Ok ragazze, non chiedetemi cos'è perchè è stato uno sclero momentaneo delle tre di ieri notte! XD l'ho postata di nuovo perchè andava corretta... lo so, dovrei finire Choco, ma la tentazione è stata tanta!! E così mi sono trovata a scrivere una piccola (e insulsa) One Shot che mi frullava per la testa da qualche settimana... ditemi se è il caso di bruciarla! un bacio, BlueRose
Elena
“Rafael…
mi senti?” tossii,
schiacciata dal peso del sedile sopra di me.
L’unico
rumore che sentivo era il
ronzio del motore e del sibilo del fumo che fuoriusciva dal retro della
macchina.
Tossii
ancora, non riuscivo a
vedere niente. La macchina si era ribaltata, precipitando da un
burrone, e mi
ero appena risvegliata dopo aver perso i sensi per chissà
quante ore. Il sedile
mi opprimeva il petto, e non capivo neppure in che posizione fossi.
Sentii
un gemito, e mi sentii
subito meglio: Rafael si era risvegliato, finalmente.
Cercai
di divincolarmi: per
fortuna stavo riacquistando le forze, nonostante sentissi il sangue
scorrermi
da qualche ferita alla testa.
Sentii
un altro gemito alla mia
destra.
“Tieni
duro, ci tirerò fuori di
qui!” urlai, angosciata.
Quel
gemito che mi era giunto alle
orecchie sapeva troppo di disperazione.
Non
mi piaceva per niente.
“E…Elena…”
La
sua voce… ma perché era così
smorzata, maledizione?
”Tieni duro!” ripetei, a voce più alta,
con un tono isterico. Stavo perdendo la
calma.
Con
un calcio spalancai la
portiera dell’auto, che cigolò.
Strizzai
gli occhi, per scrutare
attraverso l’oscurità della notte. Non vedevo
niente.
Il
cielo era limpido: le stelle
illuminavano il soffice manto di seta nera del cielo, ma la luna era
assente,
quel giorno: era luna nuova.
Avanzai
strisciando sul terreno
fangoso, imprecando sottovoce. Il sangue asciugato si era incollato
alla
palpebra destra e non mi permetteva di vedere niente, accidenti.
Sentii
Rafael mugolare e con uno
sforzo maggiore riuscii ad uscire fuori da quella dannata auto.
Boccheggiai,
alla ricerca di aria.
Ero libera! Mi afferrai alla carrozzeria sfasciata del mezzo, e tentai
con
successo di mettermi in piedi. Le mie gambe tremavano.
Sospirai.
“Arrivo, Rafael!”
Cominciai
a percorrere il
perimetro dell’auto, nel tentativo di raggiungere il mio
ragazzo schiacciato
dal volante e dal sedile. Rabbrividii nell’immaginare le sue
ferite.
Scacciai
quel pensiero, quando
arrivai dalla parte del guidatore.
“Mi
senti?” gli chiesi, inginocchiandomi
accanto allo sportello accartocciato.
Mio
Dio, che incidente orribile…
Un
altro gemito, l’ennesimo.
Sentivo
le lacrime inumidirmi gli
occhi, mentre lo cercavo con lo sguardo.
Dove
cazzo era?
All’improvviso,
attraverso quel
buio, vidi una tenue luce verde brillare: erano i suoi occhi…
Mi
guardavano, la loro luce
meravigliosa sempre presente.
Singhiozzando,
aprii lo sportello
con tutta la forza che possedevo.
Repressi
un grido.
Il
corpo di Rafael…
No!
Il
mio ragazzo boccheggiò,
sbattendo lentamente le palpebre.
Volse
il viso verso di me, e alzò
un braccio.
Lo
guardavo terrorizzata, con le
lacrime ghiacciate che tentavano di lavare via la sporcizia e il sangue
incrostato. Il corpo di Rafael era quasi del tutto schiacciato tra il
sedile e
il volante, macchiato dal sangue che gli fuoriusciva dalle labbra
carnose.
Non
mi serviva una laurea in
medicina per sapere che non sarebbe sopravvissuto.
Mi
sentii morire.
Mi
parve che mi avessero asportato
il cuore, per lasciare solo un vuoto nel mio petto: non sentivo battere
più
nulla.
Rafael
mi rivolse un debole
sorriso, mentre il suo palmo tiepido si posava sulla mia guancia.
“Elena…”
mormorò, “Ti amo.” Il
verde intenso dei suoi occhi brillava, non voleva abbandonare questa
vita.
Mi
premetti la sua mano sulle labbra
tremanti, e gliela baciai. Sapeva di sangue. Il suo
sangue, e per questo prezioso.
La
sua mano scivolò senza vita dal
mio viso, cadendo al suolo.
Lo
guardai, tra l’offuscamento
creato dalle mie lacrime sorde.
I
suoi occhi erano spenti.
Dov’era
la loro luce brillante?
Mi
afferrai la testa fra le mani.
“Rafael!”
Rafael
Un
candore accecante, ricordo solo
questo del giorno in cui mi svegliai.
Aprii
lentamente le palpebre.
Dov’ero?
Mi
alzai a sedere su quello che
doveva essere un letto a due piazze, in una grande stanza dalle pareti
bianche.
Uno
specchio giaceva abbandonato
accanto al letto, e vi posai lo sguardo.
Ero
sempre io: i soliti capelli
biondi come l’oro, lunghi fino alle orecchie e scompigliati
in una frangia
scomposta, i soliti occhi verdi e curiosi, i soliti lineamenti regolari
del
viso imberbe.
Ero,
io senza dubbio: ma allora
perché avevo due ali bianche
che mi
spuntavano dalla schiena?
Beh,
era un sogno, non c’era altra
spiegazione.
Ed
Elena, dov’era?
Scioccamente
mi voltai verso il
letto, credendo di trovarla addormentata come sempre avviluppata tra le
lenzuola.
Dov’era
il suo sorriso splendente?
E…
cos’era l’immagine che si
faceva largo nella mia mente?
Il
volto del mio amore sfigurato
dal dolore, sporco di fango e sangue…
Perché
piangeva, il mio angelo?
Feci
per alzarmi, quando sentii
una risata dietro di me.
Mi
voltai, alzando un
sopracciglio, e rimasi di stucco.
Un
uomo alto, vestito con una
lunga tunica bianca e una folta barba grigia, mi sorrideva sornione.
Sulle
sue spalle spuntavano due
lunghe ali bianche di piuma, simili alle mie, ma più
imponenti.
Cosa
significava?
“Straordinario.”
Borbottò l’uomo,
senza smettere di sorridere.
“Chi
sei?”
L’uomo
mi fissò, divertito.
“Non
lo vedi da te, ragazzo?”
Rimasi
stupito. Ma cosa era successo?
Non seppi rispondergli.
“Dov’è
Elena? Cosa le è accaduto?
L’incidente…”
Ridacchiò.
“Straordinario.”
Ripeté.
Sbuffai,
perdendo la pazienza. “Mi
vuole rispondere? Cosa sono queste ali? Se è uno scherzo non
è divertente!”
sbottai, e l’uomo s’irrigidì. Il sorriso
svanì come un fantasma.
“Rafael”
cominciò, con tono
possente, “Io sono l’Arcangelo Gabriel. E
tu… tu sei morto.”
Morto…
Morto?
Non dovevo aver capito
bene.
Come
un flash rividi il volto
addolorato di Elena, e il mio cuore perse un battito.
“Ma
cosa…?”
L’Arcangelo
sospirò. “E’
straordinario: sei diventato un angelo. Un angelo custode. Normalmente,
gli
angeli custodi sono stati legati in vita alla persona che devono
proteggere, ma
non ricordano nulla di loro. Tu invece… ricordi tutto.
L’amore che ti lega alla
tua protetta è così forte che non è
stato reciso, né scalfito dalla tua morte.”
Rimasi
a bocca aperta, stupito dal
peso di quelle rivelazioni. Ero davvero un angelo custode?
Dovette
leggere le mute domande
suoi miei occhi, perché continuò. “Le
sarai accanto per sempre, però tu e solo
tu avrai una possibilità.”
“Quale?”
mi affrettai a chiedere,
speranzoso di rivedere Elena.
“Potrai
mostrarti a lei una sola
volta.”
Ammutolii.
Una
sola volta… per tutta la vita?
Annuì,
serio, come se mi avesse
letto nella mente.
“Ti
è stata concessa l’opportunità
di dirle addio. Come premio del tuo infinito amore.”
Elena
L’oblio
mi avvolgeva, tetro.
Erano
passati due mesi.
Avevo
smesso di andare
all’università, non mangiavo quasi nulla.
Mi
rifugiavo nelle nostre foto:
rivederlo allegro e sorridente accanto a me, immortalati in quegli
attimi
perfetti, mi donava la serenità per qualche istante.
Spesso
i ricordi affollavano la
mia mente.
Non
potevo scacciarli.
Ricordavo
la sua passione per le
auto, come rideva quando tentava di insegnarmi a mettere mano ai motori!
Quanto
era bello sotto la luce del
sole, al mare, stretto a me, senza badare al caldo…
Rafael…
Abbracciai
il cuscino,
singhiozzando.
Ero
stanca di piangere, non facevo
altro da tempo.
Non…
non potevo andare avanti. La
mia vita era inutile senza di lui.
Mi
buttai sopra il letto,
stringendo la foto che lo ritraeva in tutta la sua bellezza in un pugno.
“Rafael…”
lo invocai, tra le
lacrime, come se chiamandolo avessi potuto portarlo da me.
Cosa
ne sarebbe stata della mia
vita?
Cosa
ne sarebbe stato di me?
“Non
piangere, Elena.”
Silenzio.
Potevo
distinguere i battiti
aritmici del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
No,
non era possibile.
Sbattei
le palpebre,
ripetutamente, e mi alzai a sedere.
Mi
voltai lentamente.
E
lo vidi.
“Rafael…
sei tu?” era
meraviglioso: Avvolto in una tunica bianca, candida come le sue ali che
si
diramavano dalla schiena.
I
miei occhi traboccavano di
lacrime.
Stavo
sognando.
Era
troppo bello…
E
così doloroso.
Era
un angelo? Il mio angelo?
Lui
annuì sorridendomi dolcemente.
Mi
alzai, in trance, e mi
avvicinai a lui. Il suo profumo era splendido, sapeva di sole e di
pulito.
Lo
abbracciai, affondando il viso
sul suo petto.
“Mi
manchi da morire.”
Singhiozzai.
Rafael
mi carezzò i boccoli rossi.
Un gesto che era tipico di lui. Lo aveva fatto spesso quando ero stata
male.
“Anche
tu piccola mia,” mi
sussurrò, le sue labbra perfette che sfioravano il lobo del
mio orecchio.
Rabbrividii.
“Sono
venuto a dirti addio.”
Smisi
di respirare e mi scostai da
lui.
“Non
puoi lasciarmi!” urlai, in
lacrime.
Mi
sorrise, angelico. Era un
sorriso così triste.
“Non
ti lascerò. Nemmeno per un
istante. Sarò il tuo angelo custode.”
Non
l’avrei rivisto mai più?
“Non
andartene, ti prego…” lo
implorai.
Mi
carezzò la guancia con il dorso
di una mano.
Si
avvicinò al mio viso,
inchiodandomi con i suoi magnifici occhi verdi.
Chiusi
le palpebre, quando le sue
labbra sfiorarono le mie in un delicato e soffice bacio.
“Ti
amo.” Mormorò, con
delicatezza, “Per sempre.”
E
sparì.
Lasciando
dietro di sé una piuma
bianca.