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Autore: SherlokidAddicted    11/02/2017    4 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sono cambiato



 
Siamo seduti l’uno accanto all’altro sul taxi che ci condurrà alla banca. Sherlock ha ancora quelle cartine e le sta studiando meticolosamente, ma quando si accorge della mia curiosità, si avvicina maggiormente e poggia tutti i fogli sulle mie gambe. Davanti a me c’è la planimetria di una casa e per un attimo, mentre guardo ogni dettaglio, non riesco proprio a capire di che cosa si tratti, poi la struttura del salone comincia a sembrarmi familiare e sollevo sorpreso le sopracciglia.
- Questo è il salotto di Ellen! – Esclamo, ricevendo in cambio un sorrisetto soddisfatto. – Come hai fatto a procurarti le planimetrie? – Sherlock sorride ancora mentre incrocia le dita sul grembo e comincia a scrutare fuori dal finestrino, togliendo la sua attenzione visiva dal sottoscritto.
- Ti ricordi quando ieri ti ho detto che mi ero procurato il numero di una persona che mi avrebbe aiutato? – Io rispondo di sì, mentre ripiego con cura uno dei fogli che sto sfogliando. – Bene, il numero apparteneva all’ex proprietario della casa, gli ho chiesto le planimetrie ma non mi aspettavo affatto la risposta che mi ha dato. –
- Cosa ti ha detto? –
- Che me le aveva già procurate, ma io non lo sapevo, cioè… non lo ricordavo. – A questo punto si gira e mi guarda, accennando un minuscolo sorriso imbarazzato, poi sospira pesantemente e riprende il suo racconto. – Così l’ho ringraziato e ho cominciato a mettere a soqquadro l’appartamento per trovarle. –
- Tutto questo mentre io dormivo? –
- Sì. –
- Perché non mi hai svegliato? Insomma… potevo aiutarti. – Chiedo rivolgendogli un’occhiata dolce ma severa allo stesso tempo. Lui scuote la testa e si mordicchia nervosamente le labbra prima di rispondermi.
- Non volevo svegliarti, dormivi così bene. – Lo dice accennando un piccolo sorriso e allora capisco che ogni tanto è passato a controllarmi mentre dormivo. Forse si è soffermato più del solito, forse su ogni mio minimo e apparentemente insignificante particolare.

Forse ha pensato al nostro bacio mentre lo faceva.

- Ho chiesto alla signora Hudson. Mi ha detto che mentre ero in ospedale ha messo un po’ di ordine e che aveva visto le planimetrie sul tavolino del soggiorno. – Il suo riprendere a raccontare mi distrae dalle possibili fantasie riguardo a questa mattina, poi lascio storcere le labbra mentre sto attento al suo discorso ed improvvisamente mi illumino.
- Se erano sul tavolino allora vuol dire che quel giorno avevi davvero scoperto qualcosa! – Lui annuisce ed io abbasso nuovamente lo sguardo sulla rappresentazione della casa di Ellen, senza però capire cosa può esserci di importante su questi fogli da farlo eccitare quella volta, tanto da essere travolto da un… maledetto furgone.
- John, guarda con attenzione! Non noti nulla? – Nella mia testa rivedo la stanza in cui io e Sherlock abbiamo scrupolosamente osservato i dettagli. Riconosco la parete dominante sulla cartina, la porta d’ingresso e la grande finestra, poi riconosco la porta che dà sul corridoio e… aspetta, questa porta non l’ho mai vista. – L’hai notata? –
- Che diavolo è? –
- La libreria, John! – Continuo però a non capire. Lui sospira esasperato, poi si gira quasi del tutto verso di me e comincia a spiegarmi. – Le due diverse carte da parati, quasi simili ma di cui si riconosce quando finisce una e quando comincia l’altra. All’inizio credevo si trattasse di una ristrutturazione, ma quando ho richiamato l’ex proprietario mi ha spiegato che all’epoca la casa era stata costruita durante il periodo della seconda guerra mondiale. I bombardamenti erano quasi all’ordine del giorno e i suoi nonni avevano fatto costruire un rifugio sotterraneo. –
- Aspetta, frena! – Esclamo, stirando per bene il foglio sulle mie gambe, poi poggio il dito su quello che sembra un corridoio con delle scale, oltre la porta che poco prima mi era sembrata sconosciuta. – Mi stai dicendo che la libreria è in realtà un ingresso segreto al rifugio? –
- Ne sono sicurissimo. –
- Ma… perché questo dovrebbe essere importante per il caso? – Chiedo confuso mentre passo nuovamente a Sherlock le planimetrie della casa. – Cosa c’entra il rifugio sotterraneo con la sparizione dei soldi alla banca? –
- Oh John, davvero non ci arrivi? – Mi chiede con disappunto mentre io mi fermo un attimo a riflettere. D’un tratto tutto mi sembra più chiaro, e lo è perché ho imparato a pensare e riflettere come mio marito, grazie ad i suoi utili e vecchi insegnamenti sulla deduzione, e… ok, anche perché forse sono molto più intelligente di quanto io creda.
- Pensi che siano nascosti lì? –
- Credo di sì. –
- Quindi è stata Ellen a rubarli! – Esclamo, ricevendo in cambio un’occhiata insicura. Raro da lui se si tratta di un caso.
- Non ne sono sicuro. È casa sua, quindi è la sospettata numero uno, ma ho come la sensazione che lei non ne sappia niente. Forse non sa nemmeno dell’esistenza del rifugio. Come hai visto per noi è stato difficile capire si trattasse di un passaggio. Lei lavora tutto il giorno, è sempre fuori di casa, può anche darsi che non se ne sia accorta, che non ci abbia prestato molta attenzione. – Io annuisco, rendendomi conto che il suo ragionamento non fa una piega. Il lavoro a tempo pieno distrae, probabilmente non se n’è accorta. – E lei non mi sembra il tipo da rubare tutti quei soldi e nasconderli in un posto così ovvio e prevedibile, avrebbe trovato un altro luogo. –
- Quindi pensi sia stato qualcun altro e che li abbia nascosti a casa sua? – Sherlock annuisce ed io punto per un attimo lo sguardo fuori dal finestrino. Mi rendo conto che siamo quasi arrivati, quindi metto le mani in tasca ed afferro il portafoglio per recuperare la mancia da consegnare al tassista. – Qualcuno che conosce bene, allora, se Ellen gli permette da restare tanto tempo a casa sua per studiarla e per scovare nascondigli. –
- Magari anche mentre lei è al lavoro e lui ha il campo libero. – L’auto si ferma ed io mi sporgo per consegnare i soldi al cinquantenne seduto al posto di guida. Lo salutiamo e lo ringraziamo della corsa, poi scendiamo insieme dalla macchina e raggiungiamo l’entrata della banca.
- Un uomo? –
- Ti ricordi quando siamo andati da lei la prima volta? Io mi sono ricordato di quella volta. Mi sono ricordato della biancheria maschile sul tavolo, della tua affermazione che ha fatto arrossire Ellen e del forte odore di acqua di colonia. – Raggiungiamo le scale mobili ed aspettiamo che ci portino fino al piano superiore. Siamo uno accanto all’altro e le sue parole mi fanno sorridere mentre porto le mani dietro alla schiena.

Certo, adesso è chiaro!

- Devi annusare i dipendenti. – Mormoro con tono divertito, al quale lui risponde con una risata prolungata e baritonale che mi fa rabbrividire. Ho sempre amato il suono della sua risata.
Poco dopo ci ritroviamo nell’ufficio di Sebastian ad aspettare il suo arrivo. Sherlock guarda la sua foto poggiata sulla scrivania, tenendo le lunghe gambe accavallate e sollevando di tanto in tanto le sopracciglia. Lo studia come se fosse la prima volta che lo vede… ed in fondo è proprio così, date le circostanze.
- Te ne ricordi? –
- No, per niente. – Io sospiro rassegnato, mentre mi sistemo meglio sulla poltrona su cui sono seduto, in attesa. Non abbiamo il tempo di dire o fare altro, perché il diretto interessato giunge all’interno del suo ufficio con una camminata indecisa e titubante. Entrambi ci alziamo e Sebastian si dirige subito da mio marito, quasi non fa caso alla mia presenza. Gli stringe forte la mano e lo guarda con sorpresa.
- Sherlock, non mi aspettavo il tuo arrivo. – Confessa poi, senza lasciare la sua mano e continuando a guardarlo come se fosse un alieno di un altro pianeta. – Ho saputo quello che ti è successo, credevo che non avresti ripreso le redini del caso. – Alla fine, grazie ad una mia finta tosse, l’uomo si accorge di me e si premura di stringermi cordialmente la mano con uno sguardo di scuse.
- Lo so, Sebastian, ma ho delle novità. –
- Tu… ti ricordi di me? – C’è un attimo di silenzio in cui Sherlock alterna lo sguardo da lui a me con un’espressione dispiaciuta, poi sospira e scuote la testa.
- Mi dispiace, no. –
- Oh… - Sembra quasi deluso. Mi ricordo la prima volta in cui siamo venuti qui e dei racconti sulla sua esperienza universitaria con Sherlock, aveva parlato del modo in cui lui deduceva qualunque cosa gli passasse sotto il naso e ne aveva fatto riferimento con una certa punta di fastidio e di falsa ironia nella voce. Ora che Sherlock non si ricorda, Sebastian sembra provare pena per lui.

Vorrei prenderlo a schiaffi.

Non me ne rendo conto subito, ma quando mi sono accorto della “delusione” del vecchio compagno di università di mio marito, mi sono messo involontariamente sull’attenti, ho fatto un passo avanti e l’ho guardato con aria superiore.

Prova a dire altro o ti vomito addosso tutti i miei anni di addestramento.

Sembra capire l’antifona, perché quando nota il mio comportamento cambia subito discorso.
- Beh, ehm… che cosa ti serve? –
- Nulla di molto specifico, devo solo dare un’occhiata in giro tra i tuoi dipendenti, me lo lasci fare? – Sebastian annuisce quasi rassegnato, poi ci fa cenno di accomodarci all’esterno per procedere.
Io e Sebastian siamo dietro a Sherlock, e lui inizia ad aggirarsi tra le scrivanie dei dipendenti come un segugio in cerca del suo osso prelibato. Notiamo che c’è anche Ellen che ci guarda confusa dalla sua postazione. Sta lavorando a dei documenti ed ogni tanto lascia scivolare furtivamente il suo sguardo su di noi. Gli altri dipendenti guardano mio marito come se fosse pazzo, ma non è la prima volta che succede, ed io non ho reazioni esagerate al riguardo. Sono riuscito a trattenermi e a restare immobile nel mio angolo, a vederlo svolgere il suo lavoro.
Ci intrufoliamo in ogni ufficio ed in ogni angolo dell’edificio, poi Sherlock ci si avvicina e va a stringere la mano a Sebastian.
- Ti ringrazio del tuo aiuto, Sebastian. –
- Cosa…? È tutto qui? –
- Sì, dovevo solo verificare una cosa. Ti farò sapere. – Poi si gira e si allontana spedito verso le scale mobili.
- Beh, arrivederci. – Mormoro imbarazzato, infine raggiungo Sherlock e lo guardo di sottecchi mentre la scala ci conduce al piano di sotto. – Che succede? –
- Il rapinatore non è qui. –
- No? –
- L’unica persona ad avere addosso quell’acqua di colonia è Ellen. – La sua voce è piatta, sembra deluso da ciò che ha appena scoperto, e me ne rendo conto anche quando varca la porta d’ingresso con un leggero ringhio di frustrazione.
- Sherlock! – Lo chiamo poco prima di raggiungerlo mentre lo vedo fare avanti e indietro sul marciapiede. – Aspetta, quindi è stata Ellen? –
- No, no, Ellen è innocente, io lo so! –
- Magari ti sbagli! –
- Io non mi sbaglio, John! –
- Oh, Sherlock, per l’amor del cielo… forse il fatto che quel giorno c’era della biancheria maschile in casa di Ellen non vuol dire che appartenesse ad uno dei dipendenti. E magari il profumo era proprio il suo. – Lui scuote nervosamente la testa e continua a camminare avanti e indietro allo stesso modo, battendo i piedi con furia.
- No, io so che lei non c’entra. –
- Sherlock… - lo fermo dalla sua camminata prendendolo per il gomito e ricevendo in cambio una vera e propria sfuriata che fa voltare tutti i passanti verso di noi.
- IO HO RAGIONE! – Forse aveva proprio bisogno di quell’urlo liberatorio, perché adesso sta respirando lentamente e profondamente con l’intento di riprendersi, mentre il mio sguardo verso di lui si fa duro e severo.
Lo sapevo, lo sapevo che sarebbe successo. È troppo presto per stare dietro ad un caso. Sembrava andare tutto bene, ma la continuità di questa situazione lo sta facendo indebolire, in più ha appena avuto uno dei suoi momenti d’ira, proprio come quella volta quando ha frantumato il bicchiere di vetro sul pavimento del soggiorno.
Deve rallentare il ritmo.
- Devi andarci piano. – Dico dopo qualche secondo di silenzio, la mia voce è decisa, è quasi arrabbiata, ma la mia rabbia non è dettata dalla furia, perlopiù è dettata dalla preoccupazione, perché mai permetterò che abbia un’altra ricaduta. – Stai facendo tante cose in troppo poco tempo, ti devi dare una regolata. Non sei pronto per riprendere i ritmi di una volta. – Nel frattempo la mia mano è scivolata fino al suo polso e riesco a sentire le pulsazioni esageratamente accelerate del suo cuore.

Sì, deve proprio calmarsi.

- Domani, facciamo tutto domani. Per oggi ti devi riposare, ordini del medico. – Lo sento tremare sotto la mia presa ferrea, ma poi mi rendo conto che sta piangendo e mi affretto a prendere il suo viso tra le mani.

Sbalzi d’umore, la cosa non va bene.

- Scusa… scusa, non avrei dovuto urlare… - Mormora con un filo di voce, mentre porta le sue lunghe falangi a circondare le mie braccia. Le lacrime rigano le sue guance infossate e i suoi zigomi spigolosi. Si è appena reso conto di ciò che gli è successo. Ha capito che ha superato il limite e che deve riposarsi. Si sente in colpa.
- Non importa. –
- Sì, sì invece… -
- Ascolta, torniamo a casa. Domani vedremo cosa fare, ma intanto voglio che torniamo a casa e che ci rilassiamo. – Lui annuisce velocemente, ma il fatto che sia ancora così spaventato mi spinge ad avvicinarmi e a poggiare le labbra umide sulla sua bocca, un piccolo e rapido tocco che sembra tranquillizzarlo in un lampo.

Era proprio quello che volevo.

Arrivati a casa, Sherlock sparisce subito oltre il corridoio, probabilmente sta andando a stendersi. Io resto nel soggiorno ed afferro il mio cellulare che ha iniziato a squillare senza tregua. Sullo schermo compare il nome di Lestrade ed io mi lascio sfuggire un sospiro prima di rispondere.
- Pronto? –
- Ciao John, tutto bene? – Io sollevo un sopracciglio e lascio cadere le chiavi sul tavolino con un tintinnio sordo che riecheggia nella stanza, poi mi accomodo sulla poltrona di Sherlock.
- Sì, perché? –
- Donovan era di pattuglia e ha assistito alla sfuriata di Sherlock. – L’ennesimo sospiro pesante abbandona le mie labbra e chiudo gli occhi per un attimo.

Quella vipera era presente ed io non l’ho notata… benissimo.

- John, ci sei? –
- Sì, sì, sono qui. –
- Lui sta bene? –
- Sì, sta bene, si è solo sforzato un po’ troppo, adesso credo stia dormendo. – C’è un attimo di silenzio in cui io mi sporgo dalla poltrona per guardare oltre la porta del corridoio, notando la porta della sua camera semichiusa.
- Oh, d’accordo. Mi ero preoccupato. Beh, fammi sapere se hai bisogno di una mano. –
- Certo, Greg, grazie mille. – E poi mette giù, facendomi sfuggire un altro lungo sospiro. Mi strofino gli occhi con due dita con l’intento di scacciare via la tensione, poi decido che è meglio sciacquarmi il viso e sentire la freschezza dell’acqua sulla mia pelle. Mi alzo e spedito raggiungo il bagno, immergendo finalmente la faccia nell’acqua che ho preso fra le mani, ed è subito sollievo. Lo faccio più volte e quando sollevo il viso per guardare lo specchio, vedo che dietro di me Sherlock è nella vasca da bagno. Rimango immobile e stupito a, e lui ha la mia stessa reazione. La schiuma non lascia intravedere il suo corpo nudo, riesco solo a vedere le sue spalle lucide e scintillanti dalle quali non riesco a staccare subito gli occhi. Mi limito a boccheggiare e a distogliere lo sguardo mentre usufruisco dell’asciugamano.
- Scusa… credevo fossi a letto. – Dico mentre la rimetto a posto.
- Non… non fa niente. Non sarà di certo la prima volta per te vedermi così. – Accenno un sorriso e mi giro verso di lui per guardarlo in viso, ma sembra evitarmi quasi subito. – Non riesco a rilassarmi. –
- Quindi hai pensato ad un bagno caldo? –
- Sì, ma non funziona. – Sospira pesantemente e lascia ricadere la testa all’indietro, poggiandola sul bordo della vasca.
- Non era così che riuscivi a rilassarti un tempo. – Mi sfugge all’improvviso. Mi pento immediatamente di quello che ho detto, perché so che quello che sto per proporre non sarebbe una cosa per cui lui si sentirebbe pronto.

Fermi tutti, non saltiamo a conclusioni affrettate! Non parlo di sesso.

- E come? – Bene, e adesso? Mi conviene parlargliene o raccontare una balla? Solo che… gli ho promesso che non avrei più mentito, e ormai il dado è stato lanciato, tanto vale sputare il rospo.
- Beh, io te lo dico, ma se vuoi troviamo un altro modo. – Lui annuisce e mi incita a parlare. In cosa consiste il metodo di rilassamento, dite? - Di solito preferivi… farlo insieme a me il bagno. – Mormoro senza guardarlo, mentre gioco con l’orlo della mia camicia blu a quadri.
- Oh… - Dice lui fissando un punto indefinito davanti a sé. I miei occhi sfrecciano sul pavimento tra i suoi vestiti raggomitolati e sparsi su di esso.
- Posso prepararti una camom… -
- No, va bene. – I nostri sguardi si incatenano ed io sono stupito totalmente dalla sua affermazione.
- Come? –
- Il bagno va bene. La camomilla non mi fa effetto. -
- Sherlock, è… un passo importante, sei sicuro? –
- Mi fido di te. – Cala un silenzio imbarazzante che sembra non finire mai, in cui io non so se agire e cominciare a spogliarmi o semplicemente rifiutare e lasciarlo in balia del tepore dell’acqua calda all’interno della vasca. Ho l’impulso quasi immediato di rinunciare, ma i suoi occhi sono supplichevoli, e non perché abbia fretta di vedermi nudo, ma perché vuole farsi scivolare di dosso quel nervosismo e rilassarsi, e avrebbe provato di tutto, perfino questo.
- Va… va bene. – Dico infine mentre raggiungo con le dita i bottoni della camicia. – Se vuoi puoi tenere gli occhi chiusi finché non entro. – Lui annuisce, totalmente d’accordo con me, quindi chiude gli occhi ed io ho la conferma che ha bisogno soltanto di rilassarsi, non di vedere il mio corpo.
In poco tempo i vestiti sono sul pavimento accanto ai suoi. Sono del tutto esposto mentre mi immergo nella vasca, al lato opposto al suo. Mi poggio alla porcellana fredda e mi assicuro che ci sia abbastanza schiuma da coprirmi.
- D’accordo, puoi aprirli se vuoi. – I suoi occhi si schiudono titubanti e si puntano quasi subito nei miei, non si spostano neanche un attimo per guardare altri dettagli. – Tutto ok? – Lui annuisce.
- E tu? –
- Mi sento strano. È da tanto tempo che non capitiamo in una situazione del genere. –
- Ti senti a disagio? –
- No, non è disagio. – Mormoro abbassando lo sguardo su un cumulo di schiuma accanto a me. – Ma non so neanche descrivere cosa sia. – Gli scappa una risatina che mi contagia quasi subito, mentre la mia mano si sposta quasi subito ad accarezzare la sua sul bordo della vasca, ed entrambi non possiamo fare a meno di osservare il movimento delle nostre dita che si intrecciano dolcemente.
- Sai… va già meglio. – Dice dopo qualche minuto di silenzio.
- Oh, bene. –
- Ti dispiace se mi avvicino? – Forse ha capito che è proprio il contatto con me che riesce a farlo rilassare… o semplicemente, come me d’altronde, non vede l’ora di sfiorare la mia pelle o di starmi vicino. Non gli chiedo nemmeno se ne è sicuro e, mentre le sue spalle bagnate catturano la mia attenzione, facendomi soffermare su ogni poro di pelle, scivolo in avanti in modo da essere più vicino, e lui fa lo stesso subito dopo. Ci ritroviamo con le gambe che circondano l’altro, e Sherlock non esita a portare la sua mano sulla mia guancia, mentre le mie dita percorrono delicatamente il suo polso. Se potessi guardare questa scena da lontano potrei vedere i nostri occhi languidi che non si staccano da quelli dell’altro. – Mi sorge spontanea una domanda. – Mormora poi muovendo piano i polpastrelli sul mio zigomo.
- Che tipo di domanda? –
- Prima che stessimo effettivamente insieme avevamo mai raggiunto livelli così intimi? – Scuoto la testa quasi subito, con una risata divertita alla quale lui risponde con un altrettanto sorriso. – Oh, è come quella stupida regola del “niente sesso prima del matrimonio”? Per noi cos’era… un “niente bagni rilassanti insieme prima di una cosa ufficializzata” o qualche altra cazzata simile? –
- Diciamo che accettare il fatto che ti stessi innamorando è stato un percorso arduo per te. Non volevo fare mosse azzardate e farti scappare via. Continuavi a definire i sentimenti come una perdita di tempo e una distrazione inutile. – Entrambe le sue mani allora si spostano ad incorniciare il mio viso con una delicatezza immane. Sembra stia prendendo fra le sue lunghe falangi un uccellino incapace di volare ed infreddolito, che stia toccando la cosa più preziosa del mondo.
- Avevo ragione, allora. I sentimenti sono una perdita di tempo, un errore umano, una distrazione inutile della parte che perde. – Credo di aver sentito male per un attimo ed inarco le sopracciglia dalla confusione. – Ma per te, John Watson… per te… ne vale fottutamente la pena. – Le mie mani raggiungono quasi subito i suoi polsi, ed i miei pollici li accarezzano con dolcezza mentre mi lascio sfuggire un sorriso.
- Me lo avevi già detto una volta, non sei cambiato affatto. –
- John, io non sono cambiato. Sono io, sono sempre quello Sherlock che hai sposato. Devi solo dargli il tempo di riemergere. –

Ha maledettamente ragione.

Mi sento uno stupido a doverlo affermare dopo tutto questo tempo in cui la risposta che cercavo era palese davanti ai miei occhi. Io non ho perso mio marito, questa persona che ho davanti non è cambiata, è sempre quell’idiota che ho scelto di sposare, solo con qualche difficoltà in più. Ma è sempre il mio Sherlock.
Non spreco fiato inutilmente per rispondere, mi limito a sporgermi quel tanto che mi basta per far combaciare le nostre labbra e a far trasformare questo tocco in qualcosa che di casto non ha proprio niente, a partire dal suono indecente dello schiocco delle nostre bocche, dallo sfiorarsi e l’intrecciarsi disperato delle nostre lingue, dall’impeto delle nostre mani che afferrano, tirano ed accarezzano i capelli dell’altro, fino ai sospiri al limite dell’eccitazione che abbandonano le nostre labbra, rosse per colpa dei piccoli morsi che ci scambiamo durante quell’incontro focoso di bocche affamate.
Ci stacchiamo senza fiato, e lui poggia quasi subito la fronte contro la mia spalla, con un sorriso a solcargli il viso già del tutto rilassato. Ne approfitto per prendere la sua mano e stringerla nella mia, e solo allora mi accorgo che non porta la fede, che l’ha poggiata sul mobiletto accanto alla vasca, come faceva sempre una volta.




Note autrice:
Salve gente! Lo so, è passato troppo tempo, ma in questi giorni mi sono ammalata e non avevo le forze per scrivere l'ultima pagina di capitolo. Ci  sono riuscita solo ieri, quando finalmente la febbre è andata via. Sia lodato il cielo, mi sento rinata ahahaha
Beh, a parte ciò, spero di farmi perdonare con questo capitolo e con il prossimo per il quale non impiegherò tutto questo tempo, tranne per casi estremi come questi.
Spero vi piaccia... io lo adoro, è uno dei più fluffosi.
Un bacio!
  
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