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Autore: Echocide    25/01/2017    2 recensioni
Dai lombi fatali di questi due nemici
toglie vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella,
le cui pietose vicende seppelliscono,
mediante la lor morte...

Agreste e Dupain sono due famiglie nobili di Paris, una città ricca di mistero e magia.
Una notte, il patriarca degli Agreste condanna i Dupain alla morte e dalla strage della famiglia, una bambina si salva: il suo nome è Marinette.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.462 (Fidipù)
Note:Nuovo capitolo di Inori e la storia, lentamente, va avanti: conoscendo il finale, pure io non è che ci voglia arrivare subito.
Scherzi a parte, purtroppo posso dedicare poco tempo a questa storia, motivo per cui i capitoli sono così brevi e la storia va a rilento...ma prima o poi finirà la sessione invernale ed io sarò nuovamente libera di scrivere!
Detto ciò, come al solito, voglio ringraziare tutti coloro che leggono, commentano, inseriscono la storia in una delle loro liste...
Beh, grazie mille a tutti voi!



Adrien inspirò profondamente, mentre lo sguardo vagava per la via della città colma di bancarelle e un sorriso luminoso gli piegava le labbra: «Che cosa magnifica, eh?» commentò Nino, passandogli un braccio attorno alle spalle e guardando anche lui la città: «L’intera Paris al nostro volere.» dichiarò, enfatizzando le parole con un gesto ampio della mano: «Devi solo chiedere e avrai.»
«Davvero?»
«Ovvio.» continuò l’altro, sorridendo e battendo una mano sul sacchetto, che gli pendeva dalla cintura, facendo tintinnare il contenuto: «Abbiamo il dio denaro con noi.» decretò, chinandosi con fare cavalleresco: «La città è vostra, monsieur Chat Noir. Dove volete andare?»
«Alla panetteria.»
«Cosa?» domandò l’amico, alzando la testa e osservando l’amico, come se gli fosse spuntata una seconda testa: «Mi stai prendendo in giro?»
Adrien sorrise, grattandosi la guancia sotto la maschera scura: «Ricordi quando, qualche tempo fa, hai portato quei dolci a palazzo?» domandò, avanzando di qualche passo e avvicinandosi a una bancarella, studiando assorto i monili esposti e sorridendo all’anziana dall’altra parte.
«Quelle che avevo preso al negozio di…» mormorò Nino, scuotendo il capo e portandosi subito una mano al volto, sistemandosi meglio la maschera: «Sì, ho presente.»
Ricordava benissimo l’avvenimento: era andato in una piccola panetteria dei bassifondi, molto tempo addietro, innamorato della graziosa commessa ma lei non l’aveva considerato, rispondendo ai suoi tentativi di corteggiamento con sorrisi di circostanza e pacate risposte educate.
Era frequentando il negozio che aveva conosciuto Alya, della quale si era perdutamente innamorato anche se la ragazza era ben lontana dal comprendere quanto loro due fossero perfetti assieme: la costanza è il vero mezzo per ottenere qualcosa, diceva sempre suo padre e Nino aveva preso alla lettera quell’insegnamento, andando ogni giorno al locale dove Alya lavorava come cameriera.
«Vorrei andarci.» dichiarò Adrien, riportando l’amico alla realtà: «Vorrei prendere quelle brioches che mi avevi portato e vedere cos’altro offrono.»
Nino osservò l’amico per un secondo e, con un sospiro, annuì: «Solo tu potevi chiedermi una cosa del genere.» dichiarò, indicandogli con un cenno del capo la direzione e precedendolo: «Solo tu.»


Nathaniel Kurtzberg odiava le feste che si teneva al palazzo Agreste, in vero odiava ogni occasione che lo faceva uscire dai suoi appartamenti: voltò il foglio del blocco e si osservò attorno, studiando la piccola folla che riempiva il giardino interno della villa.
Sarebbe voluto andare a casa, ma sapeva benissimo che suo padre non gliel’avrebbe mai permesso.
Enrique Kurtzberg viveva per entrava nelle grazie del fratello acquisito e, ogni sera, malediceva Gabriel Agreste perché non lo reputava degno: ha sposato mia sorella, sono suo cognato. Dovrebbe trattarmi con più rispetto, diceva e poi buttava giù bicchieri di alcool fino a che non era troppo intontito e si addormentava.
Nathaniel spostò lo sguardo, notando il padre che camminava al fianco di Gabriel: il primo chiassoso anche da lontano, che enfatizzava ogni cosa che diceva con ampi gesti delle mani; il secondo freddo e austero come sempre, rimaneva in silenzio e ascoltava con poca tolleranza l’uomo al suo fianco.
Lo vedeva benissimo, Nathaniel, abituato com’era a studiare il prossimo mentre suo padre era cieco e continuava a importunare il cognato.
«Nathaniel Kurtzberg!» esclamò una voce femminile, facendolo sobbalzare: strinse il blocco contro il petto, alzandosi e osservando la fanciulla che si era palesata al suo fianco: «Ho saputo della tua idea e accetto.» dichiarò senza tanti preamboli Chloé, incrociando le braccia al seno e alzando il mento con fare orgoglioso.
La sua idea?
«Temo di non capire…» bisbigliò il ragazzo, aumentando la presa sul blocco e alzando titubante lo sguardo, fino a quel momento tenuto basso: «Quale idea, madamo…?»
«Ma quella di Venere, ovviamente.» lo interruppe Chloé, fissandolo con le iridi celesti e regalandogli un sorriso: «Sono disposta a farti da modella. In fondo…» la ragazza agitò una mano, con fare galante: «Chi meglio di me è perfetta per dare un volto alla dea dell’amore e della bellezza?»
Chi meglio di lei…
Nathaniel studiò la quasi-fidanzata del cugino e annuì, domandandosi mentalmente come fosse venuta a conoscenza della sua idea, ma non trovando una risposta degna di essere tale: «Pensi che ad Adrien possa…» iniziò, vedendola irrigidirsi e pestare la terra stizzita.
«Non parlarmi di lui.» sbottò Chloé, avviandosi a lunghi passi e, quando si accorse che lui non la seguiva, si fermò e gli fece un cenno imperioso: «Preferisce quello stupido cavallo fissato con il formaggio a me.» continuò, quando Nathaniel fu giunto al suo fianco e il giovane fu costretto ad assentire a quell’ultima frase: Adrien preferiva tante cose rispetto alla quasi-fidanzata.
E lui non capiva proprio il perché.


Marinette sospirò, accasciandosi contro il bancone e osservando madame Mendeleiev uscire dal negozio in un tripudio di rosso: ci aveva messo un po’ a capire che sotto i metri di trina rossa, che avvolgevano il volto equino della donna, c’era la loro cliente abituale.
Ovviamente la donna le aveva fatto notare immediatamente questa sua mancanza di spirito di osservazione.
Il rumore della porta che si apriva la portò via dalle sue elucubrazioni e Marinette alzò lo sguardo sui due nuovi clienti: due ragazzi, vestiti a festa e con le maschere ben calate sul volto, per celare la loro identità.
Ma perché per quella stupida festa dovevano tutti mascherarsi?
Uno dei due, completamente vestito di nero, si voltò verso di lei e le sorrise: «Buonasera.» la salutò, chinando lievemente il capo e facendolo benvolere da Marinette: almeno il tipo sapeva cosa era l’educazione, rispetto al suo amico che, con un abbigliamento molto variopinto, sembrava trovare interessante sostare sulla porta del negozio.
«Posso fare qualcosa per voi?»
Il giovane si tolse il cappello, rivelando la capigliatura bionda e spettinata, tenendolo poi per la falda e indicando, con un cenno del capo, l’altro: «Il mio amico, tempo addietro, mi portò delle brioches buonissime ed ero venuto a comprarne alcune.» spiegò, sorridendole e rivolgendole la completa attenzione.
«Quali?» domandò Marinette, allungando il collo e rivolgendosi all’altro: «Abbiamo parecchi tipi di brioches.»
«I croissant. Quelli senza niente.» bofonchiò il variopinto messere, facendo annuire la ragazza che, con efficienza, si avvicinò al vassoio ove aveva posto le brioches: «Quante?»
«Cosa?»
Marinette sorrise, scuotendo il capo: «Quante brioches?» domandò nuovamente, divertita dallo sguardo smarrito del biondo.
«Ah…» il ragazzo si voltò all’indietro in cerca di una risposta dall’altro, ricevendo in cambio solo un’alzata di spalle: «Quante ne avete?»
«Una decina. Più o meno.» rispose la mora, dopo aver contato velocemente le brioches: «Allora?»
«Le prendo tutte.»
«Davvero?»
«Non posso?»
«Potete, potete.» mormorò la ragazza, recuperando una busta e sistemandoci i croissant: «Spero non vi venga il mal di pancia.»
«Lo sopporterò.» dichiarò il biondo, sorridendole: «Io mi chiamo Adr…cioè, volevo dire, il mio nome è Chat Noir.»
Marinette sorrise, scuotendo il capo: «Penso che fare la vostra conoscenza non porti fortuna.» dichiarò, alzando lo sguardo e incontrando quello verde: «I gatti neri sono simbolo di sfortuna da queste parti, sapete?»
«Pensate che sia un forestiero?»
«Non vi ho mai visto.» dichiarò la ragazza, tornando al suo lavoro: «Sebbene posso dire che non so chi c’è dietro quella maschera. Però avete detto che il vostro amico vi ha portato le brioches e quindi…»
«Sono di Paris.» dichiarò il biondo, abbozzando un sorriso: «Anche se, posso dire, non esco molto.»
«Come mai?»
«Impegni.» rispose evasivo il ragazzo, tenendo lo sguardo fisso su di lei: «E tu?»
«Cosa?»
«Sei di Paris?»
«Sono nata e cresciuta in questo quartiere.» dichiarò Marinette, mettendo nel sacchetto anche l’ultimo croissant: «Le mie uniche uscite sono per andare a consegnare gli ordini, invece.»
«Siamo simili.»
«Non credo.»
«Perché lo dici?»
Marinette chiuse il sacchetto, passandolo al giovane che, costretto, appoggiò il proprio cappello sul bancone per prendere il suo acquisto: «Perché io lavoro in un giorno di festa, mentre voi…» la ragazza additò con un gesto della mano l’intera figura di Chat Noir: «Voi non sembrate altro che un nobile, che ha deciso di venire a divertirsi nei quartieri poveri.»
«Dobbiamo andare.» dichiarò l’altro, parlando per la prima volta da quando erano entrati: «Siamo in ritardo, Chat Noir.»
«Sì, sì.» mormorò il biondo, mentre l’amico pagava il suo acquisto: «Come ti chiami?»
«Io?» domandò Marinette, additandosi e guardandosi attorno, come se dal nulla fosse comparsa un’altra persona.
«Sì, tu.» L’amico sbuffò, afferrando Chat Noir per un braccio e, preso il sacchetto con i croissant, lo trascinò verso la porta: «Il tuo nome?» domandò nuovamente, aggrappandosi allo stipite della porta e ignorando il fatto che l’altro lo stava tirando con tutta la forza che aveva.
«Marinette…»
Chat Noir sorrise e si arrese all’amico che, con un nuovo strattone, lo portò in strada: Marinette li osservò mentre riprendevano la loro strada e, solo allora, si accorse che lo strano biondo aveva dimenticato il proprio cappello. Afferrò l’accessorio, correndo fuori dalla porta ma dei due giovani non c’era più traccia.




   
 
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