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Autore: Magica Emy    08/02/2017    1 recensioni
L’ultima volta che ha messo in discussione le mie capacità di madre non era in sé ma adesso il suo sguardo sembra sincero, e quello che parla è solo il suo cuore. Lui lo pensa davvero. Lo pensa davvero…e io non posso sopportare tutto questo, non riesco nemmeno più a guardarlo in faccia. Devo andarmene da qui. Mi allontano in fretta da lui facendo il possibile per nascondere le lacrime che mi bruciano le palpebre, ansiosa di voltargli le spalle e lasciare quella casa il prima possibile, perché all’improvviso so esattamente dove voglio andare. So quello di cui ho bisogno.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Indovinate un po’, ragazze? Aspetto un bambino!

Esclama Laly una mattina, saltando su dalla sua scrivania per mostrare con aria fiera a me e a Hèléne l’ultimo test di gravidanza fatto, e che l’ha finalmente resa, a giudicare dalla sua faccia, la donna più felice della terra. E pensare che la prima volta che è rimasta incinta non voleva assolutamente tenere il bambino, e l’unica strada possibile secondo lei era l’aborto. Mentre guardo Hèléne andarle incontro per abbracciarla mi rendo conto di non riuscire a trattenere le lacrime, così scoppio in un dirotto e inconsolabile pianto che per un po’ non ho la forza di frenare. E non so nemmeno perché. No, è una bugia. So esattamente il perché.

- Caspita, è una notizia così terribile? Pensavo fossi contenta di diventare zia!

Mormora la mia amica, presa in contropiede dalla mia catartica reazione che la fa precipitare da me per porgermi un fazzoletto e provare a consolarmi.

- Ma no, è meraviglioso, e io sono solo un po’…sopraffatta. È che Roy non mi ha detto niente di tutto questo.

Rispondo con voce strozzata, tanto per provare a spostare l’attenzione su qualunque altra cosa che non siano i miei inspiegabili e stupidi pianti. Intanto, vicino a noi noto che Hèléne mi fissa con insistenza, costringendomi così ad abbassare lo sguardo. Laly sorride, stringendosi nelle spalle con aria trasognata.

- Solo perché non lo sa ancora, infatti ho intenzione di fargli una bella sorpresa a pranzo. Voi due siete le prime a saperlo, volevo condividere questa immensa gioia con le mie migliori amiche.

Dice e io la invito a prendersi il resto del pomeriggio libero per prepararsi all’evento. So quanto ci tenga a fare le cose per bene quando si tratta di organizzare un pranzo, una cena o semplicemente prepararsi per andare al ristorante, perciò voglio venirle incontro nel migliore dei modi. Del resto oggi è lunedì e in ufficio posso benissimo cavarmela da sola, vista la scarsa affluenza di clienti.  Ma non ho nemmeno finito la frase che lei mi scocca un sonoro bacio sulla guancia e si affretta a prendere la borsa, per poi sparire attraverso le porte a vetri prima ancora che riesca a rendermene conto. È sempre la solita. Rimaste sole, vedo Hèléne fissarmi di nuovo con aria assorta prima di sussurrare, quasi tra sé: - Sopraffatta, eh? Mi chiedo se dalla vergogna o dal senso di colpa. Oppure da entrambe le cose.

Decido stavolta di incrociare il suo sguardo, chiedendole spiegazioni.

- Come, scusa?

Esclamo infatti, incapace di trattenermi dopo quella strana, tacita accusa che in un secondo mi gela il sangue nelle vene.

- Non è necessario che tu finga anche con me, Johanna, io conosco la verità. So tutto. Nicolas mi ha riferito ogni cosa, Christian si è confidato con lui appena qualche giorno fa. Mi chiedo come tu possa aver fatto una cosa tanto spregevole, mandando completamente in pezzi la tua famiglia.

Il suo tono accusatorio mi colpisce, spingendomi a mettermi sulla difensiva anche se so che non dovrei. Lei ha ragione.

- Ciò che succede all’interno della mia famiglia fa parte della mia privacy, perciò ti pregherei di non immischiarti. Non sono affari che ti riguardano.

Replico amara e lei scuote la testa, basita, lanciandomi un’occhiata inorridita che ha il potere di turbarmi ancora di più. Tuttavia sospira a lungo e con forza, proprio come se volesse, nonostante tutto, mantenere un contegno in tutta questa spiacevole  situazione. Non mi ha mai parlato così, e non l’ho mai fatto neppure io. È bastato un attimo, un attimo soltanto per trasformarci in due perfette estranee.

- Sai una cosa? Hai ragione, non sono affari che mi riguardano, ma lasciami solo dire una cosa: Christian non si meritava affatto un trattamento del genere.

Risponde dopo un lungo momento di silenzio, mordendosi le labbra come se volesse aggiungere dell’altro prima di voltarmi le spalle, ansiosa di lasciare in fretta il mio ufficio. Mi prendo la testa fra le mani mentre l’ennesima ondata di gelo mi serpeggia lungo la schiena, stringendomi in una lacerante, dolorosa morsa che mi blocca il respiro.

Sono le sei del pomeriggio quando decido di chiudere l’ufficio per tornare a casa e sulla via del ritorno incrocio Christian, che senza nepure degnarmi di uno sguardo si china subito sul passeggino per salutare Megan, che intanto, vedendolo, inizia a gorgogliare di gioia.

- La mia bambina adorata! Mi sei mancata tanto oggi, lo sai?

Esclama stringendosela al petto e intanto spinge la carrozzina fino alla porta di casa, girando poi la chiave nella serratura. Sono un fantasma per lui, si comporta come se non esistessi. Non riesce neppure a guardarmi in faccia, e non ha la minima idea di quanto questo riesca a ferirmi. O forse ce l’ha eccome, ed è proprio per questo che si comporta così. Non so per quanto tempo ancora continuerà su questa strada, non so neppure quali siano le sue intenzioni, l’unica cosa che so è che non riesco mai a replicare a questo suo atteggiamento. Perché in fondo me lo merito, e se fossi in lui farei sicuramente di peggio. E poi, cosa ci sarebbe ancora da dire? Si rifiuta di starmi a sentire, chiudendosi sempre in un ostinato silenzio. È per questo che ho smesso di parlare. Non avrebbe alcun senso cercare un punto di incontro, arrivati a questo punto. Ogni singola fibra del suo corpo mi rifiuta come se fossi indegna anche solo di esistere, riesco chiaramente a percepirlo. E fa male. Fa male come non avrei mai immaginato.

- Ehi bella addormentata, è ora di svegliarsi.

Sussurra chinandosi sul divano a baciare sulla fronte Grace, che riaprendo lentamente gli occhi e accorgendosi della sua presenza gli sorride, tendendosi verso di lui per permettere a suo padre di abbracciarla.

- Devo essermi addormentata senza neanche accorgermene.

Dice stropicciandosi gli occhi e guardandosi intorno, ancora un pò intontita.

- E Logan?

Chiedo cercandolo con lo sguardo, ma senza successo.

- Non so, era qui fino a poco fa, stavamo guardando la tv insieme.

- Sarà andato nella sua stanza, vado a controllare.

Si intromette Christian, raggiungendo in fretta il piano di sopra per poi tornare giù appena pochi istanti dopo, scuro in volto.

- Non c’è, non è da nessuna parte.

- Cosa?

Replico, cominciando ad agitarmi.

- Avete controllato in cucina?

Vedo Christian girare ogni angolo della casa, senza tuttavia riuscire a trovarlo. A questo punto entrambi siamo già più che preoccupati.

- Grace, dov’è tuo fratello? Ti avevo detto di tenerlo d’occhio fino al nostro ritorno!

Esclamo, prendendola per le braccia e scrollandola spazientita mentre lei abbassa gli occhi, afflitta.

- L’ho fatto mamma, e ti ho detto che era qui con me fino a poco fa!

- A quanto tempo risale esattamente “poco fa”, per te?

- Non lo so! Ricordo solo che ero stanca e mi sono appisolata sul divano…

- Va bene – la interrompe Christian, ormai visibilmente in ansia, forse anche più di me – cerchiamo di non perdere la testa. Io corro subito a cercarlo in spiaggia, voi continuate a controllare ogni angolo di questa casa. Non vorrei che si fosse nascosto per farci uno scherzo!

- Era sul divano con me, ti giuro che è così!

 Continua a piagnucolare Grace seguendomi mogia per le stanze, ma io riesco solo a pensare che il mare è piuttosto agitato oggi, e se fosse davvero sgattaiolato via verso la spiaggia…no, non devo farmi prendere dall’ansia. Sarà sicuramente qui intorno quel bricconcello, e non appena lo trovo gliele suono di santa ragione, poco ma sicuro, così impara a farci prendere certi spaventi.  Ma, mentre controllo dietro i divani e le tende per l’ennesima volta un urlo improvviso mi ferisce le orecchie, facendomi trasalire mentre mi precipito fuori, seguita a ruota da Grace per assistere allo spettacolo più terribile e sconcertante di tutta la mia vita. A qualche metro più in là e a pochi passi dal mare si è già formato un piccolo capannello di gente, e tutti sembrano aver l’aria a dir poco terrorizzata. Tra loro riconosco Nicolas, Josè e Benedicte che si sbracciano correndo da una parte all’altra, lo sguardo allarmato. Ci metto qualche secondo a capire cosa sta succedendo, ma quando vedo Christian liberarsi in fretta delle scarpe e della camicia, strappandosela quasi di dosso nel disperato tentativo di fare più in fretta possibile, non ho più dubbi. E mi sento morire.

- Logan, noo!

Grido precipitandomi verso di loro, seguendo con lo sguardo mio marito che incurante di ogni pericolo sta coraggiosamente sfidando il mare pur di riportare in salvo il minuscolo puntino in continuo movimento che appare e scompare tra le onde e che sembra ora così lontano da noi. Troppo lontano perché possa raggiungerlo in tempo.

- No, no! Ti prego, no!

Continuo a gridare disperata e nel mio stato di totale agitazione perdo totalmente il controllo di me e provo anch’io a gettarmi in mare, pronta a riprendermi mio figlio in ogni modo possibile e senza neppure riflettere su cosa stia facendo, prima che due mani mi trattengano con forza verso la riva, tenendomi stretta nonostante provi a dibattermi furiosamente per tutto il tempo.

- Johanna, calmati per favore, devi calmarti adesso! Nicolas e Josè hanno preso la barca, vedrai che tra poco riusciranno a raggiungerli entrambi. Lo porteranno in salvo, vedrai che lo faranno.

Cerca di tranquillizzarmi Benedicte, senza però riuscire a nascondere la sua apprensione, ma io non l’ascolto quasi. I miei pensieri sono tutti per il mio bambino e per mio marito ed entrambi ormai sono scomparsi dalla mia vista, facendomi temere il peggio. Come gli è saltato in mente di buttarsi anche lui in acqua a quel modo, e senza nemmeno  pensare alle conseguenze? Crollo in ginocchio sulla sabbia, in lacrime e completamente svuotata, ed è allora che lo vedo. Ansante e barcollante torna lentamente verso la riva, stringendo tra le braccia il corpicino di Logan, che con la testa abbandonata sul suo petto sembra non respirare più.

- Logan, tesoro. Apri gli occhi amore mio, ti scongiuro.

Balbetto angosciata mentre osservo Christian depositarlo delicatamente sulla sabbia e provare faticosamente a rianimarlo tra lo sconcerto generale.

- Coraggio, so che ce la puoi fare. Resta con noi, piccolo.

Sussurra col respiro corto, continuando a soffiare aria nella sua bocca finchè non lo sentiamo tossire di colpo.

- Sì, così tesoro. Sei bravissimo, butta fuori tutto.

Lo esorta suo padre accarezzandogli a lungo la schiena mentre io, pazza di gioia lo abbraccio stretto, baciando più volte il suo viso pallidissimo e cullandolo dolcemente, strofinando a lungo le sue manine tra le mie per provare a scaldarlo.

Qualche ora più tardi, dopo un lungo bagno e una tazza di latte bollente lo metto finalmente a letto, rimboccandogli le coperte fin sopra agli occhi per tenerlo al caldo il più possibile, mentre cerco di distogliere la mia primogenita dall’idea di trattenersi al suo fianco per il resto della serata. So che si sente in colpa per quello che è successo, ma le spiego con molta cautela che non deve assolutamente farlo, poiché l’unica responsabile di tutto non è certo lei. Ma Grace continua a singhiozzare e io continuo ad asciugare le sue lacrime finchè non riesco a convincerla ad andare a riposare, e anche se lo fa con riluttanza so che ne ha veramente bisogno. Scendo poi al piano di sotto e preparo due tisane, anche se le mie mani tremano talmente tanto che più volte rischio di bruciarmi versandomi addosso il liquido caldo, ancora sotto choc per quello che sarebbe potuto accadere se fossimo arrivati troppo tardi, e che per fortuna si è risolto solo con un grande spavento. Prendo le tazze e raggiungo lentamente il salotto dove Christian, seduto accanto al camino e con una coperta sulle spalle, pare accorgersi della mia presenza solo quando comincio a parlare.

- Logan si è addormentato non appena l’ho messo a letto – mormoro avvicinandomi a lui, che ora continua a tenere lo sguardo basso – sembra che stia bene, adesso. E tu invece, come ti senti? Devi essere esausto, faresti meglio ad andare a riposare. Ecco, ti ho preparato una tisana, ti aiuterà a conciliare il sonno.

E faccio per porgergli la tazza fumante ma lui si volta all’improvviso, colpendomi la mano che la regge per scaraventarla violentemente a terra, lasciandomi spiazzata e spaventata a fissare la macchia che si espande lentamente sul tappeto bianco, dove il liquido si è irrimediabilmente rovesciato dopo aver rimbalzato sulle mie dita, che ora sento brucianti e doloranti.

- Come diavolo ti è saltato in mente di lasciare Grace da sola a occuparsi di Logan per tutto questo tempo?

Esplode, facendomi trasalire.

- Non è la prima volta che le chiedo di andare a prenderlo a scuola!

Ribatto cercando di giustificarmi, ma lui sembra una furia e continua ad attaccarmi senza neppure essersi reso conto di ciò che ha appena fatto.

- Di andarlo a prendere a scuola, non di essere costretta a badare a lui per ore! È ancora una bambina, santo cielo, e non è certo colpa sua se si è appisolata sul divano per la stanchezza! Logan ha rischiato di morire oggi e la responsabile di tutto questo sei soltanto tu, che invece di rimanere a casa e tenere al sicuro i bambini preferisci passare il tuo tempo dentro chissà quale schifoso letto in compagnia di chissà chi, proprio come una puttana della peggior specie. Perché è questo che sei, una puttana senza più un briciolo di decenza! Mi domando dove cazzo avevo la testa quando ho deciso di sposarti!

Rimango lì, in piedi davanti a lui come impietrita per qualche secondo, lasciando sedimentare dentro di me quelle orribili parole finchè mi rendo conto di non riuscire più a sopportare il suo sguardo duro e ostile. Decido così di voltargli le spalle, trattenendo a stento le lacrime che, una volta rifugiatami in cucina esplodono senza controllo in singhiozzi disperati, mentre tremando da capo a piedi sposto il mio peso sul tavolo, stringendone forte i bordi per paura che le ginocchia mi cedano. Ha ragione, la colpa è tutta mia. Sono un vero disastro, su tutti i fronti. Non oso muovermi, non oso parlare e per chissà quanto tempo riesco solo a singhiozzare senza freni, aspettando che la mia disperazione si plachi. Anche se so che non accadrà. È allora che li sento. I suoi passi, sempre più vicini. Chiudo gli occhi e serro le labbra, senza voltarmi. Le sue mani mi sfiorano le spalle, scivolando lentamente lungo le braccia fino a raggiungere e accarezzare le mie dita ustionate dalla violenza del suo gesto, facendomi sussultare. Si avvicina di più, stringendomi i fianchi e il suo respiro è caldo sulla mia pelle mentre mi scosta i capelli di lato per far spazio alle sue labbra, che morbide e invitanti scendono a stuzzicarmi il collo, percorrendolo in tutta la sua lunghezza fino a farmi fremere contro il suo corpo che adesso, riesco chiaramente a percepirlo, reclama con forza il mio.

- Christian…

- Shhh.

 Senza dire una parola mi costringe a voltarmi verso di lui, prendendomi la testa fra le mani e catturando le mie labbra in un bacio appassionato che in un attimo mi strappa bruscamente alla realtà che mi circonda, facendomi dimenticare di tutto il resto. A quel punto, ormai completamente in suo potere e conscia soltanto delle sue mani che tremanti e impazienti si muovono su di me, mi lascio condurre in camera da letto, dove ci liberiamo in fretta dei vestiti per perderci l’una nelle braccia dell’altro. Facciamo l’amore per tutta la notte e come in preda a una frenesia selvaggia i nostri baci si fanno più appassionati, le nostre mani diventano più ansiose, i nostri movimenti sempre più bramosi mentre la sua bocca, per tutto il tempo incollata alla mia raccoglie i miei gemiti, sempre più forti e disperati a ogni sua spinta decisa prima che, ansante e sudato crolli su di me, nascondendo la testa nell’incavo della mia spalla e lasciando che il suo respiro affannoso si plachi lentamente, diventando tutt’uno col mio. Pronuncio il suo nome più volte ma lui non risponde, si limita a stringermi più forte e io ricambio il suo abbraccio, accarezzando a lungo i suoi capelli arruffati prima che il sonno ci sorprenda pian piano...

 

 

   
 
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