Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: SherlokidAddicted    27/01/2017    3 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il mio Nord



 
Continuo a raccontare le sue avventure ogni sera, prima di addormentarci. Di solito mi ritrovo con la sua testa poggiata interamente sulla spalla, il mio mento che delicatamente si immerge nei suoi ricci mentre tengo il computer ben aperto sulle gambe. Il suo braccio mi circonda fino a raggiungere il mio fianco che accarezza delicatamente con il pollice. A volte si addormenta prima che io finisca, perché avverto il suo respiro più pesante e la sua mano che smette di prendersi cura del mio fianco… e allora sorrido, sorrido nell’osservare una creatura così bella compiere un gesto tanto semplice.
Sono arrivato al punto cruciale della sua storia, questa sera devo raccontargli del salto dal tetto. Ho iniziato a leggere con calma e lui sembrava aver notato da subito il tono teso che stavo usando, perché continuava a lanciarmi occhiate furtive. Certo, gli avevo anticipato che ci sarebbe stata una parte della storia molto poco piacevole, ma forse non si aspettava questo. Infatti la sua reazione subito dopo è sconvolta. Quasi non crede di essere stato lui a compiere ogni singola azione di quel racconto, ma poi, quando ho chiuso il pc con quella faccia da “funerale”, Sherlock ha dovuto ricredersi.
- Due anni… - Ha mormorato poggiando il mento sul mio petto, guardandomi con quell’aria fanciullesca e triste mentre mi diletto a passare la mano fra i suoi ricci scomposti.
- Due lunghi anni. – Confermo, soffermandomi con lo sguardo sulla particolare rotondità del ciuffo che continuo a cadere ribelle sulla sua fronte.
- Conoscendoti devi avermi picchiato. – Mi sfugge una risata ed annuisco appena mentre la mia mano si sposta a carezzare la sua guancia.
- Ti ho spaccato il labbro e ti ho quasi rotto il naso. – Lui accenna un sorriso, un leggerissimo sorriso che però svanisce all’istante. Io sollevo confuso un sopracciglio e mi premuro di sollevare meglio la coperta su entrambi. Siamo a dicembre, fra poco sarà Natale, quindi il freddo è pungente e posso provare sollievo solo se sono ben coperto o solo se ricevo il calore corporeo dell’uomo che adesso sta evitando il mio sguardo. – Non cercare di sentirti in colpa. – Dico catturando nuovamente la sua attenzione. – Ok, sì… sei stato un vero stronzo, perché gente attorno a me era a conoscenza della verità, perché ho vissuto nel lutto per due anni e perché sei sbucato fuori proprio quando stavo iniziando a riprendermi, ma… - Emetto un lungo sospiro e continuo a parlare. – Lo hai fatto per salvare delle vite… tra cui la mia, quindi non è stata poi così tanto una sciocchezza. – Lui annuisce ma la sua espressione non muta mentre il suo indice comincia a disegnare ghirigori immaginari sulla mia maglia.
- Lo rifarei… - Lo dice in un tono così basso che non riesco a capire quasi nulla delle sue parole, tanto che sono costretto a chiedergli di ripetere.
- Come? –
- Ho detto che lo rifarei. Se dovessi tornare indietro e se sapessi che sarebbe l’unico modo per salvarti, allora… lo rifarei. – Non riesco a trattenere un sorriso ed inizio a sfiorare il suo zigomo con le dita, gesto che gli provoca un adorabile rossore sulle guance.
- Proviamo a dormire? – Chiedo, ricevendo in risposta un movimento di assenso della sua testa. Mi allungo quindi per spegnere la luce, e subito dopo mi ritrovo ricoperto per metà dal suo corpo caldo, stringendosi a me come un bambino stringe il suo orsacchiotto durante la notte.
- John? – Dice dopo qualche minuto di silenzio in cui credevo si fosse addormentato. Quando riapro gli occhi la stanza è completamente al buio, ma il respiro di Sherlock sfiora la mia pelle, solleticandomi, in attesa di una mia risposta.
- Sì? –
- Fra poco è Natale. –
- Già, fra otto giorni, precisamente. – Sussurro muovendo piano le dita che ho incastrato fra i suoi capelli morbidi.
- Faremo qualcosa? –
- Mh… credo la solita cena fra amici. Non organizzavamo nulla di che, tu eri solito accontentarmi perché non ti è mai piaciuto il Natale, anche se negli ultimi anni sembravi essere felice in questo periodo. –
- Oh… - Mormora a bassa voce. – Non so se adesso mi piaccia il Natale. –
- Non lo sai? –
- No, cioè… non ricordo i Natali passati, di conseguenza non saprei. – Mi giro verso la sua testa riccioluta, ed anche se non riesco a vederlo per colpa dell’oscurità, io so di aver incrociato il suo sguardo, me lo sento… percepisco i suoi occhi come l’ago della bussola percepisce il Nord.
- Allora facciamo così. Organizziamo una bella cena, come al solito. Passiamo una bella serata tutti insieme e dopo mi potrai dire se il Natale ti piace o no, che ne pensi? –
- Penso che va bene. – La sua voce arriva soffice alle mie orecchie, con una nota di dolcezza che poco prima non c’era. Questo perché sta sorridendo, riesco a percepire anche quello.

Di certo il buio non mi ferma dal riconoscere l’uomo che ho sposato.

Lui è il mio Nord.

- Adesso dormi. –
 
***
 
Il giorno dopo lo trovo in salotto, sta armeggiando con il telefono, e solo quando passo dietro di lui per lasciargli un bacio fra i capelli, augurandogli così il buongiorno, capisco cosa sta facendo. Non reagisce alla mia presenza, a parte forse per quel bacio per il quale lo sento trattenere il fiato, perché è troppo impegnato a far scorrere le foto della libreria. Riesco a sentire le sue spalle tese non appena ci poggio le mani.
- Trovato niente? – Chiedo iniziando a massaggiarle delicatamente, sentendole abbassarsi all’improvviso, in preda al relax più totale. Per un attimo ho l’impressione che stia perdendo la presa al cellulare, e i suoi sospiri profondi mi fanno capire quanto il movimento delle mie mani sia gradito ai nervi tesi di Sherlock.
- Qualcosa, forse… - Mormora con tono assorto, tenendo gli occhi chiusi e le labbra semiaperte.
- Qualcosa del tipo? – Smetto di massaggiare le sue spalle, e su una di esse ci poggio il mento. Lui sembra essere deluso dal mio gesto, ma anche grato del fatto che avessi deciso di fargli riprendere la concentrazione. Si schiarisce la voce con una finta tosse, poi solleva lo schermo del telefono davanti ai miei occhi. La foto è zoomata in un punto ben preciso, ovvero quello tra una mensola e l’altra.
- Guarda la parete dietro alla libreria, non ti sembra ci sia qualcosa che stoni? – Mi sussurra, dato che la nostra vicinanza è talmente tanta che non c’è nessun bisogno di alzare la voce. Mi soffermo a guardare la parete in questione ed inizio a storcere confuso le labbra. Ora che me lo fa notare, sì… qualcosa stona completamente con il resto della foto, qualcosa distrae la mia attenzione, ma non riesco a capire cosa.
- L’improbabile colore giallo acceso della carta da parati? – Chiedo in un mormorio, strappandogli una piccola risata divertita, poi si gira verso di me con la testa e continua a mantenere un leggero sorriso che mi fa sciogliere il cuore.
- A parte quello. – Sussurra, poi mi porge il cellulare ed io mi accingo a studiare meglio la foto.
- Tu lo hai capito? –
- Ovviamente! –
- Allora perché vuoi farmi indovinare? –
- Voglio vedere quanto sei sveglio! –

Non cambia mai.

Mi soffermo ancora sui dettagli: la libreria altro non è che una serie di mensole fissate alla parete, i libri non hanno nulla di strano, ma Sherlock mi ha detto di soffermarmi sulla parete. Inizio dalle mensole in basso e la parete sembra perfettamente normale, ma quando arrivo alle ultime due in alto mi accorgo che c’è qualcosa di diverso.
- Lo hai notato! – Esclama lui portando le ginocchia al petto, sorridendo con entusiasmo nell’aver capito che ho compreso il dettaglio importante.
- Sì, credo di sì… a partire dalla seconda mensola in alto la carta da parati è simile, ma non è la stessa di quella del resto della stanza. – Ingrandisco la foto e comincio a spiegare meglio la mia teoria. – Vedi, la carta da parati qui non ha lo stesso motivo floreale, perfino il giallo dello sfondo sembra più pallido. Non si nota quasi se non ci si fa molta attenzione. – Gli passo nuovamente il telefono e gli sorrido soddisfatto. – Ho indovinato? –
- Sì, John, hai indovinato. – Anche il suo di sorriso è soddisfatto.
- Cosa credi che sia? –
- Non ne ho la più pallida idea! – Esclama con finto entusiasmo. – Ma potrei avere altre teorie per cui dovrei tornare in banca per annusare i dipendenti. – Dapprima non faccio caso alla sua affermazione, anche perché il fatto che si sia alzato mi ha distratto dai miei pensieri, ma il verbo che ha usato mi fa corrugare le sopracciglia con evidente confusione.
- Annusare? –
- Sì, proprio annusare. – Conferma lui come se stesse dicendo la cosa più normale del mondo. Io continuo a non capire e boccheggio per trovare la domanda adatta, ma lui poggia un dito sulle mie labbra per zittirmi. – Non sprecare energia cerebrale per trovare una risposta, capirai quando mi accompagnerai. –

Eh, sì… non cambia nemmeno in questo stato!

Annuisco, roteando appena gli occhi, ricevendo in cambio un minuscolo sorriso ed una leggera carezza al mento.
- Ma sarà per un’altra volta, magari. Mi gira la testa… non sono ancora pronto per dei ritmi regolari. – Il suo tono è decisamente cambiato, sembra più triste, più malinconico, e ciò mi spinge a poggiare la mano sulla sua mentre si è spostata ad accarezzare con devozione la mia guancia.
- Hai fatto un ottimo lavoro comunque. – Sussurro. – Ma hai ancora bisogno delle tue pillole se vuoi riprenderti. –
- L’ho già presa. – Il mio sopracciglio si alza impercettibilmente verso l’alto, lui mi sorride, portando entrambe le mani nelle tasche della lunga vestaglia di seta blu. – Quelle nella scatola verde, giusto? – Io annuisco e sul mio viso si può leggere del puro sollievo. Non lasciavo che prendesse le pillole da solo perché con tutto ciò che aveva passato avevo paura si confondesse ed ingoiasse quelle sbagliate, ma a quanto pare mi aveva osservato in questi mesi, e aveva imparato la tabella oraria delle sue medicine semplicemente dai miei movimenti.

Posso essere più fiero di così?

- Hai mangiato? – Lui scuote la testa. – Preparo la colazione. – Dico allontanandomi verso il fornello per preparare il tutto. Poco dopo lo vedo strimpellare le corde del violino sulla sua poltrona, gli occhi chiusi e rilassati… per un attimo mi immagino mentre mi prendo cura di quella pelle bianca e nivea, ricoprendola di baci e succhiotti. Scuoto la testa al pensiero e mi lascio sfuggire un piccolo sorriso. Se dovessi spingermi oltre per lui sarebbe come la prima volta. E… pensandoci bene non siamo partiti dall’inizio come una vera coppia, siamo partiti da un matrimonio, un matrimonio che… adesso non sembra affatto un matrimonio, date le circostanze. Sì, siamo intimi, sì, siamo fottutamente innamorati l’uno dell’altro, ma a parte questo le coppie non iniziano a frequentarsi con un matrimonio.

Sarebbe il caso di ricominciare da capo?

Di iniziare dal principio?

- Sherlock, mi stavo chiedendo… -

Bene John, non nascondi più nulla!

Sputa subito il rospo.

- Insomma… - Dico poggiando il vassoio con la colazione proprio sul tavolino accanto alla sua poltrona. Lui apre gli occhi e mi segue curioso con lo sguardo, senza smettere di muovere le dita sulle corde tese del violino. – Volevo farti una proposta. – Mi siedo davanti a lui ed incrocio le mani davanti a me, guardandolo ancora mentre piega la testa da un lato, come i cuccioli confusi, quelli che vorresti coccolare per tutto il giorno.
Non riesco quasi a continuare con le parole, sembra siano morte in gola, che non abbiano la forza di uscire.

John, ricordati che dovete ricostruire dei ricordi.

Per l’amor del cielo, dillo.

- Ti andrebbe di cenare insieme stasera? – La mia voce risulta calma e pacata, diversamente da come mi aspettavo. Sono troppo nervoso, troppo ansioso mentre gli pongo questa domanda… proprio come se gliela stessi ponendo per la prima volta.
- Ceniamo sempre insieme, John! –

Dio, che ingenuo.

- Non quel tipo di cena. – Dico accennando una piccola risata, ma lui non cambia la sua espressione confusa. – Intendo… andiamo in un bel posto, solo io e te, un posto elegante e… -
- Mi stai chiedendo di uscire? – I suoi occhi brillano, hanno iniziato a brillare non appena ho iniziato a specificare per filo e per segno la mia proposta. Brillano dalla gioia, dall’aspettativa e dalla speranza che la sua deduzione sia esatta. Sono lucidi, le pupille sono dilatate e io, maledetto me, non riesco a fare a meno di sentire il battito esagerato del mio cuore che arriva a riecheggiare rumoroso nelle mie orecchie. Ho provato la stessa cosa quando glielo chiesi la prima volta. Non solo sto cercando di costruire nuovi ricordi, ma sto anche risvegliando delle sensazioni provate anni prima, sensazioni meravigliose che mi fanno tornare indietro nel tempo, questa cosa mi rende così dannatamente felice.
- Beh, in effetti sì. – Confesso, abbassando di poco lo sguardo sul suo violino ben lucidato (lo puliva ogni volta che ne aveva l’occasione, lo faceva anche prima. Sono vizi che non vanno mai via.)
- Stai arrossendo. – Dice lui, sorprendendomi con quel tono che solitamente usava per sfottermi, da buon Sherlock di sempre. I miei occhi si puntano nei suoi e solo dopo mi accorgo che quella frase non è solo un pretesto per prendermi in giro. La sua espressione è dolce, intenerita.
- Oh, sta’ zitto! – Il suo sorriso si allarga soddisfatto, e mi rendo conto del perché quando sento le guance bruciare, confermando la sua teoria. – Rispondi alla mia domanda e basta. –
- Chiedimelo di nuovo. – L’interesse per il suo violino adesso è del tutto su di me. Quello strumento è soltanto qualcosa a cui lui si sta reggendo per darsi sostegno dalla conversazione che è in corso.
- Sherlock, vorresti uscire con me stasera? – Chiedo dopo aver preso un lungo respiro profondo.
- Ne sarei davvero felice, John. –
 
***
 
Non l’ho più visto per quasi tutto il pomeriggio. “John, ci vediamo stasera al ristorante”, ed è uscito senza nemmeno dirmi cosa avesse in mente. Mi ha detto che avrebbe avuto da fare, che se non avesse risposto alle mie chiamate o ai miei messaggi sapevo il motivo.
Mancano due ore alla nostra uscita e lui non è ancora tornato a casa. Per un attimo ho paura che possa darmi buca, che il mio invito probabilmente è stata un’azione del tutto affrettata, che magari lui è spaventato. Poi però decido di darmi una calmata e di prepararmi come si deve: un bagno caldo, gel… quanto basta per tenere il ciuffo all’indietro, cosa che Sherlock apprezza, a quanto pare. Poi metto la camicia grigio chiaro e il completo nero. Non mi vesto così di solito, mi piace stare comodo con i miei maglioni e i miei jeans scuri… ma tengo sempre qualche chicca da parte per le occasioni speciali, e questa è decisamente una di quelle.
Sono ancora davanti allo specchio a cercare di domare i capelli, quando il cellulare vibra dalla mia tasca. Lo prendo distrattamente, senza staccare gli occhi dalla mia immagine riflessa, poi mi rendo conto che si tratta di un sms:

Ci vediamo direttamente al ristorante.
SH

Quando mi rendo conto che è lui mi sfugge un sorriso involontario e totalmente ebete. La mia reazione stupida è quella di portarmi il cellulare sul petto e sospirare innamorato, come fanno i sedicenni quando ricevono un messaggio dalla persona amata.

Mi sento così idiota!

Manca mezzora, quindi decido di uscire per raggiungere il luogo dell’appuntamento precipitandomi di corsa giù per le scale, scontrando la signora Hudson intenta a spazzare davanti alla sua porta.
- Sta uscendo? – Chiede distrattamente mentre mi infilo il cappotto (ho anche un cappotto per le occasioni speciali).
- Sì, torno sul tardi, le serve qualcosa? – Chiedo mentre la vedo alzare gli occhi su di me. In un attimo ha fatto nascere un sorriso meravigliato e stupito, squadrandomi da capo a piedi, abbandonando letteralmente la scopa contro il muro.
- John, è davvero uno schianto! – Dice portandosi le mani davanti alla bocca, in un’espressione che trovo abbastanza comica. – Esce con Sherlock? – Annuisco mentre metto le chiavi nella tasca dei pantaloni, poi mi si avvicina e con mani amorevoli inizia a sistemarmi il colletto della camicia. – Aveva un completo simile quando siete usciti seriamente la prima volta, però indossava anche una cravatta orribile. Sono felice che oggi se la sia risparmiata. – Ha ragione. Quella stupida cravatta che Sherlock ha preso in giro per tutta la serata, è stato imbarazzante… tranne quando siamo tornati a casa ed ha usato proprio quella per tirarmi a sé e baciarmi. È stata l’unica utilità di quell’accessorio.

“Ti preferisco senza.”

Non ne ho quasi più indossate.
Beh, eravamo vestiti di tutto punto quella volta, ma poi ci siamo accorti che il ristorante era chiuso proprio quando siamo arrivati sul posto… e siamo finiti a mangiare fish and chips in uno squallido pub. Non il massimo del romanticismo, ma a noi bastava così.
- Dice che è troppo? – Allargo le braccia per farmi vedere meglio dalla mia padrona di casa, ma lei continua a sorridermi.
- A Sherlock piacerà. – Dice, poi spolvera via qualcosa dal mio cappotto ed indietreggia per recuperare la scopa ancora abbandonata contro la parete. – E stanotte chiuderò bene la porta, non voglio sentire le vostre urla. – Non mi dà il tempo di rispondere che è già sparita nel suo appartamento, ed io mi ritrovo a scuotere esasperato e divertito la testa.
In poco tempo, grazie ad un taxi, arrivo al Landmark… un meraviglioso e piccolo ristorantino intimo al centro di Londra. Sì certo, un po’ costoso, ma Sherlock tempo fa aveva “sistemato un paio di scaffali” ai proprietari e adesso il menu è quasi gratis per noi. A volte il suo lavoro, oltre a procurarci del sano divertimento, serviva anche a procurarci del sano e gratuito cibo.
Sono davanti alla porta del locale e per un momento rimango immobile con la mano sulla maniglia, poggiata lì senza il coraggio di spingermi all’interno di quel dannato ristorante. Nella mia testa frullano tutti i tipici dubbi da primo appuntamento, l’ansia, il terrore, ma ciò di cui non mi rendo conto è che questo non è un fottuto primo appuntamento, ne abbiamo già avuti, quindi perché mi sorprendo? Una donna che esce dalla sala mi risveglia dai miei pensieri, andandomi a sbattere contro, scusandosi poi mortificata.
La porta è rimasta socchiusa e riesco perfettamente a vedere l’interno: il locale è sobrio ed elegante proprio come lo ricordavo, con i tavolini tondi ricoperti da una tovaglia bianca. Riesco a vedere Sherlock seduto ad uno di essi, intento a spostare il centrotavola per trovargli una sistemazione adatta. Fa lo stesso anche con la candela… è come se stesse cercando di mettere in perfetto ordine ogni cosa, anche se non c’è niente di sbagliato nella posizione di quegli oggetti, quindi è nervoso. Lo percepisco anche da come beve a piccoli sorsi l’acqua del suo bicchiere.
Mi decido ad entrare e ad avvicinarmi lentamente al tavolo. Lo vedo diverso: da quando è uscito dall’ospedale non si era mai premurato di andare dal barbiere e farsi sistemare quella matassa di riccioli scuri, quindi gli erano cresciuti abbastanza, solo che adesso sembrava li avesse appena tagliati, sono più ordinati, più composti. Le guance sono lisce e appena sbarbate… in più indossa un meraviglioso completo nero, con una camicia del medesimo colore.

Non so se ricorda l’effetto che mi fa in total black.

Dio, dammi la forza.

Sono a due passi da lui e sta ancora sorseggiando la sua acqua quando poggio la mano sulla sua spalla per farmi notare. Lui sobbalza dalla sedia e per poco non si soffoca. Mi precipito subito a battere un paio di volte la mano sulla sua schiena, per fare in modo che si riprenda dalla tosse incessante, e quando succede i suoi occhi sono puntati intensamente nei miei, guardandomi come se stessero scrutando una non so quale meravigliosa creatura.
- Stai bene? – Non mi risponde subito, perché i suoi occhi vagano su di me ed è troppo concentrato a far notare quanto ciò che ho indossato gli piaccia.

Bel colpo, John!

Annuisce quasi meccanicamente e si raddrizza sulla sedia, stirandosi la camicia nera con entrambe le mani. Ha messo un po’ di colonia, riesco a sentirla perché il suo movimento ha causato uno spostamento d’aria che ha raggiunto le mie narici.

Non dirmi che si è assentato tutto il pomeriggio solo per prepararsi…

- Dove sei stato? – Chiedo mentre prendo posto al tavolo, proprio di fronte a lui.
- Ero… - La sua voce risulta agitata, quasi ansiosa. Con un colpo di tosse cerca di darsi un contegno e allo stesso tempo il suo sguardo si posa su ovunque tranne che su di me. – Ero da Lestrade. Mi serviva per il caso. Poi sono passato dal barbiere e… -
- Stavi lavorando al caso? – Chiedo sorpreso, dato che ero convinto avesse smesso per oggi. Insomma… diceva di essere stanco.
- No no, mi sono solo fatto dare il numero di una persona che potrebbe aiutarmi e che contatterò in seguito. –
- E chi sarebbe? – Era raro si facesse aiutare da qualcuno, soprattutto non ammetteva mai di volerne se si trovava in difficoltà, ma nel suo caso è particolarmente normale. Sono proprio curioso di sapere, ma lui emette un sospiro e porta la mano a poggiarsi con lenta delicatezza sulla mia, guardandomi con una dolcezza che poche volte avevo visto su quel viso.
- John, non ho impiegato mezza giornata per prepararmi solo per parlare di lavoro. – Ammette, mentre le sue guance pian piano si imporporano deliziosamente. – Possiamo pensare solo a noi? – La sua richiesta mi fa sorridere, ed in un attimo mi ritrovo a stringere la sua mano nella mia.
- Certo, scusami. – Sussurro muovendo il pollice sulla sua pelle liscia.
- John… -
- Sì? –
- Sei un incanto. – Non c’è imbarazzo nelle sue parole, né esitazione, solo un’espressione quasi sognante che non fa altro che farmi arrossire lusingato… e so che se ne accorge quando noto il suo sorriso ampliarsi sul suo bellissimo volto.
- Anche tu. -




Note autrice:
Hola people. Come state? Spero bene.
Non ho niente da aggiungere, a parte il fatto che volevo inserire una piccola nota: Landmark... non so se ci sia un ristorante con questa descrizione o questo nome a Londra, ma l'ho letto da qualche parte (non ricordo dove) e ho voluto chiamare il ristorante così.
Bene, allora alla prossima
Spero vi piaccia!
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: SherlokidAddicted