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Autore: Darkrystal Sky    08/02/2017    1 recensioni
MULTI-CROSSOVER FIC Conoscete tutti la storia di Edward e Alphonse Elric, ma quanto cambierebbe questa se le persone che hanno incontrato durante il loro viaggio non fossero le stesse? Se il Viaggio tra Dimensioni parallele fosse di dominio pubblico e il Multiverso fosse al centro di una faida millenaria?
La storia di Fullmetal Alchemist come non l'avete mai vista.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12 - Il Giuoco Delle Parti (Atto Primo)

Embrace the dark you call a home
Gaze upon an empty white throne
A legacy of lies
A familiar disguise
Rena Strober - ‘Lost in Thoughts All Alone’

 
Oriel si aspettava che l’idea di Edward per smascherare gli impostori sarebbe stata, come al solito, appariscente e sopra le righe. Certamente non aveva nemmeno considerato la possibilità di uno stunt pubblicitario.
I due ragazzi erano tornati da Urahara dopo aver discusso con Ryuken e, dopo una ramanzina che aveva un che di canzonatorio, erano riusciti a convincere il Viaggiatore a prendere parte al loro piano. Alle prime luci dell’alba, quando i minatori uscirono dalle loro case per tornare al lavoro, Ed e Al erano sulla strada principale che portava alle miniere.
Inizialmente, i minatori ignorarono i ragazzi, se non per lanciare loro delle occhiate ostili, ma Edward scorreva lo sguardo sulla fila di gente, attento ai più piccoli dettagli finché finalmente non individuò l’occasione che stava aspettando. Un uomo dai capelli castani spingeva una carriola vuota la cui ruota ondeggiava pericolosamente, minacciando di staccarsi.
Senza dire parola, senza esitare, si fece largo tra la folla e, rapidamente, battendo le mani, trasmutò la carriola senza fermarla. Uno sbuffo di fumo causato dall’acqua evaporata nella trasmutazione della ruggine in ferro attirò l’attenzione di altri uomini, che rallentarono il passo o si fermarono per osservare cos’era successo. Dalla nebbiolina emerse una carriola nuova di zecca, color rosso fuoco e con complesse e pacchiane decorazioni a forma di ossa.
Il minatore che ancora teneva saldamente i manici fissò la propria carriola allibito, prima di allentare la presa e lasciarla cadere, mormorando a voce tanto bassa che Edward fece fatica a capire.
“Io non posso pagarla…” mugugnò, prima di allontanarsi come se volesse stare il più lontano possibile dalla carriola e dall’alchimista. Si diffuse un brusio tra la folla che si era fermata ad osservare.
“Pagarmi? Non mi sognerei mai di chiedere dei soldi!” esclamò Edward, con fare teatrale e alzando la voce affinché più persone possibile potessero sentirlo. “Una cosa del genere,” cominciò, “la sistemo in un momento!”
Alphonse, che era rimasto in disparte, trattenne l’impulso di nascondersi per l’imbarazzo e scoppiare a ridere simultaneamente. Peccato che Oriel si stava perdendo questa pagliacciata, probabilmente l’avrebbe adorata.
“Se è così,” cominciò un altro lavoratore, avvicinandosi al ragazzo, “puoi riparare il mio piccone? Si è rotta la punta e…”
Edward non lo lasciò finire e non solo riparò il piccone, ma ne affilò le punte e gli diede un’impugnatura più stabile. In pochissimi secondi i minatori lo assaltarono, chi chiedendo aiuto per trasmutare i loro strumenti, chi per andargli a riparare la casa.
A mezzogiorno, l’aspetto del paese era cambiato. Non solo molte meno abitazioni erano crollate o in rovina, ma gli abitanti avevano cominciato ad uscire e si potevano vedere molti più volti sorridenti o sollevati in giro.
Come d’accordo, appena il sole giunse allo zenit, Jinta e Ururu sfrecciarono verso la villa per fare arrivare la voce a Tessai, che avrebbe dovuto trasmetterla ad Aizen per farlo scendere a controllare di persona.
Quello di cui tutti erano ignari, però, era che l’alchimista alla villa si era già accorto che qualcosa non andava. L’uomo stava supervisionando la pompa che estraeva Dark Matter dal terreno, quando la macchina sputacchiò e cominciò a riversare una quantità molto minore di sostanza oleosa.
Aizen aggrottò la fronte, controllando la macchina nei più piccoli dettagli: non sembrava mal funzionare, ma qualcosa era definitivamente successo. L’uomo lasciò la fontana sotterranea e salì le scale, sbucando da dietro una libreria nell’abitazione sovrastante.
I fratelli Elric stavano lavorando nel laboratorio che l’uomo attraversò. La più recente partita di Düsternis trasmutate era stata riposta in una valigetta aperta. Piuttosto che esaminarle, Aizen ci lanciò solamente un’occhiata distratta. Dopotutto, vendere quei refusi era solo un escamotage per raccogliere fondi, nulla di più. Il loro progetto era molto più importante.
“Come sta venendo?” chiese al ragazzo più grande, accennando con la testa ad una pietra nera di forma più irregolare delle Perle ma di dimensioni maggiori.
Il ragazzino più piccolo gli lanciò un’occhiata di sbieco, mentre continuava a giocherellare con il proprio automail. Non aveva doti alchemiche pari a quelle del fratello, ma questi aveva insistito per lavorarci insieme e Aizen non aveva potuto che concederglielo.
“È molto stabile,” rispose il ragazzo. “dopo cinque trasmutazioni del primo livello Comune non mostra segni di perdita di energia.”
Aizen prese la pietra dal piedistallo per osservarla.
“Ah, però” cominciò il ragazzo, muovendosi verso di lui come a volersela riprendere indietro. “Non abbiamo ancora tentato nulla nel campo Organico.”
“Molto bene, proveremo subito. Dopotutto abbiamo un soggetto a nostra disposizione,” Aizen sorrise, era un sorriso tranquillo e rilassato, ma i fratelli avevano imparato presto a non fidarsi dell’espressione dell’uomo.
Qualcuno bussò piano alla porta del laboratorio. Il suono era appena udibile, e sarebbe stato ignorato se fosse avvenuto in un momento meno silenzioso.
“Sì?” fece Aizen, senza distogliere lo sguardo dai ragazzi.
La porta in legno si socchiuse, lasciando entrare una donna vestita da cameriera.
“Signor Aizen, Tessai la sta cercando” mormorò a voce bassa, balbettando. I capelli neri erano legati in due trecce che le ricadevano ai lati del viso e, insieme ad un paio di spessi occhiali tondi le oscuravano il volto.
L’uomo sospirò, prima di voltarsi verso la porta.
“Edward, raggiungimi nell’altro laboratorio. Comincia senza di me se necessario” ordinò, senza curarsi di un eventuale risposta. Si fermò improvvisamente sulla porta, osservando la cameriera, che aveva lo sguardo basso e le mani nervosamente strette sul vestito. “Non ti ho mai visto. Sei nuova?” domandò Aizen.
Il volto della ragazza si accese d’imbarazzo e lei sembrò voler sprofondare nel pavimento.
“Tre giorni” riuscì a dire, balbettando. “Ho cominciato a lavorare qui tre giorni fa.”
L’uomo annuì brevemente, prima di ordinarle di tornare a qualunque lavoro stava svolgendo prima di venire a chiamarlo. La domestica ubbidì, ma si fermò dopo pochi passi a osservare Aizen allontanarsi lungo il corridoio. Solo quando ebbe svoltato un angolo, Oriel tirò un sospiro di sollievo: sperava che il proprietario della villa non interagisse a sufficienza con la servitù per notare un volto nuovo, ma apparentemente si era bevuto la storia della nuova domestica.
Ora, era meglio proseguire prima che le cose cominciassero a muoversi. La ragazza tornò sui suoi passi, verso la porta del laboratorio, da cui il falso Edward uscì e si incamminò nella direzione opposta a quella dalla quale Oriel stava arrivando. Oriel aspettò che il ragazzo si allontanasse prima di rientrare nella stanza e chiudersi la porta alle spalle: come aveva previsto, il ragazzino più piccolo era ancora all’interno del laboratorio.
Da dietro le lenti degli occhiali, gli occhi della ragazza si spalancarono: per un qualche motivo, il volto del falso Alphonse le era incredibilmente familiare.
“Cosa c’è? Ed è andato da Kanae…” fece il ragazzino, con aria perplessa.
Kanae. La moglie di Ryuken. Era ancora viva, buono a sapersi.
Oriel alzò un sopracciglio e dovette trattenersi dal correre dietro al fratello maggiore, ma per il momento era meglio attenersi al proprio piano, altrimenti rischiava di mandare tutto a rotoli. Sotto la manica dell’uniforme, portava ancora il bracciale di metallo e lo utilizzò per trasmutare la serratura della porta in un blocco unico.
La reazione del falso Alphonse fu immediata e quando Oriel alzò ancora una volta lo sguarda verso di lui, la mano meccanica dell’automail aveva lasciato il posto ad un’arma da fuoco. Oriel si lanciò di lato appena in tempo perché il proiettile colpisse il legno della porta invece che la sua testa: Ed e Al avevano ragione a dire che gli impostori avevano il grilletto facile.
Ma lei non era da meno.
La capriola le permise di raggiungere più facilmente la pistola che teneva nascosta sotto la gonna e in un attimo i due raggiunsero una posizione di stallo, entrambe le armi puntate su un punto vitale dell’avversario.
“Chi sei?” fece il ragazzino, immobile. I suoi occhi saettavano per la stanza in cerca di un qualunque modo per rimettersi in vantaggio.
Oriel, tenendo fermamente la pistola d’ordinanza nella mano destra, mosse l’altra, a cui portava il bracciale, verso il tavolo alla sua sinistra: i cerchi erano ancora posizionati per trasmutare metalli, e per fortuna i tavoli di lavoro sembravano fatti di ferro.
“Alchimista di Stato” si presentò lei semplicemente, prima di trasmutare il tavolo in un groviglio di acciaio che si avvinghiò al ragazzino, immobilizzandolo. “E tu farai meglio a venire con me.”
-
Edward sedeva a lato della piazza, crogiolandosi dei complimenti e delle occhiate sbalordite e adoranti dei paesani.
“Tutta la vallata sta parlando di me!” rise, con boria.
“Beh, come previsto…” commentò Al, guardandosi intorno con aria pensierosa.
“Adesso dobbiamo solo aspettare che le voci arrivino alle orecchie giuste...” commentò Ed, ridacchiando. Al fece un breve suono di assenso. “Ehi, tutto bene?” chiese il fratello maggiore a voce più bassa, sporgendosi verso di lui.
“Sì, sì” rispose immediatamente Al. “Stavo solo pensando che quello che stai facendo qui non è poi tanto diverso dai ‘miracoli’ che Anderson compiva per la gente di Istvàn.”
Edward fissò Al con espressione sbalordita: quelle erano le ultime parole che si aspettava di sentir dire dal fratello.
“È totalmente diverso!” esclamò, irritato. “In primo luogo non li sto ingannando, sto solo cercando di farmi conoscere perché Aizen capisca chi siano i veri impostori.”
“Non era un insulto!” lo interruppe Al, forse con troppa foga, in quanto diversi passanti lanciarono loro un’occhiataccia. “Stavo solo riflettendo sul fatto che quel prete era accecato dalla propria fede, ma non puoi negare che ha cambiato in meglio la vita per gli Istvàniani. Forse non meritava di essere svergognato in pubblico a quel modo.”
“Se avesse continuato a compiere ‘miracoli’, la gente avrebbe presto dipeso da lui per qualunque piccola cosa invece di andare avanti con le proprie forze. Quando la falsa Pietra Filosofale avesse smesso di funzionare, la città sarebbe caduta in disgrazia. Come Karakura quando le miniere si sono esaurite.” Edward incrociò le braccia, distogliendo lo sguardo. “Sono convinto di aver fatto la scelta giusta.”
Alphonse stava per ribattere nuovamente, quando i due ragazzi notarono del movimento poco lontano. Attorno ad Urahara, che aveva esposto su un tappeto a lato della piazza alcune delle sue cianfrusaglie, si era formata una piccola folla: con un brusio e rapidi movimenti questa si disperse quando fece il suo ingresso nella piazza, accompagnato da due alti uomini muscolosi, un uomo in camice bianco.
L’uomo camminò guardandosi intorno e non si fermò finché gli occhi non caddero sui fratelli Elric. Dopo una breve pausa, si avvicinò lentamente, facendo segno alle guardie di restare sul posto.
“Mi dicono che sei un alchimista,” cominciò l’uomo. Aveva un tono e un’espressione affabile che spiazzarono Edward per qualche secondo: non era assolutamente il tipo di persona che si erano immaginati controllare le miniere.
Edward scosse la testa prima di alzarsi in piedi.
“Sono l’Alchimista d’Acciaio, Edward Elric! Avrà sicuramente sentito parlare di me!” esclamò presentando immediatamente l’orologio d’argento. “Questo è mio fratello minore Alphonse.”
Il cambiamento nell’espressione nell’uomo fu fulmineo: gli occhi castani, dietro le lenti degli occhiali saettarono dall’orologio al viso di Edward ripetutamente per alcuni secondi prima che parlasse di nuovo.
“L’Alchimista d’Acciaio,” ripeté.
“Posso lasciarle un autografo?” Edward ghignò, mentre Alphonse trattenne l’istinto di dargli un pugno in testa.
“Edward…ora che finalmente ti vedo con i miei occhi è ovvio, e tuttavia…” Si interruppe. “Scusatemi un momento,” mormorò prima di voltarsi e fare un cenno alle guardie di avvicinarsi. I due uomini si avvicinarono e ascoltarono le istruzioni che Aizen diede loro, prima di annuire ed allontanarsi di corsa nella direzione da cui erano venuti. “Chiedo perdono,” si scusò Aizen ridacchiando, quando fu tornato dai ragazzi. “Il vostro arrivo mi lascia estremamente sorpreso, anche perché alcuni mesi fa due impostori si sono presentati alla mia porta dichiarando di essere voi… Credendo alla loro storia li ho ospitati nella mia casa in cambio del loro aiuto con le mie ricerche. Quanto sono stato cieco…” La sua voce era piena di rammarico.
“Impostori!” esclamò Edward, fingendosi sorpreso. “Però sembra aver capito subito che noi stiamo dicendo la verità?”
“L’orologio d’argento è una prova convincente,” rise Aizen. “E in effetti ho un altro motivo per riconoscervi.” Il sorriso dell’uomo era malinconico quando prese una sedia per sedersi di fronte a Ed. “Ho sentito molto parlare di voi, ben prima che Edward prendesse il titolo di Alchimista di Stato,” raccontò. “Edward, somigli veramente molto a tuo padre.”
I due ragazzi scattarono in piedi, colti di sorpresa.
“Conosce papà?!” esclamò Alphonse. “Sa dove si trova?”
“Io e Van Hohenheim ci conosciamo da molto tempo, ma diversi anni fa ho perso del tutto i contatti con lui. Se venite con me, posso mostrarvi le sue lettere.”
Questo cambiava tutto. Le ricerche dell’uomo, lo stato di Karakura e la famiglia Ishida erano tutti eventi che avevano un qualche collegamento tra loro, ma se anche il padre dei ragazzi era invischiato in quella vicenda losca era tutto un altro paio di maniche.
“No” rispose Edward, improvvisamente freddo. “Non voglio avere nulla a che fare con il lavoro di quel bastardo.”
“Fratellone!” esclamò Alphonse. Edward era disposto a bruciare completamente il loro piano pur di non venire coinvolto in una ricerca a cui il padre aveva preso parte?
“Credo che ci sia una piccola incomprensione,” sorrise Aizen, apparentemente per nulla turbato dalla risposta del ragazzo. “Hohenheim ed io siamo stati amici e corrispondenti, ma la ricerca che svolgo qui non lo ha mai visto coinvolto, con mio grande disappunto…”
Edward rimase sovrappensiero per alcuni secondi prima di tirare un lungo sospiro e rispondere. “D’accordo,” disse infine. “Questa fantomatica ricerca mi incuriosisce. Che cosa sta ricercando, esattamente?”
C’era qualcosa di diverso nel sorriso del ricercatore quando rispose alla domanda.
“Avete mai sentito parlare della Pietra Filosofale?”
-
“Puoi almeno aiutarmi a tenere il braccio? Pesa!”
“No”
Oriel faceva camminare avanti a sé il falso Alphonse lungo i corridoi della villa. Le finestre oscurate da pesanti tendaggi davano agli androni un’aria tetra e inquietante, come se ad ogni angolo dovesse sbucare qualcosa. Ciononostante, non avevano incontrato nessuno. Per essere tanto grande, la villa certamente era vuota.
“Ti da fastidio camminare di fianco a me?”
“In caso di emergenza posso usarti come scudo umano,” replicò la ragazza in tono piatto, ma senza pensarlo sul serio. L’automail del ragazzino era stato neutralizzato inglobandolo in uno stretto guanto di metallo che aderiva perfettamente alla protesi senza però danneggiarne la struttura. Nonostante fosse un’alchimista specializzata nella trasmutazione di armi da fuoco, Oriel non si azzardava a trasmutare un ordigno contenente polvere da sparo e fili elettrici senza conoscerne la struttura nei minimi dettagli.
“Manca molto?” insistette la ragazza, dopo aver svoltato l’ennesimo angolo.
“L’infermeria è dall’altra parte della casa, siamo quasi arrivati.”
Perché tenere la donna così lontano dai laboratori? C’era qualcosa di inquietante in tutta quella storia.
“Tu non sei un alchimista,” commentò Oriel.
“Cosa ne sai?”
“In una stanza piena di catalizzatori, la tua prima autodifesa è stata l’arma nel tuo automail. Non sai usare l’alchimia, oppure non ti senti in grado di usarla in battaglia” constatò, orgogliosa di aver fatto quella deduzione. “Non sei un alchimista.”
Il ragazzino la guardò di sbieco e le mostrò la lingua.
“Lo sono!” ribatté. “È solo che la mia alchimia non è adatta per combattere!  Ma non sono come il dottor Aizen…”
Oriel alzò un sopracciglio, ma non commentò. Questo era interessante: Aizen non era in grado di usare l’alchimia? Come aveva sviluppato le ricerche sulle Düsternis allora? Che fossero state rubate o sottratte agli Ishida, o erano farina del sacco dei due impostori? In tal caso, forse valeva la pena tenere un occhio sui due? O forse, come la presenza di Watanuki suggeriva, c’era qualcosa di più oscuro in quella città?
“Questa è la porta dell’infermeria,” la voce del ragazzino la riscosse dai suoi pensieri. Oriel alzò lo sguardo verso una porta di legno con decisamente troppi lucchetti per essere la porta di un’infermeria. Che cosa Aizen voleva tenere nascosto a tutti costi? O imprigionato a tutti i costi.
Il ragazzino ancora non si era mosso.
“Allora?” lo incitò Oriel.
“Non ho le chiavi, non sono mai stato nell’infermeria!” replicò l’altro, dondolandosi sulle gambe.
Oriel sospirò e stava per fare un passo avanti e trasmutare i lucchetti per entrare quando in lontananza si sentì un rumore di passi che si avvicinavano di corsa.
“Dietro la tenda, svelto!” Oriel prese il ragazzino per il bavero e gli mise saldamente una mano davanti alla bocca per tappargliela mentre si nascondeva insieme a lui dietro una pesante tenda di fronte alla porta chiusa a chiave. L’improvviso passaggio dal corridoio buio alla luce del sole accecò i ragazzi per il momento: dall’esterno erano ora pienamente visibili, ma fortunatamente la finestra dava sul lato della villa e solo avvicinandosi molto si sarebbe potuto scorgerli tra la fitta vegetazione che circondava la villa. Ora, Oriel sperava solo che le loro sagome non si vedessero attraverso la stoffa.
Davanti alla porta si fermarono due persone, a giudicare dai passi. Una delle due aprì velocemente una ad una le serrature ed entrambi si fiondarono dentro la stanza. I ragazzi udirono delle grida di protesta e dei suoni di colluttazione.
“Non potete fare questo! Aizen!” chiamò una voce sconosciuta ad Oriel. Il falso Alphonse spalancò gli occhi e cercò di divincolarsi, ma Oriel lo strinse ancora di più a se, impedendogli di sfuggirle. Solo quando fu completamente sicura che quelle persone se ne fossero andate, lo lasciò andare.
Il ragazzino si fiondò nuovamente nel corridoio, guardandosi intorno con aria smarrita. Quando gli occhi di Oriel si furono abituati alla penombra, vide immediatamente che la porta dell’infermeria era rimasta spalancata. Al di là di essa c’era solo la più completa oscurità. Prima che potesse muovere anche un solo passo verso la porta, però, il ragazzino le fu addosso e la sbatté contro il muro col braccio libero, cogliendola di sorpresa.
“Toglimi questo affare,” ringhiò, improvvisamente furioso.
“No” rispose immediatamente la ragazza. Nel corridoio non aveva metallo a portata di mano e voleva evitare un altro scontro.
“Ti prego,” il tono del ragazzino divenne disperato. “Hanno preso mia sorella! Devo andare ad aiutarla!”
“Tua sorella…?” Oriel ripeté, confusa.
Le seguenti parole del ragazzino sgorgarono come un fiume in piena.
“Mia sorella, Lee, Liz! Siamo venute a svaligiare la villa qualche mese fa, ma siamo state scoperte. Abbiamo finto di essere militari per non essere consegnate all’esercito e le uniche persone per cui potevamo farci passare erano l’Alchimista d’Acciaio e suo fratello! Il dottor Aizen non ci ha nemmeno fatto domande, ci ha accolto nella sua casa e condiviso le sue scoperte con noi! Volevamo andarcene ma qui avevamo un letto e cibo caldo come non ne abbiamo avuti per anni, cosa dovevamo fare?!” Ad un certo punto del discorso, la ragazzina aveva cominciato a piangere. “Hanno portato via Liz, vuol dire che ci hanno scoperte! Devo aiutarla, ti prego,” singhiozzò. “Lei è tutta la famiglia che ho.”
Quest’ultima frase sembrò entrare in risonanza con Oriel, che trattenne involontariamente il respiro. Dopo alcuni secondi, sospirò e con l’alchimia distrusse il guanto di metallo, che cadde a terra sotto forma di polvere.
“Va bene, ti aiuterò,” si arrese. “Lasciami dare un’occhiata all’infermeria, poi seguiamo chiunque abbia portato via tua sorella.”
La ragazzina si asciugò le lacrime con la manica della camicia e annuì vigorosamente. Sembrava poco più che una bambina, in quel momento: distante anni luce dalla persona che solo pochi minuti prima era impegnata in uno scontro a fuoco contro di lei.
Oriel fece un passo nella stanza, tastando la parete accanto a lei finché le sue dita incontrarono un piccolo interruttore sul muro: una debole luce sul soffitto si accese quando Oriel abbassò la levetta. L’infermeria era piuttosto piccola, ospitava sei letti bianchi, tre per ogni lato, e un armadietto vuoto. Una seconda porta di legno sottile si apriva in fondo alla stanza: al di là di essa, si sentiva nel silenzio della stanza, un debole e roco respiro.
“Miss Kanae?” tentò Oriel, muovendo alcuni passi verso la seconda stanza. Un movimento veloce alle sue spalle la fece voltare, ma non abbastanza in fretta. Qualcosa di pesante la colpì violentemente in testa, facendole perdere i sensi.
 
  
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