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Autore: _Destinyan_    27/01/2017    2 recensioni
Inghilterra, 1945.
Antonio ha vissuto tutta la sua vita in un orfanotrofio, vorrebbe che la gioia trovata lì non finisse mai. Sarà però costretto a dover affrontare la realtà una volta capito che cosa significa crescere, conoscere il mondo... e affrontare qualsiasi tipo di viaggio pur di rivedere Lovino.
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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12 Febbraio 1946
 
“Antonio, tesoro, esprimi un desiderio!” La signorina Braginskaya disse dolcemente rivolta ad Antonio, il quale si trovò davanti agli occhi una torta con nove candele sopra, che gli illuminavano il volto.
“Cosa… cosa dovrei desiderare?” Chiese lui rivolto verso gli altri bambini.
La voce gracchiante di Gilbert rispose subito “No, zitto, zitto, se lo dici ad alta voce non si avvererà!” gli spiegò, quando la signorina gli annuì lui sghignazzò fra sé e sé.
Non so cosa chiedere…
Pensò. Alzò lo sguardo verso Lovino e gli altri bambini
Spero che rimarremo tutti quanti amici.
E soffiò sulle candeline.

Era forse la seconda volta che festeggiava un compleanno, la signorina Braginskaya si impegnava al meglio per rendere tutti i bambini contenti almeno il giorno del loro compleanno, eppure delle volte non potevano permetterselo. Matthew e Alfred non festeggiavano il compleanno vero, quando vennero portati all’orfanotrofio erano troppo piccoli e non avevo alcun bigliettino accanto, mentre Antonio sì.
La signorina Braginskaya una volta raccontò ad Antonio che insieme a lui trovò tutte le informazioni sul suo conto. Il piccolo spagnolo pensava che la sua mamma doveva essere una donna molto gentile per fare un favore del genere alla signorina.
Ad ogni bambino venne dato un pezzo di torta e ne sembrarono tutti molto contenti.
“Io non esprimerò un desiderio quando dovrò spegnere le candeline.” Lovino disse mentre parlava con Antonio.
“Come mai?” rispose lui “All’inizio nemmeno io sapevo cosa chiedere… però poi ci sono riuscito.” Gli spiegò mentre dava un morso alla torta. Era buona e al cioccolato, era da tanto che non mangiavano dolciumi. La signorina non voleva farne mangiare troppi ai bambini, ma durante la guerra non riusciva proprio a comprarne.
Lovino poggiò la forchetta e il piatto sporco sul tavolo “Io non ci credo.” Si voltò verso l’altro.
“A che cosa?” Chiese Antonio un po’ confuso dalle parole dell’italiano.
“Ai desideri.” Continuò a spiegare “Non si avverano.”
“Il mio si avvererà di certo!” Disse Antonio con aria di sfida.
Lovino inarcò un sopracciglio, poggiò la testa sulle piccole mani e chiese “Che cos’hai chiesto?”
“Hai sentito Gilbert prima! Non posso dirtelo.” Incrociò le braccia e continuò a fissare Lovino, il quale girò la faccia e andò verso il fratello.
Era quasi un anno che si conoscevano, eppure per Antonio, molto spesso, Lovino sembrava un mistero. Forse era lui ad essere troppo infantile, o forse era Lovi ad essere troppo maturo per la sua età.

***

Lovino e Feliciano presero qualche fiore nel campo dietro casa, volevano portarli alla mamma.
La mamma era nel giardino a curare le piante, i suoi capelli biondo cenere erano raccolti in una treccia. Lovino e Feliciano corsero da lei, le diedero alcuni fiori.
“Grazie!” disse lei contenta e sorridendo, li prese e stette attenta a non rovinarli “Andiamo dentro, li metto nell’acqua.”

“Sì!” Feliciano rispose, prese la mano di Lovino e corsero dentro precedendo la madre.



“Sono tornato!” il papà passò dalla porta. Tolse la giacca e la poggiò sulla sedia, e andò a salutare Lovino e Feliciano. Gli fecero vedere i fiori che avevano trovato, il papà era sempre contento di ascoltare le storie dei due bambini. Prese uno di quei fiori fece l’occhiolino e andò verso la mamma cantando:

“Prendi una rosa
da tener sul cuor
legala col filo
dei tuoi capelli d'or
Forse domani piangerai,
ma dopo tu sorriderai.”



“A chi Lily Marlene?
A chi Lily Marlene?”



Lovino aprì gli occhi lentamente, vide il volto di suo fratello di fronte a lui. Aveva ancora quella canzone che risuonava in testa…
Spostò lo sguardo verso la finestra, vide attraverso le lacrime che l’alba doveva ancora sorgere, decise di rimanere nel letto e provare a dormire.

***

Come ogni domenica la signorina Braginskaya portò i bambini in chiesa in paese.
Era marzo e faceva molto freddo fuori, ad Antonio non piaceva molto l’inverno, doveva sempre mettere giacche pesanti o cercare di riscaldarsi. Quando uscirono fuori in giardino la signorina li fece ordinare in fila per due, Antonio finì accanto a Lovino.
Non c’era la neve, ma tutto era comunque bianco e grigio, come il cielo. Era cupo con qualche nuvola che spuntava qua e là. Il grigio rifletteva negli occhi verdi di Antonio, li rendeva di un colore particolare, con il brillante smeraldo e il cupo colore del cielo che si univano. Gli alberi non avevano foglie, ma i bambini si divertivano a camminare su quelle secche a terra per sentire il suono che producevano. Antonio guardò verso Lovino, aveva le mani in tasca e camminava silenzioso.
“Domani è il tuo compleanno vero?” disse Antonio rivolto all’amico.
Lovino alzò la testa, tirò su con il naso. “Sì.” Rispose tranquillo, sfregò le mani insieme per riscaldarle “Perché?”
Antonio fece lo stesso con le sue mani e continuò a parlare “Forse la signorina vi preparerà una torta.” Disse lui. Pensò a che tipo di dolce avrebbero potuto avere e gli venne l’acquolina in bocca “La tua mamma ti preparava delle torte?”
Lovino pensò per qualche momento, ogni volta che la madre veniva nominata assumeva un’espressione strana “Credo di sì, non mi ricordo.” Mise le mani nelle tasche del cappotto “Non mi piacciono i dolci.”
Antonio spalancò gli occhi “Cosa?!” non gli sembrava possibile che ad un bambino non piacessero i dolci. “Nemmeno le caramelle?”
Lovino fece solo un cenno con la testa e Antonio ne rimase ancora più sbalordito. Lovino sembrava proprio un adulto quando parlava, non sembrava un bambino.
“E la cioccolata?”
“No!” rispose subito  innervosito. “A Feliciano i dolci piacciono molto.”
Antonio annuì, e non fece più domande.
Il paese non era molto grande, era un paesino antico con strade e case altrettanto antiche. Le persone si conoscevano quasi tutte, infatti la signorina Braginskaya si fermava spesso a parlare con qualcuno. Non era sposata e per molti uomini sembrava una cosa molto bella, mentre per alcune signore sembrava quasi scandaloso che alla sua età non avesse ancora una famiglia.
Ignorava tutti quanti gli uomini che arrivavano per farle dei complimenti o portarle qualcosa, semplicemente sorrideva e andava via. Quando arrivarono in chiesa entrarono tutti in silenzio e subito dopo i bambini entrò anche la signorina.

***

Quando uscirono dalla chiesa i bambini pregarono la signorina Braginskaya di portarli al parco, cedette subito come al solito. Raccomandò ai bambini di non allontanarsi troppo.
Arthur rimase seduto accanto alla signorina che si rilassò mentre leggeva un libro su una panchina, Alfred non voleva lasciare Arthur ma alla fine andò insieme a Matthew. Antonio stava correndo insieme a Francis e Gilbert fra l’erba ormai secca per il freddo, la signorina li sgridò alcune volte dicendogli di non correre o sarebbero caduti, ma di solito non ascoltavano mai.
“Non capisco perché mio padre non venga a riprenderci.” Gilbert disse pensieroso mentre si riposava seduto sull’altalena. “Eppure… me lo aveva promesso.”
Antonio odiava vedere i suoi amici tristi, quindi cercava sempre di tirarli su di morale “Non preoccuparti Gil, lui verrà sicuramente!” disse lui incoraggiandolo. Gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. L’albino non rispose, sorrise solo lievemente e poi spostò lo sguardo verso il terreno.
“Gil.” Francis lo chiamò con voce tranquilla “Non penserai che…” non finì la frase perché Gilbert alzò lo sguardo, scrutò gli occhi azzurri dell’amico. Calò il silenzio. Gil parlava spesso del padre, da quando era piccolo, parlava spesso anche della mamma. Anche se non aveva dei ricordi chiari di tutti e due, ricordava solo che un giorno il padre lo prese il braccio insieme a Ludwig e li portò entrambi dalla signorina Braginskaya. Se il padre avesse ripreso Gilbert con se forse non sarebbero stati più amici, Antonio non sapeva se era un bene oppure un male, voleva solo il meglio per il suo amico.
“Noi resteremo amici anche quando tu andrai via, vero?” Chiese d’impulso, mentre dondolava lievemente sull’altalena.
Gilbert guardò confuso Antonio e rispose dopo un pochino “Sì, certo.” E annuì “Noi tre siamo migliori amici!”
Francis sorrise e annuì anche lui.
“Bambini!” sentirono la signorina richiamare tutti quanti “E’ ora di tornare a casa!” la videro alzarsi dalla panchina e avviarsi con Arthur per trovare tutti quanti. Si allontanarono dall’altalena e corsero verso di lei.
“Di cosa parlavate voi tre? Sembravate così seri!” Fece un sorrisetto. I tre si scambiarono degli sguardi.
“Parlavamo del padre di Gilbert.” Disse Francis molto tranquillo. La signorina si morse un labbro e guardò preoccupata verso Gil.
“Capisco.” Sospirò. Antonio si accorse che era molto pensierosa.

***

Giugno, 1946

Mentre tutti quanti facevano colazione la signorina Braginskaya disse di dover andare a controllare la posta, raccomandò ai bambini di restare tranquilli e andò fuori. Dopo poco tempo sentirono il portone chiudersi con violenza e i tacchi che colpivano velocemente il pavimento.
“Gilbert, Ludwig, devo dire una cosa molto importante.” Katyusha prese una delle lettere che aveva in mano e la diede a Gilbert. Il bambino lesse velocemente e poi alzò lo sguardo.
“Vostro padre è disperso.” Disse lei abbassandosi di fronte a loro. Tutti i bambini si alzarono in piedi. Antonio riuscì al suo cuore battere velocemente contro il suo petto, ed era convinto che Gilbert stesse provando lo stesso.
Ludwig parlò piano “Lo troveranno, vero?” la signorina gli strinse le mani e annui, anche se poco convinta. Gilbert non disse niente e rimase immobile con la lettera in mano. Antonio provò ad avvicinarsi a lui, ma prima che potesse fare qualcosa Gilbert tornò a sederci.
“Non serve allarmarci.” Prese la tazza e diede un sorso al latte. La signorina si alzò e gli accarezzò la testa dolcemente. Andò verso la cucina e lasciò tutti i bambini da soli.
“Gilbert…” Francis chiamò l’amico sottovoce “Sicuro che…”
“Finiamo la nostra colazione.” Rispose lui. “Ludwig, vieni a sederti anche tu.”
Nessuno provò a parlare.
Antonio non riuscì a smettere di pensare a cosa era successo durante la colazione, ma non aveva il coraggio di parlarne con Gilbert.

***

“Tutte le sere
sotto quel fanal
presso la caserma
ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò,
e tutto il mondo scorderò…”

Tutti sentirono la voce dolce di Feliciano risuonare per l’orfanotrofio mentre cantava in italiano.
La signorina Brakinskaya alzò lo sguardo e continuò lei a cantare la canzone.
My Lily of the lamplight
My own, Lily Marlene.”

I bambini la guardarono sbalorditi, non pensavano che la signorina sapesse cantare così bene. Lei arrossì e inarcò le sopracciglia. “Ops, non ho resistito!”
Feliciano smise di cantare e corse dalla signorina “Anche lei conosce quella canzone? Mio papà la cantava sempre, anche se in un’altra lingua, vero Lovino? Anche tu la ricordi?” si girò verso il fratello sorridendo. Lovino abbassò lo sguardo e divenne rosso “Io… non canto.”
Antonio lo guardò “A me piace come canti.” Ammise tranquillamente. L’italiano non sembrò molto contento di quello che aveva sentito, e si nascose fra le mani.
“Feliciano.” La signorina Brakinskaya chiamò il bambino “Tuo padre te l’ha insegnata?”
“Sì, la cantava sempre alla mamma!” Disse lui ridendo “Posso cantarla per lei?” tutti i bambini cominciarono a pregare Feliciano di cantare. Tranne il fratello, il quale rimase in disparte e si mise a disegnare lontano dagli altri.
Prima di andare a letto tutti stavano provando ad imparare la canzone di Feliciano.
“Come si dice quella parola di prima?” Chiese Alfred.
Caserma.” Spiegò Feliciano in modo gentile.
“Cosa significa?” Chiese Arthur, inarcando un sopracciglio mentre metteva Alfred e gli altri più piccoli a letto. Faceva sempre così, tutte le sere.
Feliciano guardò perplesso il bambino inglese “Ah, io non lo so…” E si mise a ridere. Arthur accennò un sorriso e si avvicinò per rimboccargli le coperte.
“Penso che ora sia arrivato il momento di dormire e smetterla di cantare!” e incrociò le braccia.
“Smettila di comportarti come la signorina, Arthur!” Disse Francis mentre era a petto nudo e stava per mettere il pigiama. Gilbert rise insieme all’amico. Antonio si godette la scena, quella volta non gli andava molto di litigare.
Arthur si girò di scatto verso Francis “Non mi comporto come la signorina. Ormai siamo grandi, dobbiamo aiutarla.”
Francis si mise la camicia da notte e si sdraiò sul letto “Vieni a rimboccarmi le coperte allora!” E si mise a ridere. Arthur arrossì di colpo dopo che anche Gilbert e Antonio iniziarono a ridere. Arthur ignorò solo e andò verso la porta con l’intento di avvertire la signorina. Proprio lei entrò dalla porta “Cosa succede qui?” e poggiò le mani sui fianchi “Ho sentito la risata di quei tre.” e Antonio si sentì chiamato in causa.
“Mi stavano prendendo di nuovo in giro.” Arthur ammise con una voce docile. La signorina aggrottò le sopracciglia e andò di corsa verso i tre colpevoli.
“Forza, ognuno nel proprio letto. A dormire!” Antonio fece come gli era stato richiesto.

Quando il buio calò nella stanza, Antonio riusciva a sentire solo il suono dei respiri degli altri bambini. Non riusciva a dormire per qualche motivo e quando sentì la gola secca decise di scendere al piano inferiore per bere un bicchiere d’acqua. Non voleva svegliare nessuno, quindi camminò nel buio (tentando di non far scricchiolare il legno) e uscì dalla stanza. Scese le scale in silenzio e si diresse verso la cucina. Mentre si avvicinava alla mensola per prendere l’acqua vide una figura molto piccola nell’ombra. Quando quest’ombra si girò, Antonio urlò e fece luce nella stanza. Si tappò la bocca con una mano quando vide che l’ombra davanti a lui era Lovino.
“Lovi, cosa stai facendo?!” sussurrò con il fiatone e la mano poggiata sul petto. Non ricette nessuna risposta, quindi continuò a parlare. “Io.. voglio un bicchiere d’acqua.”
“Non riesco a dormire.” Disse Lovino alla fine. Antonio voleva dire al suo amico che non era l’unica a non riuscire a prendere sonno quella sera, quindi sorrise e aprì la bocca per parlare, ma l’altro continuò a parlare. “Faccio dei brutti sogni.” Si guardarono in silenzio per qualche secondo…
Antonio si arrampicò su una sedia e prese due bicchieri dallo scaffale scricchiolante, prese la bottiglia di vetro nel mobile in basso e riempì i bicchieri di acqua fresca. Porse il bicchiere a Lovino, il quale lo guardò un po’ perplesso e chiese con calma  “Che cosa sogni di solito?”
Prima di rispondere, l’italiano ci pensò, Antonio notò la sua faccia quasi spaventata, ma attese con calma spiegazioni.
“Di solito sogno la mamma e il papà.” Prese un sorso d’acqua, reggendo il bicchiere con entrambe le piccole mani. “Però non li riesco mai a vedere bene. Nei miei sogni c’è anche Feli.”
“E perché sono brutti sogni?” Antonio non capiva, eppure doveva essere bello sognare la propria mamma, lui non avrebbe mai potuto farlo, era quasi geloso di Lovino.
“Perché io sono qui, e non con loro.”
Al suono di quelle parole poggiò il bicchiere sul tavolo “Perché non vuoi stare qui?” Antonio non riusciva a capire.
Lovino rispose con una domanda “Perché tu vuoi stare qui?”
“Io qui sto bene.” Continuò Antonio. “Non capisco… eppure qui ho incontrato te e gli altri. Perché non dovrebbe piacermi? Abbiamo anche la signorina Braginskaya.”
“Ma non è come mia mamma.” Ribatté innervosito l’altro. Antonio fece un passo indietro sentendo quel tono di voce, ancora una volta il piccolo Lovino lo aveva intimorito. Guardò fuori la finestra, vide la luna risplendere nel cielo estivo. Spostò lo sguardo all’orologio che continuava a ticchettare sopra la finestra. Era mezzanotte passata. Pensò che la signorina Braginskaya si sarebbe arrabbiata molto se li avesse sentiti e trovati lì.
Tornò a guardare Lovino “Parlami della tua mamma.”
Il bambino rimase sconvolto dalla proposta offertagli. Borbottò qualcosa in italiano che Antonio non riuscì a capire e continuò a parlare ad alta voce “Era bella, e bionda e…”
“Era buona?” Antonio domandò.
“…Sì, anche se a volte si arrabbiava.” Lovino non sapeva cos’altro dire e continuò a guardare verso l’amico, il quale parlò subito.
“Assomiglia molto alla signorina Braginskaya.” Antonio affermò quasi deluso “Il tuo papà invece?”
“Oh… aveva i capelli e gli occhi come i miei.” Lovino sorrise. “E cantava sempre per la mamma.”
Antonio annuì.
“E invece la tua mamma?” per la prima volta si mostrò curioso “Davvero non ce l’hai?”
Antonio era un po’ stufo di ricevere sempre la stessa domanda da tutti i bambini. “Non so chi sia.” Disse incrociando le braccia “Ma io ho la signorina Braginskaya. Non mi serve una mamma.”
Lovino sgranò gli occhi e scosse la testa. Antonio rise.
“Dobbiamo andare a dormire.” Disse mentre rideva “Altrimenti verremo sgridati!”
Lovino annuì, prese la mano di Antonio e andarono verso la camera da letto.  

***

“Mamma!” Lovino e Feliciano urlarono contro la figura femminile a terra, i capelli biondi le coprivano il viso.
“La mamma è… solo caduta.” Disse il padre, guardando con gli occhi verdi verso il figlio, Lovino e Feliciano si misero a piangere per lo spavento appena passato.
 
 “Lovino, devi promettermelo, non devi dirlo a nessuno.”
 
 “Oh bella ciao, bella ciao…”

Lovino aprì gli occhi di colpo ansimando. La luce del sole gli offuscò la vista per qualche secondo, o forse erano le lacrime.
La voce della mamma e della canzone del padre continuavano a rimbombare nella sua testa.

Il bambino rimase immobile sul letto a piangere, si sentì di colpo abbracciare, riconobbe le mani di Feliciano.

Qualcuno chiamò la signorina Braginskaya per farlo calmare.
   
 
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