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Autore: rossella0806    02/02/2017    3 recensioni
Regno di Sardegna, gennaio 1849.
Costanza Granieri si è svegliata per l'ennesima volta spaesata e affranta: da quando si è trasferita in città, lontano dalle sue abitudini e dai suoi affetti, la notte non riesce a dormire.
L'unica cosa che desidera è ritornare alla vita di prima, nel paese di montagna che l'ha vista crescere: la sua sola consolazione risiede nella corrispondenza epistolare che intesse con la nonna materna, influente donna della comunità che ha dovuto abbandonare.
Sullo sfondo delle vicende della famiglia Granieri e dei Caccia Dominioni, in mezzo a personalità nobili e giovani rivoluzionari, va in scena la battaglia della Bicocca, combattuta nelle campagne novaresi il 23 marzo 1849, tra lo schieramento dei piemontesi e quello degli austriaci, nemici giurati di un intero popolo.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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L'abito non fa il monaco.


Pietro aprì gli occhi assonnati, socchiuse appena le labbra secche e deglutì: la cella rettangolare dal pavimento in argilla e le pareti di sasso aveva lasciato il posto a uno scorcio bianco e dall’intenso odore di disinfettante. Inalò con fastidio quel profumo pungente, avvertendo una sensazione di prurito raschiargli la gola e solleticargli le narici.

Si guardò intorno, aggrottando le sopracciglia perché non riusciva a capire che cosa gli fosse accaduto: un paravento di un indefinito colore grigio gli oscurava la visuale alla sua sinistra, mentre ad un centinaio di metri davanti a lui riusciva ad intravedere una serie di letti immacolati.
Sulla destra, sotto ad una stretta finestra con le inferriate e le tende livide e giallastre per lo sporco, un armadio alto la metà del soffitto a volta e con le ante trasparenti ospitava una serie di flaconi scuri.
Il giovane conte tentò di mettersi seduto, lanciando di lato il lenzuolo ruvido, ma un senso improvviso di mancanza di equilibrio lo bloccò a mezzo busto: si sentiva la fronte scottare, e solo allora si accorse che la spalla e il ginocchio ancora bendati erano incredibilmente gonfi e sempre più doloranti.
Dovette mugugnare qualcosa, poiché attirò l’attenzione di un uomo, il rumore dei passi pesanti a breve distanza da lui.
“Ti sei svegliato, finalmente!”
La voce di Eugenio lo riportò nel mondo dei vivi, quindi comparve anche la sua figura snella, sempre avvolta dal completo blu scuro che gli aveva visto indossare poco prima… o giorni prima?
“Cosa è successo? Perché non sono più rinchiuso? Mi hanno già interrogato?”
L’avvocato scosse il capo e si sedette su una sedia arrugginita che aveva recuperato da dietro il paravento, lasciandosi cadere composto.
“Dopo che è andato via tuo fratello” e a pronunciare quel termine per un secondo il suo sguardo si rabbuiò “hai avuto una sorta di mancamento: abbiamo chiamato il dottor Terzani, il medico del carcere, che ti ha misurato la temperatura. Era molto alta e le ferite si stavano infettando, per questo ti ha condotto qui in infermeria: il tenente ha rimandato l’interrogatorio alla fine della settimana, a meno che tu ti rimetta prima”
Pietro distolse per un istante gli occhi dal volto dell’amico, fermandosi a riflettere se quell’attesa si sarebbe rivelata un bene o un male per la sua sorte.
“Ho dormito per molto?”
“Un paio di ore. Ti hanno somministrato dei farmaci e più tardi te ne faranno altri, ma la cosa più importante è che tu ti riposi, in modo da sfruttare questo inaspettato momento di pausa per decidere le prossime mosse da fare”
Maffucci divenne d’un tratto ancora più serio e, posando una mano sul braccio dell’amico, glielo strinse con sincero affetto.
“Pietro, ti devi aiutare, dico sul serio: devi farti venire in mente qualcosa, qualsiasi cosa che ti scagioni dall’infame accusa di tradimento. Sai perfettamente che non c’è nulla di cui scherzare, che rischi la pena capitale…”
L'altro annuì stravolto, gli occhi di ghiaccio febbricitanti ed alonati.
“Lo so, e lo sa anche Federico: è venuto per propormi un patto…”

“Un patto?” il tono di voce preoccupato di Eugenio si tinse di una sfumatura di inquietudine, quindi gli chiese che cosa intendesse.
“Mi ha detto che è disposto a ritirare le accuse a mio carico, se in cambio gli darò i nomi degli affiliati del gruppo”
“Dio santo! Tuo fratello è un mostro! Non ha un anima, non ha un briciolo di cuore!”
L’avvocato sbatté con rabbia il piede destro sul pavimento formato da ampie mattonelle maculate, poi sbuffò sonoramente e scosse il capo con aria contrariata.
“Inutile dirti che non ho accettato, tuttavia una soluzione la troveremo. Sta’ tranquillo”
Eugenio lo guardò per una manciata di secondi che parvero interminabili, contraendo alternativamente la mascella; si alzò dalla sedia e si sistemò meccanicamente la giacca di cotone, tirando fuori da una tasca un sigaro mezzo mangiucchiato e mettendoselo in bocca.
“Certo che la troveremo: io ho fiducia in te, Pietro. Ora devo andare, verrò a trovarti questo pomeriggio”


Quella mattina a colazione, Costanza aveva piluccato poco e niente della tavola imbandita con cura da cuoca e cameriere.
Seduta di fianco alla nonna, avvertiva le occhiate di sottecchi che la marchesa le lanciava a cadenza regolare, sussultando appena i loro gomiti si sfioravano.
Anche donna Luisa e don Armando si erano accorti del cambiamento d’umore che aveva visto protagonista la figlia: entrambi avevano intuito che fosse accaduto qualcosa la sera precedente, quando prima di cena il maestro Rossini e quel giovane dai baffetti erano venuti a prenderla per andare chissà dove.
La ragazza non aveva mai dato loro preoccupazioni, ma forse gli ultimi avvenimenti capitati a Nicolò li avevano fatto trascurare troppo la secondogenita e i suoi problemi di diciottenne prossima al debutto in società, che negli ultimi mesi aveva sofferto e lottato per favorire la rinascita del fratello.
“Figliola, non hai fame stamani?” esordì la contessa Caccia, sorseggiando la tazza di tè e latte.
“Io… non ho dormito bene, madre. Ho avuto un po’ di mal di stomaco e non mi sono ancora ristabilita completamente” si sforzò di sorridere, sbocconcellando il solito biscotto che aveva tra le mani da un minuto abbondante.
“Questo malessere ha a che fare con il tuo insegnante di musica?” non demorse il notaio, pulendosi gli angoli della bocca con il tovagliolo di lino.
L'interrogata fece di no con la testa e si concesse ancora qualche istante prima di rispondere, ingoiando finalmente quell'innoente pezzetto di pastafrolla.
“No, certo che no, padre. Lui è stato così gentile da farmi incontrare una sua amica. Ma ve lo ha già detto ieri sera, non rammentate?”

"Sì, tuttavia vorrei conoscere i dettagli di questo insolito appuntamento..."
“Suvvia, Armando, non statele troppo addosso!” s’inserì nella conversazione donna Mellerio “ho io la soluzione adatta alla nostra piccola Costanza”

L'anziana signora si alzò scostando con delicatezza la sedia, mostrando il bell’abito indaco e invitò la nipote a fare altrettanto.
“Dove andate?” s’irritò la moglie del notaio, cercando di reprimere l’indisposizione per l’ingerenza della madre nell’educazione della sua unica figlia.
“Ho portato con me un’ampia scelta di tisane, un toccasana per qualsiasi indisposizione. Tu, Luisa cara, dovresti ricordarti delle tazze che ti facevo preparare quando eri piccola…”
La contessa incurvò appena le labbra in una smorfia assai simile ad un sorriso di circostanza, quindi le lasciò andare.
Così, accomiatandosi dai genitori e dal fratello, Costanza seguì la nonna fino alla sua camera, dove gli sguardi elusivi della marchesa e il desiderio di confessarsi con qualcuno spronarono la ragazza a raccontarle ciò che era accaduto il pomeriggio precedente, omettendo naturalmente l’esistenza del gruppo di giovani rivoluzionari e l’appartenenza di Pietro, Eugenio e Rossini all’organizzazione segreta.
“Non vedo tuo cugino Pietro dall’età di uno o due anni: era un bambino molto bello e timido, con dei riccioli biondi e gli occhi azzurrissimi, ma adesso credo di non saperlo neppure più riconoscere!” la donna sorrise e sospirò in quel mare di ricordi.
“Poi, dopo quello che è accaduto a causa di tuo nonno Ermanno, ho perso i contatti con il ramo Caccia della famiglia, tanto che Federico non l’ho mai incontrato e non so nemmeno che viso abbia. Tuttavia, bimba adorata, nutro delle perplessità a credere che un fratello possa duellare, ferire e far imprigionare il suo stesso fratello per della banale gelosia. Non credi anche tu che sia una ricostruzione quantomeno fantasiosa?”
L’unica scusa che era venuta in mente alla nipote, infatti, era di attribuire l’invidia del minore ad un fatto amoroso occorso a causa di una misteriosa fanciulla di nobile lignaggio, tanto più che anche la stessa nonna l’aveva attirata con l’inganno: non vi era infatti alcuna selezione di tisane miracolose ad attenderla, ma solo una sana preoccupazione da parte della parente di recarle conforto.
“Che cosa posso fare per aiutare il suo amico avvocato a scarcerarlo?” continuò preoccupata Costanza, stropicciandosi l’abito cipria ed eludendo le insinuazioni dell'altra.
“Se l’accusa che gli si contesta è di tradimento ai danni della patria, l’imputazione di gelosia non basterà a Federico per reggere l’intero impianto accusatorio, non temere. Tuttavia, c’è forse una motivazione più grave che non vuoi rivelarmi?”
L’occhiata indagatrice della marchesa fece piombare nel dubbio la ragazza: era meglio se avesse tenuto per sé la storia della carcerazione del cugino, evitando così di incorrere in inutili quante pericolose contraddizioni.   
“Scusatemi, nonna, forse non avrei dovuto parlarvene. Anzi, vi prego di dimenticare la nostra conversazione” la baciò su una guancia ed uscì veloce dalla camera, ridiscendendo le scale ed uscendo in giardino a prendere una boccata d’aria.


Varcata la soglia dalla serra d’inverno, Costanza si accorse di una carrozza incredibilmente famigliare che si era appena fermata davanti al cancello in ferro battuto.
La ragazza percorse con passo rapido il vialetto di ghiaia e si affrettò ad aprire, permettendo al nuovo venuto di entrare.
“Eugenio! Ci sono novità? Avete incontrato Pietro?”
Il trentenne dai baffetti accennò al baciamano, quindi le disse che doveva parlarle con urgenza.
I due si accomodarono all’ombra di uno dei salici del parco, su di una panchina in granito lontana da occhi indiscreti.
“Come ha trascorso la notte? Lo hanno già interrogato?”
Maffucci le sfiorò una spalla e la invitò a calmarsi: trasse un profondo respiro di incoraggiamento e, il busto proteso in avanti, si decise a spiegarle ogni cosa.
“Pietro è stato portato d’urgenza nell’infermeria del carcere…”
Una smorfia di puro orrore contorse i bei lineamenti, mentre il cuore accelerava vertiginosamente i battiti nel petto.
“Non ditemi che le ferite si sono infettate...”

“Purtroppo sì, e la temperatura di conseguenza si è alzata. Però dovete stare tranquilla, credetemi: gli hanno somministrato dei farmaci e prescritto qualche giorno di riposo. Ma adesso sta abbastanza bene, non temete”
“E l’interrogatorio?” si apprestò a domandare l'altra, deglutendo preoccupata.
“Date le condizioni fisiche, il tenente ha rimandato l’udienza alla fine di questa settimana. Costanza….”
L’avvocato le prese le mani tra le sue e la fissò con serietà negli occhi verdi e grandi per l’angoscia.
“Federico si è presentato in carcere questa mattina, poco prima che Pietro si sentisse male: gli ha proposto un patto, promettendogli che sarebbe disposto a ritirare tutte le accuse se vostro cugino gli darà i nomi degli affiliati… se gli darà i nostri nomi” precisò rabbuiandosi, le sopracciglia aggrottate.
“Lui non ha accettato, vero?”
Egli scosse il capo e si sistemò meglio sul freddo sedile.
“Sono venuto qui perché voi siete l’unica speranza che ci rimane per salvarlo: avete vissuto per un periodo a palazzo Caccia, proprio durante l'assedio della città, e magari avete avuto occasione di accorgervi di qualche mossa azzardata, di un comportamento insolito che ha visto protagonista Federico… Riuscite a ricordare?”
“Ma non saprei… lui trascorreva molto tempo fuori, anche durante i giorni del coprifuoco. E quando era a casa, passava ore rintanato nello studio o in biblioteca”
Le venne però in mente della vigilia di Pasqua, quando quella sera aveva preparato il piano di fuga per recarsi da sola alla ricerca di Nicolò, e il cugino l’aveva bloccata sulla soglia, contraddicendosi più volte sull’assenza pomeridiana, fino a raccontare l’ennesima frottola anche in presenza della madre.
“Molto bene. Vedete che se volete siete in grado di rammentare molte più cose di quanto pensiate? Ora, dovremmo trovare delle prove scritte che testimonino il legame tra Federico e le bande di filo austriaci presenti in città e nella zona”
Maffucci, il volto illuminato per quella piccolissima indiscrezione, tornò serio: quello, infatti, era il momento di farle una proposta da cui sarebbe dipesa la vita dell’amico.
“Se davvero tenete a Pietro come sono certo che sia, dovete recarvi a palazzo dai vostri zii e rintracciare queste prove tra le carte di quel depravato di Federico…”
“Mi state chiedendo di frugare tra i suoi documenti?! Nei suoi cassetti?”
L’altro la guardò per un breve istante, quindi annuì con aria greve.
“Lo so, Costanza, che spingervi a fare ciò che vi sto chiedendo non è propriamente un gesto degno di una persona perbene, ma se ci fosse un altro modo, qualsiasi modo per impedire che Pietro venga condannato, vi giuro che non ve lo avrei mai chiesto! Se vi ripugna, lo capisco, però non possiamo fare altrimenti, credetemi, tanto più che Federico ha parlato di prove false che è pronto a fornire alla prima occasione”
Ella parve rifletterci su per qualche attimo: si stropicciò le dita, si piantò le unghie nella carne dei palmi e si morse il labbro inferiore, in preda al dubbio e all’ansia.
“Possibile che non ci sia un’altra soluzione, Eugenio? Le conoscenze della famiglia Caccia non sono abbastanza influenti per far decadere una simile infamia? Non possiamo corrompere qualcuno?! Fornire anche noi delle prove?”
Il trentenne dai baffetti si allontanò di qualche centimetro per guardarla e sorriderle.
“Non vi credevo capace di simili nefandezze, signorina Granieri! Tuttavia, vi ripeto che non abbiamo alcuna prova che scagioni Pietro. E vi posso assicurare che da un accusa di tradimento ai danni del Re e quindi della patria non si esce tanto facilmente, che non esistono amicizie abbastanza influenti da permettere all’imputato di uscirne vittorioso”
Costanza sospirò e si passò una mano sulla fronte, come a scacciar via quel mare di pensieri cupi che la stavano tormentando.
La vita di Pietro dipendeva davvero dalla sua risposta? Sarebbe riuscita ad intrufolarsi nella dimora degli zii senza destare sospetti? E se qualcuno l’avesse scoperta, come si sarebbe giustificata? E poi, cosa più importante, avrebbe dovuto scegliere il momento in cui il cugino minore non si trovava in casa, altrimenti non avrebbe potuto nemmeno lontanamente azzardarsi ad avviare le ricerche.
Alla fine, però, scelse l’unica strada che il suo cuore le dettava in quel momento, e che la coscienza le permetteva di percorrere.
“Va bene, va bene, farò ciò che mi avete chiesto, però spiegatemi esattamente come dovrò comportarmi e a chi dovrò portare le prove, nel caso le troverò”
Il volto di Maffucci s’illuminò e su di esso si allargò un sorriso di riconoscenza: le baciò le mani e si apprestò a spiegarle il piano nei dettagli.

 
Quel pomeriggio stesso, dopo pranzo, la giovane aveva convinto nonna Maria ad accompagnarla dai conti Caccia per una visita di cortesia: la marchesa aveva acconsentito con una certa dose di riluttanza, poiché non era così entusiasta al pensiero di rivedere i parenti del marito defunto l’anno prima, ma aveva comunque accettato per far contenta la nipote.
Scesa dalla carrozza, la ragazza aveva continuato a pregare ancora più intensamente che Federico non fosse in casa, tuttavia grande fu la sua delusione quando incrociò il suo sguardo mentre scendeva lo scalone di marmo che dai piani superiori portava all’ingresso.
“Figliola” bisbigliò donna Mellerio alla nipote, notando la disperazione incupirle il volto già di per sé pallido “sei sicura del motivo per cui siamo qui? La nostra visita non ha a che fare con la storia che mi hai raccontato questa mattina, vero?”
Costanza si voltò di scatto versa la nonna, supplicandola con gli occhi di non proseguire.
“Vi prego, non dovete fare parola di quello che vi ho raccontato con nessuno, soprattutto con la zia Rosa e lo zio Aldo! Loro non sanno dove si trova Pietro, almeno credo, e non si meritano un tale dispiacere!”
L’altra la tranquillizzò abbozzando un sorriso e regalandole un buffetto su una guancia.
“Non temere, bambina mia, so mantenere
le promesse
In quel mentre arrivò la contessa Caccia, sorridente in un abito verde scuro, e andò incontro alla cognata: si guardarono per un istante che alla ragazza parve infinito, poi si abbracciarono e si abbandonarono ad un bacio di circostanza.
Costanza trasse un sospiro di sollievo e diede inizio alla recita.


Pochi istanti dopo, nel salottino cinese, al gruppetto si aggiunsero il conte e Federico, che riusciva incredibilmente a comportarsi come se nulla fosse: bevvero del tè e si fecero portare dei biscotti al burro, conversando sui tempi felici in cui la loro era una famiglia unita e rispettata, dedita al commercio tra il Piemonte e la Svizzera, e l'onta dello scandalo e della clausura di Ermanno Caccia era ancora lontana.

Ogni tanto, il cugino lanciava delle occhiate eloquenti ed annoiate verso la giovane, ma lei non lo degnava più di quanto avrebbe dedicato attenzione ad un insetto fastidioso.
Doveva trovare una scusa per assentarsi e salire al piano superiore, in modo da raggiungere lo studio e la camera da letto del secondogenito: la biblioteca era a pianterreno, dall’altro lato rispetto al salottino in cui si erano accomodati, per cui quell’area della casa era momentaneamente irraggiungibile, almeno fino a quando sarebbero stati tutti assembrati lì dentro.
Un’ora più tardi, dopo che la tensione iniziale si era sciolta e le chiacchiere fluivano amabilmente tra bevande e manicaretti, Costanza stava perdendo le speranze di riuscire a rovistare tra gli effetti personali di Federico, cominciando a pensare ad un altro pretesto che la riportasse l’indomani a casa degli zii, quando il cugino si alzò e fece un inchino ai presenti.
“Vogliate scusarmi, ma degli impegni al Circolo mi reclamano. E’ stato un piacere conoscervi, donna Maria, anzi zia Maria. Portate i miei saluti ai vostri genitori e a Nicolò, Costanza”
La ragazza dovette fingere e regalargli un mezzo sorriso, mentre la contessa elogiava l’impegno politico e letterario del figlio più piccolo.
Quando finalmente la serpe in seno uscì dal salotto, la giovane si sentì al sicuro e libera di agire: attese ancora qualche minuto, poi domandò a zia Rosa se avrebbe potuto assentarsi per andare a cercare
un orecchino che aveva perso, probabilmente nella camera da letto che l’aveva ospitata quasi un mese prima.
“Sapete, ci tengo molto: è stato un regalo di mia madre per la santa Cresima e sarebbe davvero un dolore se non lo ritrovassi. Sono quasi convinta di averlo lasciato qui da voi, perché è stato tra i pochi averi che mi sono portata appresso nei giorni in cui ci siamo trasferiti”
La contessa assunse un’aria compartecipe, tuttavia precisò che le sue domestiche l’avrebbero di sicura messa al corrente se avessero trovato qualche monile durante il loro quotidiano lavoro di pulizie.
“Non lo metto in dubbio, zia, tuttavia permettetemi di dare un’occhiata. E’ questione di pochi minuti, non di più”
“Ma certo cara, se questo ti farà stare tranquilla, va’ pure. Noi continueremo a rievocare i bei tempi che furono!”
Le due donne si guardarono e lo stesso fecero con il conte Aldo, quindi Costanza si alzò dalla poltroncina bordeaux e diede inizio alla caccia al tesoro.


La prima stanza che passò in rassegna fu lo studio, per il semplice fatto che lo trovò sul suo percorso, appena salite le scale.

La porta era chiusa senza mandate, quindi abbassò lentamente la maniglia per non fare rumore, ed entrò altrettanto silenziosamente.
Si guardò intorno e, tralasciando la ricercatezza quanto la sobrietà di tappeti persiani, mobili in ciliegio e soffici tende giallo chiaro in tinta con la volta affrescata raffigurante Apollo, il dio del sole, si concentrò sulla scrivania a qualche metro da lei: sollevò il piano ribaltabile, frugò tra le cartelline e la pila ordinata di documenti sopra di esso, aprì una mezza dozzina di cassetti, ma non trovò nulla.
La pendola appesa nell’angolo vicino all’entrata segnava le quattro e mezza: erano già dieci minuti che si trovava lì dentro, doveva affrettarsi se non voleva destare sospetti e rischiare che qualcuno la venisse a cercare.
Continuò a pensare a dove avrebbe potuto rovistare: le mensole semivuote di uno scaffale erano state abbellite da soprammobili in ceramica e vetro di Murano, eppure non contenevano neppure l’ombra di fogli o altri scritti illeciti.
Con un sospiro demotivante, Costanza si guardò intorno ancora una volta e, aprendo circospetta la porta, uscì dalla stanza.
In giro non vi era ancora anima viva, così, cercando di fare il minimo rumore possibile, si diresse verso una porta alla sua destra, un paio di stanze più avanti, e si trovò davanti la camera da letto di Federico: ripeté le stesse operazioni silenziose di pochi minuti prima, non riuscendo a trattenere un sorriso quando anche quella maniglia si abbassò senza alcuna fatica sotto le sue dita tremanti e speranzose.
Il letto a baldacchino era perfettamente in ordine, come il resto dell’arredamento, abbellito nelle tinte del rosso e del verde: la giovane si concentrò sul comò, dove trovò solamente della biancheria, quindi aprì i cassetti della scrivania e l’armadio con gli abiti.
Dovevano essere passati altri dieci minuti, quando il senso di sconforto la colse nuovamente: lì non avrebbe trovato nulla, ne era quasi convinta, poi lo sguardo le cadde su una minuscola scatola nascosta dietro ad un paio di pantaloni neri, proprio in un angolo del guardaroba.
Si abbassò e la raccolse: cercò di aprirla, ma era chiusa a chiave.
Non l'avrebbe trovata facilmente, tanto più che non l’aveva vista in nessun cassetto, quindi avrebbe dovuto usare l’ingegno.
Si guardò intorno in cerca di un sostituto, quando si ricordò delle forcine che aveva in testa: ne tirò giù una dall’elaborata acconciatura che le aveva fatto Nina quel mattino, e cercò di far combaciare le punte con gli ingranaggi della scatolina.
Al quarto tentativo, finalmente, la serratura scattò, rivelando una serie di scritti e di biglietti.
Li scorse uno per uno, fino a quando non lesse qualcosa che catturò la sua attenzione.
P. Orelli, ore 11. Venite da solo, come al solito.
Oppure:
I nostri amici sono stati contenti del resoconto. A presto
E ancora:
Aver sacrificato vostro fratello è stato necessario. Sapremo come ricompensarvi.

Costanza rabbrividì e allo stesso tempo sussultò dalla gioia: aveva per davvero trovato le prove che con ogni probabilità avrebbero scagionato Pietro da qualsiasi accusa!
Richiuse il cofanetto con uno scatto, non prima di aver intascato le prove, ed uscì dalla stanza soddisfatta del lavoro svolto.

 
   
 
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