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Autore: lady lina 77    09/02/2017    1 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Demelza era uscita molto presto ed era rimasto a poltrire a letto il più a lungo possibile, finché i figli non lo costrinsero ad alzarsi.

Fecero colazione insieme nella sala da pranzo, serviti in eleganti tazze di porcellana, con the, biscotti e pane imburrato. I domestici di Demelza anticiparono ogni suo desiderio o richiesta, dandogli quello che desiderava ancor prima che lui potesse eventualmente chiederlo, cosa a cui non era decisamente abituato. Si sentiva a disagio e non vedeva l'ora di finire di mangiare per far qualcosa da solo coi bambini.

Appena anche Clowance ebbe finito di mangiare, li prese per mano, costringendoli a raggiungere il piano superiore. "Coraggio, oggi dobbiamo lavorare!".

"Io no!" - esclamò Clowance, incrociando le braccia e facendo il broncio.

Ross le scompigliò la testolina rossa, sorridendo. "D'accordo, tu ci guarderai. Ci penseremo io e Jeremy a disfare gli alberi di Natale. Mamma ieri sera mi ha ricordato che devi farlo, sai?" - disse, al figlio.

Il bambino sospirò. "Me lo immaginavo...".

Anche Ross sospirò, pensando che in fondo venticinque alberi di Natale sarebbero stati un lavoraccio, da disfare, pregando che al figlio non venisse mai più in mente niente di simile. Anche se, quell'incombenza, gli sarebbe tornata utile per fare qualcosa insieme a lui. "Credevo che la mamma se ne sarebbe dimenticata, sai?" - esclamò, prendendo degli scatoloni vuoti dove riporre gli addobbi, che aveva fatto portare da una domestica di cui non ricordava ovviamente il nome.

Jeremy spalancò gli occhi. "Mamma che si dimentica di un castigo? Impossibile! Mi sa che non la conosci molto bene!".

Scoppiò a ridere a quelle parole, considerando che in effetti, conoscendola, non poteva che aspettarsi che se ne ricordasse. "Su, basta parlare! Andiamo a lavorare".

Poco entusiasta, Jeremy lo seguì, e la piccola Clowance trotterellò dietro di loro con una bambola fra le braccia.

Cominciarono da una delle camere degli ospiti, dove troneggiava un abete molto grande a lato della stanza.

"Come facciamo a smontarlo? E' tanto alto, quando io e nonno Martin lo abbiamo addobbato, abbiamo usato la scala".

Ross osservò l'albero e poi il figlio. Infine prese il bambino fra le braccia, mettendoselo sulle spalle. "Niente scala, così arriverai alla punta".

Jeremy spalancò gli occhi, guardandolo dall'alto. "Forte! Così è bellissimo, papà!" - esclamò, eccitatissimo di essere sulle sue spalle per la prima volta.

"Non hai paura?".

"No, mi piace un sacco!". Contento, Jeremy prese le sfere e le perline colorate e, una dopo l'altra, le lanciò in uno degli scatoloni posti alla base dell'albero.

Felice di vederlo così eccitato, Ross prese a togliere gli addobbi dalla parte centrale dell'albero mentre Clowance, con la sua bambola, li guardava incuriosita. E a un certo punto, stanca di guardarli, gli si avvicinò, tirandolo per la camicia. "Papà?".

"Cosa c'è?".

La bimba, stanca di rimanere in disparte, allungò le braccia verso di lui. "Anche io vollo tollere l'albero".

Ross guardò Jeremy, strizzandogli l'occhio, facendogli segno di assecondarla. Poi si chinò, prendendola in braccio. "D'accordo, mi aiuti qui, mentre tuo fratello sistema la parte in alto?".

"Si".

"Hai deciso di diventare generosa?".

Clowance annuì, fiera. "Si. E vollo stare in braccio!".

La baciò sulla fronte, rendendosi conto che era letteralmente innamorato di quella testolina rossa e del bimbo che teneva sulle spalle. Lavorarono fino a mezzogiorno inoltrato, divertendosi, tanto che la lontananza di Demelza non gli pesò particolarmente e anche i bambini, sereni e tranquilli, collaborarono senza litigare, in pace ed armonia. In quattro ore, i venticinque alberi di Natale furono disfati e quando si stava organizzando per portarli in giardino per tagliarli, fu fermato dal maggiordomo che glielo impedì. "Signore, no! Questo non è lavoro per voi, ci penserà il giardiniere. E' ora di pranzo, è già servito in tavola e voi e i signorini sarete affamati".

Ross si grattò la guancia, in imbarazzo. Si sentiva un leone in gabbia con tutta quella servitù che faceva tutto e che lo preveniva in ogni cosa e non capiva perché non potesse tagliare la legna, visto che era una cosa che faceva abitualmente in Cornovaglia. Però in effetti era affamato, i bambini pure e aveva ancora tutta la giornata da organizzare, con loro. Se non poteva tagliare la legna, si sarebbe dovuto inventare qualcos'altro da fare. Fece coi bambini un giro nella stalla per vedere i loro pony, spiegò loro cosa fare per prendersene cura e alla fine, dopo essere stato chiamato all'ordine dalla servitù per l'ennesima volta, si decise ad andare a mangiare.

Pranzarono in relativo silenzio e per la prima volta nella giornata, sentì che Demelza gli mancava. Si chiese come avrebbe potuto abituarsi a quelle sue abituali assenze e si trovò anche a pensare a come avesse fatto lei, a Nampara, a fare altrettanto quando lui era via. I bambini invece sembravano abituati a quella situazione e non particolarmente scossi dall'assenza della madre, non quanto lui almeno.

Li osservò, accorgendosi che Clowance sbadigliava e si sfregava gli occhi con la mano e anche Jeremy pareva stanco. In effetti avevano lavorato come matti per quattro ore e loro non dovevano esserci abituati. Beh, meglio così, aveva il pomeriggio da organizzare e un paio d'ore sarebbero passate facendoli dormire un po'.

Margareth, la domestica più anziana che osservava l'andamento del pranzo in un angolo della sala, però lo prevenì di nuovo. "Finito di mangiare, signore, volete che metta a letto i bambini?".

Scosse la testa, deciso a prendersi cura personalmente di loro. "No, lo faccio io. Li porto con me in camera mia".

"Come volete, signore".

Sospirò. Era davvero seccante avere tanta gente attorno che lo anticipava in tutto, tanto che per un attimo sentì la nostalgia di quegli scansafatiche di Jud e Prudie.

Dopo il dolce, prese i figli in braccio, rifugiandosi in camera sua dove, a parte loro, per fortuna non aveva accesso nessuno. Mise i piccoli a letto, stendendosi fra loro, e Clowance ne approfittò per rannicchiarsi sul suo petto, succhiandosi il pollice e giocando con l'altra mano con una ciocca dei suoi capelli. Jeremy invece appoggiò la testolina contro la sua spalla, sbadigliando. "Sono stanco, papà".

"Lo so, dormi ora".

Jeremy annuì, girandosi verso di lui. "Grazie per avermi aiutato".

"Te l'avevo promesso, no?".

Il bimbo ci pensò su. "Lo sai, quando sei arrivato ero preoccupato".

"Perché?".

Jeremy arrossì, giocando nervosamente con la stoffa della sua camicia. "Credevo che ci rubavi la mamma e che eri cattivo. Sai, quando non c'eri, se chiedevo di te, la mamma diventava triste e allora pensavo che eri...". Si bloccò, quasi in difficoltà, non sapendo forse che parole usare.

"Io non vi ruberò mai la vostra mamma, sta tranquillo! Siete i suoi bambini e non permetterebbe mai a nessuno, nemmeno a me, di allontanarla da voi". Ross gli accarezzò la guancia, colpito dalla sensibilità che Jeremy, nonostante i suoi cinque anni, stava dimostrando. Era davvero bello il rapporto che aveva con sua madre, come se ne preoccupasse e come se ne prendesse cura. "Credevi che l'avrei fatta soffrire?".

Suo figlio annuì. "Si. Sai, io e Clowance ci preoccupiamo per mamma e non ti conoscevamo. Avevo davvero paura, mica lo potevo sapere se eri bravo...".

"Hai ancora paura?".

"No! Adesso so che sei buono. E mamma è contenta!".

Sorrise, pensando che se Jeremy diceva che sua madre era contenta, doveva essere vero. Lo abbracciò, stringendolo a se. "Sono contento anche io e credo che tu sia stato davvero bravo, mentre non c'ero, a stare vicino alla mamma. Ora lo faremo insieme, d'accordo?"

"D'accordo!".

"E ora su, dormi".

"Si papà".

Nella stanza calò un silenzio tranquillo e dopo che i figli si furono addormentati, anche lui si appisolò con loro, cullato dal suono dei loro respiri.

Nella stanza c'erano un tepore rigenerante e un'atmosfera serena, stava talmente bene, in beatitudine, che quasi si spaventò quando, nel dormiveglia, sentì la leggera carezza di una mano sulla sua guancia. Aprì gli occhi, trovandosi davanti il viso di Demelza. "E tu cosa ci fai qui?" - chiese, sorpreso. Non doveva tornare in tarda serata?

Demelza si sedette sul letto accanto a loro e poi si stese, attenta a non fare rumore e a non svegliare i bimbi. "Ho seguito il tuo consiglio. Ho fatto quello che non potevo delegare e ho lasciato ai miei dipendenti della locanda l'incombenza di ordinare la merce necessaria alla ripresa dell'attività. Sono capacissimi di farlo e in fondo, non c'era bisogno che io restassi".

Era felice che fosse lì, con loro, e allo stesso tempo stupito che avesse lasciato un lavoro che adorava fare per tornare a casa. "Lo hai fatto a causa della nostra discussione di ieri sera?".

Demelza ci pensò su un attimo. "Si e no. Ci ho pensato e credo che tu abbia ragione, non posso starmene fuori casa tutto il giorno, lasciando te e i bambini da soli".

Si sentì in colpa, le stava stravolgendo la vita e la stava costringendo a fare, forse, cose che le potevano pesare. "Demelza, devi fare quello che ti senti, non quello che voglio io! Sono qui, sono con te e con i bambini e questo mi basta, non ho il diritto né di dettare le regole, né di sconvolgerti vita ed abitudini. Tu hai fatto già molto, mi hai perdonato l'imperdonabile e ti sei presa cura di me quando stavo male, senza farmi pesare nulla del nostro passato. Sono io quello che deve adattarsi a questa situazione, non tu".

Demelza sorrise, si voltò verso di lui e gli accarezzò una guancia, piano. "Non mi pesa essere tornata a casa prima, anzi... Mi piace stare con voi, siete la mia famiglia e essere una moglie e una madre è quello che ho sempre desiderato. Non i soldi, non il potere, solo l'amore di chi amo!".

"Ma il tuo lavoro?". Era bello quello che lei aveva appena detto, ne era felice, ma nonostante le sue parole, temeva che fosse tornata per le pressioni che le aveva fatto la sera prima.

Quasi presagendo quello che pensava, Demelza lo baciò sulle labbra. "Ho scelto di riaverti nella mia vita, di riprovarci, di trovare il coraggio per credere che potessimo farcela. E averti qui con me significa cambiare la mia vita, non in peggio ma in meglio, significa trovare compromessi fra quello che ero prima e quello che sarò con te, ridisegnare le mie abitudini. Non posso vivere come prima perché non è fattibile, siamo una famiglia di nuovo e io voglio farne parte il più possibile. Ieri sera avevi ragione, non posso ridurmi a stare con voi nei ritagli di tempo fra un impegno e l'altro, non posso e non voglio farlo".

Ross sorrise, stringendola a se, piano, per non svegliare Jeremy. "D'accordo, mi basta sapere che sei contenta".

"Lo sono. Io non ho mai desiderato essere ciò che sono ora, è successo quasi senza che me ne accorgessi o potessi evitarlo. Ma adesso ci sei tu con noi, posso contare su di te e devo fare delle scelte fra ciò che è necessario fare e ciò che posso e voglio delegare a qualcun'altro, mettendo da parte il mio orgoglio che mi spinge a voler fare tutto da sola. Sai, da quando sei tornato, certe volte mi fermo a pensare che vorrei tanto che tutto tornasse ad essere come a Nampara. Mi manca la nostra casa, quella vita, la Cornovaglia...".

Ross chiuse gli occhi, pensando che anche a lui mancava Nampara e mancava il vivere la sua famiglia in maniera più semplice, ma decise di non dirlo, di non forzarla a prendere decisioni di cui poi avrebbe potuto pentirsi. "A Nampara non eri nessuno, qui sei una donna ricca, potente e importante".

Demelza sorrise dolcemente, poggiando la testa contro la sua spalla. "Non è vero che non ero nessuno, a Nampara ero tua moglie, la madre di Julia e Jeremy e la padrona di Jud e Prudie. E questo per me voleva dire tutto".

"Potremo andarci quando vorrai, ti basta chiederlo".

Demelza annuì, accarezzando i capelli di Jeremy. "Lo so". La sua espressione divenne seria, cercò la sua mano e quando la trovò, intrecciò le dita con le sue. "Oggi ci ho pensato, sai? Al fatto che tu fossi preoccupato del fatto che uscire di sera, con Smith a piede libero, potrebbe essere pericoloso. E hai ragione! Non posso rischiare la mia incolumità, la tua e quella dei bambini, soprattutto. Vuole le azioni della Northern e credo che gliele venderò, mettendo fine a questa storia".

"E' quello che vuoi fare davvero?".

Demelza scosse la testa. "E' quello che devo fare".

Non era d'accordo, non del tutto. "Lungi da me voler mettere il becco nei tuoi affari ma ecco... io non venderei!".

"Perché?".

"Perché non è quello che vuoi e perché non è giusto vendere e chinare il capo davanti a minacce e violenza. Ho sentito parlare della Northern Bank in Cornovaglia, so che è una banca nata per aiutare non solo i ricchi ma che concede prestiti anche a persone meno agiate, dando a tutti le stesse possibilità, seguendo i dettami della rivoluzione francese. E' un'idea grandiosa e sono felice che tu abbia acquistato quelle azioni e che abbia creduto a quello in cui credo io. Tienile, se è quello che vuoi! Qui ci sono io a proteggervi e non permetterò a quel verme di farvi del male".

Demelza si strinse a lui, grata. "Quelle azioni non valgono nulla, non valgono il rischio".

"Ti sbagli! Se quell'uomo le vuole, quelle azioni devono valere molto invece".

Demelza annuì. "Sarai davvero la mia guardia del corpo?".

"Se lo vorrai...".

Sua moglie sorrise, furba. "E allora stasera verrai con me, assieme ai bambini!".

"Dove?".

"Alla riunione alla Warleggan Bank! Quella non posso evitarla ma è un buon banco di prova per vedere se riusciamo davvero a trovare una soluzione per conciliare la nostra nuova vita. E i bambini saranno curiosi di vedere dove lavoro, quando mi allontano la sera".

Ross spalancò gli occhi. Era pazza per caso? Voleva portarlo, coi bambini, a vedere George? "Demelza, credo sia una pessima idea...".

Sua moglie, per nulla scoraggiata dalla sua reazione, gli strizzò l'occhio. "Io invece, credo sia un'idea ottima e che sarà divertente. Ci stai, guardia del corpo?".

Lo guardò con uno sguardo dolce e complice allo stesso tempo, in quel modo tanto famigliare per loro e allo stesso tempo nuovo. Era da tanto che non erano così, sereni, affiatati, capaci di capirsi con un solo sguardo che sapeva valere più di mille parole. Si chinò, la baciò sulle labbra con passione e poi la strinse a se. "Beh, potrebbe essere divertente essere un principe azzurro e avere la mia damigella da salvare. E anche rivedere George, dopo tutto. Ci sto, questa sera si esce tutti insieme e si va a vedere una mamma che lavora!" - esclamò, osservando i loro due bambini che, incuranti, continuavano a dormire accanto a loro.

Demelza osservò i figli, ancora profondamente addormentati. "Com'è andata oggi, con loro?".

"Benissimo! Hai visto che bravo che è stato Jeremy? Ha disfatto tutti gli abeti".

A quell'affermazione, sua moglie rise. "Si certo, tutto da solo, magari...".

Finse di stare al gioco, anche se Demelza sapeva benissimo la verità. "Io e la principessina gli abbiamo dato una piccola mano".

"Clowance?". Demelza allungò la mano ad accarezzare i riccioli della figlia. "Non ci credo, LEI che lavora? Incredibile".

Ross ridacchiò. "E' stata magnanima. Vorrei lavorare anche io, ad essere onesto, ma i tuoi domestici me lo hanno impedito. Avevo in mente di tagliare gli abeti in giardino ma il tuo maggiordomo me lo ha praticamente vietato".

"Certo, gli ho detto io di farlo, sei reduce da un grave incidente, Ross".

"Ma ora sto bene" – obbiettò lui. "Da quando sei così apprensiva?".

Demelza gli diede una pacca sulla fronte, spingendolo sul cuscino. "Sono assennata, non apprensiva. E ora dormi, che stasera rimarremo fuori fino a tardi".


...


Cenarono presto e poi uscirono che era ormai buio. Le strade erano deserte e ai bordi c'era neve ghiacciata che conferiva alla città un aspetto quasi magico. I bambini, eccitati dall'uscita serale, correvano davanti a loro saltando sui mucchi di neve, contenti di vedere per la prima volta la loro mamma che lavorava.

Ross e Demelza, invece, camminavano più tranquillamente, mano nella mano, non perdendoli d'occhio. Faceva freddo ma era una serata tranquilla, rilassata, stavano bene e nemmeno l'idea che a breve avrebbero rivisto George riusciva a turbarli.

"Ogni quanto si svolgono le riunioni alla Warleggan Bank?".

Demelza gli strinse la mano, appoggiando la testa alla sua spalla. "A volte, passano mesi fra una riunione e l'altra. Non troppo spesso, in pratica".

Annuì, sollevato. Sua moglie era bellissima quella sera, altera e irraggiungibile come tutte le volte che l'aveva vista andare a qualche riunione importante. Ma stranamente, questa volta gli appariva meno estranea e non si sentiva disturbato dai gioielli e dai suoi abiti eleganti. Era lei, poteva essere vestita con abiti semplici o coi vestiti della regina d'Inghilterra ma era Demelza. La sua Demelza! L'unica che riuscisse a farlo star bene, a farlo sentire a suo agio e a farlo ridere, ed erano sentimenti e una predisposizione d'animo che per tanto aveva creduto di non provare mai più.

Quando giunsero davanti a un grosso edificio del centro, imponente ed elegante, Demelza chiamò a se i bambini. "Dovete fare i bravi e stare con papà. Qui non vogliono confusione, capito?".

"E se vollo qualcosa?" - chiese Clowance, succhiandosi il pollice.

Demelza la guardò, poi diede a Ross uno sguardo d'intesa. "Dovrai chiedere al signor George Warleggan, quello che siederà a capo-tavola. E' lui il capo".

"I capi sono tutti cattivi" – intervenne, Jeremy.

Ross rise. "Certo, hai ragione! Ed è per questo che veglieremo sulla mamma e terremo d'occhio questo George, per vedere che si comporti bene. E lo chiameremo ogni volta che dovremo dire o fare qualcosa. Capito?".

"Si".

Entrarono e Ross si sentì vagamente a disagio. Era un posto molto elegante e non riusciva a non ammirare Demelza che si muoveva in quegli ambienti con la leggerezza di una farfalla. Ci era abituata, era palese! Per anni lei aveva combattuto e contrattato con quelli che lui considerava avvoltoi e nemici, aveva ricattato George Warleggan e lo aveva messo all'angolo, concludendo affari milionari. E lo aveva protetto, lasciandolo libero di lavorare con calma alla Wheal Grace senza che quell'avvoltoio cercasse di portargliela via. Era affascinato da lei, la guardava ed era come vedere una dea, ne era totalmente, follemente innamorato e ancora una volta si maledì per il modo in cui l'aveva trattata, per come l'aveva fatta soffrire e per non aver capito pienamente quale tesoro rappresentasse per lui.

Salirono all'ultimo piano e, quando videro un gruppo di uomini davanti a una grossa porta in legno, prese i figli per mano.

Demelza si irrigidì, rallentò il passo e gli fece segno di seguirla.

"Demelza" – esclamò uno dei finanzieri – "Benarrivata". L'uomo fece per parlare, quando notò che non era sola. "E questi due bei bambini? I vostri figli, scommetto! Era ora che ce li faceste conoscere".

Demelza annuì. "Si, sono i miei figli, Clowance e Jeremy. Stasera ho voluto mostrar loro dove lavoro". Gli si avvicinò, prendendolo sotto braccio. "E lui è mio marito, Ross Poldark".

Al pronunciare quel nome, bianco come un fantasma, dalla porta aperta comparve lui... Ross si irrigidì, pensando a quanto lo odiava, a quanto aveva cercato di rovinare la sua vita e a quanto quell'uomo potesse detestare Demelza, per il ruolo che oggi ricopriva e che lo costringeva, di fatto, a scendere a compromessi con lei. "George Warleggan... Siamo vicini di casa e alla fine riusciamo ad incontrarci solo a Londra" – disse, provocatorio.

George, impallidendo, lo squadrò, prima di lanciare un'occhiataccia a Demelza. "Questo che cosa significa?".

Sua moglie, per nulla intimorita, si sistemò una ciocca di capelli dietro le spalle. "Mi ha accompagnata, Londra è piena di lupi e falchi famelici pronti ad attaccare, la notte. Ed è dovere di un marito proteggere la propria donna, non pensate? Questo non fa parte del vostro concetto di famiglia perfetta?".

George si morse il labbro mentre gli altri azionisti, presagendo aria di tempesta nell'aria, si rifugiarono nella sala delle riunioni. "Questo è il consiglio d'amministrazione di una banca fra le più importanti del paese, non un luogo di scampagnate per famiglie. Il fatto che voi abbiate portato qui vostro marito e i vostri figli, è assolutamente fuori luogo, tanto più che pensavo non foste più nemmeno una famiglia ormai da anni".

Demelza sorrise freddamente. "Vi sbagliavate e non mi pare di ricordare di avervi mai detto nulla di simile. E per il resto, non preoccupatevi, Ross e i bambini sanno che non devono interrompere la riunione".

George alzò lo sguardo su Ross, furente. "Avete capito, Ross? Silenzio totale, non dovrete metter becco in ciò che discuteremo qua dentro. E la prossima volta, fate in modo che vostra moglie venga scortata da una guardia, non voglio più vedere voi e i vostri bambini qui".

Ross annuì, divertito dal vederlo tanto fuori di se. "Sarò muto come una tomba e per quanto riguarda me e i bambini, non mi pare ci siano regole che vietino di accompagnare i propri cari ad una riunione serale. O sbaglio?".

George scosse la testa, non sapendo cosa rispondere, gli voltò le spalle e rientrò nella sala. "Come vi ho detto, pretendo silenzio. E ora entrate, diamo inizio all'assemblea".

Ross prese i figli per mano, entrò nella sala e si mise in un angolo appartato ad osservare sua moglie e quegli uomini, alcuni giovani e alcuni piuttosto anziani, sedersi a quel grosso tavolo dove, poteva scommetterci, si decidevano i destini di tante povere persone.

George aprì un grosso tomo, leggendo l'ordine del giorno. "Come vi ho anticipato per lettera, stasera approveremo l'esproprio coatto dell'area di St. Germaine per la costruzione di una nuova sede della banca. In quell'area ci sono solo baracche e togliendo quel marciume e i rifiuti umani che vi vivono, ridaremo lustro a tutto il quartiere. Soprattutto con il nostro arrivo che spingerà molti azionisti a guardare a quella zona con rinnovato interesse".

Ross strinse le mani dei bambini, rendendosi conto che quel verme, negli anni, non era affatto cambiato. Era arrogante, senza cuore e si ergeva a giudice e padrone delle vite di chi non riteneva alla sua altezza, calpestando le persone come fossero formiche.

Demelza lesse l'ordine del giorno, poi si alzò dalla sedia con un movimento veloce. "Dove devo firmare il diniego?".

Gli altri azionisti la guardarono, forse nemmeno troppo sorpresi da quella presa di posizione, mentre George tornava a farsi rosso per la rabbia. "Cosa c'è che non va? Vi siete eletta a paladina dei baraccati?".

Sua moglie sostenne lo sguardo di George. "Paladina dei baraccati? Non direi... Ma paladina del rispetto della legge, si! Quella gente è proprietaria di quelle baracche che, per quanto possano valer poco, rappresentano la loro casa. Ci sono molte aree da bonificare a Londra in cui costruire nuove sedi della banca, senza andare a distruggere la vita di gente che non può permettersi nemmeno di pagare un avvocato per difendersi".

"Signora, qui si parla di affari, non di buoni sentimenti!" - urlò George.

Demelza sbuffò. "Avete chiesto di riunirci per decidere, giusto George? Beh, il mio parere è negativo".

A quel punto, a sorpresa, George si voltò verso di lui. "Signor Poldark, vorreste per favore invitare vostra moglie ad essere ragionevole?".

Ecco, lì lo voleva. Lui e Demelza si lanciarono uno sguardo d'intesa che valeva più di mille parole, poi si rivolse a George col più amabile dei sorrisi. "Non mi permetterei mai di aprire bocca e di intervenire in una vostra riunione. E' giusto che stia in silenzio, come mi avete intimato poco fa. Sono solo un ospite, dopo tutto, e mia moglie è più che capace ad argomentare e decidere da sola. La vostra socia è lei, non io". Pensò che era una situazione stupenda, quella. Per la prima volta, senza violenza, senza pugni, senza urla, riusciva ad avere la meglio davvero su George e a metterlo in difficoltà, usando le armi di sua moglie: gioco d'astuzia, pazienza nel saper aspettare il momento giusto per attaccare, furbizia. Era fiero di lei, per come agiva, per come si poneva con quegli uomini d'affari, per come ragionava usando il cuore e non la logica del guadagno.

Clowance si liberò dalla sua stretta e, senza che riuscisse a fermarla, corse da George. Gli tirò la stoffa dei pantaloni, si imbronciò e si mise le mani sui fianchi. "Tu sei blutto! E guaddi male la mia mamma! Non-si-fa!".

"I vostri figli sono dei selvaggi!" - sbottò lui, prima che Demelza si avvicinasse e prendesse la bimba fra le braccia.

"Avete ragione. Quindi, visto che disturbano, è tardi e io ho già espresso la mia posizione a riguardo, ora vado a casa con la mia famiglia. Buon proseguimento di seduta George. Spero troviate una soluzione alternativa ai vostri piani circa la nuova sede, senza il mio voto favorevole non potete fare altro, temo". Senza aspettare risposta, Demelza gli volse le spalle, si avvicinò a lui e a Jeremy e, dopo avergli strizzato l'occhio, gli fece cenno di seguirla.

Se ne andarono insieme, percorrendo quegli eleganti corridoi, scoppiando a ridere come ragazzini quando furono in strada, di gusto, mentre i bambini li guardavano un po' confusi.

Ross rise, non aveva forse mai riso a quel modo. Si avvicinò a sua moglie e la abbracciò, trascinandola fra le sue braccia, rendendosi ancora una volta conto di quanto fosse stato folle quel suo antico amore per Elizabeth. Ciò di cui aveva bisogno era una donna vera come Demelza, non una bambolina da esposizione da mostrare ai ricevimenti. "Io ti amo! E ti adoro!".

Le braccia di Demelza gli cinsero la vita. "Visto? Te l'avevo detto che sarebbe stato divertente!".

"Santo cielo, lo è stato davvero! Anni passati a prenderlo a pugni e ad affrontare processi, quando avrei potuto semplicemente chiedere aiuto a te per metterlo al muro".

Demelza gli sorrise in un modo che non poteva che definire seducente. "Sei stato bravo anche tu, hai capito cosa dire, quando parlare e come stare al gioco. E la cosa bella è che nemmeno abbiamo dovuto metterci d'accordo".

Annuì a quelle parole, baciandola avidamente sulle labbra. Demelza lo lasciò fare, ma poi lo spinse leggermente indietro, osservando i bambini. "Ross, non siamo soli e i nostri figli ci stanno guardando".

Per nulla intimidito da ciò, si rivolse ai bimbi. "Posso baciare la mamma?".

Jeremy alzò le spalle. "Fa pure, ma poi andiamo a casa?".

"Certamente".

Vista la gentile concessione dei piccoli, la baciò ancora, a lungo, rendendosi conto che in quel momento si sentiva innamorato come un ragazzino, che era completamente soggiogato da lei, dal suo fascino, da ciò che rappresentava, da ciò che era diventata e da ciò che sarebbe sempre stata per lui.

Fu Clowance ad interromperli, stanca di aspettare. Tirò Demelza per la gonna, allungò le braccia verso di lei e sbadigliò. "Mamma, vollo andare a fare la nanna".

L'espressione di Demelza si addolcì, tornò ad essere una mamma, la prese in braccio e la strinse a se, baciandola sulla fronte. "Hai ragione piccolina, andiamo a casa".

Ross sorrise, si avvicinò al piccolo Jeremy e a sua volta lo prese fra le braccia. "E' tardi e dovete dormire in effetti". Col braccio libero, cinse le spalle a Demelza e in silenzio, rilassati e sereni, si avviarono verso casa costeggiando le placide acque del Tamigi. Non si parlarono lungo il tragitto, limitandosi a scambiarsi degli sguardi che volevano dire più di mille parole. C'era desiderio in loro, un disperato bisogno di stare insieme, di ritrovare davvero tutto quello che erano stati e che avevano rischiato di perdere, di recuperare il tempo perduto, di perdersi l'uno nell'altra per cancellare tutto il dolore, la solitudine e il male che li aveva divisi.

I bambini si addormentarono durante il tragitto e una volta giunti a casa, immersa ormai nel silenzio e nell'oscurità, li cambiarono d'abito e li misero nel loro letto senza che si svegliassero. Era ormai passata la mezzanotte, erano ancora piccoli, avevano corso come forsennati e non erano abituati a rimanere svegli tanto a lungo, erano stravolti.

Demelza si avviò verso la loro camera da letto, togliendosi di dosso, strada facendo, il mantello di pelliccia che aveva indossato per andare alla riunione.

La seguì in silenzio, come un cagnolino, ancora una volta incantato dai suoi movimenti lenti e forse studiati, dal suo modo di fare sicuro e dal suo sguardo dolce. In quel momento, si rese conto, era completamente in suo potere, lei avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa e lui l'avrebbe fatta senza battere ciglio.

Una volta in camera, chiusero la porta a chiave, lui accese il camino e Demelza, sempre in assoluto silenzio, iniziò a sbottonarsi l'elegante abito color avorio che indossava.

La fissò, attratto da lei come da una calamita. "Che te ne pare? Sono stato una buona guardia del corpo, stasera?".

Lei sorrise, togliendosi di dosso una collana. "Si, una guardia del corpo perfetta!".

"Bene. Vuol dire che so fare bene il mio lavoro".

Demelza si sedette sul letto, accavallò le gambe e lo guardò di sottecchi, con un modo di fare controllato e allo stesso tempo civettuolo. "E' l'unico lavoro che hai intenzione di fare, la guardia del corpo?".

A quella domanda si tirò su, si allontanò dal camino ormai acceso e la raggiunse, inginocchiandosi davanti a lei e prendendole le mani nelle sue. "Dipende da cosa mi chiederai di fare. Ricordi? Sono il tuo umile servo, te lo dissi tanto tempo fa".

Demelza ci pensò su. "Si, è vero! Ma poi te ne sei un po' dimenticato".

Raggiunse le sue labbra e le baciò avidamente. "Sei autorizzata ad essere violenta, se dovesse risuccedere".

"Fa in modo che non ce ne sia bisogno, Ross".

Si guardarono negli occhi e improvvisamente l'espressione giocosa sparì dai loro volti. Quella di Demelza non era stata una battuta ma un avvertimento e sapeva che lei aveva bisogno di certezze, che dietro alla potente donna d'affari che era diventata, c'era una donna piena di paure, ferita e tradita e che ora toccava a lui darle coraggio, fiducia in se stessa e in loro. "Non lo dimenticherò. Per tre anni non ho vissuto, è stata una non-vita la mia, piena di sensi di colpa, solitudine e dolore. Un dolore vero, non quello che posso aver provato al ritorno dalla Virginia, un dolore che mi toglieva il respiro ogni volta che pensavo a te e a quello che avevo perso, un dolore tanto forte da essere quasi fisico".

Demelza annuì. "Lo capisco cosa vuoi dire. Era così anche per me, ogni volta che ti pensavo e credevo che non sarei stata mai abbastanza bella, abbastanza amabile e che non mi avevi mai amato come amavi Elizabeth. E' stato così quando ho scoperto di aspettare Clowance e quando l'ho partorita e ogni volta che mi sono trovata a decidere qualcosa di importante riguardante i nostri figli e tu non c'eri per potermi confrontare. E' stato così ad ogni compleanno di Jeremy e Clowance e ogni volta che giocavo con loro e tu non eri qui. A me non importa della Warleggan Bank, delle azioni della Northern, del potere, del denaro, di questa casa e di quello che la gente pensa di me. L'unica cosa di cui mi importa ora siete tu, i bambini... Noi... Ho scelto di essere nuovamente tua, di fidarmi di me stessa più che di te, perché la cosa più difficile è stata convincermi che non era vero che ero seconda a qualcuno, che siamo una coppia imperfetta che ha sbagliato ma che ha saputo migliorarsi, crescere e ritrovarsi. Ti ho voluto di nuovo al mio fianco e ora mi farò in quattro perché le cose vadano bene perché per me, te... per noi... è l'unica cosa che conta".

Sorrise, baciandola sulla fronte. "Hai ragione. Siamo l'unica cosa che conta".

Demelza si lasciò abbracciare poi, come se fosse stata scivolosa come un'anguilla, si divincolò dal suo abbraccio. In piedi, a pochi passi da lui, ricoquistò l'espressione civettuola e divertita di poco prima. Lo stava decisamente, piacevolmente provocando... "Guardia del corpo, ora vorrei finire di cambiarmi d'abito, se permetti...".

Finse di stare al gioco. "Vuoi una mano?".

"Sono capace di farlo da sola...".

"Ma con me faresti prima".

Demelza si morse il labbro con fare sensuale. Era talmente irresistibile con quella sottoveste bianca e con quei capelli rossi che le ricadevano morbidamente sulle spalle, che non avrebbe risposto troppo a lungo delle sue azioni. "Fammi vedere che sai fare, allora".

Si mosse verso di lei, risucchiato da quello strano gioco di sguardi fra loro nato al termine di una giornata serena in cui si erano riscoperti amici, complici e inseparabili, una giornata passata a stuzzicarsi e a scherzare, a sognare che arrivasse sera per rimanere finalmente da soli. Si desideravano ed il desiderio era palpabile, forte, quasi tangibile in quella stanza. Le sfiorò le spalle, fece scivolare la sottoveste per terra e poi, dopo averle sfiorato i fianchi, costringendola ad arretrare, la spinse gentilmente sul letto. Lei lo guardò in attesa, senza dire nulla. La raggiunse, si stese sopra di lei e prese a baciarla con passione, costringendola ad arrendersi alle sue attenzioni. "Non avere paura, non mi dimenticherò più chi sei e cosa rappresenti per me" – le sussurrò, col fiato corto, fra un bacio e l'altro.

Demelza gli accarezzò con dolcezza i capelli e la nuca. "Lo so, sta tranquillo".

"Sai, amore mio, dopo Julia io ho avuto paura di diventare nuovamente padre e ora, in questo momento, con i nostri figli che dormono nelle stanze a fianco, mi rendo conto che non esisterebbe notte più perfetta di questa, momento più bello e magico di quello che stiamo vivendo, per un altro bambino. Ecco, pur con tutte le mie paure, la bellezza di quello che siamo ora mi farebbe superare ogni timore".

Demelza lo attirò a se, baciandolo avidamente. "Sai, credo che sia la cosa più bella che tu mi abbia mai detto...".

Calò il silenzio nella stanza e quello sguardo così disperato in cui si leggeva il loro bisogno di stare insieme, di ritrovarsi per davvero dopo aver vissuto un lungo inferno, si acquietò.

Così come lui aveva l'aveva aiutata a togliersi la sottoveste, lei fece lo stesso, facendo scivolare i suoi vestiti a terra. Si toccarono a lungo, si accarezzarono, fecero l'amore in una maniera totalizzante che annullò ogni pensiero, ogni timore, ogni paura e tutto il dolore che li aveva divisi. Era già successo tante volte, da quando si erano ritrovati, ma mai in un modo tanto intenso, passionale, dolce e allo stesso tempo selvaggio. Per la prima volta da quando si erano rivisti, avevano la convinzione che tutto fosse davvero alle loro spalle, che erano stati capaci di voltare pagina, capire i propri errori ed erano nuovamente pronti ad affrontare una vita insieme. Che non sapevano dove li avrebbe portati ma che sapevano li avrebbe visti per sempre uniti e capaci di affrontare ogni cosa.





  
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