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Autore: Alebluerose91    01/06/2009    3 recensioni
Tratto dalla One Shot: “Elena…” mormorò, “Ti amo.” Il verde intenso dei suoi occhi brillava, non voleva abbandonare questa vita. Mi premetti la sua mano sulle labbra tremanti, e gliela baciai. Sapeva di sangue. Il suo sangue, e per questo prezioso. La sua mano scivolò senza vita dal mio viso, cadendo al suolo. Lo guardai, tra l’offuscamento creato dalle mie lacrime sorde. I suoi occhi erano spenti. Dov’era la loro luce brillante? Mi afferrai la testa fra le mani. “Rafael!”
Genere: Romantico, Triste, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok ragazze, non chiedetemi cos'è perchè è stato uno sclero momentaneo delle tre di ieri notte! XD l'ho postata di nuovo perchè andava corretta... lo so, dovrei finire Choco, ma la tentazione è stata tanta!! E così mi sono trovata a scrivere una piccola (e insulsa) One Shot che mi frullava per la testa da qualche settimana... ditemi se è il caso di bruciarla! un bacio, BlueRose 

 

 

 

 

 

 

Elena

 

“Rafael… mi senti?” tossii, schiacciata dal peso del sedile sopra di me.

L’unico rumore che sentivo era il ronzio del motore e del sibilo del fumo che fuoriusciva dal retro della macchina.

Tossii ancora, non riuscivo a vedere niente. La macchina si era ribaltata, precipitando da un burrone, e mi ero appena risvegliata dopo aver perso i sensi per chissà quante ore. Il sedile mi opprimeva il petto, e non capivo neppure in che posizione fossi.

Sentii un gemito, e mi sentii subito meglio: Rafael si era risvegliato, finalmente.

Cercai di divincolarmi: per fortuna stavo riacquistando le forze, nonostante sentissi il sangue scorrermi da qualche ferita alla testa.

Sentii un altro gemito alla mia destra.

“Tieni duro, ci tirerò fuori di qui!” urlai, angosciata.

Quel gemito che mi era giunto alle orecchie sapeva troppo di disperazione.

Non mi piaceva per niente.

“E…Elena…”

La sua voce… ma perché era così smorzata, maledizione?
”Tieni duro!” ripetei, a voce più alta, con un tono isterico. Stavo perdendo la calma.

Con un calcio spalancai la portiera dell’auto, che cigolò.

Strizzai gli occhi, per scrutare attraverso l’oscurità della notte. Non vedevo niente.

Il cielo era limpido: le stelle illuminavano il soffice manto di seta nera del cielo, ma la luna era assente, quel giorno: era luna nuova.

Avanzai strisciando sul terreno fangoso, imprecando sottovoce. Il sangue asciugato si era incollato alla palpebra destra e non mi permetteva di vedere niente, accidenti.

Sentii Rafael mugolare e con uno sforzo maggiore riuscii ad uscire fuori da quella dannata auto.

Boccheggiai, alla ricerca di aria. Ero libera! Mi afferrai alla carrozzeria sfasciata del mezzo, e tentai con successo di mettermi in piedi. Le mie gambe tremavano.

Sospirai. “Arrivo, Rafael!”

Cominciai a percorrere il perimetro dell’auto, nel tentativo di raggiungere il mio ragazzo schiacciato dal volante e dal sedile. Rabbrividii nell’immaginare le sue ferite.

Scacciai quel pensiero, quando arrivai dalla parte del guidatore.

“Mi senti?” gli chiesi, inginocchiandomi accanto allo sportello accartocciato.

Mio Dio, che incidente orribile…

Un altro gemito, l’ennesimo.

Sentivo le lacrime inumidirmi gli occhi, mentre lo cercavo con lo sguardo.

Dove cazzo era?

All’improvviso, attraverso quel buio, vidi una tenue luce verde brillare: erano i suoi occhi…

Mi guardavano, la loro luce meravigliosa sempre presente.

Singhiozzando, aprii lo sportello con tutta la forza che possedevo.

Repressi un grido.

Il corpo di Rafael…

No!

Il mio ragazzo boccheggiò, sbattendo lentamente le palpebre.

Volse il viso verso di me, e alzò un braccio.

Lo guardavo terrorizzata, con le lacrime ghiacciate che tentavano di lavare via la sporcizia e il sangue incrostato. Il corpo di Rafael era quasi del tutto schiacciato tra il sedile e il volante, macchiato dal sangue che gli fuoriusciva dalle labbra carnose.

Non mi serviva una laurea in medicina per sapere che non sarebbe sopravvissuto.

Mi sentii morire.

Mi parve che mi avessero asportato il cuore, per lasciare solo un vuoto nel mio petto: non sentivo battere più nulla.

Rafael mi rivolse un debole sorriso, mentre il suo palmo tiepido si posava sulla mia guancia.

“Elena…” mormorò, “Ti amo.” Il verde intenso dei suoi occhi brillava, non voleva abbandonare questa vita.

Mi premetti la sua mano sulle labbra tremanti, e gliela baciai. Sapeva di sangue. Il suo sangue, e per questo prezioso.

La sua mano scivolò senza vita dal mio viso, cadendo al suolo.

Lo guardai, tra l’offuscamento creato dalle mie lacrime sorde.

I suoi occhi erano spenti.

Dov’era la loro luce brillante?

Mi afferrai la testa fra le mani.

“Rafael!”

 

 

 

 

Rafael

 

Un candore accecante, ricordo solo questo del giorno in cui mi svegliai.

Aprii lentamente le palpebre.

Dov’ero?

Mi alzai a sedere su quello che doveva essere un letto a due piazze, in una grande stanza dalle pareti bianche.

Uno specchio giaceva abbandonato accanto al letto, e vi posai lo sguardo.

Ero sempre io: i soliti capelli biondi come l’oro, lunghi fino alle orecchie e scompigliati in una frangia scomposta, i soliti occhi verdi e curiosi, i soliti lineamenti regolari del viso imberbe.

Ero, io senza dubbio: ma allora perché avevo due ali bianche che mi spuntavano dalla schiena?

Beh, era un sogno, non c’era altra spiegazione.

Ed Elena, dov’era?

Scioccamente mi voltai verso il letto, credendo di trovarla addormentata come sempre avviluppata tra le lenzuola.

Dov’era il suo sorriso splendente?

E… cos’era l’immagine che si faceva largo nella mia mente?

Il volto del mio amore sfigurato dal dolore, sporco di fango e sangue…

Perché piangeva, il mio angelo?

Feci per alzarmi, quando sentii una risata dietro di me.

Mi voltai, alzando un sopracciglio, e rimasi di stucco.

Un uomo alto, vestito con una lunga tunica bianca e una folta barba grigia, mi sorrideva sornione.

Sulle sue spalle spuntavano due lunghe ali bianche di piuma, simili alle mie, ma più imponenti.

Cosa significava?

“Straordinario.” Borbottò l’uomo, senza smettere di sorridere.

“Chi sei?”

L’uomo mi fissò, divertito.

“Non lo vedi da te, ragazzo?”

Rimasi stupito. Ma cosa era successo? Non seppi rispondergli.

“Dov’è Elena? Cosa le è accaduto? L’incidente…”

Ridacchiò. “Straordinario.” Ripeté.

Sbuffai, perdendo la pazienza. “Mi vuole rispondere? Cosa sono queste ali? Se è uno scherzo non è divertente!” sbottai, e l’uomo s’irrigidì. Il sorriso svanì come un fantasma.

“Rafael” cominciò, con tono possente, “Io sono l’Arcangelo Gabriel. E tu… tu sei morto.”

Morto…

Morto? Non dovevo aver capito bene.

Come un flash rividi il volto addolorato di Elena, e il mio cuore perse un battito.

“Ma cosa…?”

L’Arcangelo sospirò. “E’ straordinario: sei diventato un angelo. Un angelo custode. Normalmente, gli angeli custodi sono stati legati in vita alla persona che devono proteggere, ma non ricordano nulla di loro. Tu invece… ricordi tutto. L’amore che ti lega alla tua protetta è così forte che non è stato reciso, né scalfito dalla tua morte.”

Rimasi a bocca aperta, stupito dal peso di quelle rivelazioni. Ero davvero un angelo custode?

Dovette leggere le mute domande suoi miei occhi, perché continuò. “Le sarai accanto per sempre, però tu e solo tu avrai una possibilità.”

“Quale?” mi affrettai a chiedere, speranzoso di rivedere Elena.

“Potrai mostrarti a lei una sola volta.”

Ammutolii.

Una sola volta… per tutta la vita?

Annuì, serio, come se mi avesse letto nella mente.

“Ti è stata concessa l’opportunità di dirle addio. Come premio del tuo infinito amore.”  

 

 

 

 

Elena

 

L’oblio mi avvolgeva, tetro.

Erano passati due mesi.

Avevo smesso di andare all’università, non mangiavo quasi nulla.

Mi rifugiavo nelle nostre foto: rivederlo allegro e sorridente accanto a me, immortalati in quegli attimi perfetti, mi donava la serenità per qualche istante.

Spesso i ricordi affollavano la mia mente.

Non potevo scacciarli.

Ricordavo la sua passione per le auto, come rideva quando tentava di insegnarmi a mettere mano ai motori!

Quanto era bello sotto la luce del sole, al mare, stretto a me, senza badare al caldo…

Rafael…

Abbracciai il cuscino, singhiozzando.

Ero stanca di piangere, non facevo altro da tempo.

Non… non potevo andare avanti. La mia vita era inutile senza di lui.

Mi buttai sopra il letto, stringendo la foto che lo ritraeva in tutta la sua bellezza in un pugno.

“Rafael…” lo invocai, tra le lacrime, come se chiamandolo avessi potuto portarlo da me.

Cosa ne sarebbe stata della mia vita?

Cosa ne sarebbe stato di me?

“Non piangere, Elena.”

Silenzio.

Potevo distinguere i battiti aritmici del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.

No, non era possibile.

Sbattei le palpebre, ripetutamente, e mi alzai a sedere.

Mi voltai lentamente.

E lo vidi.

“Rafael… sei tu?” era meraviglioso: Avvolto in una tunica bianca, candida come le sue ali che si diramavano dalla schiena.

I miei occhi traboccavano di lacrime.

Stavo sognando.

Era troppo bello…

E così doloroso.

Era un angelo? Il mio angelo?

Lui annuì sorridendomi dolcemente.

Mi alzai, in trance, e mi avvicinai a lui. Il suo profumo era splendido, sapeva di sole e di pulito.

Lo abbracciai, affondando il viso sul suo petto.

“Mi manchi da morire.” Singhiozzai.

Rafael mi carezzò i boccoli rossi. Un gesto che era tipico di lui. Lo aveva fatto spesso quando ero stata male.

“Anche tu piccola mia,” mi sussurrò, le sue labbra perfette che sfioravano il lobo del mio orecchio. Rabbrividii.

“Sono venuto a dirti addio.”

Smisi di respirare e mi scostai da lui.

“Non puoi lasciarmi!” urlai, in lacrime.

Mi sorrise, angelico. Era un sorriso così triste.

“Non ti lascerò. Nemmeno per un istante. Sarò il tuo angelo custode.”

Non l’avrei rivisto mai più?

“Non andartene, ti prego…” lo implorai.

Mi carezzò la guancia con il dorso di una mano.

Si avvicinò al mio viso, inchiodandomi con i suoi magnifici occhi verdi.

Chiusi le palpebre, quando le sue labbra sfiorarono le mie in un delicato e soffice bacio.

“Ti amo.” Mormorò, con delicatezza, “Per sempre.”

E sparì.

Lasciando dietro di sé una piuma bianca.


  
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