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Autore: Nana_Osaki_    03/02/2017    0 recensioni
La vicenda, ambientata nell'Antica Grecia delle Poleis e dei conflitti tra Sparta e Atene, narra di una giovane schiava, le cui origini sono andate perse da generazioni, e di un giovane scultore senza apparente successo. In una vita dove il Fato gioca solo a sfavore di Eleuna gli Dei decideranno di cambiare le carte in tavola. Ciò che verrà fuori sarà bene o male?
Il genere della vicenda rientra in quello Tragico e si adatta agli antichi canoni delle Tragedie greche.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eleuna

 

Capitolo Secondo


 In confronto all’anfora d’acqua, due volte più grande di questa, quella di vino pesa poco e niente ed è un sollievo per le mie braccia, non tremano più ma mi fanno male, sono doloranti così come le mie gambe e i miei piedi. Giungo nel cortile dell’abitazione ove vi si riuniscono gli ospiti: sono divisi a piccoli gruppi, sulla mia destra ci sono i filosofi che, come sempre, si ritrovano a discutere e a non essere d’accordo mai su niente; davanti a me fantasticano i poeti e gli aedi che si scambiano perle di saggezza tra di loro, con la differenza che gli aedi riportano solamente ciò che è già uscito da altre bocche; infine, sulla mia sinistra c’è uno scultore che al momento si appresta a realizzare un busto in pietra che raffigura il volto del padrone, non mi soffermo neanche a guardarlo. Decido di posare l’anfora su un tavolo in legno apparecchiato, noto una seconda anfora vuota e la prendo per evitare che questa occupi spazio e, inevitabilmente, i miei occhi cadono su alcuni cibi posti lì per gli ospiti. Dimenticavo che fosse ora di pranzo, il mio stomaco brontola. –Ehi!- non mi giro, non c’è bisogno, tutti sanno che per chiamare una serva basta chiamarla in tal modo. –Mi stai ignorando? Parlo con te!- ancora niente, sto riordinando la tovaglia che è leggermente più lunga da un lato della tavola, il che mi infastidisce, a dire il vero. Una fredda mano mi si avvinghia al braccio e percepisco subito la differenza di temperatura ma ciò che mi sbalordisce di più è il fatto che quella mano è come la mia: ruvida, dura, secca. Mi volto e noto lo scultore con uno sguardo terribilmente serio e quasi arrabbiato e mi domando che cosa stavolta avessi fatto, forse averlo ignorato? –Padrone non pensavo che rivolgeste a me le vostre parole- dico umilmente chinando il capo e guardandomi i piedi, ho la gola secca, aggiungo –Cosa io, umile serva, posso fare per voi, nobile e abile scultore?- chiedo piuttosto rapidamente, poi taccio. Mi mette parecchio a disagio osservandomi a lungo, guarda i lineamenti del mio volto, il mio collo e poi le mie spalle, io esito e deglutisco nervosamente –Vi prego, rispondetemi- mormoro, vorrei anche fargli notare che mi sta stringendo troppo il braccio ma non posso di certo lamentarmi, che non se ne accorga.... Giunge la mia padrona nel cortile, si distingue da tutti per i suoi portamenti e per i suoi vistosi abiti che oramai conosco tutti poiché tocca a me lavarli, ogni giorno e confesso che mi è sempre venuto un certo desiderio di indossarli. L’uomo mi lascia immediatamente il braccio e provo sollievo, mi scappa un sospiro che spero lui possa non notare, poi il mio sguardo subito si posa ancora su di lui e vorrei tanto farmi scappare una smorfia, ma non lo faccio poiché se qualche occhio indiscreto cadesse su di me passerei seri guai. La mia padrona non è qui per fare qualche annuncio ma solamente per controllare la situazione e vedere come lo studio e il lavoro dei presenti proceda, cose che a me non interessano, insomma, io mi occupo di servirli e non di controllarli. Lo scultore con una certa rapidità si accosta alla mia padrona mantenendo quello sguardo serio che penetra in profondità come se riuscisse a leggerti nella mente e questo più che mai aumenta la mia tensione. Mi indica. Sudo, le mie mani sudano. Divento nervosa. Cerco di ricordare tutto ciò che ho fatto e non ho fatto oggi, ieri e il giorno ancora prima ma non trovo l’errore, non riesco a capire e mi sento confusa. Mi vien da piangere se penso alle possibili frustate che potrei ricevere. Sento il dolore, lo percepisco distintamente sulla mia schiena e si espande e penetra fino alle ossa, mi possiede. Non sento cosa stanno dicendo, maledizione! Riesco a notare la padrona annuire, cosa vuol dire? Mi chiedo. Si avvicinano a me e lei mi sorride –Eleuna- pronuncia il mio nome e io chino il capo rispondendo –Mia padrona- lei si volta verso lo scultore che continua a mantenere il solito sguardo di pietra, freddo. La donna riprende a parlare –Lo scultore Aris ha chiesto di poter utilizzarti come modello per una sua scultura- lo guarda compiaciuta, probabilmente è soddisfatta di scambiarmi con chi le pare per guadagnare soldi in più –Lo scambio durerà due mesi, non di più. Forza, vai e ricorda le buone maniere, un passo falso e sai bene quale sarà la punizione- non la osservo in volto ma so perfettamente qual è la sua espressione in questo preciso istante, sta semplicemente prestando un suo oggetto, è questo che sono per lei e per tutte le persona che ora osservano il mio gracile e bianco corpo, che osservano quanto io sia logorata dal tempo e dalle attività che svolgo nonostante la mia età, sedici anni, sedici anni di non vita. Annuisco due volte per mostrare di aver capito e ora aspetto altri ordini e direttive dai due che giocano a scambiarmi. La padrona riprende –Aris prendetevela pure, ricordate i termini stabiliti- io non so quale siano questi termini, non mi spetterebbe conoscerli? In fin dei conti si sta parlando di me. Lo scultore, serio in volto annuisce e frettolosamente mi afferra di nuovo per il braccio con una stretta ancora più rigida e –Andiamo- mi dice, solamente, e cerca di trascinarmi via senza neanche darmi il tempo di completare l’incarico che mi era stato assegnato dalla mia padrona. Per qualche istante temo di cadere ma poi riesco a stabilizzarmi e ad adeguarmi al passo dell’uomo che, senza voltarsi per guardarmi, continua ad avanzare verso l’uscita dell’abitazione. Provo a sussurrare –I vostri…- ma mi interrompe bruscamente –Quegli strumenti mi sono stati prestati dai tuoi padroni, non mi appartengono e dunque resteranno qua- poi mi guarda con uno sguardo che sembrerebbe sereno ma non escludo che sia stata io a non aver visto bene –Ora taci- torno silente e abbasso lo sguardo.
   
 
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