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Autore: keska    30/05/2009    30 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Un rumore fragoroso, un tuono, mi fece immediatamente riaprire gli occhi

Capitolo riveduto e corretto.

 

Avevo ancora gli occhi chiusi quando riuscii, con le ultime forse, a voltarmi supina. Non avere l’erba secca e calda a pungermi le guance fu quasi piacevole. Mi sentivo molto stanza, e intorpidita, come se stessi per assopirmi. Aprii le palpebre, e vidi tantissime piccole goccioline dirigersi in un moto affannato verso i miei occhi e tempestarmi il viso. Vedevo gli abbagli luminosi causati da tuoni e fulmini. Presto le gocce d’acqua si fecero più grosse, inzuppandomi i vestiti e il volto. Un altro tuono. Il fumo si levava sempre più prepotentemente intorno a me, tanto che oramai non riuscivo più a vedere nulla. Tutto era ricoperto da una coltre grigia. Ancora uno, e un altro e un altro ancora, i tuoni non smettevano di rimbombarmi nelle orecchie. Finché non mi accorsi di essere circondata dal rumore assordante del temporale. Lo scrosciare della pioggia copriva ogni rumore di fuoco, producendo un tanfo puzzolente di carboni umidi.

Volsi leggermente il viso. Il fuoco, che potevo distinguere come un bagliore rosso, ora raggiungeva circa i dieci metri; si era notevolmente ridotto rispetto a pochi istanti prima. Il fango creatosi intorno a me m’imbrattava la camicia, i jeans, e il velo da sposa che, fino a pochi istanti fa, era candidamente bianco.

Il fuoco o Edward? Avevo scelto il fuoco o Edward? Respirai, di un respiro volontario e più profondo. Ero ancora viva. Avevo scelto Edward.

Ero così… confusa. Annebbiata. Nonostante gli elementi naturali lottassero fra di loro a pochi metri da me, mi sentivo come sospesa in un mi universo personale, nel quale non era affatto necessario muoversi.

Quanto tempo stava passando?

Le gocce che ora mi impastavano il viso, i capelli, gli occhi, e si erano insinuate così fastidiosamente da costringermi a battere in continuazione le ciglia. Avrei dovuto voltarmi, probabilmente. Se solo avessi potuto…

Non ce ne fu bisogno. Due braccia forti mi sollevarono, strappandomi via dal fango umido che si stava formando. Avvolsi le braccia contro il suo corpo e lo chiamai per nome. «Edward». Non era un sollievo dirompente quello che provavo: come se avessi da sempre previsto che sarebbe venuto da me, che sarebbe venuto a salvarmi.

«Andrà tutto bene» mi promise, risoluto. Non era ancora finita? Non andava, già, tutto bene? Il suo viso era teso. Fra i suoi capelli erano intrappolate innumerevoli gocce di pioggia. Mi accarezzò le guance, poi si voltò, mormorando qualcosa a qualcuno che gli stava accanto. Si voltò ancora a guardarmi negli occhi. «Ce la fai a metterti in piedi? Ce la fai a camminare?».

Annuii, gli occhi chiusi, e in realtà mi lasciai trascinare verso l’alto dalle sue braccia mentre mi metteva in posizione eretta. Le sue braccia sostenevano quasi completamente il mio peso.

«Reggila, non credo che riesca a mantenersi in piedi da sola; portala da Carlisle e dagli umani» continuò Edward, parlando con la persona a cui mi aveva affidata, e che mi stava sorreggendo in quel momento. Volsi appena lo sguardo: Rosalie. La vampira non doveva essere molto contenta di ritrovarsi lì con me, mentre la imbrattavo di fanghiglia, ma non lo diede comunque a vedere. Sembrava invece piuttosto… impaziente.

Guardai Edward, senza capire. Non sarebbe venuto con noi? Si stava osservando attorno, guardando oltre il fumo, dove i miei occhi non riuscivano ad arrivare. Tossii, forte, quando l’odore acre mi penetrò nei polmoni. «Edward» mormorai, chiamandolo. Si voltò in un attimo nella mia direzione. «D-dove… dove vai?» farfugliai, confusa.

La sua espressione si fece ansiosa. Certo. Come avevo fatto a non capirlo prima? Jacob era ancora lì fuori, a piede libero. E Alice e Jasper, Emmett… dovevano essere con lui. Prima che potessi capirlo sentii la bile risalirmi in gola, acida, e mi piegai in due, rigettando in una tosse convulsa quel poco che il mio stomaco conteneva. Così poco.

Sentii distintamente le braccia di Edward sostituirsi a quelle di Rosalie, e la sua mano fredda rassicurante sulla fronte. Ora doveva essere davvero schifata.

«M-mi dispiace» balbettai, tremante, rendendomi conto di non riuscire a bloccare la tosse convulsa, anche se nel mio stomaco non c’era più niente, ormai.

«Shh, shh, va tutto bene» sussurrò al mio orecchio Edward. «Tranquilla» mi rassicurò, accarezzandomi la schiena.

Sentii uno schiocco, un ruggito feroce e un grido.

«Edward!» gridò Rose, e quando sollevai lo sguardo trovai il suo, preoccupato come non mai. Cos’era successo?

«Va’ da loro, Rose. Mi occupo io di lei, vai» rispose veloce lui, e se non mi avesse tenuta così stretta ero certa che sarei caduta ancora al suolo.

L’ultima cosa che vidi fu la chioma bionda della vampira sfrecciare via, impaziente, oltre le coltre di fumo. Mi trovai sospesa fra le sue braccia. Avevo gli occhi chiusi, e Edward si muoveva a scatti, mezzo saltellando, mezzo correndo, per schivare gli ostacoli infuocati. La nausea era ancora più forte.

«Dove stiamo andando?» riuscii a biascicare.

La sua presa si fece più salda. «Fuori da qui, innanzitutto. C’è un tunnel, ecco com’è entrato. Ti porterò da Carlisle e Esme. Sono rimasti indietro per parlare con gli umani. Il fuoco e il fumo hanno attirato la guardia forestale e i vigili del fuoco».

Aprii gli occhi, improvvisamente più vigile, per poi doverli richiudere a causa di una vertigine più forte delle altre. «Mio padre?» chiesi preoccupata.

«Non ancora» sibilò fra i denti, «ma verrà. Mi dispiace. Ecco, siamo arrivati».

Aprii appena le palpebre, e in un attimo mi sentii cadere un paio di metri più in basso. Edward atterrò gentilmente sui piedi, in un morbido affondo. Eravamo fermi. Guardai in alto, verso i suoi occhi ambrati, come in cerca di spiegazioni. La sua mascella era rigida, percorsa da un tremito costante. Mi stava scrutando. «Come ti senti?».

Chiusi di nuovo gli occhi, accoccolandomi meglio contro il suo petto. «Vorrei che non fosse mai esistito».

Espirò bruscamente. «Lo so».

Deglutii, strofinando il viso contro la sua maglietta bagnata. «Mi sento solo molto, molto stanca».

«Cerca di non addormentarti, allora. Ti porto da Carlisle».

Edward sembrava volare sui suoi piedi. Attraverso le palpebre semi-chiuse riuscii a distinguere sprazzi di paesaggio. All’inizio fu un lungo tunnel buio. Era dunque quello il mezzo usato da Jacob per entrare nel cerchio di fuoco? E… cos’erano quei bagliori bianchi e lucidi, quasi argentei, che distinguevo lungo le pareti? Sembravano linee… lettere… parole…?

Non riuscii a capirlo. Tossivo senza sosta, sentendo la cenere grattarmi contro la gola, così Edward mi sollevò il capo con una mano, posandolo sulla sua maglia bagnata e proteggendomi la bocca e il naso dal fumo.

Prima di arrivare a Carlisle e Esme dovemmo affrontare anche un certo tratto all’aperto, fra gli alberi. «È per non farci vedere dagli umani» mi spiegò Edward.

Annuii appena. Sentivo la gola pungere, secca, e non riuscivo a smettere di tossire tanto da farmi lacrimare gli occhi. Mi accorsi che eravamo vicino agli umani per il vociare veloce e il suono assordante delle sirene.

«Edward» ci chiamò Carlisle, come se fosse sorpreso e sollevato di vederci lì. Ci si fece vicino. «State bene?».

«Sì, papà, grazie. Io sto bene. Potresti visitare Bella?».

Altri due uomini, in divisa, si avvicinarono a noi. «Questo è un vero miracolo!» esclamò uno, più basso e tarchiato. «Ce ne sono altri, dottore?» continuò poi, rivolgendosi a Carlisle.

Il vampiro annuì, lo sguardo concentrato su di me. «I miei quattro figli. Erano tutti usciti a fare una passeggiata, dopo pranzo».

«Bella, tesoro!» gridò Esme, venendomi incontro. Mi abbracciò, nonostante Edward continuasse a tenermi sospesa fra le sue braccia. «Come ti senti?».

«Sto bene» tossicchiai, la voce roca.

L’uomo in divisa che non aveva ancora parlato, con dei baffoni che si continuavano dalle basette, parlò piano alla ricetrasmittente. «Fate portare una barella dall’ambulanza, c’è una ragazza da portare in ospedale».

«No» ansimai, tremante, stringendomi a Edward.

«Non c’è problema, ce la faccio a portarla» ribatté il mio fidanzato, avanzando verso l’ambulanza.

«Lasciala a noi, ragazzino. L’hai portata sino a qui» lo bloccò l’agente più alto, posandogli una mano sulla camicia «devi essere stanco».

“Ragazzino”. Le braccia di Edward si tesero, ed ero certa che stesse per protestare ancora, destando notevoli sospetti…

«La porto io, Edward» intervenne prontamente Carlisle, lanciando un’occhiata significativa al figlio «seguimi, visiterò anche te».

Esitò un attimo, poi mi trasferì nelle braccia del padre. Anche se avessi voluto, non avrei mai potuto oppormi. Ero troppo stanca. «Non voglio andare in ospedale» riuscii a biascicare contro la maglia di Carlisle.

«È tutto apposto, signorina, presto si sentirà meglio» mi rassicurò l’agente più basso, ignorandomi.

«No» ansimai, agitandomi per cercare lo sguardo di Edward o Carlisle o Esme. «No, no, non posso, non voglio. Mi devo sposare. Fra quattro giorni mi devo sposare… Non voglio, Edward» mi lamentai, trovandolo accanto a me e stringendogli la maglia in un pugno.

Il suo viso era tirato, serio. I suoi occhi tanto lontani da non parere lì con me.

«Ti prego» gemetti ancora.

Fu Carlisle a rispondermi. «Sta’ tranquilla, Bella. Ti visiterò qui e ti porteremo in ambulatorio solo se sarà strettamente necessario, va bene?».

Mi voltai verso mio suocero, annuendo preoccupata. «E gli altri?» domandai, tremante.

Mi mise seduta su una barella vicino all’ambulanza. Due paramedici ci si avvicinarono. «Non ti preoccupare per gli altri, staranno bene».

«Tranquilla Bella» mi rassicurò ulteriormente Esme, accarezzandomi i capelli.

Annuii ancora, con le lacrime agli occhi. Pregavo perché questo incubo finisse. Prendetelo, vi prego, prendetelo. Spostai una mano dalla fronte alla barella, per sostenermi dritta. Mi girava la testa.

Edward mi venne accanto, sedendosi accanto a me e stringendomi.

«Come ti senti?» mi domandò Carlisle, infilandosi un paio di guanti di lattice e facendosi passare la sua borsa e una cassettina con alcuni involucri di plastica trasparente.

«Mi gira la testa» mormorai, roca, tossicchiando fra le parole. Non riuscivo a tenere gli occhi fissi su un unico punto. Eravamo vicinissimi a casa Cullen, ed eravamo circondati da gente in divisa che urlava ordini e trascinava roba. Chiamarono Esme perché gli desse informazioni sugli altri figli “dispersi”. Tutta quella confusione per colpa di un’unica persona…

Carlisle posò una mano sul mio polso, piegandolo gentilmente indietro ed esponendo l’arteria radiale. Se la portò discretamente al viso, inspirandone l’odore. Sospirò, come di sollievo, facendo un piccolo sorriso. Posò due dita sul polso, osservandomi gli occhi.

Quando Edward si accorse del mio tremore mi circondò con le sue braccia. Non faceva freddo, persino a Forks l’estate poteva definirsi tiepida. «Gli altri staranno bene» disse per rassicurarmi.

«Sì» sussurrai fra i denti «spero. Sì».

«Apri la bocca. Fai “a”» m’istruì Carlisle, usando una paletta di legno e un piccolo led. Seppur confusa, obbedii. Non appena mi lasciò libera di chiuderla tossii violentemente. «Portate l’ossigeno» continuò, rivolgendosi a qualcuno alla sua destra.

Chiusi gli occhi e posai il capo contro la spalla di Edward. Qualcuno mi mise una mascherina sul viso. Una coperta ruvida e spessa, di quelle di lana, mi fu avvolta attorno alla spalle. Sentivo il fango che si seccava contro la pelle.

Edward mi baciò la pelle sulla tempia. Iniziò a giocare con l’anello che portavo al dito. Era silenzioso, nervoso. Sapevo che avrebbe preferito trovarsi lì fuori a combattere, ma preferivo comunque tenerlo, egoisticamente, vicino a me.

Mi sentii pungere un dito. Fremetti, facendo per guardare, ma Edward mi trattenne. «Tranquilla» mormorò al mio orecchio.

Gemetti, facendo una smorfia per l’odore di sangue.

«Cosa hai mangiato questa mattina a colazione?» mi chiese gentilmente Carlisle.

Mi sentii arrossire. Feci per scuotere il capo, ma poi pensai che, data la nausea, doveva essere davvero una cattiva idea. «Niente» biascicai imbarazzata. Le parole formavano una nuvoletta sulla mascherina trasparente.  

Mio suocero mi guardò con comprensione. «Da quanto non mangi?».

«Ieri pomeriggio» confessai «una mela» aggiunsi poi ad una sua occhiata indagatrice. «Avevo lo stomaco chiuso».

Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato, come se stesse tentando di  nasconderlo. «Va bene, allora. Ti sei bruciata?».

«Non lo so, non credo» sfregai la guancia contro la spalla di Edward. «Forse il braccio. Il sinistro».

Mi sfilarono la coperta e la giacca di Emmett. Senza parlare Carlisle medicò velocemente e con cura il braccio leso. La pioggia si era fatta meno insistente ora, come nei tipici temporali estivi era finita prima ancora di cominciare. I miei capelli erano una poltiglia di fango marrone a cui il velo bianco si era incollato.

Sentii le dita delicate di Edward provare a staccarlo; quasi inutilmente. Gemetti di dolore quando tirò più forte. «Mi dispiace» si scusò immediatamente «forse sarebbe meglio lavarli, prima».

«Bevi questo» mi disse Carlisle, quando finì la sua medicazione. Mi stava porgendo un bicchiere con un liquido trasparente.

«Cos’è?» domandai incerta, prendendolo dalle sue mani.

«Tranquilla, è solo acqua zuccherata. Non è così grave come pensavamo. Credevamo…» guardò velocemente il figlio. «Beh, date le circostanze e per i tuoi sintomi pensavamo ad un’intossicazione. Invece sicuramente è stato peggio per l’ipoglicemia. Tieni per un po’ l’ossigeno e bevi questo, e dovrebbe passare».

Sospirai. Edward mi liberò dalla mascherina, permettendomi di prendere piccoli sorsi dal bicchiere. Dopo pochi minuti Esme ci raggiunse, seguita dai due agenti che ci avevano accolti per primi.

«Ci sono novità?» chiese Carlisle, mostrandosi interessato. Certo. Si ricordavano sempre di salvare le apparenze. Che padre sarebbe stato uno che non si interessava se i suoi figli stessero morendo bruciati?

«Stiamo facendo del nostro meglio, dottor Cullen. Le fiamme sono quasi spente» disse il tizio con i baffoni, mostrando il fumo in lontananza.

Esme ci venne vicino, abbracciando me e Edward. «Come stanno?» chiese al marito.

«Hanno solo la gola molto irritata. Fra un po’ Bella sarà libera dall’ossigeno» mormorò, sfilandosi i guanti e allontanandosi con gli agenti.

«Mio padre?» domandai preoccupata a Esme. Avevo la voce roca.

Mi guardò con comprensione, prendendomi la mani fra le sue. «Sta arrivando, Bella. Al paese ne parlano tutti».

Senza che potessi controllarlo un singhiozzo mi scoppiò nel petto come una bolla. «Come può essere diventato così? Come? Come può una persona sana di mente appiccare un incendio in una foresta?».

Edward aveva lo sguardo basso e i pugni stretti sulle ginocchia. «Non staremo qui a chiedercelo se fossi lì fuori a toglierlo di mezzo» sibilò fra i denti.

Sospirai, distogliendo lo sguardo. Mi faceva così male saperlo lontano da me, esposto al pericolo. Eppure Edward aveva ragione, se volevo che non tornasse più dovevo anche permettergli di andare a prenderlo. «Vai, allora» mormorai, togliendomi la mascherina e lasciandomi scivolare sui piedi instabili. Mi sentivo già un po’ meglio.

Mi guardò fissò, saltando giù dal lettino con un movimento aggraziato. «Non intendevo questo. Non voglio lasciarti qui da sola. È quello che è successo prima».

Gli diedi le spalle, fissandomi i piedi. Non stava più piovendo, quindi le poche gocce d’acqua che caddero dovevano essere lacrime. «Mi dispiace. Ho paura» farfugliai, incrociando le braccia sul petto in un gesto di protezione personale.

Edward si avvicinò, posando le mani sulle mie braccia e costringendomi a voltarmi per guardarlo negli occhi. «Di cosa hai paura?».

«Che ti faccia del male. Che faccia del male a tutti voi. Che non ci permetta di vivere una vita normale» sbottai frustrata «ma una vita in cui ho sempre paura che ritorni».

Il suo sguardo si addolcì. Mi accarezzò una guancia con il pollice. «Davvero?».

Tirai su col naso. Le labbra mi tremarono. «Ho paura che mi porti via da te».

La  sua espressione vacillò. La sua presa sulle mie braccia s’indebolì. «In questo caso, Bella… Se non sei ancora convinta…» annaspò.

«No, Edward!» protestai, prendendogli il viso fra le mani. Ero indignata dal fatto che fosse arrivato ad una simile conclusione. «No! Non intendevo questo. Ho paura… che mi porti fisicamente, via da te».

Serrò i denti. Il suo viso era bianchissimo, più del solito, come se quella fosse la prima volta che prendeva realmente in considerazione quella possibilità. «Questo mai».

Tremai fra le sue braccia, nascondendo il viso nel suo petto. «E-eppure stava per farlo, oggi… Non permetterglielo, Edward, ti prego… Non ce la farei».

Mi scrutò, soppesando le mie parole. Aveva un cipiglio sul viso. «Non glielo permetterò» mi promise, baciandomi la fronte.

Mi ritrassi, un po’ frastornata. «Sono sporca» mi lamentai, sentendo il fango secco che aderiva sulla palle, scatenando un fastidioso prurito.

«Vieni» disse, circondandomi le spalle con un braccio e trascinandomi verso casa Cullen, «ti aiuteremo a fare una doccia». E, quando arrossii da testa a piedi, aggiunse con un risolino. «Esme ti aiuterà a fare una doccia».

Mia suocera smise di parlare con i paramedici e si volse verso il figlio, avviandosi nella nostra direzione. «Vieni, cara. Hai lasciato qualche cambio in camera di Edward? Dai pigiama-party?».

Annuii, imbarazzata. «Non voglio dare fastidio. Imbratterò tutto di fango».

Ma il sorriso smagliante di Esme troncò ogni protesta. «Nessun fastidio. Lasciala a me, caro».

Non ricordo molto di quello che successe poi. C’era molto rumore, prima fuori e poi dentro casa. La doccia non fu nemmeno troppo imbarazzante, ma credo che dovetti addormentarmi prima di finirla, perché non ricordo nulla del poi.

S… v…n…o...p…e…t…

Lettere, c’erano delle lettere. Era buio, e tutto era confuso. Andavamo veloci, troppo perché potessi leggere con precisione.

S…o…v…ne…do…p…en…rt...

Era un tunnel. Un tunnel lungo, lungo, lungo. Un tunnel freddo. Avevo ansia, tanto forte, tanta ansia tanta da soffocare. Era buio. Non riuscivo a leggere.

Sto…venendo…a…prenderti.

Ansia, ansia, ansia. Buio, buio, buio. Freddo, freddo, freddo. Troppo. Troppo veloce.

Sto venendo a prenderti.

Ripetuto decine, centinaia di volte. Quattro parole ripetute all’infinto sulle pareti di un tunnel.

Sto venendo a prenderti.

E non era solo un sogno.

 

«Ahhh!» urlai, scattando seduta sul letto. Come se mi avessero appena dato una scossa elettrica al cuore.

La porta e le imposte delle finestre si aprirono contemporaneamente, facendo passare la luce. E i vampiri. Ovunque, tutta la famiglia Cullen in posizione di difesa, pronta all’attacco. Edward vicino a me, guardandosi in torno, pronto all’agguato.

Ansimai, ancora più impaurita di quando mi ero appena svegliata. Sentii le lacrime gocciolare dal mento. Il cuore correva velocissimo nel mio petto.

Il primo ad abbandonare la sua posizione fu Jasper. «Tranquilli. Era solo un brutto sogno».

Ma non era vero. Erano quelle, quelle le quattro parole che avevo lette, ripetute, sulle pareti del tunnel. Lasciai i singhiozzi traboccare insieme alle lacrime. Tutta la famiglia Cullen, lì. Solo perché avevo gridato. Poteva voler dire solo una cosa… «Verrà a prendermi» singhiozzai, e la voce mi uscì incredibilmente roca, più del giorno precedente «l’ha scritto. Ha scritto che verrà a prendermi» ansimai, tremante.

Edward si sedette sul letto, accanto a me, prendendomi fra le braccia. «Non glielo permetterò, te l’ho detto».

«Era scritto ovunque, ovunque» singhiozzai, gli occhi chiusi, senza ascoltarlo «aveva riempito le pareti. Era inciso dappertutto. “Sto venendo a prenderti”».

«Shh, shh, va tutto bene» continuò, accarezzandomi la schiena e cullandomi.

Presi un grosso respiro. Mi ci volle quasi un minuto per sopprimere i singhiozzi. La famiglia Cullen si era allontanata dalla stanza lasciandoci soli. «Non posso permettergli di prendermi».

La presa di Edward si fece più salda. Mi prese il mento fra le mani, costringendomi a guardarlo. «Non glielo permetteremo».

Volsi il viso, allontanando le sue dita.

«Bella» mi richiamò, ansioso «cosa stai dicendo?». Sapevo che stava pensando alle parole che gli avevo fatto al telefono, quando ero ancora lontana da lui e circondata dal fuoco.

«Lo sai…» sussurrai a voce bassissima «sai cosa vorrebbe da me… non potrei permettergli… non potrei darglielo».

Avvolse le mie guance con le sue mani, come una coppa. I suoi occhi brillavano, come se fossero prossimi alle lacrime. La sua gola era tesa, come se fosse in procinto di dire qualcosa. E cosa? Di immolarmi, di lasciarmi molestare da lui, ma di non uccidermi? Come pensava che avrei potuto vivere, in quel caso?

«Mi dispiace». Abbassai il viso. «Immagino che non l’abbiate preso».

Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «No. È riuscito ad attraversare il confine e a gettarsi in mare». Prese un bicchiere d’acqua dal comodino e me lo porse, dicendo che l’irritazione sarebbe presto scomparsa. «Alice e Jasper hanno parlato con i licantropi, ma hanno detto di non sapere nulla del piano di Jacob. Non ce l’hanno detto esplicitamente, ma crediamo che si sia come separato dal branco. Ha il potere di farlo, dato che lui è il vero alpha». Abbassò il viso sulle mani. Le strinse a pugno. «Ci ha ingannati, Bella. Jasper aveva ragione» disse mesto. «Non era in casa, aveva lasciato dei vestiti con il suo odore e un nastro su due frequenze che emanava i suoni che sentivamo tutti, e i suoi pensieri».

Sgranai gli occhi, scioccata. «Come è possibile?»

«Vedrò come spiegatelo in modo semplice». Ci pensò un attimo. «Ecco, hai presente i fischietti per cani?».

Annuii. «Loro possono sentire il suono del fischietto, e noi no, perché l’orecchio umano non riesce a sentirlo» commentai, ricordandomi di una lezione di biologia.

Edward sorrise, un piccolo e breve movimento. «Esatto, solo che io non sono umano, io sono un vampiro. Lui ha notato che io, che sento i pensieri di tutte le persone, nel tempo, esercitando questo senso, ho affinato il mio udito. Per questo solo io sentivo quella frequenza, seppur debolmente. Vedi, negli ultimi tempi deve averci studiati; ha curato tutto il piano nei minimi dettagli» concluse amaramente.

«È orribile».

Annuì. «Appena ci siamo accorti dell’inganno siamo venuti da voi, ma non sentivamo più la vostra scia, l’aveva coperta con il suo odore, che si ramificava per tutto il bosco. Abbiamo girato a vuoto per parecchio tempo; inutilmente tentavo di contattarti. Poi, ho sentito i pensieri di Emmett, lontani. E dopo poco tempo una coltre di fumo nero levarsi per la foresta. Jacob era arrivato a voi, attraverso un tunnel scavato in precedenza, lo stesso con cui sono arrivato da te».

Battei le palpebre, confusa. «Ma… come faceva a sapere dove saremmo andati per poi scavare il tunnel e organizzare l’incendio?».

Edward sospirò, allungando un braccio oltre le mie spalle e stringendomi al suo petto. «C’erano delle miniere, sotto le foreste. E sei tunnel con dei binari, usati per trasportare la lagna. Molto tempo fa, comunque… in questi mesi deve averli risistemati. Ha usato tre tunnel, con tre possibili aree di influenza. Aveva il controllo di tutta la foresta, e anche se non fossi andata tu, avrebbe fatto prigioniero, o peggio ucciso, almeno uno di noi. Crediamo fosse questo il suo scopo».

Ebbi un sussulto. Come avevo potuto avvicinarmi ad un essere simile?

«Mio padre?».

«A casa. Tranquilla, gli hanno parlato Esme e Alice. Hanno detto che sarebbe stato meglio non svegliarti, che ti saresti riposata qui. Che eravamo abbastanza lontani dal fuoco quando l’incendio è scoppiato».

«E gli altri? Emmett?» domandai, improvvisamente spaventata. Avevo sentito degli schiocchi… Rosalie era così ansiosa… Cercai di ricordarmi se l’avevo visto quando gli altri Cullen avevano fatto irruzione nella mia stanza.

Edward mi sorrise. «Emmett» lo chiamò, a voce bassa.

Due istanti più tardi entrò nella stanza. «Sono tutto intero, carina». Mi fece l’occhiolino.

«Oh, Emmett. Grazie» biascicai, sollevandomi dal letto per andargli incontro.

Finse scherzosamente di darmi una pacca sulla spalla. «Di niente. Allora, sorellina» fece sornione «visto che ti ho riportato il tuo principe azzurro?».

   
 
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