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Autore: Laylath    28/01/2017    6 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14. Gli avvenimenti di East City. Prima parte.

 


 
“Riza! – chiamò Kain, bussando vivacemente alla porta della sua stanza – sbrigati a prepararti. La colazione è pronta e oggi dobbiamo andare a visitare il museo!”
“Sono quasi pronta – lo rassicurò lei, finendo di abbottonarsi il vestito – inizia a scendere. Ti raggiungo in un paio di minuti”.
“Va bene!”
Trattenendo un risatina nel sentire la nota d’entusiasmo nella voce del ragazzo, Riza si girò di nuovo verso il grande specchio incastonato nell’anta dell’armadio e si rimirò con aria compiaciuta. Anche questo vestito che le aveva regalato suo nonno era bellissimo, raramente in paese ne indossava di così raffinati, nemmeno per la festa del primo dicembre. Eppure, a quanto sembrava, questo era un abito da tutti i giorni, senza alcuna pretesa di essere usato in occasioni speciali.
In genere la ragazza non era particolarmente interessata a questi dettagli, essendo abituata ad una vita molto più pratica e tranquilla, ma non poteva fare a meno di sentire un briciolo di civettuola emozione nel vedersi così bella. Il generale di East City ci teneva che la sua unica nipote avesse il meglio quando stava da lui e così la viziava con tutti questi doni.
Prendendo una spazzola e iniziando a pettinarsi i lunghi capelli biondi, Riza rifletté sul fatto che questa permanenza in città, ormai già da tre giorni, le stava facendo più che bene. Dopo il brutto litigio con Rebecca aveva passato il resto di dicembre con un grosso senso di amarezza dentro l’anima ed era stato solo mentre il treno si allontanava dal paese che si era sentita sempre più leggera. Come le aveva detto suo padre, a volte cambiare aria per un po’ costituisce un vero e proprio toccasana.
Stava per prendere il suo fermaglio, ma poi decise di lasciare la chioma sciolta: le stava innegabilmente bene e non era necessario avere i capelli legati per andare in visita ad un museo.
 
Il generale Grumman aveva una settantina d’anni ed ormai si era imposto come personalità militare di spicco del distretto Est da quasi un lustro. All’apparenza sembrava tutto meno che un uomo di potere data la sua aria arzilla e scherzosa che non lo abbandonava quasi mai, ma dietro di essa si nascondeva l’astuzia e l’autorità di una persona che sa bene quello che vuole e sa come ottenerlo.
Una piccola parte di Riza intuiva tutte queste cose mentre stava seduta davanti a lui nella grande sala di una prestigioso ristorante della città. Lo si capiva dalle movenze, dal modo di parlare, da come aveva congedato un soldato che era venuto poco prima a consegnargli dei documenti importanti che richiedevano la massima attenzione ed urgenza. Eppure quella busta sigillata giaceva nel tavolo, accanto al piatto con la fetta di torta, come se a quell’uomo di stato importasse ben poco dell’urgenza. Come se la scritta che ne indicava la provenienza direttamente dalla capitale non esistesse.
“Sto passando qualche ora con mia nipote, il resto può attendere. Non crollerà di certo il mondo”.
“Allora, ti è piaciuta la visita al museo? – chiese proprio l’uomo – Tuo fratello ne era particolarmente entusiasta dato che ha monopolizzato il pranzo con la sua parlantina. E’ strano pensare che in genere sia molto più riservato ed arrossisca non appena gli si rivolge la parola”.
“Oh, davanti ai prodigi della scienza e della natura Kain perde qualsiasi forma di timidezza – sorrise Riza, pensando al ragazzo che poco prima si era accodato all’autista che doveva svolgere alcune commissioni: andare in macchina era un evento che lo deliziava ogni volta. Il soldato che guidava lo trovava particolarmente simpatico e così si era creato uno strano connubio, tanto che Kain stava sempre davanti piuttosto che nei sedili di dietro con lei ed il generale – comunque anche io mi sono divertita molto questa mattina. Ho visto cose davvero interessanti, non immaginavo che un museo potesse riservare tante sorprese, sul serio. E’ un vero peccato che tu ci abbia raggiunto solo per pranzo”.
“Oh, i noiosi doveri di gestione di un quartier generale – scrollò le spalle lui – non fosse stato per quel rappresentante di Central che dovevo incontrare, mi sarei allegramente imboscato e mi sarei unito a voi”.
“Non puoi mancare ai tuoi doveri, nonno”.
“Tu dici? Ah, cara signorina, dovresti imparare meglio il concetto di flessibilità”.
Riza scosse il capo con un sorriso indulgente, riflettendo sul fatto che, sotto questo punto di vista, lei e suo nonno erano agli opposti. A lei piaceva la precisione, la puntualità: scappare davanti alle proprie responsabilità non rientrava nel suo modo di agire. Tuttavia doveva ammettere che un poco si sentiva lusingata dal fatto che il generale si preoccupasse di passare del tempo con lei.
Da quando si erano incontrati la prima volta, cinque anni prima, la ragazza si era particolarmente affezionata al nonno materno, l’unico legame con la sua vera famiglia di cui era davvero felice. A dire il vero Grumman non le ricordava per niente sua madre, né come aspetto fisico né come carattere, né tantomeno si rivedeva in lui. Eppure c’era uno stranissimo feeling tra loro due, come se le loro indoli così diverse fossero un ovvio legame di parentela.
Di una cosa Riza era certa: voleva profondamente bene a quel nonno così eccentrico e, anche se non si vedevano spesso, sapeva di poter sempre contare su di lui. Era come una sorta di nume tutelare, non tangibile e quotidiano come la sua famiglia adottiva, ma comunque una sicurezza su cui poteva sempre fare affidamento.
“Allora, domani ci sarà la cerimonia di fine Accademia. Sicura di non voler venire a premiare i migliori cadetti? Sarebbero ben felici di ricevere la medaglia da una bella signorina come te”.
“Oh no, nonno, ti prego – arrossì lei – sarà già abbastanza imbarazzante stare nel palco delle personalità. Sei sicuro che sia proprio necessario? Potrei stare con Kain ed i miei amici tra il pubblico normale, non ci sarebbe nessun problema”.
“E io dovrei rinunciare alla prospettiva di sfoggiare la mia splendida nipote davanti a tutte quelle mummie? Suvvia, cara, non privarmi di questi divertimenti”.
Riza avrebbe tanto voluto rifiutare: avere tutti quegli occhi puntati addosso non le piaceva per niente. Purtroppo era uno sgradito effetto collaterale di tutte le volte che veniva in città: sembrava che tutta la crema della società fosse estremamente curiosa di vedere la nipote del generale Grumman che, non si capiva ancora per quale motivo, invece di vivere in città col nonno se ne stava in uno sperduto paesino di campagna.
“Non capisco perché dopo cinque anni ancora mi guardino come se fossi un animale raro” confessò con amarezza.
“Perché il pettegolezzo è la linfa vitale per la maggior parte di queste persone – le spiegò il nonno con una risatina divertita, riprendendo a mangiare la sua torta – e tu sei un pettegolezzo più che succulento, credimi. Ma rimani solo quello, per il resto non permetto a niente e nessuno di sfiorarti: vogliono fare ipotesi su ipotesi sulla tua vita? Che le facciano pure, tanto non cambia niente né per me né per te”.
Era un ragionamento più che logico, ma Riza non poteva fare a meno di provare un senso di fastidio per tutti quegli occhi che stavano dietro a lei, per quei sussurri che era sicura di percepire anche se non ne aveva le prove. Non potevano farle niente, ovvio: iniziavano e finivano nei suoi brevi soggiorni in città. Ma lei ne aveva subito troppi di pettegolezzi: in paese l’avevano condizionata profondamente per tanti anni, rendendola quasi un’emarginata.
“Comunque ti assicuro che non sarà niente di traumatico – continuò Grumman – la cerimonia durerà al massimo una quarantina di minuti e poi i ranghi si scioglieranno. A proposito di questo, non vedo l’ora di scambiare quattro chiacchiere col tuo fidanzato: ho sentito parecchie cose interessanti su di lui in questi due anni”.
“Ti prego, nonno, niente favoritismi. Sono sicura che lui non vorrebbe”.
“Favoritismi? Quando mai! Semplicemente voglio conoscere meglio il fidanzato della mia unica nipote, mi sarà permesso, no?” lo disse con aria offesa e allo stesso tempo divertita, come se l’ironia non riuscisse ad abbandonarlo del tutto in nessun frangente.
Riza si chiese per l’ennesima volta se quel vecchio si fosse mai permesso di fare del sarcasmo anche davanti al Comandante Supremo in persona.
“Sono sicura che a Roy farà piacere venire a cena con noi dopodomani – ribatté con dignità – in un’occasione informale come una cena a quattro, ossia noi e Kain, potrai conoscerlo meglio rispetto ad una festa vera e propria con tutte le persone che ci interrompono”.
“Io…” iniziò Grumman.
“Tanto i pettegolezzi arriveranno sempre e comunque a chi di dovere, no? – continuò lei impassibile – se veniamo a cena in un ristorante come questo, sono certa che i muri avranno gli occhi e le orecchie più che vigili”.
Il generale la fissò perplesso per qualche secondo con i suoi occhi tra l’azzurro ed il violetto, poi scoppiò in una fragorosa risata, tanto che dovette bere un sorso d’acqua per riprendersi.
“Ah, mia cara, dici sempre che noi due ci somigliamo ben poco. Eppure lo vedi che qualche sprazzo del tuo vecchio nonno ce l’hai?”
E Riza non poté fare a meno di sorridere e di sollevare il bicchiere di succo di frutta a mo’ di brindisi.
 
Nel frattempo Kain si stava divertendo un mondo nella sua gita per la città con l’autista.
Ottavio gli aveva promesso che quella sera, tornati a casa, l’avrebbe fatto andare con lui nell’autorimessa e avrebbe aperto il cofano della macchina, permettendogli di vedere da vicino il motore. Per quanto non si trattasse proprio di elettronica, era più che eccitato ad una simile prospettiva: chissà che segreti della meccanica avrebbe scoperto.
Inoltre era un vero piacere sentirgli raccontare le sue storie. Prima di diventare l’autista del generale Grumman, era stato un tenente dell’esercito ed era stato più volte al fronte prima di subire una ferita che l’aveva costretto ad un congedo prematuro. Gli aveva fatto anche vedere la cicatrice, sul braccio destro: gli aveva in parte compromesso la sensibilità della mano e per un tiratore come lui era stata praticamente la fine della carriera. Aveva pensato al ritiro vero e proprio quando il generale l’aveva preso come autista e assistente non ufficiale, come amava definirlo.
“Nel senso che sono sempre un tenente dell’esercito, ma con l’esercito ho ben poco a che fare, eccetto indossare la divisa ed accompagnare il generale nelle sue commissioni”.
Kain non aveva ben capito cosa intendesse con quella frase, ma non essendo pratico del mondo militare aveva deciso di non indagare oltre, riservandosi di chiedere spiegazioni a Roy.
Proprio il pensiero di rivederlo domani alla cerimonia lo riempiva di gioia. In quegli ultimi giorni lui e Riza non avevano avuto occasione di stare con i loro amici: Heymans ed Arthur erano impegnati con un esame all’Università proprio quella mattina e Vato con i suoi genitori non sarebbe arrivato che col treno di metà pomeriggio. Quanto a Roy era forse il più impegnato di tutti vista la cerimonia di domani.
“Bene, eccoci arrivati – fece Ottavio, fermando la macchina – devo andare alle poste, lì davanti. Purtroppo ci impiegherò diverso tempo, ma questa volta non posso portarti con me”.
“Posso fare una passeggiata nel parco lì vicino – propose Kain, indicando l’ingresso di quell’oasi verde – e tra una mezz’oretta torno nei pressi della macchina, va bene?”
“Alla perfezione, signorino”.
Così Kain si separò dal suo amico, ridacchiando per il signorino che a quanto sembrava era d’obbligo tra i servitori del generale Grumman. Tuttavia se il signorina usato per Riza era più facile da sentire, la versione maschile usata per lui gli faceva davvero strano, specie se si considerava che era un termine che usava suo padre quando lo voleva apostrofare per qualche cosa, ma ovviamente non veniva usato più da anni.
Entrò nel parco ed iniziò la sua esplorazione, incoraggiato dal fatto che non ci fossero molte persone in giro: solo qualche signora seduta sulle panchine intenta a leggere o ricamare, oppure qualche signore distinto che passeggiava per i viali alberati.
Al giovane piacevano quei posti, gli ricordavano un po’ la campagna e questo serviva a fargli sentire meno la nostalgia di casa: sembrava che lì dentro la gente si lasciasse alle spalle il caos dei marciapiedi affollati e si dedicasse solo al riposo e alla tranquillità. Avrebbe tanto voluto portarci pure Riza, certo che le avrebbe fatto piacere: era felice che sua sorella si stesse finalmente godendo dei giorni sereni senza più pensare a Rebecca e a quello che la rendeva triste, ma era sicurissimo che un piccolo angolo di natura come quello l’avrebbe fatta sentire a casa.
Magari ci sarà occasione nei prossimi giorni.
Con somma delizia arrivò ad un ponticello che stava sopra un piccolo laghetto: c’erano alcune papere che sguazzavano allegramente, tuffando la loro testolina nell’acqua alla ricerca di cibo. Fortunatamente in città l’inverno non era mai troppo rigido e dunque quegli animali non pativano troppo i disagi del freddo.
Frugandosi nelle tasche tirò fuori un fagotto fatto con un fazzoletto contenente del pane tostato che aveva preso dal tavolo della colazione: un’abitudine vecchia a morire quella di portarsi sempre qualcosa da mangiare dietro, sebbene il vagabondare in città fosse molto diverso da quello in campagna.
“Scommetto che avete fame” sorrise, iniziando a sbriciolare il pane e a lanciarlo alle papere. Com’era prevedibile i volatili nuotarono immediatamente sotto il ponte, pronti ad approfittare di quell’inaspettato banchetto.
Kain iniziò a contarle e a cercare di capire se fossero tutte imparentate tra loro. Sicuramente due lo erano, perché avevano la medesima macchia scura sul collo. Un’altra sembrava essere la più giovane e…
“Anche io voglio dare il pane alle paperette!”
Lo strillo entusiasta fece quasi sobbalzare Kain e girandosi di scatto si accorse che a pochi passi da lui c’era una bimbetta sui quattro anni che saltellava impaziente, aggrappandosi al parapetto del basso ponticello per vedere meglio.
“Tieni – si offrì subito Kain, dandole alcuni pezzi già tagliati – non lanciarli tutti in una volta, lascia loro il tempo di mangiare”.
“Va bene – annuì la bambina, concentrandosi nel lanciare i pezzi vicino alle papere – ecco, paperette, arriva la pappa! Buona, vero?”
Aveva un grazioso cappotto rosa ed il berrettino bianco che lasciava intravedere i boccoli scuri. Sicuramente doveva essere di una famiglia agiata, come testimoniavano anche gli stivaletti di buona fattura. Questo fece domandare al ragazzo se magari si fosse persa o si fosse allontanata dai genitori.
“Come ti chiami?” iniziò ad indagare.
“Eleanor – rispose lei, senza nemmeno girarsi a guardarlo – ne hai ancora?”
“Tieni pure, mi raccomando, uno alla volta. E dimmi, Eleanor, sei qui da sola?”
“No, con mio fratello e la mia tata”.
“Sì? E la tua tata…”
“Eleanor! Grazie al cielo – una voce fece sospirare di sollievo il ragazzo – non ti devi allontanare così di corsa! E non devi disturbare le persone!”
Una giovane con un pesante mantello scuro ed i capelli rossicci raccolti a crocchia dietro la nuca e coronati da una crestina bianca, arrivò con tutta la velocità che le permetteva il tenere tra le braccia un bambino ancora più piccolo di Eleanor.
“Ma no, non mi ha disturbato – si affrettò a dire Kain – voleva dare il cibo alle papere, tutto qui”.
“Pape!” esclamò il bambino, scalciando per venir messo a terra.
“Vieni, Eric, prova pure tu – invitò la bambina, porgendo al fratello un pezzo di pane – lo devi tirare così!”
Davanti a quella scena Kain prese anche la seconda fetta di pane ed iniziò a spezzettarla per offrirla ai bambini che, a quanto pare, si stavano divertendo un mondo.
“Mi scusi ancora tanto – sospirò la giovane governante, sistemando meglio il berretto di Eleanor – è davvero rapidissima a fuggire. E’ bastato che facessi sedere Eric su una panchina per sistemargli la scarpina ed è sgusciata via”.
Kain sorrise come a dire che non era successo niente e poi si fermò ad osservare meglio quella ragazza. Sicuramente non doveva essere molto più grande di lui e quella pettinatura tirata indietro non valorizzava del tutto il viso regolare: con tutta probabilità doveva tenere i capelli raccolti per motivi di lavoro, come indicava anche la crestina.
“Comunque io mi chiamo Kain – si presentò – sono qui in vacanza con mia sorella”.
“Io sono Erin – rispose lei – e sono la tata di questi due adorabili demonietti. Solo il cielo sa quanto mi fanno penare, ma mi occupo di loro con vero piacere”.
“Tata Erin è brava a raccontare storie – spiegò Eleanor con aria importante – sa fare bene le voci. Però non sa cantare, è stonata. La mamma è brava a cantare”.
“Grazie per la presentazione, Eleanor – sbuffò Erin, mostrando di avere parecchia confidenza con la bambina – non è bello spiattellare i difetti di una persona al primo venuto”.
“Nemmeno io sono un granché nel cantare – confidò Kain, facendo l’occhiolino alla bambina – ma mia madre lo è. Evidentemente sono le mamme ad essere brave in questo, altrimenti come canterebbero le ninne nanne?”
“Hai ragione – annuì con decisione la bambina, tirando l’ultimo pezzetto di pane alle papere – ne hai ancora di pane per le papere?”
“No, mi dispiace”.
Eleanor la prese con filosofia ed iniziò ad indicare al fratello le varie papere, dando loro dei nomi assurdi.
“Mi ricorderò di portare sempre del pane ogni volta che veniamo qui – disse Erin – a quanto pare è un’attività che piace parecchio ad entrambi i bambini”.
“Ottima idea – annuì Kain – però ora devo proprio andare, mi aspettano”.
“Davvero? Che peccato! Allora le auguro una buona giornata, signorino”.
“Oh no, niente signorino – arrossì lui, sentendosi a disagio dal venir chiamato così da una ragazza di poco più grande di lui – Kain e basta”.
“Va bene, Kain – salutò lei, mentre gli occhi grigi si illuminavano di malizia – buona giornata e divertiti in questi giorni in città”.
“Lo farò. Ciao bambini, fate i bravi!”
“Ciao, Kain!” salutò Eleanor.
“Ao!” le fece eco Eric.
 
Quella sera i due fratelli si ritrovarono nella grande stanza di Riza a parlare di quella bella giornata appena passata e ad immaginare come sarebbe stata quella successiva.
“Non vedo l’ora di vedere Roy con la divisa dell’esercito piuttosto che con quella dell’Accademia – disse Kain con entusiasmo, sedendosi nel letto della sorella con le gambe incrociate – scommetto che gli starà benissimo”.
“Ne andrà estremamente fiero, vanesio com’è – sorrise maliziosamente Riza – e sono sicura che il capitano Falman dovrà rimetterlo in riga già da quando verranno sciolti i ranghi”.
“Spero che poi riesca a farmi visitare l’Accademia: vorrei tanto vedere il reparto di comunicazione”.
“Non so se sarà possibile, ma forse potremmo chiedere a mio nonno se ti concede di fare una gita fuori programma, magari nel Quartier Generale. Penso che lì abbiano apparecchiature molto più avanzate”.
“Sul serio! – il ragazzo alzò gli occhi al soffitto con aria sognante – sai, ammetto che certe volte vorrei entrare nell’esercito per poter lavorare con simili meraviglie. Non penso che avrei simili occasioni senza la divisa militare”.
A quella dichiarazione Riza, che era seduta ad un tavolino, intenta a scrivere sul diario del suo soggiorno in città, fermò la penna a mezz’aria e si girò a guardare il fratello minore con aria stranita. Era la prima volta che sentiva Kain paventare una simile possibilità e per qualche secondo si disse che era soltanto uno scherzo. Pensare al suo fratellino, così giovane e mingherlino rispetto agli altri, con indosso la divisa era un’idea assolutamente fuori luogo.
“Parli sul serio?” chiese, posando la penna ed alzandosi per andare a raggiungerlo sul letto.
“Ma no – scosse il capo lui con un sorriso, ma poi esitò prima di continuare – è che… insomma anche se diventassi un bravo tecnico, certi apparecchi da civile me li sognerei e basta”.
“Non ti facevo così ambizioso… ti ho sempre considerato una persona piuttosto umile”.
“Ma io non sono ambizioso – corresse Kain – è solo che quando hai una passione… beh, almeno io vorrei fare di tutto per portarla avanti ed avere sempre nuove possibilità. Da bambino ho iniziato usando le forchette ed i cucchiai che prendevo in cucina… poi sono arrivati i veri attrezzi, la prima radio costruita da sola, e… cavolo! Riza, ogni passo avanti è una grande emozione, te lo posso assicurare”.
Riza annuì, anche se in cuor suo si rammaricava di non provare una cosa simile. Lei non aveva una passione che la coinvolgesse in questo modo, forse era per questo che spesso si sentiva spaesata davanti ai suoi amici che invece avevano ben deciso le loro strade.
“E poi… insomma, adesso c’è Roy nell’esercito – continuò Kain – a ben pensarci non sarei proprio solo solo. Se una volta finiti gli studi entrassi in Accademia, lui nel frattempo sarebbe già salito di grado. E magari una volta diventato soldato potrei lavorare assieme a lui, sarebbe fantastico”.
“Bene – annuì Riza, cercando di fermare quel volo troppo vicino al sole – e come pensi di dirlo a mamma e papà? E se poi, una volta soldato, ti mandano al fronte?”
“Dici che succede anche ai soldati che lavorano con le radio?” chiese lui con preoccupata perplessità.
“Non lo so, ma credo che servano anche al fronte gli esperti di comunicazione”.
“Mh, probabilmente hai ragione – le punte dei suoi dritti capelli neri parvero afflosciarsi davanti a quella rivelazione – in questo caso non credo che sia una buona idea. Mamma si preoccuperebbe davvero tanto”.
“Così come tutti noi”.
“… e poi, a ben pensarci, non sarebbe molto felice se io lasciassi il paese. Come mi potrò prendere cura di lei e di papà se vado via? Insomma, un giorno tu verrai in città per sposare Roy, è meglio che uno di noi resti a casa”.
“Già tornato coi piedi per terra?”
“A quanto pare – arrossì lui con un sorriso colpevole – oh, sono stato uno sciocco. Insomma, i soldati sono i tipi come Roy, non quelli come me. Probabilmente se entrassi in Accademia ripartirebbe tutto dall’inizio, come quando ancora non avevamo fatto amicizia… nuovi dispetti, nuovi aguzzini… e non sarebbero gli scherzi che si fanno alle scuole medie, no?”
“Questo non è detto: sei molto cambiato da allora”.
“Oh, dai, non pensiamoci più – scosse il capo con forza, prendendo uno dei cuscini e stringendolo – anche a casa posso avere tante soddisfazioni. Insomma, la tecnologia avanza e io sarò lì pronto ad accoglierla e a farla conoscere a tutti gli altri. A modo mio sarò un pioniere, me lo sento: un po’ come Elisa che è il primo medico donna del paese”.
“Kain Fury il pioniere… beh, mi suona molto meglio rispetto a qualcosa come sergente maggiore Kain Fury”.
Entrambi scoppiarono a ridere davanti a quella che sembrava ora un’idea più che assurda.
“Non dire niente a mamma di questo discorso – riprese il giovane – non vale la pena di farla preoccupare per qualcosa che non accadrà mai. Tanto meno papà… a dire il vero sarei stato tremendamente egoista, insomma, lui ha perso il suo miglior amico in guerra: gli darei una tremenda delusione se gli dicessi di voler diventare soldato”.
“Lui sarà sempre fiero di te, non devi mai farti dei dubbi in merito. Comunque starò zitta, di oggi racconterò solo della visita al museo e del tuo incontro con quella giovane governante”.
“Erin? – Kain sorrise con piacere – lei e i suoi bambini erano davvero simpatici. Mi ha fatto davvero una bella impressione: mi dispiace di non esser potuto stare più tempo con loro”.
“Magari la rincontri” disse con malizia Riza, tornando al tavolo.
“La città è grande, ha un sacco di abitanti, la vedo davvero difficile”.
“Diamine, Kain, ha fatto davvero colpo su di te!”
“Come? – il ragazzo arrossì con incredulità – ma che dici? E’ più grande di me! No, fare colpo no… è solo che…” socchiuse gli occhi, come se stesse cercando di definire quello che provava.
“Solo che…?”
“Non lo so, ma forse non conta dato che, come ho detto, non la rivedrò più. Bene, mi pare il caso di andare a dormire: domani è il gran giorno! Buonanotte, Riza”.
“Buonanotte”.






_______________
Eccomi qua.
Come avete dedotto dal titolo del capitolo, questo segmento della storia viene diviso in più parti perché è parecchio lungo.
Spero che abbiate gradito il ritorno di Grumman e la new entry Erin.
Alla prossima :)
  
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