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Autore: Mue    24/01/2017    1 recensioni
La partenza di Dana per l'università è imminente quando il padre le comunica di aver sventatamente venduto l'appartamento in cui vivono a un vecchio e ricco impresario di città.
Dana, caustica e dall'arrabbiatura facile, ha così l'occasione di scontrarsi con Max, il lusinghiero, contraddittorio e spocchioso nipote del suo nuovo proprietario di casa.
Il loro incontro sarà solo l'inizio di una serie di vicende e personaggi che li porteranno a ritrovarsi e scontrarsi di nuovo sullo sfondo magico e affascinante di Venezia.
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«Salve, Dana. Tutto bene?»
Dana aprì la bocca. Poi la richiuse. Poi la riaprì. «Max?»
«In carne, ossa e tutto il resto, come puoi constatare» rispose lui con un sorriso scintillante.
Il Vetril, pensò subito Dana, senza alcuna logica.
Lo squadrò da cima a fondo, ancora un po’ stordita. «In carne, sigarette e Armani, vorrai dire» osservò critica.
«No, Versace.»
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Ed eccomi ancora qui.
Come ho già spiegato (o forse no, nel qual caso perdonatemi per la mia sbadataggine), questa storia è stata scritta molto tempo addietro e ho deciso dopo diversi anni di ripubblicarla e modificarla in modo da renderla un po' più realistica, dettagliata e meno un lavoro, diciamo, immaturo o giovanile (non che adesso sia chissà che anziana o matura, ma sorvoliamo).
Ho sempre pensato che alla vecchia storia mancasse una parte importante per comprendere appieno tutte le sfumature e pensando e ripensando mi sono resa conto che era proprio il punto di vista di Max.
Perciò eccomi a proporvi, come sesto capitolo, l'inizio visto dalla sua spocchiosa, borghese prospettiva :)
Fatemi sapere.
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VI.

MAX


Max allontanò la tazzina del caffè -pessimo, non c'era altra parola per definirlo- e si accese un'altra sigaretta.
Il locale era ombroso, sapeva davvero di vecchio, di trasandatezza e il barista dietro il bancone stava asciugando i bicchieri usciti dalla lavastoviglie con uno straccio che Max avrebbe giurato urgere al più presto di una disinfezione accurata. Se non direttamente di un bidone della spazzatura.
Cercò di trattenere un sospiro e di non pensare a quanto lavoro l'attendeva una volta tornato a Milano... e anche di non pensare al resto che lo attendeva a Milano.
Denise.
Ancora non riusciva a credere che lo avesse fatto. Che si fosse innamorata di un nuovo arrivato orientale con gli occhi a mandorla, un dannato giapponese. Innamorata. Ma ciò che gli dava ancora più fastidio era il fastidio stesso che lui, Max, provava in quella situazione.
Aveva sempre pensato di volere Denise: lei era perfetta per lui: simile nel modo di pensare, di agire, di atteggiarsi; avevano gli stessi gusti in fatto di compagnie e di tutto il resto, durante le loro conversazioni erano sempre perfettamente in accordo tra di loro. Poi era arrivato il giapponese e lei, per quanto non cambiata nella sostanza, aveva cominciato a comportarsi in modo strano, del tutto incoerente con il suo carattere, i suoi valori, i suoi pensieri.
Max si era trovato spiazzato ma non era tipo da scenate e aveva incassato il colpo con perfetto aplomb. Troppo perfetto, a dire di lei, che la sera in cui c'era stato l'incidente a teatro gli aveva fatto osservare, pungendolo sul viso: «Grazie per quello che hai fatto per me, Max, sei stato veramente prezioso. Credevo di averti ferito ma vedo con piacere che non mi stavi corteggiando ma ti piaceva soltanto la mia compagnia -e ne sono onorata: sei sempre così garbato, non potresti mai mantenere la calma tanto quanto hai fatto con me se fossi stata la ragazza che ti interessa davvero, sarebbe impossibile.» Aveva riso. «Ti conosco e sei uguale a me, quindi so cosa potresti fare quando ti piacerà davvero qualcuno.»
Max aveva risposto quanto più serenamente e garbatamente possibile ma si sentiva stizzito. Normalmente sarebbe stato compiaciuto della calma che era riuscito a mantenere e di non essersi esposto nei confronti di Denise tanto che lei potesse immaginare ci fosse un interesse da parte di lui, dato come poi erano andate le cose -anche se l'elevato amor proprio di Max gli rendevano ancora difficile credere che se si fosse sbilanciato, Denise non avrebbe davvero preferito lui. Tuttavia le parole della ragazza gli rosero il cervello come un tarlo per tutti i giorni successivi: sì, lui e Denise erano uguali, anche lui ne era convinto, ma il resto del discorso di lei era assurdo, sebbene non riuscisse a toglierselo dalla testa; maledizione, lei non poteva avere ragione anche sul resto! Che dopotutto lei gli era indifferente, che lui non avrebbe potuto mantenere la calma se ci avesse tenuto davvero, che addirittura si sarebbe potuto comportare come aveva fatto lei col suo giapponese, in quel modo strano, incoerente, brutto a modo di vedere di Max...
No, Max scacciò quei pensieri, irritato con se stesso per lasciarsi turbare da sciocchezze di quel genere e determinato a proseguire quanto più quietamente possibile il soggiorno al lago con lo zio senza pensare a Denise, al giapponese o ad alcunché. Era partito da Milano per aiutare lo zio e per cercare di tenergli alto l'umore dopo la morte della moglie e anche per guarire la caviglia dopo l'incidente a teatro.
Aspirò il fumo volgendo lo sguardo all'esterno, verso la strada che scendeva nel centro storico del paese e terminava sulla banchina del lungolago. Una gita in barca, ecco cosa avrebbero potuto fare: sarebbe stato un bel diversivo e Max bramava da tanto di tornare su una barca a vela; aveva fatto una piccola crociera in Croazia qualche anno prima con degli amici e da allora si era sempre detto che voleva ripetere l'esperienza.
Mentre cominciava già a pensare a come organizzare la cosa una voce profonda ma indubbiamente femminile risuonò nel bar. «Ehi, ciao!»
Max alzò lo sguardo in automatico. La prima cosa che lo colpì furono le lentiggini: una costellazione di lentiggini, da far impallidire la Via Lattea, su una pelle che non fosse stato per il sole estivo del lago sarebbe stata color latte ma che ora aveva un tono ambrato. 
Max non aveva mai apprezzato le bellezze di tipo irlandese, figurarsi quella ragazza a  malapena carina, eppure lo colpì. Stava ordinando un gelato al barista e Max riconobbe il capello che portava, un Borsalino grigio: Max e suo zio erano appena stati a concludere l'acquisto di un condominio che suo zio voleva trasformare in una casa dove ritirarsi ora che era vedovo e avevano portato il cappello in questione come dono al proprietario dell'unico appartamento ancora occupato nel complesso fatiscente. Avevano trovato in casa lui e il figlio, ma avevano compreso che c'era anche una figlia che però durante la visita era rimasta in giardino e non avevano conosciuto. 
Max la studiò e si trovò combattuto tra la curiosità e l'orrore. Scarponi vecchi e consumati, abbigliamento risalente almeno a quindici anni addietro con qualche macchia d'erba e di terra e una maglietta scolorita. L'inconscio di Max la comparò subito a Denise -da quando l'aveva conosciuta, aveva stabilito che era lei il suo ideale di donna- e quel paragone era talmente stridente, talmente assurdo che non riuscì a non ridere tra sè.
La ragazza si infilò in una tasca il pacchetto di sigarette che aveva acquistato, prese in mano il gelato e si guardò intorno. I loro sguardi si incrociarono e Max, ancora divertito dai suoi pensieri, le sorrise.
Ancora indeciso su che genere di ragazza si trovava davanti si basò sulla reazione di lei per catalogarla e vederla ignorarlo spudoratamente con un'espressione snob e accomodarsi con noncuranza su uno sgabello e mangiare il gelato gli diede la conferma che era una di quelle ragazzette impacciate e boriose che bilanciavano con il disprezzo la disagevole differenza di status con chi sentivano come superiore a loro per ricchezza, bellezza o altro. Bisbetiche provinciali, le chiamavano gli amici di Max non a torto.
In quel momento lo zio tornò dal bagno e dato che la ragazza si trovava a metà strada tra la porta della toilette e il tavolo dov'era seduto Max, anche lui la notò e comprese chi dovesse essere.
«Ciao», le disse infatti gentilmente.
La bisbetica provinciale rispose rigidamente: «Buongiorno», proprio come Max si era aspettato: che noia.
Ci fu un breve scambio di battute tra lei e lo zio e dopo una presentazione rapida anche Max fu invitato a unirsi alla conversazione.
«Ah, e questo è mio nipote, lo conosci?», stava dicendo lo zio.
«No.»
Max si alzò cercando di essere cordiale. «Piacere, Massimo», si presentò allungando una mano.
«Dana», disse lei semplicemente dandogli la sua e guardandolo negli occhi. Max, che aveva ormai deciso che lo annoiava, non riuscì a non provare però di nuovo un moto di interesse ricambiando lo sguardo e guardandola da vicino: aveva gli occhi scuri, come due buchi neri in mezzo a una costellazione di stelle rosse.
«Bel cappello», le disse con ironia.
«Già, è nuovo» fu la risposta di lei accompagnata da un sorriso e Max notò che quando sorrideva arricciava il naso. Il senso estetico di Max ne fu disturbato ma senza che lui ne fosse consapevole, stava già ricambiando il sorriso.«Mi pareva.»
Suo zio s'intromise. «E’ tardi, Max, dobbiamo tornare in albergo.»
«State in albergo?», chiese Dana.
Lui annuì. «Al Torrelago.»
«Bel posto.» Il tono in cui lei si espresse aveva una nota sprezzante che non gli sfuggì.
Riecco la bisbetica provinciale, si disse lui e relegò di nuovo Dana nella categoria mentale a cui ella apparteneva, sopprimendo la scintilla d'interesse precedente.
«Già», annuì lo zio. «E’ stato un piacere conoscerti. Se tu o tuo fratello voleste venire a trovarci vi aspettiamo.»
«Grazie, glielo dirò. Arrivederci.»
Lo zio si avviò all'esterno. «Arrivederci.»
Max la salutò a sua volta rapidamente. «Ciao Dana.»
«Ciao Massimo», rispose Dana, ancora con quell'espressione di diffidenza e superiorità.
Max, disturbato da quello snobismo, ebbe improvvisamente voglia di dare a quella ragazzetta sprezzante una lezione di buone maniera. Sfoderò il suo sorriso migliore: «Max.»
«Max», ripeté Dana sbilanciandosi in un sorriso e Max non riuscì a non fissare ancora come arricciasse il naso. Insolita
   
 
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