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Autore: Holy Hippolyta    10/02/2017    0 recensioni
Dal testo:
Cambiare casa doveva essere un toccasana, invece scivolò sempre più inesorabilmente in un baratro di ricordi e rimpianti che lo inghiottivano come sabbie mobili. Restava bloccato a quel giorno uggioso, a quel momento, a quel corpo esanime.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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THE EMPTY HEART

PART 4 - YOU'RE NOT ALONE

Una settimana. Un’intera settimana. Tre giorni, quattro potevano essere accettabili… ma una settimana era decisamente troppo.

Non aveva sue notizie da quella sera. Forse aveva esagerato nel cercare di spingerlo a confidarsi con lei, però non aveva avuto idee migliori sul momento per indurlo a parlare. La persuasione e la dolcezza non avrebbero sortito effetto; o forse lei stessa si era scoperta impaziente e frustrata da quella situazione: veder soffrire l’uomo che amava e non poter fare niente…! Amava? Aveva detto “amava”? Sì, non c’era altro nome per descrivere il sentimento che la spingeva ad agire in quel modo. Era successo tutto assai velocemente, eppure le era nato così spontaneo e rapido l’attaccamento per lui che aveva sorpreso sé stessa. Riusciva quasi a vedersi come in una foto, in un futuro sereno e tranquillo, in una casa tutta per loro. Quel sogno era talmente realistico che le pareva di toccarlo e accanto a lei vedeva solo lui: John Watson.

L’aveva lasciato per troppo tempo con i suoi demoni e adesso doveva tornare in azione, salvarlo da qualsiasi cosa lo stesse tormentando. E se proprio la loro relazione doveva finire, che almeno glielo dicesse in faccia in maniera chiara. Anche se non avrebbe permesso che accadesse, non senza lottare.

Mary gli telefonò nuovamente ma rispose la segreteria. Per l’infermiera fu una conferma. Decise di recarsi direttamente sotto casa del dottore per affrontarlo di persona.  Preavviso o meno. Inoltre era sabato sera, per cui se non l’avesse trovato presso la sua dimora si sarebbe recata in quei due locali che solitamente frequentava.

Una volta davanti all’ingresso, citofonò. Non ebbe risposta. Ripeté il gesto… ancora nulla.

: “ John! – Lo chiamò ad alta voce – Sono Mary! Lo so che ci sei, per favore aprimi! John?” Ancora silenzio. La donna vide le luci accese e di certo lui era lì da qualche parte.

: “ Ho bisogno di parlarti… di vederti. Non è carino far aspettare una signorina ahah! “– Continuò provando a fare una battuta per alleggerire la tensione che percepiva. Non si mosse una foglia. Assunse allora un tono più serio – “Sono preoccupata per te. Non rispondi al telefono da quella sera… Volevo chiederti scusa. Perché non me lo permetti?”

Ebbe la netta sensazione che in qualche modo la stesse ascoltando da dietro la soglia che li separava, quasi si stesse barricando. Mary seguitò con emozione crescente: “ John Watson, apri questa porta! Se non lo farai… beh, io resterò qui ad aspettare, fosse anche per tutta la notte. Ne sarei capace, sai? Mi hai sentito? Io rimango! Non ho intenzione di lasciarti solo, perché tu non lo sei, hai capito?! Non sei solo! Qualsiasi cosa ti stia succedendo io…”

La frase le si bloccò a mezz’aria in quanto vide spalancarsi energicamente la porta e dall’altro lato il dottor Watson stava ritto di fronte a lei, talmente rigido che pareva sul punto di spezzarsi.

Mary trattenne il fiato per un attimo a quella vista. John era molto pallido, vestito come da lavoro ma trasandato, teso oltre ogni limite con le labbra strette in un’espressione lugubre e gli occhi lucidi. Con un sussurro che pareva l’eco dello schianto del suo cuore, le chiese: “ Puoi ripetere?”

Lei inspirò e affermò con sicura dolcezza: “ Io rimango. Non sei solo.”

Watson scrollò il capo, si morse il labbro inferiore e guardò a terra, spostandosi leggermente verso sinistra come per farle spazio. L’infermiera ne interpretò la prossemica ed entrò cautamente nell’abitazione fino ad oltrepassare l’ingresso, il quale fu poi richiuso da John.

Stettero davanti uno all’altra, muti, in un’atmosfera tra l’imbarazzante e il sospeso, i loro respiri congelavano l’aria e invano entrambi tentavano di trattenere l’affanno che li faceva palpitare. D’un tratto Mary ruppe quella bolla insonorizzata: “ John…”

: “ Dillo ancora.” Proferì lui, tenendo lo sguardo sempre in basso. Ad osservarlo da vicino, la bionda si accorse che il suo amato aveva cominciato a tremare. Era di certo sull’orlo di una crisi di nervi. Era giunto il momento.

: “ Non sei solo.”

Fu lì che la compostezza di John andò letteralmente in frantumi. Erano le parole che voleva sentirsi dire. Da giorni viveva l’inferno nel cuore, inutilmente si reprimeva e cercava di negarlo. Stava annegando e le lacrime che gli sorsero dagli occhi erano solo la superficie di quell’oceano in tempesta, frutto di lunghi silenzi e notti inquiete.

Mary gli si accostò e lo avvolse stretto nelle sue braccia tenendogli le spalle sussultanti mentre sussurrava: “ Sono qui, John. Non vado via. Non sei da solo. Sono qui...”

La stanza echeggiò dei singhiozzi nascosti, attutiti dalla stoffa degli abiti di lei, soffici e caldi come la sua pelle.

: “ S-scusami …” Balbettò ansimante intanto che celava il volto nell’incavo della spalla di Mary, vergognandosi di quello scoppio emotivo ma incapace di calmarsi da solo.

Lei scosse il capo e lo strinse più forte, rassicurandolo: “ No, no sssh… è tutto a posto. Va tutto bene, John. Adesso sono qui.”

John non riusciva più a smettere di tremare. Quelle parole l’avevano fatto crollare definitivamente: a lungo aveva cercato di trincerarsi innalzando un filo spinato attorno al dolore, senza capire che ne veniva ugualmente punto e grondava sangue. Le sue allucinazioni, i suoi incubi, la sua tristezza e i ricordi nostalgici lo stavano consumando e non sapeva, o meglio non voleva, chiedere aiuto. Sentire però il corpo di Mary, averla vicino, suo angelo e scoglio nella bufera del suo animo afflitto, gli aveva fatto toccare la sua disperazione e l’acqua melmosa che lo soffocava. Voleva essere salvato.

Tutto questo ovviamente non riuscì ad esprimerlo in maniera così chiara, potendo farfugliare frasi a metà nell’affanno del pianto che gli rigava le guance smunte e il respiro strozzato.

Nonostante ciò lei intuì cosa stesse passando, lo comprese e lo consolò facendo emergere il suo lato protettivo: gli accarezzò la testa, i capelli biondi e la schiena scossa dai singulti.

Dopo qualche momento, John si staccò dalla stretta mantenendo gli occhi coperti con una mano.

: “ Siediti, adesso. Hai l’aria distrutta. Ti porto un po’ acqua.”

Si lasciò condurre, stordito e atterrito dallo sfogo. Dopo aver bevuto assieme si sedettero sul divano: lui pallido come uno straccio e lei sbiancata dalla preoccupazione nel vederlo in quello stato.

: “ Mi dispiace …” Sussurrò Mary osservandolo di sott’occhi.

: “ No, non devi. Anzi dispiace a me che tu abbia dovuto vedere… di solito non mi lascio andare … - Replicò con tono sommesso, faticando a ricambiare lo sguardo. Principiò a raccontare, abbandonandosi alla corrente di pensieri che gli uscirono dalla bocca spontaneamente – La verità è che non sto bene. Sto malissimo. Il mio migliore amico è… morto. Si è suicidato mesi fa.”

Mary allungò una mano per stringere la sua che stava visibilmente tremando. Le stava aprendo il cuore e comprese quanto fosse complicato per lui, eppure con quel tocco volle da un lato assicurarlo di essergli accanto e dall’altro invitarlo a proseguire.

: “ Si è lanciato dal tetto del Saint Barts. Ero lì. Mi telefonò e mi impose di fissarlo. Mi salutò e si gettò.”

: “ Dio! È terribile! … ma perché lo ha fatto?”

: “ Disse che era un falso.  Sai, era un investigatore privato famoso in città ma la sua reputazione fu messa in discussione. Sono sicuro sia stato un piano architettato dal suo acerrimo nemico…”

: “ Un acerrimo nemico?” Ripeté ella.

: “ Pare assurdo però esisteva davvero. Ho rischiato di essere ucciso da lui almeno in un paio di occasioni.”

: “ Oddio…!” –  Esclamò Mary – “ Un attimo… il Barts? Ma è il luogo dove ti ho conosciuto, quando sei svenuto!”  

Egli annuì, dicendole che fu proprio quel luogo a farlo stare così male: “Era un uomo straordinario. La sua vita non era comune ed io ho avuto la fortuna di stargli accanto come assistente. Era pericoloso, eccitante, intrigante… mi sentivo vivo. Se non ci fosse stato lui non mi sarei mai riadattato dopo la guerra in Afghanistan.” – La donna annuì, sorridendo – “Vado ancora a trovarlo, alla sua tomba. Continuo a pensare che tornerà, che apparirà da dietro un albero, un palazzo o sa Dio dove. Lui era coraggioso, leale, brillante… anche un egocentrico bastardo insensibile e sociopatico. Ma era il mio unico… amico” La voce fu spezzata, come se una scheggia l’avesse iniziata  a tormentare. Le lacrime che avrebbe voluto cancellare riemersero dagli occhi con prepotenza.

: “ Ero così solo… non puoi immaginare quanto. I fantasmi della guerra, il senso di vuoto… tutto è tornato da quando lui è… non riesco a…” L’emozione si impossessò nuovamente del suo corpo e lo tenne prigioniero con le catene dei ricordi, interrompendolo. Morstan allora capì che l’unica cosa che poteva fare era abbracciarlo ancora, più forte, fargli sentire che in quella tormenta di emozioni c’era un posto sicuro: l’amore, e la pace sarebbe tornata presto nel suo cuore. John si lasciò afferrare e quasi cullare. Era un collasso nervoso potente che non gli accadeva dai tempi del post trauma dalla guerra.

I loro corpi di unirono in quella stretta, sprigionando un gentile calore protettivo e consolatorio che avvolse John, facendolo sentire per la prima volta dopo mesi di arrovellamenti al sicuro dalla sua stessa mente crudele, che gli riproponeva nei sogni o in allucinazioni ricordi dolorosi: “ Va meglio?”

Watson annuì a bocca chiusa, così si sciolsero e si fissarono negli occhi. Con sua sorpresa, il medico notò che anche le pupille della sua ragazza erano lucide e alcune goccioline le avevano rigato le guance : “ Oh Mary…” E con le dita le volle asciugare le lacrime.

: “ Non ti preoccupare, mi sono solo commossa. “– Si ricompose velocemente e gli domandò – “ Quindi è questo che mi tenevi nascosto. Il tuo grande segreto…”

John ridacchiò, volendo allentare la tensione: “ Già. Purtroppo non ho chissà quali scheletri nell’armadio. La mia vita era monotona e piatta. Con la scomparsa di… Sherlock, “ - Quel nome lo articolò con una gran fatica, avvertendone il peso che comportava nel pronunciarlo ad alta voce –  “ era crollata ogni cosa. Poi ti ho incontrata quel giorno e mi sembrava di avere ancora una speranza.”

: “ C’è sempre speranza, una seconda possibilità di tornare a vivere… ad amare. Sembra impossibile, si è schiacciati dal dolore della perdita però piano piano si torna a respirare. Ti comprendo bene, più di quanto immagini. L’unica cosa che mi addolora è l’averti visto soffrire per così tanto tempo senza saperne il motivo. Questa me la paghi, dottor Watson: mi hai fatto veramente preoccupare! “– Ribatté celiando, poi seguitando con intenzione – “Temevo che potessi cadere in un baratro di depressione, non volevo perderti… e non voglio. Ci tengo troppo a te. “

: “ Lo so. Mi dispiace tanto. Dico sul serio. Non volevo ma… era più forte di me. Faccio ancora fatica a pronunciare il suo nome. Come se una parte di me fosse morta con lui quel maledetto giorno. Non so quando, se mi passerà mai… Sono impegnativo, me ne rendo conto, e se vuoi lasciarmi per questo lo capisco e non ti biasimo affatto…”

: “ Aspetta aspetta – Lo interruppe – Pensi sul serio che ti possa lasciare? Dopo avermi detto questo?”

: “ Sarebbe logico. Sono un uomo distrutto, Mary. Vuoi stare davvero accanto a un rottame del genere?”

: “ Beh, parlandomi così non fai altro che attirarmi ancora di più. Quello che ho detto prima lo pensavo davvero: io rimango. Ok che ancora non ci conosciamo da molto però sento qualcosa e ….”

: “ Potrebbe essere per caso amore?”

Mary sorrise ambigua, celiando: “ Un po’ presto per dirlo ma credo siamo sulla strada buona.”

: “ Mi conosci così bene. Sono come un libro aperto per te. Da una parte mi spaventa.”

: “ Perché? Sai che adoro leggere.”

: “ Vero.” – Finalmente sorrise anche John, notando la prontezza della risposta. Seguitò poi –  “ Perdonami se ti ho fatto tanto allarmare. A questo punto siamo a quota tre.”

: “ Tre?”

: “ La terza volta che mi salvi la vita.”

 

Trascorsero tre mesi dopo quel chiarimento, durante i quali la loro conoscenza e il loro affetto s’intensificarono a tal punto che avevano fisicamente bisogno di vivere assieme. Nessuno dei due poteva tollerare oltre di essere in due case separate, darsi la buonanotte solo attraverso il cellulare e aspettare il giorno seguente per vedersi. John in particolare, dovendo ancora metabolizzare l’uragano di sentimenti che portava dentro, sentiva quella necessità. La notte, quando le immagini terribili del suo inconscio tornavano prepotenti, aveva la sicurezza che accanto aveva Mary, la cui forza gli era da esempio per affrontare il proprio dolore.

A lei non pesava quel compito, sebbene comprendesse quanto fosse impegnativo: doveva assisterlo emotivamente ed era la tipologia di cura più difficile e deliziosa al contempo. Fu proprio lei, la signorina Morstan, ad invitare il dottor Watson a vivere assieme nel suo appartamento. Era piccolo e modesto però sapeva che al suo amato non importava il fasto di una bell’arredamento.

Lo stesso giorno che gli fece la proposta, tornò presso la sua dimora e decise di iniziare subito a suddividere gli spazi affinché John vedesse tutto pronto. Era così eccitata ed energica che pareva una tortora super indaffarata a creare il suo nido d’amore. Nello scostare abiti, riposizionare i mobili, nascondere in scatole o profondi cassetti il suo disordine, mise mano anche alla piccola scrivania che utilizzava più che altro come “appoggia tutto”. Tra le riviste che comprava ogni tanto, giornali e libri, vide dei fogli racchiusi in una cartelletta blu. Vero… s’era dimenticata di aver lasciato quel plico proprio lì sotto! Fortuna che l’aveva ritrovato: sarebbero stati enormi guai se John l’avesse visto. Era in procinto di metterlo via insieme alle carte di cui voleva disfarsi quando fu spinta dalla curiosità di rileggere il contenuto di quei fogli, così aprì la cartelletta bloccata da un fermaglio ed iniziò a sfogliare: c’erano delle foto, una serie di dati, stampe di un sito internet dal titolo spiritoso di “ La scienza della deduzione”… niente di particolarmente segreto, specialmente per quanto riguardava il sito (che era pubblico), tuttavia Watson sarebbe rimasto assai turbato alla vista di un intero album dedicato al suo miglior amico Sherlock Holmes in mano alla sua fidanzata. Avrebbe sollevato delle giuste domande alle quali era meglio non rispondere. Non poteva certo dirgli che, fin da quando erano cominciati i primi incubi, aveva fatto una piccola ricerca ed aveva scoperto della presenza del consulente investigativo, della sua influenza su John e della sua tragica fine. Aveva esagerato certamente, durante la litigata da lei orchestrata quella sera, quando aveva riproposto la medesima scena del suicidio, però era stata mossa dalle migliori intenzioni. Lo aveva fatto per comprendere cosa doveva affrontare e soprattutto come relazionarsi con il suo caro dottore su quell’argomento così intimo per lui. Sì, intimo, perché aveva compreso bene la profondità della sofferenza dell’ex soldato e da questo aveva facilmente dedotto dell’importanza della figura di Sherlock, o forse era il caso di chiamarlo “il fantasma” del signor Holmes. Era abituata ad ottenere informazioni in maniera rapida e segreta. Si sicuro l’avrebbe perfino convinto a portarla a visitare la sua tomba. Si capiscono molte cose dal monumento mortuario ed era intenzionata a conoscere quel misterioso individuo, seppur attraverso dei ricordi. Aveva una grande capacità deduttiva e avrebbe indagato in maniera discreta. In passato lo aveva fatto spesso e su ben altre questioni.

In fondo non era necessario che John sapesse tutto su di lei… era anche questo parte del suo fascino, no? Sorridendo a quei pensieri, cominciò a stracciare in frammenti tutti i documenti contenuti nella raccolta e una volta ultimato li chiuse in un sacchetto e li gettò nella spazzatura, sapendo che già la mattina sarebbero passati a ritirarlo, incenerendo così ogni prova di quella sua ricerca.

John non avrebbe mai dovuto sapere.

 

   
 
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