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Autore: AnyaTheThief    07/02/2017    1 recensioni
Si conclude con quest'ultima parte la saga di Crossed Lives. Finalmente potrete dare risposta alle domande che ancora erano rimaste aperte dai capitoli precedenti. In un viaggio tra vite passati e presenti, ecco l'ultimo moschettiere affrontare i fantasmi del XVII secolo in un mondo totalmente nuovo. Il suo primo incontro con la vita passata sarà qualcosa di inaspettato.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athos, Porthos, Queen Anne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Iris, apri alla porta!!”

“Un attimo!”

“Veloce!”

“Ho capito!! Ho capito.”

L’afa di quell’agosto era insopportabile. Le tende erano tutte tirate, non solo per riparare l’interno della casa dal sole, ma soprattutto perché potessero sentirsi liberi di girare per casa in biancheria. Iris si infilò una maglietta di suo padre che le arrivava appena sotto al sedere, ma che copriva quelle forme di giovane donna che si erano ormai da anni definite, prendendo il posto del corpicino esile e piatto da ragazzina. Eppure era rimasta innocente di viso; sembrava ancora minorenne, nonostante frequentasse l’università ormai da un paio d’anni.

Non poteva che essere la postina, pensò. Ma il campanello suonò di nuovo quando stava per aprire la porta. Esitò per un istante, perplessa, poi aprì.

Jad le rivolse un sorriso che la sciolse e la immobilizzò allo stesso tempo.

“Jad!” esclamò senza fiato. Si alzò in punta di piedi per abbracciarlo.

Lui rise e le accarezzò la schiena, ma smise subito quando si accorse che le stava involontariamente sollevando la maglietta a scoprire le mutandine bianche che indossava sotto. Non disse nulla, ma arrossì; lei non se ne accorse.

“Cosa ci fai qui? Pensavo foste a Valencia!” Iris ritornò sulle piante dei piedi e notò che l’amico reggeva un palloncino azzurro nella mano destra. Non ne fu più di tanto sorpresa, ma gli rivolse un sorriso adorante, mentre lo accettava.

“Ecco perché abbiamo solo sei ore prima che debba ritornare per lo spettacolo.” disse, guardando l’orologio. Iris spalancò la bocca.

“Sei matto!” disse, tuttavia senza perdere tempo. Salì le scale verso la propria stanza per andare a vestirsi. “Sei tutto matto!” gli urlò da lontano, mentre lui attendeva sulla soglia. “E anche venticinquenne. Non mi sono dimenticata!”

Jad ridacchiò e scosse il capo. In poco meno di tre minuti, Iris fu di ritorno: indossava un vestitino azzurro che la faceva sembrare di nuovo la bambina persa nel circo, semplici sandali bianchi ai piedi ed una borsetta in spalla. Non si era pettinata, né truccata, ma non ne aveva bisogno: era stupenda nella sua semplicità. “Auguri, vecchio.” gli sorrise maliziosa, lanciandogli un pacchetto incartato mentre gli passava davanti varcando la soglia.

Jad rimase solo per un attimo sorpreso, ma poi sorrise e la seguì lungo il vialetto.

“Anche quando voglio stupirti, sei tu che stupisci me alla fine!”

 

 

 

 

La convinzione di Porthos di voler parlare con Athos era sfumata non appena aveva raggiunto la Corte dei Miracoli, e più precisamente Joséphine.

Il cuore gli era andato in mille pezzi vedendo la bambina tentare di sorridergli, ma venire dilaniata dal dolore che le piaghe le provocavano. Il suo viso era completamente ricoperto di pustole simili alle scaglie di un rettile, ma sanguinanti e scure.

“Ehi, principessa.” Porthos si sforzò di sorriderle, avvicinandosi al suo letto, ma sapeva bene che aveva dipinta in faccia un’espressione pietosa: faceva fatica a trattenere le lacrime.

“Ciao.” rispose lei con la sua vocetta roca, dovuta alle piaghe che dovevano essersi formate anche nella sua gola.

Ogni volta che entrava da quella porta, sperava di vederla migliorata, così come era stato per sua madre e per suo padre, che infine erano guariti, ma invece gli sembrava peggiorare di giorno in giorno. Le prese la mano tra le sue: non aveva paura di ammalarsi.

“Come ti senti oggi?” le chiese poi con un sorriso forzato.

“Male… Ho caldo.” replicò la bambina.

Porthos le mise una mano sulla fronte e pensò di star toccando una pentola bollente. Qualcuno era apparso sulla soglia della porta. Porthos si voltò verso l’uscio ed osservò con aria rassegnata la figura di Flea appoggiata allo stipite: aveva gli stessi occhi arrossati di chi non dormiva da giorni, come lui, ed i segni ancora visibili del vaiolo sulla sua pelle.

“Scotta.” le disse Porthos. Ma, come se non riuscisse a reggere lo sguardo di lei per più di qualche secondo, abbassò gli occhi e tornò a guardare la piccola seienne rantolare di dolore. Le strinse ancora di più la mano, ed insieme ad essa strinse le proprie labbra e fece del suo meglio per non piangere. “Cerca di riposare un po’, Jo. Forse ho trovato un altro dottore.” le annunciò speranzoso. “Uno di quelli bravi. Quando guarisci ti prometto che ti porto a vedere i cavalli della Guarnigione!” finse il suo entusiasmo più ingenuo, ma la voce gli tremava.

“Porthos…” lo richiamò Flea in un tono stanco di rimprovero.

La bambina annuì lentamente e lui le sorrise di nuovo. Le lasciò la mano sul letto ed uscì dalla stanza, preceduto da una Flea esausta e rassegnata.

“Basta dottori.” dichiarò, sicura. “Niente sembra funzionare. L’ultimo salasso l’ha solo indebolita… Non ho più soldi né la forza di procurarmeli, io...”

“Senti, senti. Fidati, d’accordo? Non puoi lasciarla andare così, ci dev’essere una cura.” disse, sicuro, come se le parole di Milady si fossero inculcate nella sua testa così a fondo da fargli credere che fossero vere sul serio.

“Anche se ci fosse, non abbiamo tempo. Non mangia cibi solidi da giorni, ormai… Non posso più vederla così...” si portò le mani strette alle tempie e crollò. Porthos la vide piangere per la prima volta dopo molto tempo e gli venne spontaneo abbracciarla.

“Troverò il modo. Troverò il modo.” continuò a ripeterle, finché i suoi squittii disperati si calmarono un po’.

“Flea!” un uomo alto e scuro, molto simile a Porthos per corporatura e colore della pelle, irruppe nella stanza d’un tratto. “Cosa c’è, amore?” domandò preoccupato. E senza pensarci, lei si spostò dalle braccia di Porthos alle sue, continuando a singhiozzare.

“Porthos.” lo salutò con un cenno del capo, indifferente ma non sgarbato.

“Yohan.” disse semplicemente Porthos, senza tuttavia muovere un muscolo, ad eccezione della sua mandibola quando digrignò impercettibilmente i denti nell’osservare la scena.

“Sono qui, Flea… Andrà tutto bene, troveremo un modo.” disse Yohan alla ragazza tra le sue braccia, ripetendo le stesse parole che Porthos le stava sussurrando poco prima, quasi come se le avesse origliate. “Troveremo un modo.”

Le narici di Porthos si dilatarono pericolosamente mentre osservava la scena; sentì la rabbia montare, e prima di esplodere in una scenata, uscì dalla casa come una furia.

Al diavolo Athos. Avrebbe dovuto capirlo ormai da tempo che Milady non era altro che una cagna. Forse gli stava addirittura facendo un favore aprendogli gli occhi in quel modo. Non gli importava che la vedesse di nuovo nelle vesti di amante del Re; in quel momento non gli sarebbe importato nemmeno se il Re in persona fosse morto.

Quella bambina rappresentava la parte di Flea ancora razionale, quella che lo amava ancora; allo stesso tempo voleva dimostrarle che era ancora l’uomo di una volta, che avrebbe fatto di tutto per riprendersela.

Accecato dalla rabbia e dal dolore, l’unica cosa che voleva al mondo era salvare Joséphine, e lo avrebbe fatto a costo di vendere l’anima al diavolo, o ad una stronza.

 

 



“Ci credi agli spiriti, Jad?”

Jad si sollevò da terra con gli occhi fuori dalla testa, per guardare Iris con aria esterrefatta. Ma lei non lo vide: se ne stava beatamente sdraiata sul cofano della sua Seat Ibiza impolverata, a guardare le nuvole sopra di loro.

“Davvero? Ti sembra un discorso da fare ora, qui, in un bosco deserto? Non so se hai visto quella casa inquietante che abbiamo passato poco fa, ma è un’ora che tengo d’occhio il sentiero aspettandomi di vedere sbucare un tizio con una motosega.”

Il corpo esile ed aggraziato di Iris fu scosso dalle risa. Quando sollevò il ginocchio destro, tenendosi gli addominali mentre sghignazzava, Jad intravide di nuovo le mutandine bianche, e ancora una volta arrossì. Ma stavolta non smise di guardare.

“Voglio dire, tua madre deve averne visti parecchi… Mi chiedevo se...”

“Aspetta… Cosa?” la interruppe, distogliendo lo sguardo dalle sue cosce sode e pallide, per tornare a concentrarsi sul discorso. “Mia madre non vede gli spiriti.” disse, come se fosse la cosa più assurda che avesse mai sentito.

“Pensavo di sì. Fa tutti quei discorsi sulla vita dopo la morte, sa sempre quando hai appena perso una persona cara… E poi devo dire che ci prende su un sacco di cose: come fa a saperle, altrimenti? Gliele dicono gli spiriti, no?” ragionò, come se il discorso non facesse una piega.

“E’ un potere innato. Non dipende da… quelle cose.” tagliò corto lui.

“Sentiti… ‘quelle cose’… Hai anche paura di dirlo!” e rincominciò a schernirlo, ridacchiando.

Jad scosse la testa con un sorriso. Lo sguardo gli cadde sul palloncino azzurro all’interno della macchina, legato saldamente alla maniglia della portiera, poi di nuovo su di lei. A occhi chiusi si crogiolava nel tepore del sole sbiadito dalle nuvole.

“Ehi, ancora non hai aperto il mio regalo!” si ricordò lei all’improvviso, scattando come una molla a sedere sul cofano. “Dai, prendilo! Dai!”

“Ce l’ho!” esclamò stizzito dalla sua insistenza, tirandolo fuori dalla tasca. Lo scartò pazientemente, mentre lei allungava il collo per vedere, come se non sapesse cosa ci avrebbe trovato dentro. Jad aprì la scatola blu con il marchio della gioielleria e il suo viso si rilassò in un’espressione piacevolmente sorpresa mentre ne estrasse una collana di caucciù. Le due estremità erano unite da una sottile stecca d’argento che costituiva la corda sulla quale camminava la sagoma di un funambolo, anch’esso argentato.

“Allora?! Forte, vero?” gli chiese eccitata, con un gran sorriso.
Lui le sorrise di rimando. Aveva il viso in fiamme. “E’ fantastico. Grazie.”

“Te la metto io!” disse poi lei, facendogli ampio cenno con le mani di avvicinarsi.

Quando Jad le fu di fronte, quasi pregò che quel momento non finisse mai.

Era tutto troppo perfetto, lei era perfetta, il sole, il suo vestito, le sue mani che gli sfioravano la nuca armeggiando con l’allacciatura della collana, il profumo dei suoi capelli, lui che se ne stava in piedi tra le sue gambe aperte e non poteva fare a meno di abbassare lo sguardo nella sua scollatura, sulle sue labbra invitanti, sui suoi occhi concentrati.

Era proprio come quando camminava sulla fune, c’era soltanto un sottile filo che lo teneva in vita. Ma stavolta aveva un’altra possibilità, oltre a continuare dritto per la sua strada. E decise di buttarsi giù a capofitto.

“Fatto.” disse lei. E in un attimo se lo ritrovò addosso.

Le sue labbra la divorarono affamate, i polpastrelli affondarono nella sua carne pallida fino a lasciare dei marchi rossi, il vestito fu semplicemente fatto scivolare giù, ma questa volta non ebbe tempo di soffermarsi a guardarle le mutandine bianche; era troppo concentrato nel mangiarle i seni, leccare ogni centimetro della sua pelle salata mentre lei gli affondava le unghie nella schiena e mugolava piano. Entrò lentamente, ma subito iniziò a spingere sempre più forte, sempre più a fondo, voleva squarciarle l’anima, le passava le dita tra i capelli e poi le chiudeva in un pugno, tirando quelle ciocche bionde che si disperdevano tra le sue nocche scure, accompagnate da urla di piacere e di dolore. La sbatteva forte contro il cofano dell’auto, ma non pensava di poterle fare male.

Per tutte le volte che lo aveva preso in giro, per tutte le volte che lui aveva preso in giro lei, per quando l’aveva salvata, per quando l’aveva protetta, amata in segreto, spiata, ammirata, adorata, desiderata…

La tirò per i capelli quando giunse al culmine del piacere, costringendola a guardarlo dritto in faccia; voleva che leggesse l’amore nei suoi occhi.

Poi la stese sul cofano. La baciò con più dolcezza, le accarezzò la fronte, le scostò i capelli. Scese a baciarla sul collo, sui seni, intorno all’ombelico. Ogni volta che le sue labbra sfioravano la pelle di Iris, la sentiva tremare e gemere; si spinse ancora più giù, fino a farla ululare e gridare. Inarcava la schiena e la sbatteva sull’auto pesantemente, cercando aria ed emettendo strilli di piacere incontenibile.

Le sollevò le gambe e se le appoggiò sulle proprie spalle. Fece ricadere le mani con un tonfo sul cofano e si trovò faccia a faccia con lei; il suo viso era completamente pervaso da un sorriso enorme e soddisfatto. Entrambi sussultarono quando il palloncino esplose senza preavviso all’interno dell’auto, e poi risero insieme, divertiti dall’ironia del momento.

Jad si chinò su di lei per baciarla teneramente. Poi rincominciò.

  
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