccenda. Cercavo d’ignorarlo, di reprimerlo dentro di me, ma era impossibile. Mi chiedevo se non fosse sparito a causa del fatto che noi- era difficile persino solo il pensiero- be’, eravamo sul punto di… Ma forse mi sbagliavo io. Forse tra di noi non sarebbe successo nulla comunque. Probabilmente mi ero immaginata tutto, così presa dai miei desideri. Ma anche quello era difficile da accettare. Perché implicava qualcosa che non poteva, non doveva essere vero. Qualcosa che avrebbe reso ancor più terribile quello che stavo facendo a Robert.

Sospirai, cercando, invano, di calmarmi.

Sollevai lo sguardo e la luce del sole m’abbagliò. L’enorme stella ardeva rovente e solo allora m’accorsi di quanto facesse caldo. Era insopportabile stare lì, sotto la calura insostenibile. Terribile.

Guardai dinanzi a me, cercando d’evitare la luce diretta del sole.

Notai che dall’altra parte della strada c’era Sophie. Quando mi scorse, s’illuminò e mi corse incontro.

“Ciao, Emily.”, mi salutò. Sembrava preoccupata. “Hai per caso visto mio fratello?”

Quella domanda mi trafisse e la confusione che avevo cercato di reprimere ritornò nuovamente a opprimermi.

“Stavamo insieme fino a poco fa, ma poi è corso via.”, annunciai, cercando di dare un contegno alla mia voce.

Il suo viso si fece serio, la sua espressione pensosa. Pareva concentrata su qualcosa. Dopo alcuni istanti, però, si rilassò e sorrise. Si sedette accanto a me.

“Come va?”, mi domandò, allegra.

Io sorrisi.

“Bene.”, mentii, “E a te?”

Lei mi guardò, alzando le sopracciglia .

“Potrebbe andare meglio.”, rispose. Sembrava cercasse di apparire serena. “ Lizzy non ha nessuna tortura in programma oggi, per te?”

Risi, ripensando al nostro incontro.

“Spero di no!”, commentai, con un’espressione di timore dipinta sul volto.

La bruna sorrise, divertita. “Sai, la invidio.”, annunciò, cogliendomi di sorpresa.

Io la guardai, stupita. “Invidi Elizabeth?”

“Già.”, replicò, seria. “Sembra che nulla possa scalfire il suo costante buonumore. Ha un carattere splendido.”

La fissai, presa alla sprovvista. “Anche tu sei molto solare, Sophie.”

Lei sorrise, ma questa volta c’era qualcosa d’amaro nella sua espressione.

“Tento di esserlo.”, ribatté, cupa.

 Ricambiai il suo sorriso.

“Non si può essere sempre felici, sempre spensierati.”, commentai, ripensando al modo in cui io vedevo le cose fino a poco tempo prima. “A volte si rischia di essere anche un po’ superficiali. E non è bello.”

La mia nuova amica mi guardò, sorridendo.

“Sei molto più saggia di quanto mi aspettassi.”, dichiarò, nuovamente allegra.

Io alzai le sopracciglia.

“Non ho detto niente di saggio.”

Lei non volle sentire ragioni, anzi continuò a ribadirlo per tutto il cammino che facemmo insieme, verso casa. Ma io sentivo di non esserlo affatto. Se fossi stata veramente saggia, avrei saputo dare una spiegazione per quello che stavo provando per Matt. Se fossi stata saggia non avrei mai fatto una cosa del genere a Robert. Ma non lo ero. Decisamente, non lo ero.

 

 

Respirai a fondo, lasciando che quell’inconfondibile profumo m’invadesse completamente. Quell’odore tenue e dolce mi tranquillizzò, anche se per brevissimi istanti. Accarezzai, con lo sguardo vacuo, i petali blu della pianta che, tra tutte in quella serra, era in assoluto la mia preferita. Sfiorai lentamente il gambo ricoperto di spine, le foglie acuminate e di nuovo i morbidi petali di quella splendida rosa, quasi meccanicamente. Era una sensazione rasserenante, se non quasi appagante. Una di quelle poche sensazioni di pace che ancora mi rimanevano da provare. La mia vita era totalmente cambiata, dovevo ammetterlo, da quando la famiglia Elliot era arrivata lì. Ma cosa stavo dicendo? Non ne avevo abbastanza di mentire a me stessa? Ero completamente mutata da quando avevo conosciuto Matt Elliot. Lui ed i suoi occhi scuri, ricolmi d’emozioni, sempre più grandi, sempre più inondanti, lui ed il suo viso perfetto, che m’appariva familiare, lui. Aveva rivoluzionato le poche certezze che avevo, non sapevo neanche bene come. C’era solo una cosa di cui ero certa. Non ero più la stessa Emily. Quella ragazza che amava la sua realtà, che amava il suo ragazzo, che accettava che non esistesse un mondo d’eterna felicità. Adesso volevo di più. Desideravo andare oltre, oltre ogni cosa, perché avevo provato cosa volesse dire immergersi in un universo di luce profonda, di allegria subitanea, di sorpresa continua. Non mi sentivo così da tanto, troppo tempo.

Sospirai.

E così, ispirata da velleità fantasiose, avevo preso finalmente una sana, giusta decisione finale. Ero determinata e non mi sarei tirata indietro. Ma non era quello, stranamente, che temevo. La mia principale paura era -dovevo ammetterlo- il dopo. C’era qualcosa che mi era difficile razionalizzare. Qualcosa che, se dichiarato, anche solo a me stessa, sarebbe stato troppo doloroso sopportare. E, poiché stavo per allontanare da me l’unica persona che avrebbe potuto frenare anche solo gli accenni di una consapevolezza del genere, temevo di non riuscire a sopportarla.

Sentendo la porta aprirsi, mi riscossi e mi voltai.

Incrociai il suo sguardo.

Chissà perché avevo scelto proprio la serra. Forse perché era un luogo speciale per me. Forse perché mi sembrava l’unico luogo in cui non avevamo condiviso qualcosa. Né il nostro amore, né i nostri dissapori. Forse perché quella rosa blu mi dava sicurezza. Qualunque fosse il motivo, in ogni caso, adesso lui era lì. Ed io dovevo adempiere alla mia scelta.

“Ciao, Robert.”, lo salutai, cauta.

Lui mi sorrise, con un espressione vagamente sorpresa.

“Ciao, amore.”, ricambiò, avvicinandosi. “Perché hai voluto che ci vedessimo poco prima d’uscire? E perché proprio qui?”

Allontanai il mio sguardo dai suoi occhi, la cui cieca fiducia mi trafiggeva.

“Non saprei esattamente perché proprio qui.”, risposi calma, ripensando alle mie precedenti riflessioni.

Robert mi fissò, in attesa.

“In quanto al motivo…”, ripresi, sentendomi stranamente tranquilla, “Be’, forse è meglio che ci sediamo.”

Lui incrociò i miei occhi, evidentemente stupito e con un lievissimo velo di preoccupazione sugli occhi.

Ignorai la sua espressione interrogativa e mi sedetti su una panca, vicino alla seconda delle due rose blu presenti nella serra. Aspettai che lui s’accomodasse accanto a me, poi, con un enorme sforzo di volontà, mi costrinsi a guardarlo negli occhi.

“C’è una cosa che ti devo dire.”, annunciai, seria.

Lui abbozzò un sorriso. “Così terribile, eh?”, domandò, cercando di affievolire la tensione creatasi fra di noi.

Annuii, senza ricambiare il sorriso.

“Robert, ascolta… io…”, esordii, ma era dura continuare.

Respirai a fondo.

“Non credo di poter stare ancora con te.”

Un lampo di dolore attraversò i suoi occhi. Distolsi lo sguardo, dispiaciuta, ma allo stesso tempo sollevata, di aver detto quello che sentivo. Non volevo che soffrisse, non volevo che nessuno stesse male a causa mia, ma Matt aveva perfettamente ragione, non era giusto mentire a quel modo.

Il silenzio tra me e Robert durò alcuni istanti, che a me parvero ore interminabili. Finalmente lui lo interruppe.

“Ce l’hai ancora con me per quella storia?”, mi chiese ansioso, ma, chissà perché, pareva desiderare una risposta affermativa.

Ancora una volta lo delusi. Non m’interessava più che fosse andato con un’altra. Era già stato perdonato. Scossi il capo.

“Io… non credo di provare la stessa cosa che provi tu nei miei confronti.”, spiegai, cercando di avere più tatto possibile. Non mi sembrava che un secco ‘non ti amo più’ potesse andare bene.

Lui, sorprendendomi, sollevò le sopracciglia, irato.

Rise sguaiatamente, ma sentivo il suo rancore e lo osservavo sprizzare dai suoi occhi.

Lo fissai, sgranando gli occhi.

“Ti sei innamorata di quello lì.”, sentenziò, quasi disgustato.

Ero stupita, non riuscivo a capire cosa volesse dire.

Alla mia espressione, lui sorrise, ma era un sorriso gelido, cattivo.

“Ti sei innamorata di Matt Elliot.”

Rimasi a bocca aperta, non in grado di proferir parola. Era forse quella la realtà che faticosamente cercavo di nascondere a me stessa? Era così evidente? Ma, cosa più importante, era la verità?

Cercai disperatamente di riprendermi. Mi alzai e mi avvicinai piano alla mia rosa. Ne toccai nuovamente i petali, tentando di rilassarmi.

Quando fui sufficientemente certa d’aver raggiunto un contegno, mi voltai.

Lui era lì, in attesa che io confermassi la tua teoria.

“Non ho idea di cosa ti porti a pensare una cosa del genere.”, iniziai, fredda. “Sinceramente, se la tua era una domanda, non saprei risponderti.”

Sospirai, ma per fortuna lui non m’interruppe. “C’è una cosa che però ti posso assicurare. Al di là di quello che potrei provare per Matt o per chiunque altro, sta di fatto che per te io non nutro che un profondo affetto, dettato da tutto il tempo che abbiamo passato insieme. Nient’altro. Non mi sembra giusto continuare la nostra storia.”

Robert mi fissò, come se fossi una crudele e spietata aguzzina. Sentii la tristezza invadermi, ma non potevo rimproverarmi nulla.

“Quando ti ho detto dei miei, mi hai consolato. Hai detto che l’amore esiste davvero. Tutte quelle volte che mi hai detto di non poter stare senza di me…Erano tutte bugie!”, esclamò, con rabbia.

Io scossi il capo.

“Io non ho mentito. Credevo di amarti e forse…”, era difficile spiegare, ma avrei tentato comunque, sebbene riuscissi a malapena a controllare il tono della mia voce. “Forse ero davvero innamorata di te. Ma il tempo cambia molte cose…”

Respirai a fondo, ma lui non riprese la parola.

“Il fatto che io non ti ricambi più, non vuol dire che l’amore non esista. Non sono la persona giusta per te, ma sono sicura che…”, provai a fargli notare, ma lui m’interruppe.

“Non ho bisogno di te, Emily. Sei diversa da come credevo che fossi. Non voglio più stare con te.”, dichiarò, rancoroso, lanciandomi uno sguardo fulminante, che mi fece crollare. Poi mi voltò le spalle ed uscì, senza aggiungere altro.

Mi accasciai sulla panca, sentendo piccole, calde lacrime che mi scendevano lungo le guance. Il disgusto ed il rancore con cui mi aveva guardata, le sue parole, la sua rabbia. Erano state terribili, ma non potevo biasimarlo. Lo capivo perfettamente. Anch’io, quando lui mi aveva tradita, avrei voluto urlargli in faccia che non era che un essere indescrivibile, che avrei fatto benissimo a meno di lui. Era dura da sopportare, con i sensi di colpa che già mi sferzavano brutalmente, ma ce l’avrei fatta. Forse, se gli avessi dato un po’ di tempo, lui avrebbe capito. Avrebbe accettato ogni cosa. Cercai di rassicurare me stessa, ma mi resi conto che era difficile calmarmi. Mi asciugai le lacrime con un gesto veloce, e con un ultimo saluto alle mie rose, uscii dalla serra.

Respirai a fondo l’aria circostante, lasciai che i miei capelli venissero mossi dal vento e che la sensazione carezzevole della brezza m’attraversasse completamente. Permisi ai miei occhi di vagare, catturando le sfumature del terriccio, la molteplicità di riflessi sulle foglie e sull’acqua marina e l’incantevole moto ondeggiante della sua spuma. Mi avviai pian piano, calma, verso la casa dell’unica persona che avrebbe potuto consolarmi.

Cercavo di rubare ogni cosa, ogni più piccolo oggetto del panorama sconfinato, con lo sguardo,nel tentativo di distrarmi. Sapevo che non ci sarei riuscita, ma avevo bisogno di essere lucida e di riflettere. Con il cuore offuscato dalla tristezza non sarei riuscita a fare nulla.

Dopo molti ed inutili tentativi di abbandonare quello stato di totale confusione, mi arresi. Forse, sfogandomi, sarei riuscita nel mio intento.

Affrettai il passo.

Giunsi dinanzi al portone in pochi minuti, sebbene a me parvero ore interminabili. Mi fermai, ripresi fiato e suonai decisa il campanello.

La voce familiare della mia amica mi rassicurò e il mio cuore, che si dibatteva in strane ed insopportabili, dolorose sensazioni, cominciò a rallentare il suo battito. Salii velocemente le scale e mi fermai dinanzi alla porta socchiusa. M’imposi un contegno, augurandomi che non si notasse che avevo pianto. Entrai cauta e Lizzy m’accolse allegra, con i capelli avvolti in un asciugamano, annodata sopra la testa. Non appena mi vide, trasalì.

“Cosa ti è successo?”, mi domandò, sorpresa.

Mi rimproverai il mio patetico tentativo di apparire serena.

“C’è qualcun altro in casa?”, chiesi, impaziente.

Lei scosse il capo.

Io chiusi la porta e mi sedetti sul divano. Respirai a fondo, mentre lei si sedeva accanto a me, guardandomi sbalordita.

“Devo raccontarti una cosa.”, esordii, cercando di apparire quantomeno tranquilla. Fu un penosissimo tentativo. Non appena la misi a parte dei sospetti di Robert e dei suoi sguardi, ricolmi di rancore, che mi avevano dolorosamente sferzato, come il vento freddo in una notte d’inverno, non potei trattenere le lacrime, che sgorgarono incontrollate sulle mia guance.

Lei stette ad ascoltare, senza interrompermi, finché non terminai.

Poi, lanciandomi uno sguardo calmo, disse: “Non hai niente da rimproverarti. Hai fatto la cosa giusta.”

Io la fissai. Mi sentivo agitata e confusa ed era insopportabile.

“Forse avrei dovuto aspettare, non avrei dovuto dirglielo a quel modo, forse…”, proruppi, profondamente scossa.

Lei m’interruppe, severa. “Sarebbe stato peggio se avessi aspettato e sei stata quanto più gentile possibile. Non ci puoi fare nulla, se lui è un… Non mi fa parlare!”

Scossi il capo. “È normale che si sia comportato così, lo…”

Lei mi frenò di nuovo, arrabbiata. “Normale? Oh, Emily, ma la finisci di difenderlo?”

Notando il mio sguardo, alzò gli occhi al cielo, esasperata.

“Quando io ho lasciato Alex, lui non l’ha presa così!”, esclamò, guardandomi.

Per un attimo la mia espressione rimase confusa, poi spalancai gli occhi.

“Lo hai lasciato?”, domandai, stupita.

Non me lo aspettavo. Era chiaro che Lizzy non lo amava davvero, ma sinceramente non credevo che si sarebbe finalmente decisa a mettere fine alla sua relazione con lui.

Lei annuì, impaziente. “Non divagare!”, ordinò, aspramente.

Sospirai, ritornando al mio stato d’inquietudine.

“Quello che ha detto di Matt…”, iniziai, con voce malferma.

Lei mi guardò, d’un tratto seria.

Io studiai la sua espressione. “Credi che abbia ragione?”, domandai, stupita.

Lizzy distolse lo sguardo.

“Non sono io a poterlo stabilire, Emily.”, affermò, pacata. Poi si voltò verso di me. “Tu cosa provi per lui?”

Abbassai lo sguardo, pensierosa. Che cosa provavo per lui? Avrei voluto ammettere a me stessa di non saperlo, ma mi era chiaro. E sebbene non volessi accettarlo, era evidente in me stessa.

“Io… penso d’amarlo.”, dichiari, in un sussurro flebile, che si perse nell’ondata di angoscia che m’avvolse.

 

 

I suoi occhi, del colore d’una foglia, fissarono pieni di tristezza quelli, d’un castano scurissimo, quasi nero, che si posavano su di lei, pieni di rancore.

Ero in un luogo pieno di piante d’ogni tipo, ricolmo di profumi, di dolcezza, ma la cui atmosfera sembrava gelida, come il marmo. Guardavo cauta i due, nascosta in un angolo, ma, chissà per quale motivo, sapevo che non mi avrebbero visto.

Studiai con interesse i capelli ramati della ragazza, che ricadevano morbidi sulle spalle, la sua carnagione cerea, il suo corpo magro, i suoi occhi, dall’espressione smarrita. Ogni cosa mi era familiare di lei e sentivo, inspiegabilmente, una sensazione di vuoto profondo nel cuore. Volevo avvicinarmi alla ragazza, consolarla in qualche modo, ma temevo che lui mi vedesse.

Studiai i suoi interminabili occhi cupi, la sua freddezza, il suo corpo già ben strutturato, sebbene ancora per certi tratti infantile, la sua espressione di profondo odio. Rabbrividii, terrorizzata. Non osai avvicinarmi.

La ragazza non sembrava temerlo, ma continua a fissarlo, preoccupata.

“Mi spiace.”, sussurrò, una voce dolce e quieta.

Sentii qualcosa risvegliarsi in me. Un suono confuso, indistinto, una voce melodiosa che cantava. Sussurrava, parola su parola, una sinfonia meravigliosa, il dolce suono dei tasti di un piano, nostalgico, ricolmo d’amore. Mi accorsi delle lacrime che scorrevano sul mio viso, copiose e calde. Non capivo perché, non avevo idea di cosa mi stesse succedendo, sentivo solo il bisogno di piangere.

Lui la guardò, pieno d’odio.

Realizzai che, qualunque cosa portasse lei a scusarsi, non sarebbe mai stata perdonata.

Lui bisbigliò qualcosa, non riuscii a cogliere le parole. Lei scosse il capo, distrutta.

I suoi occhi si posarono sulla sua figura.

Un odio, un odio profondo, incredibilmente inondante, pressante, terribile, scaturì dalle profondità di quel colore così scuro. Uno sguardo terribile, micidiale, crudele. La bellissima ragazza, dai capelli ramati e fluenti, cercò di avvicinarsi a lui. Il suo sguardo era di ghiaccio. Sembrava volesse fulminarla. Non doveva avvicinarsi. Dovevo impedirlo, dovevo proteggerla. Mi sentivo in dovere di farlo. Ma non sapevo come. Lei gli era pericolosamente vicina.

Urlai, spaventata, con tutto il fiato che avevo in corpo.

Spalancai gli occhi, terrorizzata, guardandomi intorno. Dinanzi a me si ridefinivano lentamente i contorni di una stanza scura, di una finestra coperta da una lunga ed allegra tenda, di una ringhiera ferrea di un letto. Per un istante faticai a capire dove mi trovavo. Poi, sollevata, mi accasciai sul cuscino.

Era stato solo un sogno. Un angosciante, cupo incubo, ma nient’altro che quello. Respirai a fondo, cercando di cancellare l’immagine vivida di quegli occhi crudeli, che mi balzava ancora dinanzi agli occhi. Avevo già visto un colore come quello. Non ricordavo esattamente dove, ma ne ero assolutamente certa. Un castano scurissimo, un nero sbiadito. M’imposi di non pensarci. Ero già abbastanza spaventata così. Lentamente mi costrinsi a scendere dal letto. Infilai le pantofole e mi diressi in cucina.

Le 9:30. Avevo fatto veramente una lunga dormita. Per fortuna i miei erano usciti. Sicuramente le mie urla li avrebbero preoccupati.

Preparai velocemente il caffè ed il latte, che bevvi in fretta. Avevo voglia d’uscire. Speravo che l’aria fresca lavasse via ogni residuo di quel sogno. Mi vestii in un lampo, rifeci il letto e, dopo aver preso le chiavi, mi diressi verso l’uscita. In men che non si dica, mi ritrovai in strada.

Mi avviai cauta, contenta che il clima della giornata si rivelasse meno afoso, dirigendomi verso il lungo mare. Prestai un’attenzione smisurata ad ogni aspetto del paesaggio, spiegandomi questo comportamento con la volontà di non ricordare il mio sogno. Ma c’era una consapevolezza nascosta, sepolta da una miriade di pensieri, che m’imponevo d’avere, che se avessi accettato, sarebbe stata causa di non poca sofferenza. Il fatto che fosse stata il mio primo pensiero, mentre lentamente mi riprendevo dal sogno e facevo colazione, doveva assolutamente essere dimenticato. Ero, tra l’altro, anche molto in ansia. Non riuscivo ancora a spiegarmi per quale motivo fosse sparito a quel modo, senza spiegare nulla. Adesso che mi ero resa conto di ciò che provavo, be’… Temevo che l’avesse notato anche lui. Forse era per quello che…? Ammettere una possibilità del genere era insopportabile. Mi sforzai di pensare ad altro. Poiché, tra le mie molteplici riflessioni, se decidevo di scartare l’argomento Matt, si faceva strada lo sguardo ricolmo d’odio che mi aveva tanto terrorizzata, mi arresi a quest’ultima opzione. Cercai di riuscire a scoprire, rispolverando insistentemente i miei ricordi-fui accurata nel tenere lontana quelli che lo coinvolgevano- dove li avessi già visti. Non ebbi buoni risultai, ma almeno riuscii a distrarmi.

Arrivata sul lungo mare fui sorpresa di scorgere una sagoma conosciuta, che, appoggiata al muretto, osserva le acque cristalline, che scintillavano al sole quasi fossero composte di diamanti, e la sabbia, il cui inondante odore mi invadeva completamente i polmoni.

Mi avvicinai, piano e mi sistemai accanto a lui.

Sobbalzò. Mi guardò e s’illuminò con un grande sorriso.

“Da quanto tempo…”, esordì, allegro.

Io ricambiai, con pari gioia.

“Eh, già. Come stai, Charlie?”, domandai, cercando di scacciare le domande che mi sorgevano spontanee in mente. Anche se lui abitava nella stessa casa degli Elliot, non voleva dire che sapesse… Dovevo smetterla di pensare a Matt.

“Bene, e tu? Mi sembri un po’… uhm, non saprei definire la tua espressione… preoccupata?”, domandò, senza, però, perdere il suo buon umore.

“Ehm, forse, un po’…”, dichiarai, evasiva. Poi, controllata da chissà quale istinto: “Ehm, sai come sta Matt?”, balbettai velocemente, rimproverandomi immediatamente la mia debolezza.

Lui, inaspettatamente, sorrise.

“Mi aspettavo questa domanda. Ti stai chiedendo perché ieri è sparito così, non è vero?”, chiese, con una punta, impercettibile -pensai quasi di averla solo immaginata-, di malinconia.

Annuii, sorpresa che lui ne fosse a conoscenza.

“Te lo spiegherà lui non appena v’incontrerete, ma se vuoi posso anticipartelo io.”, affermò, guardandomi.

“Credo che qualche spoiler non farà male.”, replicai, la curiosità alle stelle.

“L’ho chiamato io. Avevo un bisogno impellente della sua presenza.”, chiarì, sereno.

Io lo guardai attentamente. Mentiva. Era più che evidente. Era una bugia bella e buona. Matt non aveva ricevuto la chiamata di nessuno. Ma non feci altre domande. Non volevo risposte da lui. Era qualcun altro che doveva fornirmi spiegazioni, pensai arrabbiata. E poi, avevo una scusa per rivederlo, pensai, un po’ più sincera con me stessa. Sospirai, cercando di allontanare quella strana sensazione d’ansia che m’avvolgeva.

Lui mi osservava, curioso. Sembrava sorpreso che avessi accettato le sue dichiarazioni senza batter ciglio. Forse si aspettava che controbattessi. Era chiaro che come scusa era abbastanza penosa. Alzai gli occhi al cielo.

“Be’, che mi racconti?”, chiesi, cercando di mostrarmi tranquilla.

Seguitò a fissarmi, ancora stupito, poi si riprese. Sorridendo, disse: “Nulla di particolare. Solite cose. E tu?”

Io scossi il capo.

“Credo che qualche spirito maligno mi perseguiti.”, annunciai, falsamente seria.

Sollevò le sopracciglia. “Spirito maligno?”, ripeté, confuso.

“Non faccio che fare strani incubi.”, risposi, in tono leggero.

Lui si fece serio. Sembrava averla presa molto peggio di quanto non mi aspettassi. In fondo la faccenda dello spirito era solo uno scherzo.

“Che tipo di incubi?”, mi domandò, ansioso.

Ripensai alla donna con i capelli ramati, evidentemente la stessa persona in entrambi i sogni, al suo compagno in quel luogo pieno di fiori, con gli occhi scuri e cattivi. Stavo per raccontarglielo, quando fui colta da un’illuminazione improvvisa. Sollevai lo sguardo, per incrociare il suo.

Lui mi fisso, interrogativo.

Aveva occhi scurissimi, profondi e freddi. Quegli occhi. Ne ero certa. Erano identici. C’era un’unica cosa che li differenziava da quelli del sogno… Al posto del terribile odio, che avevo visto animarsi contro la ragazza, c’era una dolce sfumatura di bontà.

Salve a tutti!

Che piacere rivedervi! (sì, certo, come se io potessi vedervi!) Eccomi qui, con un nuovo cap della storia. Innanzitutto vorrei ringraziare le mie due lettrici accanite, Padme Undomiel e Mistery Anakin: sappiate che ricevere le vostre recensioni mi rende molto felice, ma anche tutti i lettori e tutti quelli che seguono la mia storia! Vi ringrazio di averla notata e spero che vi sia piaciuta!

In questo nuovo capitolo, con somma felicità di qualcuno, Robert sparisce definitivamente, mentre Emily si accorge del ruolo importante che ha Matt nella sua vita. Spero di aver reso bene la situazione e spero di non aver deluso tutti coloro che vorranno leggere qst cap!

Grazie ancora, 

Shine

  
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