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Autore: gattina04    05/02/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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3. Nuove realtà
 
POV Emma
«Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma». Sentire quelle parole mi fece venire la pelle d’oca, riuscendo completamente a raggelarmi; ma, nonostante ciò, mi costrinsi a seguirlo senza aggiungere altro. In seguito avrei avuto tutto il tempo per porgli le centinaia di domande che avevo in testa, prima però dovevamo arrivare nel luogo che lui definiva sicuro. Avevo come la sensazione di aver sottovalutato la pericolosità di quel mondo.
Camminammo ancora un po’, superando quelle anime in pena, fino ad arrivare ad uno stretto vicolo cieco. Robin si fermò per guardarsi intorno ed accertarsi che nessuno ci stesse osservando, anche se in effetti dubitavo che quelle persone sarebbero state in grado anche solo di vederci.
«Bene, per di qua». Robin si chinò ed aprì una botola nel terreno. Non avevo nemmeno notato che ci fosse un’apertura, e tanto meno avrei pensato di dovermici calare dentro.
«Sul serio?», domandai quando mi fece cenno di entrare. Mi lanciò uno sguardo che non ammetteva repliche e attese che eseguissi il suo ordine; sospirai e, senza protestare ulteriormente, feci come mi aveva detto. Mi calai in quella apertura e rimasi sorpresa quando sentii dei pioli sotto i miei piedi. Cominciai lentamente a scendere per quanto me lo permettesse il vestito, ma la discesa non fu lunga, un paio di metri circa.
Sull’ultimo gradino sentii la gonna del mio vestito strapparsi. «Merda!», borbottai a denti stretti.
«Che succede?». Robin atterrò accanto a me e mi squadrò preoccupato.
«Il mio vestito…». Mi guardai per poter costatare il danno, anche se la luce all’interno non era molta. Robin aveva richiuso l’apertura, ma l’ambiente era comunque rischiarato da alcune torce. Mi osservai le gambe e, come sospettavo, vidi un profondo squarcio che risaliva tutta la coscia: praticamente avevo uno spacco che lasciava vedere molto di più di quello che avrei voluto.
“È l’ultima volta che mi lascio convincere da mia madre ad indossare un vestito del genere”, pensai. Alzai gli occhi e trovai Robin che mi fissava ed il suo sguardo era un po’ troppo in basso per i miei gusti. Mi affrettai a coprirmi come meglio potevo e a girarmi dall’altra parte.
«Sono sicuro che troveremo qualcosa da metterti», borbottò arrossendo e distogliendo lo sguardo. «Da questa parte». Ricominciò a camminare, seguendo quella che sembrava una stradina sotterranea.
«Dove stiamo andando?», gli domandai dopo un po’. Quel posto doveva essere sicuramente più sicuro e lui poteva cominciare a rispondere a qualche domanda.
«Al rifugio», mi rivelò continuando a camminare. «È il luogo che utilizziamo come nascondiglio».
«Utilizziamo?». Avevo notato l’uso del plurale.
«Già. Non sono solo, è difficile da spiegare. Ci sono cose qua Emma… hai visto quelle persone, no? Bisogna far attenzione per non diventare come loro».
Rimasi in silenzio, non perché avessi finito le domande ma perché cominciavo a sentirmi confusa: non ci stavo capendo più niente. Come ci era finito Robin lì e cosa era successo a quelle persone? Ed io come ero giunta nel loro mondo?
«Siamo quasi arrivati», mi disse all’improvviso. «Dobbiamo solo risalire e poi ci siamo».
«Risalire? Perché siamo scesi allora?», mi lamentai con un tono di voce un po’ troppo alto.
«Perché è più sicuro passare da qua sotto che da là sopra». Sospirai e mi apprestai a risalire. Ero infreddolita, mezza nuda, senza scarpe e non vedevo l’ora di arrivare a quel così detto rifugio.
Questa volta Robin salì prima di me e si apprestò a controllare l’uscita; solo quando fu sicuro mi fece cenno di seguirlo. Sbucammo nuovamente in un vicolo, questo sembrava addirittura più appartato del primo, non si vedeva anima viva in giro e ciò mi fece pensare che probabilmente doveva trovarsi in una zona più periferica.
La stradina in cui eravamo sbucati era circondata da tre muri di mattoni, mentre dal quarto lato incrociava una strada più grande. Pensai che Robin si dirigesse verso di essa, invece si avvicinò ad una delle pareti e bussò sul muro per tre volte.
All’improvviso da quello che mi era sembrato un semplice blocco di mattoni si aprì una porta e Robin si affrettò a farmi entrare richiudendosela subito alle spalle. Una volta dentro procedetti lungo un corridoio e solo dopo pochi passi percepii un paio di occhi su di me. Mi guardai intorno finché non individuai una ragazza proprio dietro la porta; probabilmente era stata lei ad aprirci. Era giovane, molto giovane, forse sui vent’anni, mora, occhi scuri e vigili. Anche lei era pallida come Robin ma a sua volta completamente diversa da quelle anime tormentate che avevo visto prima.
«Ne hai trovata un’altra?», domandò a Robin.
«Non proprio, è una lunga storia Lizzy. Lei dov’è?».
«È uscita da un po’, dovrebbe rientrare a momenti». Mi domandai chi fosse la “lei” a cui si stavano riferendo. Se non altro avevo scoperto che la ragazzina si chiamava Lizzy.
Robin tornò a guardarmi e mi rivolse un sorriso tirato. «Bene Emma, benvenuta nel nostro nascondiglio. Vieni ti faccio strada». Mi passò avanti e mi guidò in una stanza più grande da cui si affacciavano altre due porte; era una specie di salotto, anche se le peggiori topaie a New York erano messe meglio. Era una casa fatiscente, come lo era del resto anche tutto quel mondo.
Là, seduto su un consunto divano, c’era un uomo sulla cinquantina. Se Robin mi aveva guardata in maniera un po’ sfacciata prima, lui mi divorò letteralmente con gli occhi. Cercai di tirare il vestito in modo da coprirmi il più possibile e arrossii involontariamente. Mi sentii estremamente vulnerabile, ma fu solo per un secondo, perché subito dopo ricambiai lo sguardo di quell’uomo con un gesto di sfida.
«Bene lei è Emma», mi presentò Robin. «Loro sono Lizzy e Mark, e per l’amor del cielo Mark smettila di guardarla in quel modo». L’uomo sembrò accorgersi solo allora dello sguardo inebetito con qui mi stava squadrando e si affrettò a distogliere lo sguardo.
«Molto piacere sono Elizabeth, ma tutti mi chiamano Lizzy». La ragazzina si apprestò a raggiungermi e a porgermi la mano.
«Emma Swan», risposi stringendogliela.
Proprio in quel momento altri due uomini entrarono nella stanza. «Ehi Robin sei tornato?». Quando mi videro si fermarono, ma ebbero almeno il buon senso di non soffermarsi sul mio corpo.
«Hai trovato qualcun altro?», domandò uno dei due, il più giovane, avvicinandosi a Robin per dargli una pacca sulle spalle.
«Beh diciamo di sì, anche se è una lunga storia. Lei è Emma. Loro sono Charlie e Joe». Charlie era un uomo all’incirca della mia età, con folti capelli neri e occhi altrettanto scuri. Era alto e muscoloso ed era sicuramente un gran bel ragazzo. Joe invece era più anziano, forse il più anziano di tutti: aveva i capelli bianchi e profonde rughe gli cerchiavano gli occhi. Era più in carne e aveva l’aspetto di un nonno bonario, uno di quelli che avrei sempre voluto avere.
«Piacere». Charlie mi strinse vigorosamente la mano, rivolgendomi un sorriso.
«Lizzy cara, perché non trovi ad Emma qualcosa di più adatto da indossare?». Joe mi sorrise benevolo e io lo ricambiai più che spontaneamente.
«Grazie», sospirai. Lizzy si affrettò a sparire attraverso una delle due porte ed io sperai che facesse in fretta. In effetti l’avrei seguita piuttosto volentieri, ma non sapevo esattamente come comportarmi. Avrei dovuto seguirla o aspettarla lì?
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. Erano gli stessi tre colpi che aveva usato prima Robin, doveva essere una sorta di loro segnale di riconoscimento.
«Bene», fece quest’ultimo, «è arrivata anche l’ultima componente del nostro piccolo gruppo. Sono sicuro che ti troverai subito a tuo agio con lei, ho come l’impressione che siate molto simili». Si avviò lungo il corridoio, mentre io restai in piedi di fronte a quei tre uomini senza sapere bene cosa dire o fare. Spostai il peso da un piede all’altro, cercando di concentrarmi su altro o di trovare qualcosa da dire.
«Lizzy, trova anche un paio di scarpe», gridò Joe rivolto all’altra stanza. Aveva notato i miei piedi e probabilmente si stava domandando che cosa diavolo avessi combinato per essere conciata in quella maniera.
Subito dopo la voce di Robin penetrò distintamente nella stanza. Stava spiegando alla nuova arrivata la mia presenza e avevo come la netta impressione che il giudizio di quella nuova sconosciuta fosse il più importante di tutti. Doveva essere forse la loro leader?
«Beh è una storia lunga, io già la conoscevo», stava dicendo. «Comunque sono sicuro che ti piacerà».
«Una persona in più ci farà comodo», rispose una voce femminile. «Dopo che abbiamo perso Vincent…».
«Infatti», proseguì Robin entrando. «Questa è Emma. Emma lei è…».
«Milah». Avevo parlato prima che lui potesse finire la frase, ma la donna che mi ero ritrovata davanti mi aveva lasciata del tutto sbalordita.
«Emma?», fece lei sorpresa quanto me.
«Voi due vi conoscete?», ci domandò Robin altrettanto perplesso. Come diavolo era possibile che Robin Hood non sapesse chi era Milah? Mi ricordai però che nell’Oltretomba eravamo stati solo io e Tremotino ad incontrarla. Se lei non gli aveva parlato del suo passato era probabile che lui non avesse ricollegato il suo nome ad Hook.
«Lei è Milah», cercai di spiegarmi. Ormai non c’era più tempo per i segreti, perciò continuai. «È la prima moglie di Tremotino, la madre di Bealfire, è l’ex amante di Hook».
Robin assunse un’espressione stupita, ma sembrò capire. «Tu sei quella Milah? Non credevo… io non ho pensato che tu… non avevo ricollegato il tuo nome».
«Robin tu sai chi sono?», domandò Milah sospettosa. Era ovvio che lei non potesse invece conoscere lui.
«Robin era… è un mio amico», mi affrettai a spiegare. «Mio e di Killian».
«Tu conosci Killian?». I suoi occhi si illuminarono mentre rivolgeva quella domanda a Robin.
«Sì certo. E conosco anche il tuo ex marito se è per questo».
«Scusate», intervenne Charlie. «Cosa sta succedendo? Vorreste essere così gentili da spiegarlo anche a noi?». Era naturale che gli altri membri del gruppo non stessero capendo assolutamente nulla dell’accaduto, ma anche io faticavo ancora a credere che davanti a me ci fosse quella stessa Milah che credevo persa per sempre.
«Avete ragione», convenne Robin.«Adesso vi spiegheremo tutto».
«Prima però», intervenne Lizzy, che era rientrata nella stanza, «credo che dovremo concedere ad Emma il tempo di cambiarsi». Sospirai grata a quella notizia e mi affrettai a seguirla attraverso la porta. Scoprii che quella portava ad altre due stanze, due camere per l’esattezza. Non c’erano dei veri e propri letti, ma erano organizzati con delle specie di brandine. Sembrava più un accampamento provvisorio che una vera e propria casa.
«Questi dovrebbero andarti bene», mi disse Lizzy porgendomi dei vestiti. «Non è facile trovarli quaggiù, è tutto quello che abbiamo».
«Va bene lo stesso, grazie». Annuì e si affrettò ad uscire dalla stanza per darmi la possibilità di cambiarmi. C’erano dei pantaloni, che mi stavano un po’ stretti, e una felpa che invece mi stava un po’ troppo larga. Prima di infilarmi le scarpe andai alla ricerca del bagno, che trovai proprio lì accanto, per riuscire a pulirmi i piedi; il solo pensiero di ciò che avevo calpestato mi metteva i brividi. Scoprii presto che almeno le scarpe da ginnastica mi calzavano perfette, erano l’unica cosa giusta di quel mio nuovo abbigliamento, ma non potevo certo lamentarmi. Erano sicuramente meglio del vestito strappato che avevo indossato fino ad allora.
Quando rientrai nel salotto non c’era più nessuno. Erano spariti tutti.
«Robin?», cercai titubante.
«Siamo di qua Emma». La sua voce mi giunse da quella che doveva essere un’ulteriore stanza. Varcai l’altra porta, quella che ancora non avevo esplorato, e mi ritrovai in una minuscola cucina. Erano tutti lì riuniti. Robin, Milah, Joe sedevano ad un misero tavolo, mentre Charlie, Lizzy e Mark erano appoggiati al bancone dietro di loro.
«Accomodati», mi fece Joe indicandomi l’unica sedia libera accanto a lui. «Immagino che tu sia molto confusa, che abbia molte domande. Robin ci ha spiegato velocemente la tua storia».
«Sì», balbettai, non sapendo da che parte iniziare.
Milah mi interruppe prima che potessi anche solo cominciare. «Cos’è ti è successo?».
«Bella domanda», sbuffai. «Io francamente non lo so».
«Anche Killian è qua? Non sei riuscita a salvarlo?». Né lei né Robin sapevano che Killian era letteralmente tornato dal mondo dei morti essendo entrambi scomparsi prima. Sebbene le sue domande fossero del tutto legittime, sentii una punta di gelosia divampare dentro di me. Tutta quella preoccupazione per il mio pirata, non era lecita anche se un tempo era stato il suo pirata.
«Beh in realtà sono riuscita a salvarlo», mi costrinsi a risponderle. «O meglio diciamo che si è salvato da solo». Mi voltai verso Robin. «Dopo che Ade ti ha annientato, lui ci ha aiutato a sconfiggerlo, e come premio Zeus lo ha riportato a Storybrooke. Suona un po’ assurdo lo so…».
«Anche lui è qua?», continuò Milah beccandosi un’occhiataccia da parte degli altri. Era ovvio che stesse dirottando la conversazione dall’argomento principale.
Non ne avevo la certezza assoluta, ma la risposta era abbastanza scontata. «No, non credo. Ci sono solo io».
«Emma», intervenne Robin, «ci dispiace assillarti con tutte queste domande quando sappiamo che tu ne avresti altrettanto. Tuttavia dicci solo un’altra cosa, e scusami se sono così diretto, ma… come sei morta?».
Per un attimo pensai di non aver sentito bene, ma poi vidi sei paia di occhi puntati su di me, in attesa di una risposta. «Cosa? Io non sono morta!». Me ne sarei dovuta accorgere se lo fossi stata, e poi non sarei dovuta andare nell’Oltretomba?
«Emma…». Robin cercò le parole giuste per dirmelo, senza però trovarle realmente.
«Cara», intervenne Joe, «forse devi ancora elaborare la cosa, ma questo mondo non è destinato ai vivi».
«No!». Mi alzai di scatto, non riuscendo più a stare seduta. «Io non sono morta! Non so come sono arrivata qui, ma non sono morta».
«Emma», intervenne Milah posandomi una mano sulla spalla. «Pensaci un attimo. So che non conosci gli altri, ma sai cosa è successo a me e a Robin». Riflettei su quello che mi aveva detto, ma la mia mente si rifiutava di crederle.
«No, no», seguitai scuotendo la testa.
«Io sono stato annientato da Ade, Emma», proseguì Robin. «Lui mi ha ucciso».
«Ed io», continuò Milah, «io… lo sai cosa mi è successo Emma?».
«Sei caduta nel fiume delle anime perse». Nello stesso istante in cui pronunciai quel nome, lo ricollegai subito a quello che mi aveva detto Robin poco prima. «No, non può essere...».
«Vieni con me Emma». Milah mi guidò di nuovo verso la porta d’ingresso e dopo aver guardato da uno spioncino, l’aprì leggermente. «Sono sicura che tu non abbia fatto ancora caso al cielo».
Mi fece posto, in modo tale che potessi alzare lo sguardo verso l’alto, quel tanto che bastava da poter vedere il cielo. Ma al posto dell’azzurro e delle nuvole c’era una sorta di corrente verdognola, come se fosse composto interamente da acqua. Sembrava di essere quasi in fondo al mare, o forse avrei fatto meglio a dire fiume.
«Siamo nel fiume dell’anime perse?», domandai sgomenta.
«Già, noi lo chiamiamo Lete». Robin ci aveva seguito ed era alle nostre spalle. Milah mi fece rientrare, mentre io ancora stentavo a credere a ciò che mi stavano dicendo.
«Non posso essere morta», sussurrai, «il mio cuore batte ancora». Come potevo non essermi accorta di una cosa del genere?
«Come?». Milah si fermò di colpo sentendo le mie parole.
«Il mio cuore batte ancora», ripetei come un automa.
Mi fece girare nella sua direzione, mettendomi una mano sul petto. Robin nel frattempo mi aveva preso il polso.
«Oh mio Dio! Ha ragione», sussurrò quest’ultimo.
Milah mi fissò sgomenta. «Come diavolo sei finita qua se sei ancora viva?».
 
POV Killian
Cullai la piccola tra le braccia, cercando il modo migliore per tenerla. «Credi davvero che andare a parlare con la fata Turchina sia la soluzione?», domandai perplesso. Vidi la stessa titubanza dipinta anche sul volto di Regina. Né io né lei avevamo mai avuto molta fiducia nelle così dette fate.
«Beh non lo so, ma è comunque un punto di partenza», rispose Belle. In effetti aveva ragione; dovevamo pur iniziare da qualche parte per riuscire a capire cosa diavolo fosse successo e quello era sicuramente un punto di partenza come un altro.
«Bene», acconsentì David. «Cosa stiamo aspettando allora?».
«Cosa ne faccio di lei?», dissi accennando alla bambina.
Mary Margaret si allungò per spiarla da sopra la mia spalla. «Io la riprenderei, ma temo che inizierebbe di nuovo a piangere. Sembra così tranquilla in braccio a te».
Abbassai lo sguardo per poterla osservare con più attenzione. Mi stava ancora guardando con i suoi occhioni verdi e mio malgrado mi stava sbavando sulla camicia. Era vispa e attenta e sembrava adorare stare tra le mie braccia, come la vera Emma d’altronde. Non sapevo se fosse la mia presenza o semplicemente il mio odore a tenerla calma, ma sembrava funzionare.
«Mi pare ovvio», intervenne Regina. «Tu rimani qui con lei e noi andiamo a parlare con la fata Turchina».
«Puoi scordartelo», proruppi alzando il tono. Emma emise un gemito contrariato, che mi costrinse ad abbassare il volume per evitare di farla di nuovo piangere. «Io non rimarrò qui a fare la bambinaia».
«Beh si da il caso che adesso è proprio quello che ci serva», ribatté lei.
«Non mi escluderai da questa cosa», soffiai tra i denti.
«Per quanto mi dispiace lasciarti mia figlia», si intromise David, «credo che Regina abbia ragione. Mio malgrado tu riesci a farla stare calma e l’hai detto tu stesso non dobbiamo perdere tempo».
Aprii la bocca e poi la richiusi non sapendo come rispondergli. Aveva ragione anche se non volevo ammetterlo. Non avrei dovuto protestare, ma non sopportavo di restarmene lì senza far nulla e senza sapere le ultime novità. «Non voglio essere lasciato in disparte», confessai amaramente.
«Lo so, e credimi se riuscissi a calmare Emma, resterei io qua con lei. Ma non puoi venire con noi, portandotela dietro come se fosse un sacco di patate».
«Non la tengo come un sacco di patate», protestai a bassa voce. «Prova tu a tenerla con un braccio solo».
David non mi sentii, ma Mary Margaret accennò un sorriso udendo le mie parole. «Stai andando benissimo Hook». Mi mise una mano sulla spalla in un gesto rassicurante. «Comunque credo di aver appena avuto un’idea che ti permetterà di venire con noi. Aspettatemi qui, torno subito».
 «Cosa…?». Non feci neanche a tempo a completare la mia domanda che lei sparì andando nell’altra stanza.  Regina sbuffò ma si trattenne dal protestare; Henry invece si avvicinò per giocherellare un po’ con sua madre. Emma all’inizio lo studiò attentamente e poi gli rivolse un ampio sorriso, emettendo un piccolo gorgoglio.
«Gli piaci», disse David avvicinandosi a sua volta. «Prova a prenderla, magari sta buona anche con te». Henry fece per togliermela dalle braccia, ma la piccola iniziò di nuovo ad agitarsi e la sua faccia si arrossò come se potesse  iniziare a piangere da un momento all’altro.
«Credo che la piccola miss Swan abbia l’idee molto chiare; sa benissimo con chi vuole stare», commentò Regina.
«Non è mai stata così chiara in tutta la sua vita», constatai mio malgrado, stringendomela di nuovo al petto.
«Ecco qua». Mary Margaret ricomparve nella stanza con un oggetto in mano. «Ho preso il marsupio di Neal, dovrebbe andarle bene, così potrai portarla più facilmente. In più potremo mostrarla subito a Turchina, credo che sia meglio farle vedere lì per lì con i suoi occhi cosa è successo».
«E Neal?», domandò David.
«Ho chiamato Granny, sarà qui a momenti. Vieni Hook metti questo». Mi si avvicinò e con un gesto esperto mi tolse Emma di braccio; ovviamente quel cambiamento repentino non piacque alla piccola, che iniziò ad agitarsi e a lamentarsi, sporgendosi verso di me.
Con un gesto rapido afferrai lo strano oggetto che Biancaneve aveva portato, cercando di capire come diavolo funzionasse. Non mi ero mai interessato di bambini, e tanto meno delle cose dei bambini; non ero esperto e, dopo la chiacchierata avuta con Emma, pensavo che non lo sarei stato ancora per un po’ di tempo.
«Ah dai qua», sbuffò David, venendomi a dare una mano. In men che non si dica riuscì a farmi indossare quella specie di zainetto. Mary Margaret vi adagiò la piccola in modo tale che potesse guardarmi e appoggiare la testa sul mio petto. Quasi magicamente Emma si calmò all’istante non appena capì di essere di nuovo a stretto contatto con me.  Anche se la mia Swan non aveva mai ammesso apertamente la sua dipendenza nei miei confronti, in quel momento risultava chiaro e cristallino. Era ovvio che il ritorno in fasce le avesse fatto mettere a nudo i suoi bisogni più nascosti.
«Vogliamo andare?», sentenziò Regina.  Annuii e inconsciamente appoggiai una mano sulla schiena di Emma, come per sorreggerla. Lei mi guardò, con quei suoi meravigliosi occhi e con le guanciotte paffute, e mi rivolse un enorme sorriso. Sembrava che le piacesse stare in quel coso e soprattutto che le piacesse guardarmi. Ma per quanto potessi essere lusingato dal suo sguardo, dovevamo trovare al più presto un modo per farla tornare adulta. Dovevamo riuscirci prima che il suo attaccamento nei miei confronti diventasse qualcosa di diverso dal quello che oramai noi due condividevamo, il così detto Vero Amore.
 
Poco tempo dopo eravamo tutti riuniti in una stanza del convento insieme alla madre superiora.
«È davvero sorprendente», disse Turchina, studiando attentamente la bambina ancora adagiata nel marsupio.
«Cosa pensi che le sia successo?», le domandò Belle.
«Credo che debba trattarsi di magia di luce, non penso che nessun altro tipo di magia ci riuscirebbe».
«Davvero?», intervenne Henry. «Come è stato possibile?».
«Io l’ho fatto con Pinocchio», affermò.
A quella rivelazione mi illuminai. Se l’aveva già fatto, probabilmente sapeva anche come invertire il processo. «Allora sai come farla tornare come prima?», esultai. Forse avevo sottovalutato i poteri di quella fata.
«Beh è diverso in questo caso», affermò. «Non sono stata io a compiere la magia e non posso perciò annullarla». Come non detto.
«Allora chi o cosa è stato a farla diventare così?», domandò David.
«Avete detto che è successo mentre stava spegnendo le candeline?».
«In quello stesso istante», precisò Regina.
«Beh allora credo che sia stato il desiderio che Emma ha espresso». Quell’ipotesi mi sembrò del tutto assurda.
«Oh andiamo», proruppi. «Non può aver certo desiderato di tornare bambina». Emma si agitò notando il mio repentino cambiamento di umore, e cominciò a sporgere le manine verso di me. Senza accorgermene le offrii la mano, in modo tale che potesse stringere il mio dito.
«Beh i desideri sono magie molto particolari», sentenziò Turchina.
«Credi davvero che un desiderio abbia avuto il potere di trasformarla?», intervenne Regina.
«Come dicevo i desideri sono magie molto particolari e molto potenti».
«Per il suo ventottesimo compleanno», si intromise Henry, «la mamma ha desiderato di non essere più sola; subito dopo sono arrivato io e così è stato».
«Infatti», confermò la fata. «Il problema con i desideri è che possono essere facilmente fraintesi. Sicuramente Emma non ha desiderato questo, ma se non si è chiari può succedere di tutto. Ogni magia ha sempre un prezzo». E sicuramente Emma non si sarebbe mai aspettata che il suo desiderio di compleanno si realizzasse.
«Quindi è un po’ come succede con i desideri dei geni», sentenziò David. Capitan ovvio. Stavo per lanciargli una frecciatina quando vidi al suo fianco l’espressione pensierosa e preoccupata di Mary Margaret. Sembrava quasi angosciata, come se avesse capito qualcosa che a noi altri ancora sfuggiva.
«Biancaneve?», la chiamai attirando la sua attenzione. «Cosa succede?».
Lei alzò la testa di scatto e mi guardò con aria triste, come se non volesse ammettere quello che stava per dire.
«Oggi pomeriggio», emise con un sospiro, «io ed Emma abbiamo parlato. Ci siamo un po’ chiarite, sul perché la festa di stasera fosse importante per me e perché lei fosse invece così contraria». Ecco spiegato il comportamento impeccabile che Emma aveva avuto, nonostante i miei numerosi dubbi. La chiacchierata con sua madre doveva esserle servita.
«D’accordo e con questo?», le domandò Regina.
«Credo di sapere cosa ha desiderato Emma», confessò. Con quelle parole riuscì ad attirare tutta la nostra attenzione. La fissammo tutti aspettando che continuasse, ma non aggiunse altro.
«Allora?», la incalzai.
Invece di rispondermi si rivolse alla fata Turchina. «È possibile che il suo fosse più un rimpianto che un desiderio?».
«Che cosa intendi dire Biancaneve?».
«Credo che lei avrebbe voluto concedermi l’opportunità di vederla crescere», ammise infine. Sbattei le palpebre cercando di capire cosa diavolo stesse dicendo. Era assurdo, ma in un certo qual modo aveva un senso.
Emma nel frattempo aveva iniziato a succhiarmi il pollice, appoggiando una guancia sul mio petto. Non mi dava fastidio che il mio dito fosse nella sua bocca, c’era stato ben altro di me, era un gesto dolce e quasi possessivo. Dubitavo però che la piccola Emma la vedesse allo stesso modo: sembrava proprio che avesse voglia di succhiare qualcosa e probabilmente l’avrebbe fatto con qualsiasi altra cosa a portata di bocca.
«Aspetta fammi capire?», intervenne Regina cercando di fare chiarezza. «Tu credi che abbia desiderato di farti rivivere i momenti della sua infanzia?».
«Non credo che sia così semplice», rispose Mary Margaret. «Io penso che non abbia espresso un vero e proprio desiderio, ma c’è stato un momento prima che spegnesse le candeline in cui mi ha guardato e mi ha sorriso. Era dispiaciuta perché noi due in fondo abbiamo perso tutto, ogni singolo momento cruciale della sua infanzia e della sua giovinezza, ogni singola cosa che di solito madre e figlia condividono. Emma avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente, che io avessi avuto la possibilità di crescerla e lei di crescere con me. Era un rimpianto non un desiderio».
«Però potrebbe essere», intervenne Belle. «Se lo consideriamo una sorta di desiderio, adesso tu hai in qualche modo la possibilità di crescerla».
«Non ne sono sicura», sentenziò Turchina, «ma credo che tu possa aver ragione».
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiusi non sapendo cos’altro aggiungere. Era tipico di Emma, sacrificarsi per salvare gli altri e anche stavolta non era poi tanto diverso. Avrebbe voluto concedere a sua madre possibilità che non aveva avuto e, anche se la sua infanzia era stata difficile, Emma sapeva benissimo che non sarebbe stata la stessa persona senza le difficoltà che aveva vissuto; lei sarebbe stata diversa e lo sapeva. Per questo aveva imparato ad accettare il passato per quel che era perché alla fine aveva contribuito a farla diventare Emma Swan. Eppure ancora una volta aveva desiderato qualcosa che non sarebbe stato possibile, qualcosa che l’avrebbe completamente stravolta. Era la Salvatrice e non avrebbe mai smesso di esserlo.
«Credo che abbia fame», mormorai all’improvviso. Fu la prima cosa che mi venne in mente, la prima idiozia per rompere quel silenzio agghiacciante. Tuttavia Emma aveva cominciato a succhiarmi il dito con più avidità e sembrava davvero contrariata dal fatto che non uscisse nulla. Si stava iniziando ad agitare e ad essere irrequieta.
Mary Margaret si accostò sospirando e si sporse per osservare Emma. «Penso che tu abbia ragione».
«Tieni», anche Regina si avvicinò. «Prova con questo». Con un gesto della mano fece apparire un biberon colmo di latte che passò subito a Biancaneve.
«Comodo», commentai. Mary Margaret sorrise e farfugliando qualcosa alla piccola la prese in braccio. Questa volta Emma non si oppose e appena vide il biberon fu addirittura lieta di andare tra le braccia della madre.
«E quindi?», intervenne Henry, riportando la conversazione sull’argomento principale.
«Adesso sappiamo più o meno cosa è successo», continuò David.
«Sì è vero», confermò Turchina. «Tuttavia i desideri non si annullano, è una delle regole fondamentali. Un desiderio una volta espresso non può essere disfatto».
Sbiancai sentendo quelle parole e vidi anche gli altri trasalire. «Allora come diavolo facciamo a farla tornare come prima?».


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti! Eccomi qua con un nuovo capitolo.
Nuove sorprese anche stavolta e soprattutto ancora vecchie conoscenze. Come qualcuno aveva immaginato o sospettato, Emma si trova nel fiume delle anime perdute dell’Oltretomba, ed è per questo che Milah si trova là. Sul perché ci sia anche Robin ci sto ancora lavorando.
Dall’altra parte, grazie ad una Mary Margaret piuttosto perspicace ed una fata Turchina un po’ meno inutile, sono riusciti a capire cosa è accaduto, anche se non sanno ancora che la vera Emma adulta si trova intrappolata in un altro mondo.
Grazie come sempre a tutti coloro che leggono, seguono o recensiscono. Siete un ottimo incentivo per andare avanti e trovare nuove idee per questa mia storia.
Un bacione e alla prossima settimana!
Sara
 
  
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