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Autore: SherlokidAddicted    02/02/2017    5 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Deduci me



 
La serata procede per il meglio. Come lui ha voluto non abbiamo parlato per niente del suo lavoro. Il discorso procede su azioni passate, sul cibo ottimo e racconti del nostro primissimo e serio appuntamento, di cui lui, purtroppo non ha ancora memoria. Certo ciò non mi entusiasma, ma ultimamente sto imparando ad accettare certe situazioni come queste.
- Non è proprio tutto rimosso. - Mi dice ad un certo punto, sorprendendomi mentre mi occupo di quel boccone di arrosto. – Nel senso… mi sembra di aver già vissuto questo momento, in un modo o nell'altro. Una specie di déjà-vu. –
- È una cosa buona. – Dico mentre poggio la forchetta nel piatto. Lui sta sfiorando il cibo con la sua posata, l’angolo delle sue labbra si solleva mentre guarda il proprio piatto. Poco dopo decido di mettermi in gioco e di sorprenderlo, voglio ravvivare questa cena e renderla interessante più che mai, in un modo che a lui sarebbe piaciuto tanto. – Vedi la ragazza seduta al tavolo accanto al nostro? – La mia domanda è talmente tanto sussurrata che fa fatica a sentirmi, è costretto a sporgersi verso di me.
- La vedo. – Mormora in risposta.
- Sto per fare una deduzione. – Lui accenna un sorrisetto e porta le mani giunte davanti alle labbra.
- Illuminami, dottore. –
- Tu hai già capito ogni cosa di lei, vero? –
- Ovviamente! – Il suo tono sfacciato mi fa ridacchiare. Da qualche tempo a questa parte le sue deduzioni sono davvero migliorate, stavolta non ne sbaglia una.
- Bene, allora. – Mi giro appena con la testa e mi soffermo sulla brunetta che picchietta le dita sul tavolo, guardandosi intorno. – Sta aspettando qualcuno, questo è ovvio. Non un’amica, probabilmente il marito… no, non il marito, il fidanzato o il ragazzo che frequenta, dato che non porta nessuna fede. Lui è in ritardo, lei è ansiosa, quasi sul punto di piangere, a quanto pare. – Vedo Sherlock annuire, chiudendo appena gli occhi. – Sarà qui da circa un’ora, la bottiglia di vino è piena e non è ancora stata aperta, ma anche il bicchiere è pieno, quindi ne ha ordinata una seconda perché l’ansia la porta a bere. – Per un attimo non so cosa dire mentre studio la donna accanto a noi. Sherlock si accorge del mio silenzio ed apre gli occhi per vedere la mia espressione pensierosa.
- Sei stato bravo, John! – Esclama guardandomi e poggiando la schiena contro la sedia.
- Dici davvero? –
- Certo. – Prende il bicchiere di vino come se niente fosse e lo porta alle labbra, mandando giù un lungo sorso.

So dove vuoi andare a parare, birbante che non sei altro.

Emetto un lungo sospiro e lascio ricadere il tovagliolo sul tavolo.
- D’accordo, cosa ho dimenticato? – Il suo sorriso si allarga mentre poggia nuovamente il bicchiere sulla tovaglia bianca.

Lo sapevo! Sapevo che voleva arrivare a questo.

- Ciò che hai detto è giusto, la cosa della bottiglia mi ha sorpreso, sei stato in gamba, ma ci sono dei piccoli appunti sul quale vorrei correggerti. – Dice, facendomi roteare divertito gli occhi. – Hai ragione, è qui da un’ora. Beve e guarda in continuazione il cellulare, è ansiosa perché lui è in ritardo, non è il suo fidanzato, è la persona che lei frequenta da poco. Guarda com’è vestita. Il tubino nero, corto e stretto con la scollatura prorompente, la gonna che lascia intravedere le lunghe gambe, i tacchi alti a spillo, l’acconciatura ai capelli ben fatta proprio oggi dal parrucchiere, il trucco che mette in risalto la forma delle labbra e gli occhi azzurri, che per inciso ha rifatto tre volte, dato che piangendo se lo è rovinato, e per non parlare dell’odore nauseabondo del suo profumo. – D’istinto inizio ad annusare e mi rendo conto che quel profumo è troppo forte, nauseabondo proprio come dice lui, fa venire il mal di testa e mi sfugge un’espressione disgustata mentre ne parla. – Anche per come si presenta si può dire che è nervosa, non si veste mai in questo modo, lo ha fatto per piacergli, infatti i tacchi le danno fastidio e continua ad abbassare l’orlo della gonna ogni volta che cambia posizione, e a sollevare la scollatura che si è resa conto essere troppo esagerata. È la tipica ragazza che ama stare comoda in tuta e scarpe da ginnastica, ma non è il tipo che cerca di mettersi in mostra solo per farsi piacere, si mette in mostra in questo modo perché è molto attratta dalla persona che sta per vedere e perché sa che questa persona fa il cascamorto con qualunque bella donna gli passi davanti, quindi il suo vestiario fa pensare che vuole fare colpo al di sopra di chiunque altro. Piange, tu hai detto per il nervosismo, ma io credo invece che la persona che sta aspettando in questo momento è con un’altra donna, ciò lo si può capire anche dal fatto che ha mandato diversi messaggi e guarda in continuazione il telefono sbuffando e lasciandosi andare alle lacrime, questo perché lui forse se la sta spassando con qualcun altro e non ha il tempo di rispondere? – Lo guardo senza parole, dato che lui me le ha tolte del tutto dalla bocca. Il suo parlare ininterrottamente mi è mancato da morire, e mi accorgo che riesco a rimanere scioccato anche a distanza di anni da questo suo dono. Se i miei occhi adesso potessero parlare direbbero solo “fantastico, straordinario”.
- Quindi avevo ragione, o almeno… ciò che ho detto io era giusto. – Lo vedo sollevare gli occhi e guardare un punto indefinito dietro di me, poi solleva nuovamente l’angolo delle labbra (il che mi porta a fissarle intensamente, ed ho paura che in questo momento la gente mi consideri un maniaco).
- Hai sbagliato solo una cosa. – Io sollevo un sopracciglio.
- Sarebbe? –
- Hai detto che sta aspettando il fidanzato, l’uomo che frequenta da poco. –
- Beh, sì… -
- Aspetta una donna. –
- Te lo stai inventando. – Sbotto io con aria divertita, ma lui mi fa cenno con la testa verso la ragazza ed io mi giro ad osservare la scena. Al tavolo si avvicina una donna che ha l’aria totalmente annoiata, quasi come se non voglia essere qui in questo momento. Si siede all’altro capo del tavolo e a quel punto la donna soggetto delle nostre deduzioni, inizia la sua sfuriata. Dopo qualche “vaffanculo” e qualche “stronza”, quest’ultima afferra la borsetta e, togliendosi i tacchi a spillo, corre via dal locale.

C’è sempre qualcosa!

Oh Dio, sto iniziando a parlare come Sherlock.

Io ridacchio e scuoto la testa al solo pensiero, tenendo lo sguardo fisso sul piatto che ho di fronte. L’arrosto che vi è servito sarà ormai freddo.
- Sai, questo mi fa pensare a quando tu avevi sbagliato riguardo a… -
- Harriet… - Lo dice insieme a me, pronunciamo il nome di mia sorella nello stesso momento ed io alzo stupito il viso verso il suo. Quando incontro i suoi occhi li trovo confusi che sfrecciano da una parte all’altra. Deglutisce più e più volte, stringendo le mani a pugno sulla tovaglia.

Ha appena ricordato!

Un dettaglio, seppure insignificante, ma lo ha appena ricordato!

- Tua sorella Harry, credevo fosse un uomo. – Continua in sussurro mentre chiude gli occhi e abbassa appena la testa, sfiorandosi le tempie con le dita.
- Sherlock, cerca di respirare, ok? – Dico preoccupato. Lui annuisce e solleva il capo, emettendo due o tre respiri profondi. Ma noto dalle mani ancora strette a pugno che non si è ripreso, quindi mi alzo e lo raggiungo, inginocchiandomi e poggiando la mano sulla sua. Sussulta al mio tocco perché ha ancora gli occhi chiusi, ma poi li punta nei miei e ricambia dolcemente la stretta. In poco tempo, grazie a questo semplice gesto, riesce a calmarsi quasi del tutto. – Sono fiero di te. – Sussurro, ricevendo in cambio un sorriso nervoso. – Sono così fiero di te. – Continuo, portando l’altra mano ad accarezzare il suo zigomo arrossato. La sua reazione mi fa sorridere, perché in un attimo mi ritrovo stretto fra le sue braccia possenti, il viso teneramente infossato nel mio collo e le dita che strattonano delicate i miei capelli sulla nuca.

È tutto così fottutamente perfetto.

- Grazie, John. –
Adesso stiamo camminando, dopo la cena abbiamo deciso di prendere una birra per berla durante il tragitto. Niente taxi, solo noi due a camminare sui marciapiedi, l’uno accanto all’altro a ridacchiare di tanto in tanto.
- Vogliamo continuare il gioco del ristorante? – Mi chiede poco prima di prendere un lungo sorso dalla sua bottiglia.
- Vuoi dedurre i passanti? – Chiedo mentre guardo davanti a me, lui invece ha gli occhi puntati sul mio viso, non li scosta un attimo.
- No, tu vuoi dedurre i passanti. – Mi risponde, marcando la voce sul “tu”. Facile capire che voglia che io inizi a giocare, e il pensiero che voglia coinvolgere anche me mi lusinga… non che prima non lo facesse, ma adesso sembra una chiara ricerca di attenzioni, e non le attenzioni di chiunque ma proprio le mie. Ne ho la conferma proprio poco dopo, quando sento la sua mano afferrare la mia. Sento le pulsazioni aumentare quando le sue dita con titubanza si intrecciano, lentamente e con dolcezza mi stringono la mano. Ha paura che io rifiuti quel gesto, è in attesa di una mia reazione, forse ci ha pensato per tutto il giorno ed ha avuto il coraggio soltanto adesso. Mi decido a ricambiare quella dolce stretta e a prendere un sorso di birra, così da poter dare la colpa alla bevanda per il rossore sulle mie guance… anche se so che ad un occhio così esperto non sarebbe sfuggito un particolare del genere. Ma oggi non ha nulla da ridire sui piccoli dettagli.
- Così tu puoi correggermi subito dopo? – Chiedo mentre il mio pollice si muove in una piccola carezza sul dorso della sua mano.
- Ovviamente, non mi divertirei se no. –
- Beh, scegli qualcuno. – Dico dopo una leggera risata. Lo guardo intento a decidere chi sarebbe passato sotto il mio esame, quando decido di azzardare una mossa decisamente più intima del tenersi per mano mentre si cammina. Lo lascio andare e noto subito la sua delusione, ma ciò dura poco, perché quando circondo i suoi fianchi da sotto il cappotto lungo lo vedo deglutire. Non si muove e trattiene il respiro per un attimo, ma poi anche il suo braccio è pronto a circondarmi e a spingermi maggiormente accanto a lui, contro il suo fianco caldo. – Chiunque, forza. – Lo incito mentre getto via la bottiglia in uno dei cassonetti durante il tragitto.
- Non saprei, sono tutti prevedibili. – La sua voce non è molto sicura, è nervoso mentre le sue parole abbandonano flebilmente la sua bocca. Quando mi giro per guardarlo lo vedo con la testa bassa fissarsi i piedi mentre cammina, trattenendo la bottiglia di birra vuota con la mano libera. – Però… c’è qualcuno che potresti dedurre. – Mi guardo intorno e mi rendo conto che siamo arrivati a Baker Street, e che il 221b è veramente vicino, in più la strada è deserta ed è quasi mezzanotte. Non c’è nessuno da dedurre, ed io non capisco perché Sherlock sia così nervoso adesso.
- E chi sarebbe? – Ci fermiamo proprio davanti al nostro appartamento e Sherlock si sposta in modo da poter essere faccia a faccia, senza spostare la stretta dal mio fianco, e non lo faccio nemmeno io di conseguenza. I miei occhi adesso sono incatenati ai suoi, ma lui non riesce a reggere il mio sguardo che è decisamente più languido del solito, e sicuramente gli fa un certo effetto dato che il suo pomo d’Adamo non smette di fare su e giù.
- Deduci me. – Dice dopo un momento di silenzio. All’inizio non so dove voglia andare a parare, né riesco a capire perché abbia scelto proprio sé stesso per farmi fare questo gioco, ma poi penso che probabilmente vuole farmi capire qualcosa di cui io non mi sto accorgendo, quindi ne approfitto per soffermarmi meglio su ogni piccolo particolare che apparentemente non significa nulla.
È nervoso, su questo non ci piove, non ci vuole un genio o un QI elevato per capirlo. Ciò che devo capire è perché. Sì, ci stiamo guardando, siamo vicini, ci stiamo stringendo l’uno con l’altro ed ha le pupille dilatate, ma non è la prima volta. Succedeva sempre quando a letto gli leggevo le sue avventure. Si accoccolava su di me, mi stringeva, mi guardava con quegli occhi inteneriti e mi sorrideva sgargiante ogni volta che mi lasciavo sfuggire una qualche dolcezza.

Cosa c’è allora Sherlock?

Si lecca le labbra, una, due, tre volte.

Salivazione azzerata?

SI SENTE MALE?

No no, non sta male, nessun attacco, sta bene. Allora cosa diav-oh… oh, ma certo! Avrei dovuto capirlo subito ma sono troppo lento. Non ho il suo cervello, né la sua intuizione geniale, ma avrei dovuto capirlo nel momento esatto in cui ho visto slittare i suoi occhi alle mie labbra.

Oh, Sherlock…

Mi lascio sfuggire un sorriso a quel pensiero e faccio in modo che anche l’altra mano si posizioni sul suo fianco. I miei pollici cominciano a carezzare la sua pelle da sopra i vestiti e il suo respiro si fa pesante. Se in questo momento fosse nudo (maledette le mie fantasie) potrei benissimo vedere la sua pelle che pian piano si ricopre di brividi. Lo so, perché io conosco l’uomo che ho sposato.
- John… - Sussurra con un filo di voce non appena mi vede abbassare il capo verso le nostre scarpe. La mia fronte si poggia contro il suo petto ampio ed io non smetto di sorridere mentre le mie narici vengono riempite dal suo profumo naturale mischiato all’acqua di colonia che ha deciso di mettere per l’occasione.
- Non c’è bisogno che io lo deduca. – Sussurro, sentendo le sue pulsazioni aumentare contro la mia fronte. Io sollevo lo sguardo e incrocio il suo quasi immediatamente. – Giusto? – C’è silenzio, un lungo momento di silenzio in cui sono solo i nostri occhi a comunicare.
- No, hai ragione. – Sussurra poi, e il suo respiro finisce proprio contro le mie labbra… non mi ero accorto fossimo così vicini, non mi rendo nemmeno conto, né realizzo che adesso Sherlock si è abbassato per poggiare quelle carnose, piene, meravigliose labbra sulle mie, dalle quali sono stato attratto come una calamita.

Cristo, finalmente.

Sono proprio come le ricordavo, così soffici, così calde, dolci nonostante il sapore della birra. Tutto intorno a noi sparisce, io non riesco più ad udire i suoni all’esterno, non mi rendo nemmeno conto della bottiglia che Sherlock ha lasciato scivolare dalle mani nel momento esatto in cui le nostre labbra si sono toccate. Entrambe finiscono ad incorniciare il mio viso, che sorretto da quelle lunghe falangi sembra così piccolo. Ma le sue dita mi carezzano gentilmente mentre io mi permetto di lambire il suo labbro inferiore e tirarlo con delicatezza. Lui si lascia sfuggire un sospiro roco e sensuale che riesce a farmi tremare sul posto, per poco ho paura che le mie gambe cedano e sono costretto a reggermi afferrando il braccio di Sherlock. Ci stacchiamo per poco, ancora scossi da questa sensazione magnifica, da questo contatto per lui nuovo ma che a me è mancato come l’aria, ma ho bisogno ancora di quelle labbra sulle mie, come se dipendessi da loro, come se mi aiutassero a respirare, a vivere, quindi mi ci incollo nuovamente, sperando con tutto il cuore che anche lui voglia spingersi oltre e non lasciare che questo sia soltanto uno sfiorarsi di labbra incessante. Voglio di più. Voglio sentire la sua lingua calda che sfiora la mia, voglio mettere su una coreografia passionale insieme alla sua dannata lingua, voglio giocarci finché non sentirò le labbra intorpidite. Tutto ciò avviene un paio di istanti dopo, quando azzardo la mia mossa e faccio in modo che le sua bocca si schiuda sulla mia. All’inizio si irrigidisce del tutto, spaventato da questa nuova situazione. Mi premuro di spostare le mani sul suo petto per accarezzarlo delicatamente, così da tranquillizzarlo il più possibile. Ciò funziona, perché poi mi asseconda e le nostre lingue iniziano a danzare insieme, intrecciandosi e sfiorandosi come mai avevano fatto prima, mentre le nostre mani si cercano, vagano sui fianchi scolpiti di Sherlock, e le sue si incastrano fra i capelli sulla mia nuca, tirandoli leggermente e facendomi sospirare pesantemente sulle sue labbra.
Potrei passare oltre, sfilargli la camicia, accarezzare la sua pelle, farlo mio del tutto… ma so che per questo non è ancora pronto, e forse non lo sono neanche io. In più siamo ancora sul marciapiede, e questo bacio è già abbastanza spinto così.

Chissà cosa hanno pensato i passanti nel vederci…

Giusto, chi se ne frega dei passanti! Pensassero ciò che vogliono.

Ci stacchiamo l’uno dall’altro e rimaniamo vicinissimi e a labbra schiuse, cercando di reclamare ossigeno. Sento ancora il suo sapore, percepisco ancora il tocco della sua lingua che cerca la mia.

Dio, dammi la forza.

Ha gli occhi chiusi mentre la sua fronte si poggia contro la mia, poi le sue dita iniziano a carezzarmi la nuca mentre affievoliscono la stretta per niente spiacevole sui miei capelli. Solo dopo mi accorgo di aver afferrato la sua camicia nera dal petto, di averla stretta con forza tra i miei pugni, travolto dalla passione di quel bacio rovente. Distendo subito le dita per poi spostarle a stringere le sue braccia.
- Non sai da quanto volevo farlo… - Mi confessa lui in un sussurro. – Aspettavo… il momento giusto. –
- Credo che questo sia stato il migliore. – Mormoro a pochi centimetri dalle sue labbra, facendolo ridacchiare a bassa voce, poi finalmente i suoi occhi sono puntati nei miei e mi accorgo che non può fare a meno di mordicchiarsi il labbro inferiore. – Vogliamo entrare? – Sherlock annuisce ed io afferro distrattamente le chiavi dalla tasca per inserirle nella serratura. Ci dirigiamo al piano di sopra, lui mi segue a testa bassa fino a che non varchiamo la soglia del salone.
- Sei stanco? – Mi chiede, e solo in quel momento capisco che la lunga camminata fino a qui mi ha fatto intorpidire le gambe, non vedo l’ora di stendermi e di farmi una lunga dormita.
- Un po’. – Dico mentre mi sfilo la giacca e la appendo alla spalliera della sedia in cucina. Lui non dice nulla, si limita ad accomodarsi sulla sua poltrona con ancora il cappotto addosso, poi tira fuori il suo diario e la sua penna. Quando lo apre, comincia a scrivere sulla pagina senza sosta ed io mi soffermo un attimo a guardare la sua fronte corrugata e concentrata.
- Sei ancora qui? – Mormora con tono serio senza spostare lo sguardo dal diario.
- Come? –
- Vai a riposarti, John. – Mi dice, poi solleva la testa ed accenna un dolce sorriso, totalmente in contrasto con la sua voce decisa che fino a poco fa stava usando per parlarmi. – Ti raggiungo fra un attimo. Devo trascrivere gli sviluppi della giornata. – Io sollevo leggermente l’angolo delle labbra ed annuisco.
- Su noi due o sulla tua memoria? – Sta decisamente arrossendo, cerca di nasconderlo evitando il mio sguardo e puntando il proprio sulla penna.
- Forse entrambe le cose. – Accenno una risata e comincio a camminare verso camera sua… ehm, nostra. Quando la raggiungo il letto sembra chiamarmi a tuffarmi tra le sue morbide coperte, è tanto invitante che non aspetto un attimo prima di sfilarmi la camicia, i pantaloni e di mettermi il pigiama. Ma avverto una strana sensazione proprio nel momento esatto in cui ripongo i vestiti della nostra cena dentro il cassetto, e capisco di cosa si tratta subito dopo, quando mi rendo conto che ho lasciato la porta aperta per tutto questo tempo, e che Sherlock ha assistito in silenzio al mio “spogliarello”. Quando si accorge della mia attenzione su di lui, abbassa subito gli occhi ed emette una finta tosse per cacciare via l’imbarazzo. Mi ha appena visto, mezzo nudo, mentre mi sfilavo la camicia.

Chissà cosa ha pensato…

Chissà se si è soffermato su qualche particolare, se il mio corpo suscita in lui ancora quel fremito, se vorrebbe avvicinarsi e toccarmi, anche solo sfiorarmi la pelle con le sue lunghe dita, o poggiarci sopra le labbra per farmi rabbrividire.
Mentre mi lascio andare a quel fiume di pensieri decisamente poco casti sul mio compagno, mi lascio ricadere sul letto e mi sistemo sotto le coperte. La sveglia poggiata sul comodino segna “00.28” e mi lascio andare ad un lungo sospiro quando mi rendo conto che il Natale si sta avvicinando e che per la prima volta non ho la più pallida idea di cosa regalare a Sherlock. Gli anni prima il suo regalo era già messo da parte qualche settimana prima, ma questa volta mi sarei ridotto a cercare qualcosa da comprargli forse il 23 dicembre. E tutto ciò mi fa sentire un vero idiota. Devo avere le idee chiare, forse dormirci su potrà essermi d’aiuto.
E lui? Insomma… mi ha comprato qualcosa? Magari questo pomeriggio, durante la sua lunga ed estenuante assenza. Forse lo ha comprato in questi ultimi giorni o forse non lo ha comprato. Magari anche lui ha dei dubbi su cosa comprarmi o semplicemente non mi comprerà niente.
In fondo che m’importa! Non ho mai chiesto nulla da lui, né mai lo farò, dato che Sherlock mi basta per essere felice.

Andiamo, John! Adesso non dirmi che quando negli anni passati eri l’unico essere umano a cui comprava un regalo non ti sentivi un ragazzino alla prima cotta!

I miei pensieri vengono interrotti proprio da lui che, già in pigiama, entra nella stanza e si dirige spedito verso le pillole poggiate sul comodino, mandandone immediatamente giù una grazie a qualche sorso di acqua.

Le prende da solo, adesso… ma io non smetto di controllarlo.

Si infila sotto le coperte e rimane immobile a fissare il soffitto, poco dopo aver spento la luce. Siamo al buio più totale ed entrambi guardiamo sopra di noi. L’imbarazzo aleggia su entrambi rendendoci muti ed impacciati mentre ci limitiamo a scrutare il nulla.
- John… - La sua voce insicura spezza il silenzio.
- Sì? –
- Stasera è stato un primo appuntamento fantastico. – Mi sfugge un sorriso e allora mi azzardo a girare la testa per guardarlo. L’unica luce nella stanza è quella dei lampioni che penetra fioca dalla finestra, cadendo sul suo viso spigoloso ed angelico. Riesco a vedere i suoi contorni e l’unica cosa che mi viene da pensare è quanto sia bello. – Mi sono divertito. – Continua mentre io sussulto quando la sua mano raggiunge la mia sotto le lenzuola.
- Anche io. – Mormoro intrecciando le dita alle sue. Lui sembra sciogliersi del tutto e si gira sul fianco, avvicinandosi il più possibile a me e poggiando delicatamente la testa sulla mia spalla. Il suo braccio mi circonda subito ed io non perdo tempo ad immergere il naso fra i suoi ricci scomposti. – Te lo avevo detto che avremmo ricostruito tutti i nostri momenti. – Lui non risponde e continua a muovere il pollice sul mio braccio. – Cerca di dormire adesso. – Sussurro, ma lui non mi ascolta, perché poco dopo vedo la sua testa fronteggiare su di me, i suoi occhi profondi e luminosi a scrutarmi e la sua bocca dischiusa che trema appena mentre, con estrema lentezza, si avvicina. Mi ritrovo di nuovo con le labbra incollate alle sue mentre la sua mano si sposta goffamente sul mio petto, e la mia finisce proprio sulla sua. Non è un bacio lungo e passionale, piuttosto è lento, veloce, a stampo, ma incredibilmente languido dato il modo in cui avidamente ha preso il mio labbro inferiore fra le sue… e quell’adorabile schiocco non appena ci siamo staccati risuona ancora nella mia testa come una dolce melodia, una meravigliosa ninna nanna che mi accompagnerà per tutta la notte al solo pensiero.
- Buonanotte, John. –
- Notte, Sherlock. – E la sua testa torna sulla mia spalla, il suo respiro torna a scontrarsi contro la stoffa del mio pigiama, e la sua mano tiepida continua a carezzarmi fino a quando i suoi occhi non chiedono una tregua e si addormenta con il sorriso sulle labbra.
L’indomani, quando mi stiracchio sul materasso, mi rendo conto che la sua metà del letto è vuota e fredda. Si è alzato già da parecchio tempo e, visto il rumore che proviene dall’altra stanza a quanto pare non è uscito. Mi alzo goffamente e ancora assonnato, traballo un po’ prima di mettermi in piedi, infine lo raggiungo in cucina e lo trovo vestito di tutto punto mentre sfoglia delle cartine che ha in mano. Da dove diavolo provengano però non ne ho idea.
- Buongiorno! – Esclama con un enorme sorriso, guardandomi solo per un secondo. Io sto per dire qualcosa, ma lui mi interrompe quasi subito. – Sbrigati a vestirti, dobbiamo uscire! – Mi gratto confuso la testa e mi poggio allo stipite della porta del corridoio.
- Perché, dove andiamo? –
- Ricordi? Dobbiamo annusare i dipendenti della banca. – E lo dice così… come se fosse la cosa più normale del mondo.




Note autrice:
Buonsalve gente. Perdonate il ritardo ma adesso sono qui.
Questo capitolo fluffoso è finalmente uscito, credo fosse una delle cose che aspettavate con trepidazione, o sbaglio?
Spero di aver reso l'idea e che sia rissultato dolce proprio come volevo farlo sembrare.
Ora ho un annuncio da fare.
Ho creato una simatica iniziativa sulla mia pagina (Citazioni improbabili di Benedict Cumberbatch) riguardante i nostri Johnlock. Si tratta di una specie di "fanfiction interattiva", se così vogliamo chiamarla... di cui anche voi potete essere i creatori attraverso un'intervista alla coppia. Detto così forse non è chiaro, ma vi lascio il link della rubrica #askJohnlock in cui sarà proprio Sherlock a spiegarvi cosa fare per partecipare.
Bene, detto ciò io vi abbandono e ci sentiamo la prossima settimana per un altro capitolo.
Baci, a presto!
  
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