Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: nuvolenere_dna    29/01/2017    7 recensioni
Kakaroth era un centro di gravità che non esisteva più, che lasciava stelle e pianeti interdetti, smarriti nella galassia senza una traiettoria da seguire. Così era Vegeta, un astro sperduto nella polvere interstellare, escluso dall’unica orbita in grado di mantenere la sua stabilità mentale.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mirai!Bulma, Mirai!Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
roba 3
 GRAVITÀ


[ I've been screaming on the inside
And I know you feel the pain
Can you hear me?
Can you hear me? ]
Evanescence - Change


« Goku vuole vederti. Ha chiesto espressamente di te. »

Un brivido attraversò la schiena di Vegeta come una scossa elettrica, le viscere contratte in uno spasmo doloroso, un sentore di nausea che gli fece perdere l’equilibrio. Sapeva cosa significava, lo sapeva da tempo, e non poteva accettarlo. La voce di Bulma penetrò la Gravity Room come se non vi fossero muri, non aveva avuto nemmeno bisogno di urlare, le orecchie del Saiyan erano tese a recepire la minima informazione.
« Per favore, Vegeta. Goku sta morendo. »
Un sussurro talmente flebile da confondersi nell’aria. Ma lui lo percepì comunque, paralizzandosi all’istante, il corpo come un blocco di ghiaccio di fronte alle sfere luminose che sparavano proiettili di energia liquida. Fu colpito da una scarica di colpi e si schiantò rovinosamente a terra, la battle suit sgualcita, madida di chiazze di sangue che si aprivano crudeli sulla sua pelle coriacea. Non emise neppure un gemito, osservato dalle sfere che ondeggiavano perplesse, come se fossero sorprese dalla facilità nel colpirlo. Non aveva provato nessun dolore, la sua bocca era serrata in un silenzio talmente profondo da fargli venire il dubbio che le sue corde vocali fossero state strappate.
In realtà non aveva alcun bisogno delle notizie di quella terrestre, sentiva la sua aura diminuire da giorni, da settimane, si era ritrovato ad analizzare quelle fluttuazioni anche di notte, rigirandosi nel letto mentre guardava il cielo dalle finestre della Capsule Corporation. La vita del suo rivale era appesa ad un filo e ogni giorno sentiva quel filo divenire sempre più flebile, ridotto ormai ad una catena di molecole, lieve come un soffio di vento, sfibrata da un maleficio peggiore di qualunque combattimento. E ora quella vita tanto preziosa non era che una minuscola pulsazione, impercettibile come quella degli umani che popolavano come formiche il mondo.
« Vegeta ti prego... vieni. »
Un ultimo sussurro, corroso dai singhiozzi, a cui non seguì nessuna risposta. Passarono secondi interminabili, forse minuti, fino a quando Vegeta sentì i passi della donna allontanarsi, erano incerti, quasi zoppicanti, poi il rombo del motore di un elicottero alzarsi in volo. La vide dall’oblò girarsi per l’ennesima volta per controllare se fosse uscito dall’edificio. Ma lui rimase immobile sul pavimento, il cervello svuotato di ogni pensiero.
Era diventato difficile discernere la sua aura, sempre più debole. Non poteva essere lui, non poteva essere il suo rivale, la persona che odiava di più al mondo, annientato come un animale, come un misero terrestre, non poteva essere lui. Non era una morte onorevole per un guerriero Saiyan morire in un letto, deflagrato dall’interno per nessun motivo apparente: anche in questo si era dimostrato una terza classe, un vero idiota. Vegeta strinse i pugni, era inaccettabile, un’ingiustizia. Era sicuro che all’ultimo momento la sua forza sarebbe riapparsa, che avrebbe trovato il modo di sopravvivere, che avrebbe ritrovato la sua voglia di combattere e ce l’avrebbe fatta. Dovette riconoscere che Kakaroth ce la faceva sempre, era un vero eroe dell’inaspettato, riusciva dove tutti fallivano, arrivando sempre al momento opportuno. Indubbiamente sarebbe riuscito anche questa volta.
Vegeta continuò ad allenarsi, distratto, finendo per farsi colpire ancora una volta dalle sfere luminose. Cercò con tutta la sua concentrazione di rinchiudere nei meandri lontani della sua testa quel tarlo, talmente acuto da perforargli i timpani.
Ma il silenzio arrivò, fatale, trapassandolo come una coltellata. Qualcosa si spense. Il ronzio brulicante di vita che si espandeva intorno a lui per migliaia di chilometri era mutato divenendo dissonante, quasi inquietante, come se una nota fosse stata bruscamente sradicata dalla melodia.
Il cuore di Vegeta perse un battito, deflagrando dentro il suo petto in uno spasmo doloroso. Un’oscurità algida si espanse dentro di lui, riempiendo tutte le sue cavità. Non sentiva nulla, nessuna parola si stagliava nella sua mente, nessuna immagine, come se qualcosa fosse morto anche dentro di lui. Apatico come un robot si scaraventò fuori dalla Gravity Room, volando verso la casa di Kakaroth come attratto da una forza magnetica.
Spalancò la porta di casa sua senza curarsi nemmeno di controllare la propria forza. Il frastuono della porta, divelta dai cardini, che si schiantava a terra fu assordante in quel silenzio di morte. C’erano tutti, raccolti intorno alla salma del Saiyan, disteso nel letto. I loro sguardi pieni di dolore, colmi di lacrime, lo trapassarono. Chichi era inginocchiata accanto al letto, il viso stravolto dal pianto, abbracciata a Gohan che cercava di sostenerla. Piccolo lo salutò con un cenno del capo, appoggiato allo stipite della porta della cucina, le braccia conserte, il volto talmente contratto da dare l’impressione di stare per esplodere, tornando a fissare il vuoto.
Il silenzio era rotto soltanto dalle grida di Chichi, che continuava a scuotere il marito come se potesse svegliarlo, urlava talmente forte da farsi mancare la voce, disidratata dal pianto che colava instancabile sul suo volto. Lo sguardo di Vegeta si concentrò per un attimo su di lei, disturbato: non aveva mai osservato veramente il dolore di nessuno. Sotto il comando di Freezer aveva sterminato migliaia di famiglie, specialmente da bambino si divertiva nell’analizzare le reazioni dei vari membri nel vedere gli altri morire. Napa scuoteva la testa di fronte a quei bizzarri esperimenti sociali, verso i quali Vegeta provava soltanto divertimento: erano lontani da lui, totalmente estranei. A lui non sarebbe mai potuto accadere perché non aveva nessuno da perdere.  
Avanzò lentamente, lo sguardo rapito dal cadavere del suo rivale, il volto sereno, come se dormisse, i capelli scuri sparsi sul cuscino, gli occhi chiusi: un’immagine del tutto surreale. All’improvviso tutto gli parve surreale, i muri di quella casa, i volti dei presenti come marionette di gomma sospinte da una rotella elettrica posta nelle loro teste. Si sentiva malfermo sulle gambe, come se dondolasse e si abbassò lentamente continuando a fissarlo, talmente sconvolto da non rendersi conto di stare allungando la mano su di lui, quando qualcosa lo allontanò bruscamente, facendolo arretrare.
« Non osare, Vegeta! Goku voleva parlarti e tu non ti sei degnato nemmeno di venire! Vergognati! » una voce stridula lo accoltellò, trapanandogli le tempie, costringendolo a rientrare dalla dimensione distorta in cui la sua mente lo stava trascinando. Era la mano di Chichi ad averlo scacciato, il volto in una smorfia furiosa. Gohan la strinse più forte, costringendola ad alzarsi e ad allontanarsi nell’altra stanza, sorretta dallo Stregone del Toro e da Crilin. Il fuoco di quella rabbia non aveva attecchito sui volti degli altri presenti, troppo sconvolti per unirsi a quel moto di sdegno.
« Goku voleva chiederti di proteggerci. Di proteggere la Terra e... noi. » mormorò Bulma, fissandolo cautamente negli occhi. Erano giorni che non la guardava, settimane in cui evitava lo sguardo di quella donna maledetta e di quel bambino mezzosangue che aveva messo al mondo spingendosi contro le sue cosce.
« Io... proteggere voi? » era scoppiato in una risata gelida, sarcastica, uno schiaffo sui loro volti doloranti e frastornati. Li fissò tutti, uno per uno, soppesando una ad una le lacrime appese alle loro ciglia. Tutto in quella situazione era fuori posto. Erano patetici, cosa pensavano di risolvere con quella patetica messinscena?
« Questa era la volontà di Goku. Ha ribadito che... dentro di te vede qualcosa di buono. Ed era convinto che ci avresti protetto. » continuò, più determinata, le braccia che avvolgevano protettive il corpo del piccolo Trunks, che lo fissava sbarrando gli occhi azzurri come se lo vedesse per la prima volta.
« Kakaroth si sbagliava. » sibilò, stringendo i pugni, ma la risata che gli aveva suscitato lo stupore gli morì in gola. Iniziava a sentirsi strano, il corpo di Goku, sfibrato della linfa vitale, inerme su quel letto, il suo nemico giurato sconfitto per sempre da un altro avversario.
L’ultimo Saiyan dell’universo era appena morto, il suo ultimo suddito, seppur ribelle, il suo ultimo simile, l’unica creatura dell’universo con il suo stesso sangue nelle vene, l’ultimo ad aver respirato l’aria cupa di quel pianeta da cui erano sgorgate le sue viscere.
Sentì la terra tremare, le facce di terrestri come tormenti psichedelici che lo fissavano, occhi colmi di riprovazione che si ripetevano in un frattale di angoscia, risonanti all’infinito dentro di lui.
Sentiva le gambe abbandonarlo, il corpo prosciugato, il respiro che si faceva veloce, ansimante, il cuore come un compressore fuori controllo che spingeva violento nel suoi polmoni.
Non lo avrebbe rivisto mai più. Anche se fosse diventato Super Saiyan non avrebbe più avuto nessuno da affrontare, nessuno in grado di eguagliarlo, nessuno per cui valeva la pena combattere. Kakaroth era semplicemente... insostituibile.
Non avrebbe potuto vendicarsi, mai più. Il suo semplice essere in vita era insopportabile, un debito borioso che voleva saldare con la morte di Kakaroth, una morte per una vita, ma si era soltanto gravato di un altro debito, quello di aver sconfitto Freezer al posto suo.
Il campo visivo si oscurò, divenne nero, incerto, la gola corrosa da un conato di vomito che saliva ribollente per il suo esofago.
«Vegeta... ti senti bene? » la mano di Bulma gli aveva scosso una spalla, i suoi occhi bruciati da un pianto inestinguibile ma sempre attenti, scrupolosi nell’esplorarlo instancabili, nel notare il pallore della sua pelle e l’espressione allucinata sulle sue iridi nere. Vegeta la spinse, allontanando rudemente la sua mano, e continuò ad arretrare, allontanandosi atterrito da quella visione inaccettabile, da quella casa, dalle grida di quella donna che continuava a maledire la vita e il destino di aver portato via suo marito.
 
*
L’odore di mela e cannella penetrò le sue narici, un odore familiare, un odore amato. Si tranquillizzò, cercando di calmare anche il pianto di suo figlio che si era dimenato disperato nel seggiolino per tutto il viaggio di ritorno. La casa era buia, silenziosa, soltanto le luci della camera di Vegeta e del garage erano accese. Dopo il funerale, in cui tutti avevano raccontato qualcosa di Goku, ricordando qualche momento felice, qualcuna delle centinaia di avventure passate insieme, aveva sentito l’insopprimibile bisogno di andarsene. Trunks aveva bisogno di essere cambiato e nutrito e lei si era servita di questo per andarsene, non poteva sopportare un minuto di più il viso addolorato di Chichi e di Gohan, il cui dolore non era per lei neppure immaginabile.
Pensò alla propria vita, a come avrebbe reagito lei se Trunks fosse morto, lo guardò con dolcezza, accarezzando le sue guance tenere e morbide, riempiendole di baci. Il viso madido di lacrime di suo figlio la riempì di inquietudine. Si rese conto con amarezza che tutto quello che avevano era soltanto provvisorio, temporaneo. Per anni avevano vissuto in una mania di onnipotenza collettiva, in un sogno utopico in cui le sfere del drago potevano proteggerli da ogni disgrazia, riportando sempre le cose al loro posto. La cruda realtà sperimentata del resto dei mortali era rimpiombata bruscamente su di loro come una ghigliottina: non erano che formiche su quella terra, anche loro come tutti gli altri, papabili di essere schiacciati in qualsiasi momento.
Trunks si zittì, per un attimo, come se potesse comprendere le riflessioni della madre, richiudendosi nei lineamenti fieri e composti del padre.
E se fosse morto Vegeta? Come si sarebbe sentita? Non era il suo fidanzato, non era suo marito, era soltanto un alieno gelido e maleducato che viveva a casa sua e al quale era conveniente non affezionarsi. Se lo era ripetuto centinaia di volte, cercando di convincersi, ma qualcosa a quel pensiero pulsava dolorosamente dentro di lei. Cercò di allontanare quel pensiero, camminando nei corridoi bui della Capsule Corporation per raggiungerlo.
Lo vide, intento a scaraventare tute da combattimento, scorte di cibo e oggetti casuali all’interno di una delle tante navicelle spaziali presenti nel deposito, senza nemmeno curarsi del fatto che la forza con cui li afferrava fosse sufficiente per frantumarli ancora prima di arrivare a destinazione.
Il volto di Vegeta era livido, illuminato da un’oscurità nera, invischiante, viscida come un tentacolo che stringeva tutti i suoi lineamenti in una morsa. Le sue mascelle erano talmente contratte da divenire rigonfie, i muscoli tesi fino allo spasimo, lo sguardo morto, talmente rabbioso da bruciare ogni traccia di vita.
« Dove... dove stai andando? » esalò Bulma, senza voce, sentendosi mancare. Lo stupore fu tale che per un attimo sentì la presa allentarsi rischiando di far scivolare il figlio dalle braccia.
« Devo andarmene. » ringhiò, trapassandola con uno sguardo talmente aggressivo da farla traballare. Non lo aveva mai visto più sconvolto di così, qualcosa nel suo portamento nobile era stato frantumato, i suoi lineamenti alteri e composti erano come impazziti, straziati da un insieme contradditorio di sentimenti. Bulma osservò i cocci della tazza per la colazione che gli aveva regalato a Natale. Non la aveva mai usata, probabilmente non gli era mai piaciuta, ma se non altro non la aveva distrutta. Ora giaceva in frantumi ai suoi piedi, come il suo cuore spezzato, eroso da un dolore che mai si sarebbe aspettata di provare.
« Vegeta... dove stai andando? » ripeté, determinata, avvicinandosi a lui con quella poca convinzione che le era rimasta.
« Davvero pensavi che sarei rimasto qui insieme a te e a quel moccioso? » sillabò piano, abbassando per un attimo lo sguardo su Trunks, il cui volto era in fiamme a furia di piangere. Bulma sentì la rabbia sfiorarla, avrebbe voluto gridare, colpirlo con lo schiaffo più forte che riusciva a sferrare con il suo corpo terrestre, insultarlo fino a perdere la voce. Ma la furia si spense immediatamente, divorata da un dolore talmente profondo da tagliarla in due. Il suo migliore amico era morto. E con lui tutte le loro avventure, tutte le risate che avevano condiviso, la sua adolescenza, tutto era stato perduto e la sua assenza gridava talmente forte da vibrare dentro di lei. Non aveva la forza di affrontare Vegeta, non quel giorno, le sue forze erano misere, era come se la sua energia fosse stata risucchiata dall’interno, non aveva la forza di affrontare anche Vegeta, non quel giorno, non in quel momento. Era sempre stata l’unica a riuscire con la sua grinta a tenere testa al suo carattere difficile, l’unica a saperlo fronteggiare, l’unica donna che lo aveva posseduto oltre che essere posseduta.
Ma in quel momento di quella Bulma forte e vigorosa non c’era traccia.
« Fallo stare zitto, maledizione! » la voce di Vegeta la colpì come carta vetrata, insinuandosi dentro di lei, le lacrime che ricominciavano a colarle sul volto.
« Smettila... » mormorò piano, appoggiando delicatamente Trunks su una sedia. Aveva raggiunto il suo limite e si portò le mani al volto, singhiozzandovi contro. Scoppiò in un pianto disperato, senza ritegno, il dolore sgorgava da dentro di lei come un fiume in piena, inarrestabile nel piegare la sua dignità, la sua schiena e le sue gambe, facendola crollare in ginocchio. Vegeta non la guardava, di spalle, i pugni contratti e i muscoli tesi. Digrignava i denti talmente forte da sentire i denti pulsare dolorosamente.
« Sei patetica. » sibilò, velenoso. Era come paralizzato, non riusciva più a muoversi, qualcosa di quel pianto risuonava dentro di lui abbattendo ogni barriera che aveva faticosamente costruito con il tempo. Desiderò soltanto non essere lì, per un attimo rimpianse amaramente la vita di spietato conquistatore, nella quale i suoi fantasmi erano placati dal dolore delle sue vittime: guardava i loro volti pieni di dolore e godeva, erano loro gli sconfitti, lui invece aveva vinto, vinceva sempre, nulla poteva sfiorarlo. Qualcosa lo aveva contaminato, qualcosa si era insinuato dentro di lui, i singhiozzi cupi e disperati di Bulma lo turbavano, sentiva qualcosa dentro contrarsi ancora di più nell’ascoltare quel suono, disturbato dai suoi lamenti, dal fruscio dei suoi respiri faticosi.
« Ti ho detto di smetterla di piangere! » gridò, furioso, girandosi verso di lei, i pugni stretti al punto che la sua aura ebbe un incremento. Le afferrò le braccia, affondando in esse con le dita al punto da scavare dei lividi. La fissò, trapassando i suoi occhi chiari con uno sguardo severo, quasi crudele. Bulma cercò di evitare le sue pupille nere, ardenti, talmente cupe da far impallidire l’oscurità della notte, ma la sua mano rude le afferrò il mento, costringendola ad incatenare di nuovo lo sguardo al suo.
« Mi manca tanto, Vegeta... » infinite lacrime le solcavano il volto arrossato, prostrato e sconvolto da una tristezza così forte da oscurare addirittura l’imbarazzo, la vergogna per il mostrarsi così agli occhi di quel Saiyan insensibile e sarcastico, di fronte al quale aveva sempre indossato una facciata di frivolezza e allegria. La terra si ritirava sotto i suoi piedi, sentiva disperatamente il bisogno di un contatto, un contatto qualsiasi, provò addirittura a stringersi a lui, tentò di abbracciarlo ma lui la respinse, come disgustato da quella richiesta di affetto.
Paradossalmente Vegeta era sempre stato distaccato anche nel sesso, pur possedendola con una passione che mai aveva riscontrato in nessun terrestre: la sua vigoria, la sua forza, erano come innervate in quel corpo elettrico che sapeva donarle un piacere assoluto, orgasmi talmente profondi da farle tremare le cosce, stringendole ancora di più intorno ai suoi fianchi per averne sempre di più. Vegeta non le bastava mai. Ma non la baciava mai, non la abbracciava mai, non la accarezzava mai. E quelle rare volte in cui accadeva era passione, pura attrazione fisica, non tenerezza.
Vegeta si rialzò di colpo, rifiutando le sue braccia con una spinta secca, lo sguardo catturato dal pianto persistente di suo figlio, rilucente di una luce malvagia, teso fino allo spasimo, i fantasmi che divoravano i suoi nervi uno dopo l’altro.
« Cos’è, ti scopavi anche lui? Per questo ti manca tanto? » sbottò, le palpebre strette in una fessura.
« Ma che vuoi da me, Vegeta? Che hai? » biascicò lei, alzandosi per prendere di nuovo suo figlio fra le braccia. Trunks continuava a piangere, contagiato dal volto pieno di dolore della madre. Vegeta la ignorò, continuando la ricerca del codice di accesso per avviare il motore. La chiave era inserita nel cruscotto di comando, ma lo schermo lampeggiava alla ricerca di una password.
« Dammi il codice. » le ordinò, incrociando le braccia al petto, alzando il mento nella tipica posizione di arroganza che aveva assunto per gran parte della sua vita. Vegeta non ricordava nemmeno come ci fosse finito su quel pianeta coperto d’acqua, all’improvviso gli sembrava tutto uno scherzo, quella donna piagnucolante con quel piagnucolante moccioso, quella ridicola veglia funebre per un Saiyan che aveva tradito il suo sangue per vivere una vita da verme.
Sarebbe ritornato a fare la vecchia vita, l’unica che aveva sempre fatto, l’unica che era in grado di fare. Questa non era stata altro che una infelice parentesi priva di ogni senso, il frutto di un momento di debolezza, avrebbe sicuramente ritrovato la voglia di combattere pestando gli stivali nel sangue, i guanti candidi nelle viscere del primo malcapitato.
« Vegeta... perché vuoi andartene? » domandò lei, accarezzando dolcemente la testa del bambino per portarla contro il proprio petto. Iniziò a cullarlo, nella speranza di calmarsi anche lei attraverso il contatto con quel corpo piccolo e caldo. Ancora una volta si scoprì a pensare quanto fosse incredibile che una creatura così tenera fosse figlia anche di Vegeta, furente dalla rabbia, che la fissava come indemoniato.
« Dammi quella cazzo di astronave o ti ammazzo! » gridò, tagliente, velenoso come un serpente. Vegeta stava perdendo il controllo, l’aura sempre più elettrica, rovente intorno ai suoi muscoli tesi, sul punto di esplodere dalla collera.
« Lo vuoi capire che io non ho più nessun motivo per restare qui? » sbottò, le vene del collo gonfie. Sentiva una disperazione montargli dentro, un senso di angoscia talmente forte da non riuscire più a respirare. Di nuovo il cuore gli martellava in petto, ripensò al corpo esanime di Kakaroth, agli occhi chiusi, a quei muscoli potenti ridotti in cenere, inutili di fronte alla corruzione del suo corpo.
Non aveva potuto fare niente per lui, impotente per l’ennesima volta, l’ennesima, costretto ad assistere alla morte del suo unico avversario, l’unico che voleva superare con ogni briciola del suo corpo. Lasciò divampare la sua rabbia, espandersi intorno a lui come una fiammata, mandando in frantumi tutte le apparecchiature elettriche, disorientate come bussole impazzite.
« Non ho più niente! Niente! Ma tu non puoi capire come ci si sente a non avere nulla. » gridò, amaro, le labbra contratte in una smorfia sghemba. Poi avvampò dalla vergogna, mordendosi le labbra talmente in profondità da farle sanguinare. I suoi occhi si riempirono di lacrime di rabbia, dense come la lava, che lente iniziarono a scavargli il volto.
Si sentì vuoto, derubato, come se gli avessero strappato il cuore e le viscere e le avessero date in pasto ai demoni. La verità era che non aveva mai avuto nulla, anche prima di incontrare Kakaroth e poi perderlo: la sua vita era stata una monotona danza di morte in cui non aveva provato nessuna emozione. Allenamenti, genocidi, furti di pianeti, il volto mellifluo di Freezer che gli sorrideva malevolo, lo sguardo colmo d’ammirazione di Napa, che aveva ingenuamente creduto di conoscerlo senza sfiorarlo mai. Altri allenamenti, bagni di sangue talmente frequenti che ad ogni sua uscita nel campo di battaglia gli veniva forgiata una nuova battle suit, nient’altro, nessuno scopo, nessuna prospettiva. Dopotutto era soltanto un soldato, neppure un mercenario, la sua unica libertà era stata quella di respirare.
La sua aura continuava ad espandersi, sempre più potente, facendo tremare i muri, i calcinacci cadevano frantumando i vetri delle astronavi in una nebbia di intonaco e polvere. Voleva soltanto distruggere, distruggere, uccidere, voleva il sangue, voleva il potere, voleva liberarsi di quel dolore al più presto possibile. Voleva veder esplodere quel posto, non gli interessava nemmeno più di quella stupida astronave, avrebbe potuto rubarne altre cento, altre mille. Il soffitto iniziò a crollare, frantumato dalla forza instancabile del Saiyan, dai suoi pugni chiusi, dal suo volto pieno di lacrime che continuavano a colare, instancabili, lungo il suo collo.
« Puoi restare qui per noi, Vegeta. » gridò Bulma, nel tentativo di farsi sentire nel frastuono. Ora piangevano entrambi, senza guardarsi negli occhi, vicini e distantissimi al tempo stesso, due galassie che si scrutavano dai lati opposti dell’universo. Corse verso di lui, incurante del calore ustionante della sua aura.
Il volto di Vegeta era una maschera di dolore, il dolore di una rabbia talmente profonda da spezzargli il fiato. Non avrebbe più potuto vendicarsi, sarebbe stato perennemente in debito verso quel terrestre dal sorriso ebete, in eterno debitore di una terza classe, in eterno secondo alla memoria di un guerriero di infimo livello. E ora quella donna gli proponeva una vita da marito fedele, al fianco di quella donna petulante e di un moccioso inutile, come se potesse anche solo lontanamente interessargli. Come se anche a lei interessasse davvero di lui, tutte sciocchezze, quando si sarebbe stancata di essere scopata da lui se ne sarebbe trovato un altro. Eppure i suoi piedi non si muovevano, incollati a quel pavimento di quella casa.
« Per favore, calmati... »
Bulma lo guardava, sentendosi una nullità. Lei e quel bambino che avevano generato insieme non sembravano valere nulla ai suoi occhi, tutto quel tempo che aveva trascorso lì, con lei, non lo aveva cambiato di una sola molecola, era rimasto lo stesso crudele Saiyan che aveva incontrato su Namecc. Eppure gli voleva bene, amava anche la sua furia, anche il suo orgoglio di Saiyan, anche quella ambizione suicida che lo consumava dall’interno dal primo giorno in cui lo aveva incontrato. Non avrebbe saputo dire il perché, semplicemente sentiva di amarlo, di essere legata a lui da un sentimento che non riusciva a reprimere.
Si avvicinò bruscamente, avanzando con rabbia. Con il braccio libero si strinse a lui, la mano che gli stringeva la nuca, inabissandosi nei suoi capelli neri e accarezzandoli con delicatezza. Lo baciò lentamente, mordendogli piano le labbra morbide. Vegeta la fissava, sorpreso, gli occhi spalancati, le lacrime congelate fra le sue ciglia, talmente sbalordito che la sua aura letale, talmente rovente da scottarle la pelle scoperta, si azzerò.
Lo sguardo duro del Saiyan si ammorbidì per un attimo, un breve attimo in cui la rabbia si spense sul suo volto, rivelando una tristezza devastante. Bulma lo accarezzò piano, immobile, passando le dita delicate sulle sue guance umide. Non sapeva perché permetteva a quella donna di assistere alla sua debolezza, forse era solo talmente svuotato, talmente stanco da non avere più la forza di combattere. Non voleva andarsene, non aveva nessuna intenzione di andarsene, la prospettiva di conquistare e distruggere non lo attraeva più, gli ricordava Freezer, gli ricordava soltanto l’umiliazione del servire un tiranno spaziale che gli aveva rovinato la vita. In ogni caso non avrebbe potuto tornare indietro nel tempo. I Saiyan erano sterminati, il suo pianeta distrutto, non sarebbe mai diventato Re.
« Non abbandonarmi anche tu... ti prego. » sussurrò Bulma, allontanandosi per specchiarsi nelle sue iridi nere, lucide come ossidiane.
Vegeta scosse piano la testa, un movimento impercettibile, continuando a guardarla negli occhi senza riuscire più a nascondere il dolore. Il dolore per non essere mai stato all’altezza, per i trent’anni di vita che aveva trascorso come schiavo di Freezer, per suo padre, per il suo pianeta e infine per la morte di Kakaroth, che gli aveva sottratto ogni possibilità di vendetta.
Kakaroth era un centro di gravità che non esisteva più, che lasciava stelle e pianeti interdetti, smarriti nella galassia senza una traiettoria da seguire. Così era Vegeta, un astro sperduto nella polvere interstellare, escluso dall’unica orbita in grado di mantenere la sua stabilità mentale. Sconfiggere Kakaroth era stata la sua unica e sola ragione di vita da quando era ritornato in vita, la sua unica ragione per rimanere sulla Terra, la sua unica ragione di continuare a respirare dopo che tutte le sue certezze erano state spazzate via. Ora non aveva più nessun posto in cui andare, non esisteva nessun posto nell’universo a cui appartenesse, nessuno. Dentro di sé Vegeta sapeva che quel posto probabilmente non era mai esistito. Per tutta la vita aveva transitato da un pianeta ad un altro, da muri freddi e impersonali, schizzati del sangue delle vittime trucidate, alle pareti lucide e viscide delle astronavi di Freezer, gelide come lui.
Il suo sguardo vagò su quella donna insistente e sul bambino che gli somigliava stretto fra le sue braccia. Forse adesso era quello il suo posto. Forse quello poteva essere un nuovo motivo per continuare a vivere, ad allenarsi, a combattere. Altrimenti poteva semplicemente lasciarsi morire. Ma fissando i loro sguardi, di un azzurro così vivido, così vitale, i loro volti delicati, qualcosa vibrava nelle profondità delle sue viscere. Vegeta non aveva alcuna intenzione di morire.
 
***
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Grazie per aver letto! Mi scuso se ci fossero incongruenze con la storia ufficiale, non vedo la serie Z e l’OAV sull’universo Mirai da tanto tempo, se ci fossero errori considerateli una licenza poetica! *ride* Spero che la fiction vi sia piaciuta, attendo qualche feedback nelle recensioni. Ne approfitto per ringraziare chi ha letto, recensito e/o messo nelle preferite/ricordate la mia precedente fiction, mi avete resa molto happy. Detto questo spero di essere rimasta IC e di aver reso l’idea dei sentimenti che avevo in testa. Un abbraccio a tutti e alla prossima.
ND
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: nuvolenere_dna