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Autore: lady lina 77    28/01/2017    1 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il fuoco del camino era spento da ore probabilmente, ma se ne era accorta solo ora che era ormai mattina. Si strinse a Ross che le cinse la vita con le braccia, attirandola a se, rabbrividendo. "Sono una pessima moglie. Non ti ho fatto riposare e ora ti sto facendo morire di freddo perché non riesco a trovare la forza di alzarmi per riaccendere il fuoco".

Ross sorrise, baciandola sulla fronte. "Credo che le pessime mogli siano altre".

"Se lo dici tu...". Demelza chiuse gli occhi, si sentiva strana e anche imbarazzata, benché fosse una cosa stupida. Era la moglie di Ross e tante volte si era svegliata al mattino, nuda, fra le sue braccia, dopo una notte passata a fare l'amore. Già, una volta era normale che fosse così, ma tre anni prima tutto era cambiato e non credeva che avrebbe ritrovato un'intimità così intensa con lui. Era stato qualcosa di strano, irrazionale, istintivo e allo stesso tempo carico di sentimenti che entrambi avevano rimosso a lungo. Era stato impossibile resistersi, stare lontano, cercare una scusante per non fare l'amore con lui perché voleva Ross, lo aveva sempre voluto, non ci poteva girare troppo attorno, lo aveva desiderato anche negli ultimi tre anni, nonostante tutto. E le parole che le aveva detto il giorno prima le avevano scaldato il cuore, un cuore che credeva arido e ormai incapace di provare ancora sentimenti verso di lui. Si erano amati per tutto il pomeriggio, la sera e la notte appena trascorsa, affamati e mai sazi l'uno dell'altra. Lui l'aveva desiderata, guardata, ammirata, come se al mondo non ci fosse che lei, come sognava da sempre, come credeva non l'avrebbe amata mai. E ora, fra le sue braccia, avrebbe voluto che il tempo si fermasse, cristallizzandoli per l'eternità così, insieme, l'uno fra le braccia dell'altro. "Comunque, dovresti dormire un po', ora".

"Dormirò se dormirai anche tu!" - rispose lui, deciso.

Demelza alzò lo sguardo su di lui, gli prese la mano sinistra nelle sue e gli accarezzò le dita e il palmo, piano. "Ormai è abbastanza tardi, di solito se sono sveglia a quest'ora, difficilmente mi riaddormento".

"Perché? Non sei una lady che puo' fare quello che vuole, adesso? Non potresti startene a dormire quanto vuoi?".

Sorrise. "Potrei farlo, se non fosse per i nostri figli". Era strano, bello, parlare con lui dei bambini.

"Perché?".

"Prima si sveglia Clowance, all'alba. Scivola giù dal letto, sceglie il suo giocattolo preferito della giornata, viene da me nella mia stanza, sale sul mio letto e poi, per svegliarmi, mi getta sulla fronte il suo gioco. Mezza intontita la prendo, la abbraccio, la metto sotto le coperte, lei si addormenta e provo a riaddormentarmi anche io. Qualche ora dopo arriva anche Jeremy, mi sveglio del tutto e resto lì con loro, che non stanno fermi un attimo, finché la mia domestica non ci chiama per la colazione".

Il viso di Ross si addolcì a quelle parole. Le accarezzò la guancia e la baciò teneramente sulle labbra, abbracciandola. "Parlami ancora di loro, ti prego. Dimmi tutto quello che avete fatto insieme, giorno dopo giorno, in questi tre anni".

"Ci vorrebbero tre anni per farlo" – commentò lei, divertita.

"Beh, fammi un riassunto".

Sospirò. "Jeremy ama i cavalli, ne è affascinato. Gli piace disegnare e quest'estate ha insistito per avere un istitutore che gli insegnasse a leggere e scrivere e visto che sembrava tenerci tanto, l'ho assecondato. E anche se ha solo cinque anni, impara talmente in fretta da lasciarmi stupita... E' tranquillo, sensibile e allo stesso tempo furbo, quando gli conviene. Clowance è... beh, l'hai vista, testarda, vivacissima, piuttosto esigente e quando ti dice che vuole qualcosa, di solito non la chiede, la pretende! Lei è un osso duro e si arrabbia quando viene contrariata, però sa anche essere dolce, quando ha la luna giusta. E' buffa quando parla, quando ride, quando gioca o quando si arrabbia, non riesco mai a fare troppo la seria con lei. Sono la mia vita, amo stare con loro anche se spesso non posso farlo a causa del lavoro, ma so che sono con persone che li adorano e che farebbero di tutto per farli contenti. Li ascoltano, si prendono cura di loro e, ahimé, li viziano anche. I nostri figli han più giocattoli di tutti i bambini della Cornovaglia, hanno una stanza tutta loro solo per i giochi e spesso, di pomeriggio, ho la casa invasa dagli amichetti di Jeremy che vengono da lui a giocare. Figli dei vicini o bambini che incontra al parco, insieme alle loro tate, e con cui ha stretto amicizia. Loro giocano e Clowance e gli altri fratellini e sorelline più piccoli, li seguono ovunque".

Ross sorrise, poi divenne pensieroso, ricordando il frangente il cui aveva visto Clowance la prima volta, a casa di Caroline. "Chi è nonno Martin? Quando ho incontrato nostra figlia, è venuto un uomo a prenderla e lei lo ha chiamato così".

Demelza annuì. "Martin Devrille, il mio principale socio in affari. E' mio vicino di casa e ci ha adottati, praticamente. Non ha figli e per me è diventato come un padre e per i bambini, un nonno. E lo è davvero! Ora sono con lui e sua moglie e probabilmente, essendo rimasta lontana per tanto tempo, avrà comprato ai nostri figli mezza Londra".

Ross prese una ciocca dei suoi capelli rossi, giocandoci. "Sai, vorrei essere geloso di queste persone che ti son state vicine in questi anni ma non posso. Dovrei ringraziarli per essere stati la tua famiglia, un sostegno e un punto di riferimento per te e per i bambini. Sono stati molto migliori di me".

Demelza deglutì a quelle parole. Ripensò al dolore provato dopo la morte di Francis e a quanto fossero stati in crisi lei e Ross, tentennando per un istante sul fatto di voler tornare con lui. "Sai che non sarà facile, vero? Siamo due persone molto diverse e ci siamo fatti molto male... Riusciremo a lasciarci davvero tutto alle spalle? In poche ore è cambiato tutto, ogni mio piano per il futuro è stato rivoluzionato e io mi sento... Non lo so, forse solo strana".

Ross sospirò, capendo bene a cosa alludesse. "Elizabeth non esiste più. E credo che non sia mai esistita fin dal momento in cui ho capito di amare te. Era una fissazione, una fantasia idiota di un idiota che faceva i capricci per avere ciò che non aveva ottenuto da ragazzo".

"Ma quel capriccio ci è costato caro, Ross. Saprò dimenticare?".

Ross le accarezzò i capelli. "La domanda giusta è SE vuoi dimenticare".

Annuì. Già, tutto si poteva superare ma il punto era se lo si voleva fare. Lo guardò, era bello come il sole, affascinante, tutto quello che aveva sempre desiderato. E l'amava, dopo che per tanto aveva creduto di non essere stata abbastanza per lui. Poteva vivere comunque una vita felice e agiata senza di lui, a Londra, ma sapeva che sarebbe stata un'esistenza vuota e fredda, priva di aspettative. Era il suo compagno, suo marito, il suo amante e il suo migliore amico e gli era mancato come l'aria in ogni dannato giorno di quegli ultimi tre anni. Era felice di essere madre ma desiderava anche sentirsi una donna e solo con lui ci riusciva, da sempre. "Lo voglio Ross".

Le diede un lungo bacio, di quelli che le facevano mancare il respiro. Poi la abbracciò, stringendola forte fra le sue braccia. "Io sono un dannato e fortunatissimo uomo perché ho accanto una donna come te e so che non ti merito".

"Lo so" – rispose lei a tono, seria.

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere dopo quella risposta, finalmente rilassati, sereni, come se una ventata d'aria nuova e fresca li avesse investiti.

"Demelza, credo che tu ora debba andare".

"Andare?".

Ross annuì. "E' la Vigilia, devi andare dai bambini, ti stanno aspettando".

A quelle parole, si sentì persa. Non aveva voglia di lasciarlo solo e di andarsene e allo stesso tempo non vedeva l'ora di riabbracciare i suoi figli che non vedeva da più di tre settimane. "Vieni con me".

"Meglio di no. Non riesco a stare in piedi per più di un minuto senza avere giramenti di testa e inoltre non mi conosce nessuno a casa tua, metterei tutti in difficoltà e in imbarazzo. Soprattutto i bambini. Ti rovinerei il Natale, preferisco restare qui a riposare. Ma tu devi andare, lo hai promesso, no?".

"Si. Ma...".

"Niente ma! Ti ho avuta solo per me per tanto tempo, ora va da loro. E' Natale e vorranno la mamma. E tu vuoi loro".

Demelza scosse la testa. "Certo che li voglio! Ma odio l'idea di lasciarti qui da solo".

"Era la tua idea fino a ieri!" - obiettò lui.

Demelza lo guardò storto, prendendo un cuscino e picchiandoglielo sul petto. "Spiritoso! Da ieri son cambiate molte cose, fra cui le priorità della mia vita".

Ross sorrise, accarezzandogli una guancia. "Starò bene, riposerò e non farò alcuno sforzo, giuro. Va tranquilla e non preoccuparti, avremo tanti altri Natali da festeggiare insieme".

Tranquilla era una parola grossa... Si alzò dal letto, si sistemò per la giornata, si rivestì e riaccese il fuoco. Poi, una volta pronta, si avvicinò al letto, dando un bacio al marito. "Ti manderò una domestica con del cibo. Ti lascio una copia delle chiavi sul comodino, tieni tutto chiuso e vedi di non girare troppo per casa, se ti venisse un giramento di testa, non ci sarebbe nessuno ad aiutarti a tornare a letto e io ho bisogno di stare tranquilla, fintanto che sarò a casa. Me lo puoi promettere?".

"Giuro".

Lo guardò storto, sapendo che non sarebbe rimasto a letto troppo, gli diede un altro bacio e poi, a malincuore, lasciò la locanda.

Fuori il tempo era gelido, il cielo coperto, ma ancora non c'era traccia di neve ed era strano, ricordando quanta ce ne fosse stata negli anni precedenti.

A passi spediti raggiunse casa e, con un groppo alla gola, vi entrò. Era cambiato tutto dall'ultima volta che ci era stata, per lei e per i bambini.

Dentro era un via vai di domestiche che correvano avanti e indietro e che, appena la videro, si esibirono in un inchino e in un sorriso.

"Signora, siete tornata!" - esclamò Dorothy, una delle sue cuoche che rientrava nello stesso momento dal mercato.

"Lo avevo promesso". Diede il mantello al maggiordomo e si diresse verso il salone principale, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Nello studio accanto all'ingresso, c'era un grosso abete addobbato e pure in fondo al corridoio ce n'era un altro. Si accigliò, incrociando le braccia al petto, richiamando a se il maggiordomo. "Che ci fanno quegli abeti qui?".

L'uomo sospirò. "Ce n'è uno in ogni stanza della casa, signora".

"Cosa?".

"Certo. Il signorino Jeremy voleva un albero in ogni camera e Sir Devrille e sua moglie sono stati contenti di assecondare questo suo desiderio".

Demelza sentì le braccia caderle e le spalle farsi pesanti. "Quanti abeti ci sono in casa?".

"Venticinque, signora".

Spalancò gli occhi, in un miscuglio fra stupore e sconforto. "VENTICINQUE? Santo cielo, abbiamo degli abeti anche in soffitta?".

"Anche in cantina, signora".

Alzò gli occhi al cielo. Jeremy sarebbe stato in castigo per il resto della sua infanzia e Martin gli avrebbe fatto compagnia. Ovviamente dopo aver disboscato casa sua che, a conti fatti, aveva ormai più abeti delle montagne del Tirolo. Cosa diavolo avevano combinato suo figlio e il suo socio, mentre lei non c'era? "Dov'è il mio piccolo, dolce Jeremy?".

"Nel salone, assieme alla signorina Clowance. Stanno giocando coi regali che sono arrivati nei giorni scorsi".

"Regali da parte di chi?".

L'uomo ci pensò su. "Da parte di tanta gente, signora. Avete molti amici e conoscenti che dipendono da voi e dalle vostre decisioni nella finanza e hanno ricambiato con generosità quanto fate per loro durante l'anno. Avete il salone invaso da pacchetti e scatole colorate. Doni per voi e per i bambini".

Alzò gli occhi al cielo, casa sua era irriconoscibile. "Non posso crederci...". La maggior parte di quei doni proveniva, sicuramente, da gente che nemmeno conosceva e che avrebbe dovuto ringraziare, fingendo magari un rapporto di amicizia che nemmeno esisteva...

"Demelza!".

La voce potente di Martin, giunto dalla scalinata principale, la investì in pieno. Si imbronciò, i suoi occhi fecero scintille e si avviò verso di lui a passi spediti. "Venticinque abeti? Martin, ne volevo UNO! Come hai potuto cedere alle insistenze di Jeremy?".

L'uomo si esibì in un grosso sorriso. "Posso spiegarti tutto".

Incrociò le braccia al petto. "Avanti, sono tutta orecchie".

"I bambini erano così turbati dal fatto che fossi andata via così frettolosamente che ecco, assecondarli era la cosa migliore da fare per tirar loro su il morale".

"E gli hai tirato su il morale, permettendogli di fare VENTICINQUE alberi di Natale!? Dannazione Martin, tu non puoi fargli fare tutto quel che vogliono, non è così che si educa un bambino. Che avresti fatto se, ad esempio, Jeremy ti avesse detto che voleva Buckingham Palace?".

L'uomo alzò le spalle con noncuranza. "Che domande! Sarei andato dal re e mi sarei messo d'accordo con lui".

Sospirò, rassegnata al fatto che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco. Si portò la mano alla fronte, accarezzandola, cercando di evitare che le venisse mal di testa. "Tu e Jeremy, dopo Natale, sistemerete tutti gli abeti!".

"Noi?".

"Si, voi! Non la servitù! Jeremy – e anche tu – avete bisogno di una lezione che vi ricorderà a vita cosa succede a disubbidire".

"D'accordo, sugli abeti POTRESTI avere ragione. Ma non ti dovrai arrabbiare per il regalo personale che ho fatto ai bambini".

Demelza lo guardò storto, aspettandosi il peggio. "Gli abeti non bastavano?".

"Gli abeti sono addobbi, il regalo di Natale è un'altra cosa. E i bambini sono stati così felici per i pony".

Sbiancò, dovendo appoggiarsi al muro. "QUALI PONY?".

"Quelli nella tua stalla. A proposito, non ci sei passata, tornando? Non li hai visti?".

"NO! Hai comprato due pony ai miei figli? Santo cielo, Martin, sono troppo piccoli e non saprebbero prendersene cura".

"Impareranno! Ed erano tanto felici quando li hanno visti". Martin scosse la testa, quasi divertito dalla sua reazione . "Sei troppo...". Poi si bloccò, osservandola e prendendole la mano sinistra fra le sue. "Hai la fede al dito! Quindi, suppongo che...".

"Non cambiare discorso!" - obiettò, gelida.

"Demelza! Ma sono felice!". L'uomo la abbracciò forte, con fare paterno. "Suppongo quindi, che le cose fra voi si siano sistemate e che lui stia meglio".

A quella dimostrazione d'affetto, sorrise. Martin le voleva bene come si vuole bene a una figlia e sapeva quanto desiderasse vederla felice. A dispetto del fatto che in quel momento volesse strozzarlo, rispose al suo abbraccio. "Sarà una strada lunga ma sì, tante cose si sono sistemate".

"E lui dov'è?".

"Alla locanda, ancora non è abbastanza in forze per muoversi".

Martin le accarezzò la guancia. "E tu cosa ci fai qui?".

"Cosa avrei dovuto fare? I bambini mi aspettavano e non posso lasciarli soli a Natale. Non voglio...".

"Cosa dovresti fare?". Le poggiò una mano sulla spalla, guardandola con espressione seria. "Lo sai bene dove dovresti essere".

Annuì, capendo cosa intendesse e trovandosi d'accordo con lui. Aveva promesso ai suoi figli un Natale perfetto ma non poteva esserlo così, con una montagna di regali, con venticinque alberi di Natale e circondati da lusso e servitori pronti a esaudire ogni capriccio. Sarebbe stato un Natale lussuoso ma non perfetto. Jeremy e Clowance avevano montagne di giocattoli e non avevano bisogno di averne altri, erano circondati da persone pronte ad esaudire ogni loro desiderio ogni giorno dell'anno ma non avevano mai passato del tempo col loro padre. Il Natale perfetto, per lei e per loro, era un altro, insieme, con la loro famiglia finalmente riunita. "Non ti dispiace se li porto via?".

Martin scosse la testa. "Il tuo posto è con lui, insieme ai bambini, è quello che hai sempre desiderato. Portali dal loro papà, io ho i miei fratelli e mia moglie e festeggerò con loro e la servitù, mia e pure tua se mi dai il permesso, come ogni anno".

"Grazie!". Lo abbracciò, commossa. Poi si allontanò, sorridendo furba. "Ma non sei comunque esentato, quando tornerò, dal sistemare casa mia! La voglio com'era prima, senza bosco".

Martin sospirò, sconfitto. "Ne riparleremo nel nuovo anno".

"Certo". Corse verso il salone, dai bambini, bloccandosi sull'ingresso della stanza. Il suo salone era un qualcosa di meraviglioso, un tripudio di festoni color oro e rossi appesi alle pareti, con tende color porpora alle finestre e un enorme abete addobbato al centro della stanza, sotto al quale c'erano almeno un centinaio di pacchi dono incartati in carta di ogni colore. E in mezzo a tutto questo, i suoi due bambini giocavano contenti, scuotendo le scatole per capire cosa ci fosse dentro. "Fate piano, potrebbero contenere roba fragile" – disse, raggiungendoli.

Jeremy, al suono della sua voce, alzò il viso di scatto e poi gli corse incontro, abbracciandola, seguito dalla piccola Clowance. "Mamma!" - urlò, contento. "Sei venuta davvero".

I bimbi le saltarono in braccio, contenti. Jeremy indossava un abitino blu di lana, elegante, con un colletto bianco e coi pantaloni fino al ginocchio, chiusi con dei bottoncini che gli conferivano un aspetto principesco e con ai piedi degli stivaletti di cuoio. Clowance invece aveva un vestitino di velluto rosso, legato in vita da un nastrino nero, delle calzine bianche e delle scarpette di vernice del medesimo colore dell'abito. Erano semplicemente splendidi, tanto perfetti da sembrare finti.

Dopo aver dato loro un bacio, Demelza guardò Jeremy negli occhi. "Certo, io mantengo la parola data, a differenza di qualcuno".

Il bimbo sospirò, capendo a cosa alludesse. "Sei arrabbiata per gli alberi?".

"Molto".

"Li ha voluti tutti Clowance! Li voleva rosa, piangeva e abbiamo dovuto accontentarla" – si giustificò, mentre la sorella si imbronciava per quella evidente bugia.

"Non è vero, non li ha voluti Clowance. Lei ne voleva solo uno, rosa".

"Losa!" - ripeté la bimba.

Demelza si sedette per terra, davanti all'albero, facendoli sedere sulle sue gambe. "Sai che sei in castigo, Jeremy?".

"Ma mamma, è Natale!".

Demelza sorrise. "Sarai in castigo da dopo Natale quando dovrai, da solo con Martin, sistemare tutti gli abeti, togliere le decorazioni e tagliare la legna".

"Ma non sono capace!" - obiettò il bambino.

"Imparerai". Lo baciò sulla nuca, stringendolo a se. Li guardò... I suoi bimbi, suoi e di Ross. Lui li avrebbe adorati, li aveva sempre amati, ogni singolo giorno di quei tre anni in cui lei aveva creduto che li avesse dimenticati. Era strana, meravigliosa quella sensazione di non essere più sola con loro, di essere finalmente una famiglia. "Bimbi, vi devo dire una cosa importante".

Clowance e Jeremy si voltarono verso di lei e il bambino sospirò. "Che sei arrabbiata per gli alberi e che sono in castigo, giusto?".

Demelza scosse la testa, piuttosto divertita, nonostante tutto. "Quello te l'ho già detto ed era sottinteso. Ma no, vi devo dire una cosa più importante".

"Pottante...". Clowance le si arrampicò sul collo, abbracciandola, e Demelza la baciò sulla guancia.

"Che cosa?" - chiese Jeremy, curioso.

Demelza sospirò, cercando le parole giuste con cui spiegargli quanto la loro vita sarebbe cambiata. "Sapete, quando me ne sono andata a inizio mese, per fare quella cosa importante... Beh, io dovevo fare una cosa importante davvero".

Jeremy annuì. "Dovevi lavorare?".

"No". Accarezzò la guancia del figlio per rassicurarlo. "In tutti questi giorni sono stata col vostro papà, nella nostra vecchia casa sulla locanda".

Jeremy spalancò gli occhi, sorpreso, talmente scosso da non respirare quasi. "Papà? Il papà è venuto a Londra? E dov'è?".

"Papà" – ripeté Clowance, guardandola senza capire.

Demelza strinse a se Jeremy, abbracciandolo forte e percependone il turbamento. Era normale, lui era ancora molto piccolo per capire, ma abbastanza grande per comprendere la portata enorme di quanto gli aveva appena detto. "E' alla locanda perché è stato molto male. Ha avuto un brutto incidente e sono stata con lui per tutto questo tempo per curarlo. Non vi ho detto niente per non preoccuparvi, ma ora sta meglio per fortuna".

"Ma lo hai lasciato solo alla locanda?" - chiese Jeremy.

"E' ancora debole, deve stare a letto". Guardò i bambini negli occhi, seria. "Lo so che qui ci sono gli abeti, tanti regali, i vostri pony e le persone a cui volete bene ma... che ne dite se tutte queste cose le guardassimo dopo Natale e andassimo da papà, noi tre insieme?".

Jeremy parve pensieroso. "Alla locanda?".

"Si, a passare il Natale con lui. Vorrebbe tanto vedervi. Ma la scelta sta a voi, vi avevo promesso il Natale più bello del mondo e lo festeggeremo come vorrete. Pure qui, se vi farà piacere. Alla locanda c'è papà ma non ci sono né regali, né abeti, né oggetti natalizi. Pensateci bene".

Jeremy guardò i regali, l'abete, il salone addobbato. "Chi darà da mangiare ai pony, se andiamo via?".

"I nostri domestici".

Jeremy annuì. "Tanto di giochi ne abbiamo tanti". La abbracciò, turbato, vagamente spaventato ma anche emozionato. "Andiamo dal papà".

"Papà" – ripeté Clowance.

Demelza li abbracciò, forte, orgogliosa di quella loro scelta. "Sono davvero fiera di essere la vostra mamma".

Clowance si liberò dall'abbraccio, correndo fra i doni sotto l'albero e prendendo un grosso sacco di juta rosso. "Lo vollo dal papà".

Jeremy si illuminò, correndo dalla sorella. "Giusto, brava Clowance! Lo portiamo dal papà".

Demelza si accigliò, guardando il sacchetto nelle mani della figlia. "Cos'è?".

La bimba annuì, seria. "La pappa!".

Si avvicinò loro, sbirciando nel grosso sacchetto rosso. Dentro era pieno di caramelle di zucchero, cioccolata, biscotti e altre dolcetti che qualcuno doveva aver regalato loro. "Buona idea, portiamoli da papà, ne sarà contento".

Clowance si fece seria. "E' mio!".

Demelza rise. "E non vuoi darci niente?".

Clowance ci pensò su, poi annuì. "Si, vollo... Un pochino".

"Anche perché i dolci sono pure miei" – aggiunse, Jeremy, lanciando un'occhiataccia alla sorella.

Rise, li prese in braccio e li strinse a se. "D'accordo bambini! Si va dal papà". Guardò la testolina di Clowance, i capelli le cadevano disordinatamente su fronte e spalle e aveva un aspetto abbastanza buffo. "Mettiamo un nastrino fra i capelli?" - le propose, sapendo già la risposta.

La bimba si imbronciò, stringendo il sacco rosso fra le mani. "No, non vollo!".

Annuì. In fondo, che importanza aveva? Ross l'avrebbe adorata anche così, vivace e spettinata, come era stata lei tanti anni prima, quando si erano innamorati l'un l'altro.

Ora lo sapeva, ne era certa. Sarebbe stato davvero un Natale perfetto, quello! Per lei, per Ross, per i bambini. Per la loro famiglia finalmente riunita. Se c'era un regalo che voleva per Natale, era solo quello. E probabilmente era stata abbastanza buona da essere esaudita tanto che non avrebbe mai più chiesto nient'altro che quello, che la sua famiglia rimanesse unita per sempre.








  
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