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Autore: Koa__    16/02/2017    11 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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NB. Mi sono resa conto di aver commesso un errore ovvero non ho corretto la data nel Prologo (il 1701, che avevo inserito in un primo momento come riferimento generico). Quella corretta è il 1655.




 
 
La ballata di Victor Trevor
(Canzona d’un prete e d’un pirata)

 



 
Anticamente le persone, guardando la luna, erano suddivise in due gruppi:
quello di chi pensava semplicemente "è la Luna"
e quello di chi pensava: "la luna, ma che diavolo sarà?
[Leiji Matsumoto]
 



La casa nella quale John Watson viveva non era di notevoli dimensioni, tuttavia si poteva facilmente affermare che era dignitosa, pulita e sufficientemente grande da poter soddisfare le poche necessità di un uomo senza famiglia. Anzitutto c’erano due stanze non troppo grandi, ma piuttosto comode. Una, dentro la quale dormiva e che era la più piccola, aveva un arredamento spartano ed essenziale; era stata sistemata una branda al centro mentre sotto la finestra c’era un piccolo scrittoio. L’altra fungeva da soggiorno ed era relativamente più spaziosa, ma John non poteva dire di trascorrerci molto tempo. A dire il vero non l’aveva mai nemmeno sentita come casa propria; era un luogo in cui viveva e dove trascorreva le notti, la utilizzava per prepararsi da mangiare e poco altro. La sua concezione di casa era ben diversa e non stava certamente in quelle due piccole stanze. In compenso, però, quel piccolo luogo aveva anche qualche pregio. Il panorama, per esempio, era ottimo. Spalancando la finestra che dalla camera da letto s’affacciava sul retro si poteva ammirare lo scintillio delle acque della baia e certi pomeriggi, verso il tramonto, John vi si accucciava a fianco. Lì, appollaiato su di una sedia e con il solo e fidato diario a fargli compagnia, ammirava l’oceano con una vena accennata di malinconia. Il memoriale che ogni giorno si rigirava pigramente tra le dita era quadernetto elegante e di buona fattura, ma che da decisamente troppi mesi guardava senza interesse e sul quale ancora non vi aveva scritto nulla di sostanzioso. Era uno dei pochi oggetti che s’era portato dall’Inghilterra, assieme a un anellino appartenuto a sua madre, che conservava assieme alle monete d’argento e a quella collanina che teneva al collo che sua sorella gli aveva donato prima di vederlo partire per le Indie. John amava quel diario e al tempo stesso lo detestava, di tanto in tanto scarabocchiava una qualche annotazione, ma aveva a stento riempito la prima pagina. A caratteri grandi aveva scritto in bella calligrafia: “Appartenente a John H. Watson” badando bene di omettere il suo detestabile secondo nome e facendo sì che quella scritta prendesse più di metà foglio. Non che non amasse lo scrivere, al contrario gli era sempre piaciuto e fin da ragazzo quando si divertiva a intessere dei racconti più o meno fantasiosi e che riversava su carta avanzata da suo padre. Oggi purtroppo non succedeva poi molto nella sua vita, non tanto da perdere nottate intere chinato su dei fogli intento a raccontare di com’era andata la giornata. Nulla accadeva e al di fuori di sogni a occhi aperti e passeggiate, di vaneggiamenti sul pirata bianco o di un qualche lavoro da medico praticato a un bisognoso, l’esistenza di John era magra e solitaria. E forse era ciò che si meritava, pensò anche in quel momento accantonando subito l’idea. Non aveva tempo per sciocchezze del genere.

Le camere in cui viveva le aveva acquistate per pochissimi soldi da una grassoccia donna spagnola di nome Luz, con la quale si era accordato per cure gratis e un fitto mensile decisamente troppo basso. Al centro della piccola stanza da giorno c’era un tavolo e qualche sedia, mentre sul lato sinistro e poggiata al muro una sorta di cassettiera nella quale aveva sistemato pochi effetti personali. Carta, calamaio e penna erano gettati non ordinatamente sul tavolo, sopra al quale stava una candela, ora spenta data la luce del giorno ancora viva. Aveva cominciato ad abbozzare una lettera per Harrieth, ricordò, alla quale aveva deciso di scrivere per la prima volta da quando era partito da Londra, oramai più di un anno addietro. Non lo aveva ancora fatto e probabilmente mai più ci avrebbe provato, a stento era riuscito a buttar giù le prime righe salvo poi abbandonare ogni intenzione. Neanche a quello, però, John volle pensare. La prima cosa che si preoccupò di fare una volta dentro fu di serrare porte e finestre, le fattezze dei tre pirati erano ben note a chiunque nei dintorni e se un qualche passante avesse anche solo intravisto la sagoma del capitano, per loro sarebbe stata la fine e John sarebbe finito sulla forca assieme a Sherlock Holmes.
«C’è una botola nel pavimento» esordì, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. Soltanto a quel punto e mentre affondava il viso tra le mani, massaggiandosi la radice del naso, capì che quanto aveva appena fatto era reale e vero e che non si trattava di uno dei suoi sciocchi sogni. Allora, il peso dell’eccitazione provata durante la folle corsa, gli piombò addosso e parve volerlo schiacciare. Nell’esatto istante in cui aveva visto Sherlock Holmes fuggire, una qualche cosa nella sua mente era scattata. Aveva smesso di pensare e spinto dall’euforia e da quel brivido che soltanto da soldato aveva sentito, si era lanciato gettandosi nel buio più nero. Gli era piaciuto e tanto che si era sentito così vivo, come mai ci si era sentito da che viveva ad Antigua.
«Sta nell’altra stanza» proseguì, indicando la camera da letto con un cenno del capo. «È comoda per un paio di persone, ne sono certo perché l’ho scavata io stesso. Mi auguro vivamente che non finirà col risultare necessaria, ma non si sa mai» concluse, in un sospiro che lasciava chiaramente trapelare il disagio che sentiva. Dopo che ebbe pronunciato quelle parole, sussurrate a mezza voce e con evidente impaccio, un imbarazzato silenzio scese tra loro. Un non parlare scomodo e teso che pareva riuscire persino a intaccare la dura scorza dei pirati. Il boia infatti camminava nervosamente avanti e indietro, tormentandosi come se fosse stato un prigioniero mentre il prete taceva immobile, ma i tratti del volto lo facevano apparire agitato. Il solo che pareva goderne era Sherlock Holmes, lui che dallo sguardo sornione e con un appena percettibile ghigno in viso, sembrava sereno. A dire il vero, John evitò di guardarlo e con abilità leggendaria, al punto di forzare se stesso nel non posare gli occhi su di lui, decise che prestare maggiori attenzioni al pavimento fosse un’idea migliore. Sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo, prima o poi e che quello era un comportamento a dir poco sciocco, ma il pirata bianco aveva il bizzarro dono di metterlo a disagio, anzi pareva che lo facesse apposta. Naturalmente anche questa era un’idiozia, Sherlock Holmes stava semplicemente tentando di carpire quali fossero le sue intenzioni. Per fortuna fu proprio uno di quei suoi nuovi amici pirati a interrompere quel pericoloso ondeggiare di pensieri, spezzando ansie e paranoie in maniera definitiva.
«Cosa se ne fa un pescatore di una botola?» chiese il boia con un fare vivamente curioso, ma con ancora una punta sincera di diffidenza che era perfettamente evidente dal fare torvo. Oltre che dal modo che aveva di fissarlo, come se da un momento all’altro si aspettasse di veder la lama di un coltello o la canna di una pistola spuntare dalla casacca. Era perfettamente naturale che ancora non avessero rimesso su di lui ogni fiducia, erano pur sempre pirati e quella gente aveva imparato a guardarsi le spalle e a non affidare i propri averi, vita compresa, nelle mani di un qualcuno di appena conosciuto. Ben sapeva che quanto supposto proprio da uno di loro poco prima, nel vicolo (ovvero che fosse una trappola di Moriarty) potesse essere verosimile. John mai si sarebbe alleato con quel tale, ma comprendeva perfettamente la diffidenza e quel soppesare ogni gesto e parola con così tanta precisa attenzione. Buffo, sorrise a un certo momento, lui per tanti mesi si era comportato esattamente come loro con gli abitanti del villaggio, fidandosi a stento nel rivolgersi a loro. Com’era possibile sentire il proprio cuore tanto vicino a dei pirati? Erano malfattori e assassini, filibustieri della peggior specie ma quel non dar niente a nessuno, era esattamente la maniera in cui John aveva vissuto per gran parte della sua esistenza.

«Non sono un pescatore» precisò, tirandosi in piedi e senza preoccuparsi di nascondere d’essere offeso. «Pesco per procurarmi da mangiare poiché non tutti i giorni c’è qualcuno da curare su quest’isola e le persone a cui offro servizi medici non sempre mi pagano in denaro. Quindi no, non sono un pescatore.»
«E allora chi sei, fratello caro?» domandò invece il prete lasciandosi cadere su una delle sedie, prima di posare le mani in grembo e allacciarle in un groviglio di dita, quasi avesse intenzione di pregare. Quel prete aveva un’espressione paciosa e un sorriso largo e sereno, uno di quelli che avrebbe facilmente ritrovato in un monaco o in un qualcuno che portava abiti sacri non per via di un astruso piano, ma per vocazione. Non poté nascondere a se stesso che fu sul punto di ridere, lo strano comportamento e le parole così insolite uscite dalla bocca di un volgare pirata, erano divertenti, anche se poco ortodosse per un filibustiere. Invece che lasciarsi andare, però, si ritrovò proprio malgrado a riflettere. I tratti erano angelici, infantili addirittura. Era privo di barba e con una folta chioma di capelli biondi che stavano un po’ ricci sopra la testa, aveva labbra sottili, un sorriso ampio e sincero e un bel portamento. Era indiscutibilmente attraente ed esteticamente piacevole, lo era in quel paio di occhi azzurri e in quel non ben definito “qualcosa” che lo rendeva affascinante. Le maniere che aveva di porsi e il linguaggio che utilizzava avrebbero indotto chiunque a ritenere che, proprio come Holmes, avesse una sorta di istruzione. Tuttavia non era certo di aver compreso poi tutto di lui, al contrario c’era sicuramente più di un dettaglio che gli sfuggiva. Era quasi certo che quella tunica fosse una maschera e niente di più, ma al tempo stesso non riusciva a veder niente se non un uomo di chiesa. Ora che se lo trovava di fronte e che lo appellava con parole come fratello, che teneva le mani giunte mentre la croce in ferro gli penzolava dal collo, John si domandò se non avesse per davvero preso i voti. In tal caso, come poteva esser arrivato a imbarcarsi su di una nave battente bandiera nera? Decisamente, non era quanto i monaci facevano di solito.
«Tu sei per davvero un religioso?» domandò quasi senza pensare, lasciandosi andare all’insana curiosità che lo divorava.
«Religiosissimo, fratello caro. Ho preso voti cattolici, ho la croce e tutta quella roba lì» rispose con un invitante sorriso, contagioso come la peste più nera. «Vuoi che benedica la tua accogliente dimora? Che ti confessi così che la tua anima sia libera da ogni brutto peccato?»
«No, veramente io…» mormorò, tentando di ribattere mentre provava a capire se lo stava o meno prendendo in giro. Ne aveva la vaga impressione, ma di nuovo quel fondo di dubbio lo tormentava. Non riuscì a darsi una risposta e, sentendosi un idiota, riprese a fissarlo con la bocca spalancata e un fare confuso in viso.
«Su, coraggio, John» riprese il prete, intrecciando le dita come se stesse per invocare un inno «dillo a padre Victor e senza vergognarti di nulla.»
«Dire che cosa?»
«Con quante donne hai giaciuto? Qualcuna di queste era sposata?»
«Victor» mormorò il boia, con un basso ringhio di rimprovero e come se tentasse in qualche modo di zittirlo. Questi neanche diede segno di averlo sentito, quindi proseguì nello strambo sproloquio.
«Ce n’erano di vergini? Erano più d’una, non è vero? Fratello John, per l’amor di Cristo, dimmi che hai avuto almeno una vergine, te ne prego.»
«Non ho nessuna donna!» gridò, esasperato e talmente fuori di sé, da non badare alle guance ormai più rosse della porpora o al balbettare che lo aveva visto incepparsi più volte. Che razza di sconcezze erano mai quelle? No, quel Victor o come si chiamava non era affatto un religioso, né un santo. Tutte le impressioni avute erano decisamente sbagliate, aveva preso una cantonata ecco tutto. Quello che ancora non capiva era il motivo di un simile scherzo. Anche se… beh, erano pirati avrebbe dovuto aspettarselo.
«Ah, dunque preferisci gli uomini» proseguì il prete, o presunto tale, di nuovo senza mostrare vergogna.
«Ma tu sei sicuro di essere un uomo di chiesa?» domandò, per una seconda volta e per nulla preoccupato di sembrare sconvolto. Era decisamente stupefatto da quei discorsi privi di senso o dalla scarsa morale che mostrava. Il pudore non pareva nemmeno sapere cosa fosse. Ovunque, in Inghilterra, il fare discorsi di quel genere e con una tale volgarità avrebbe potuto costargli la prigione. John non poteva dirsi un fervido frequentatore, aveva perso la fiducia nell’uomo e nei santi già da tempo ma doveva ammettere che sui campi di battaglia aveva pregato più volte Dio di salvargli la vita. Non aveva frequentato la messa la domenica con assiduità, fatta eccezione per il periodo di infanzia e giovinezza, tuttavia sapeva quali tipo di discorsi facevano i religiosi e mai, mai ne aveva visto uno parlare a quel modo. C’erano particolari che lo turbavano, di Victor e innanzitutto il sorriso sornione e lo sguardo lascivo e lussurioso, tutti particolari che non riusciva a spiegarsi. Fu quasi tentato di domandarlo direttamente a lui, ma inaspettatamente fu il pirata bianco a rompere gli indugi.

«Victor Trevor, questo è il suo nome» esordì, con voce bassa e fioca, spezzando quel chiacchierare confuso con la decisione di un qualcuno che non è abituato a perdersi in sciocchezze. Un qualcuno ben allenato al comando e della cui capacità decisionale aveva fatto vita e sopravvivenza. Sherlock Holmes non avrebbe concesso interruzioni, né ammesso repliche di alcun genere e sebbene lo avesse appena incontrato, John ne fu più che certo. Irrimediabilmente o senza sapere come, se ne ritrovò nuovamente attratto.
«Inghilterra del sud e con contaminazioni francesi, come avrai notato dall’accento (perché tu fai caso a queste cose, giusto John?). Almeno, ci fai caso da quando sei qui nelle Indie... Mh, sarà interessante tornare in futuro su questo argomento, ora non è tempo di divertirsi. Dicevo, Victor è di ricca famiglia, come si intuisce. Ha ricevuto un’educazione mirata, è stato infatti destinato alla vita monastica sin dalla nascita da suo padre, uno stimato nobiluomo legato al cattolicesimo e in modo particolare ad Anna d’Asburgo, Regina di Francia all’epoca, amicizia che gli permise di venir introdotto già alla corte di Luigi XIII. * Comprenderai i doveri a cui è dovuto sottostare e specialmente se consideri che, per tradizione, in ogni generazione della famiglia Trevor un maschio deve prender i voti. Victor ha studiato le teologie e lingue latine e greche prima di venir ritirato in convento, ma non ne ha mai amato particolarmente certi aspetti.»
«Sì» annuì questi con sufficienza, sottolineando il fastidio per quei ricordi passati con un gesto stizzito della mano che andò a roteare sopra la sua testa, come se si fosse annoiato a solo pensarci. «La castità è enormemente sopravvalutata oggigiorno» proseguì, ridendo sguaiatamente mentre si rilasciava all’indietro contro lo schienale della sedia. «Papà e le sue regole… Ah, quanto poco mi manca!»
«Cosa gli è accaduto?» intervenne John, decisamente preso dal discorso. «Intendo, un uomo che prende i voti ed è di ricca famiglia di solito non finisce col fare il pirata.»
«Ma bene, John Watson» annuì Sherlock abbozzando un timido sorriso di compiacimento che, purtroppo, fece sparire sin troppo velocemente. Al suo posto tornò quell’espressione seria e concentrata, quasi dura in certi tratti degli occhi e che aveva imparato a conoscere da quegli ormai noti manifesti. Sembrava così simile a quel disegno, in quel momento, eppure tanto diverso da apparire come un’altra persona. Questa immagine di Sherlock Holmes era così troppo difficile da decifrare, che per eterni istanti non fece altro che domandarsi se mai sarebbe riuscito ad acciuffare almeno uno dei pensieri che faceva. Che strano e insolito uomo era, rifletté, era sì serio e aveva certamente dei tratti duri, ma c’era anche una leggera nota di divertimento in lui e che sembrava non avesse intenzione di lasciar andare. Inconsciamente, John gli sorrise in rimando e se soltanto lo avesse osservato meglio, se avesse trovato anche solo un briciolo di coraggio in più per sollevare lo sguardo su di lui, avrebbe notato un accenno di rossore divampare su quella pelle troppo bianca. Non vide niente e quel poco di debolezza sfuggita a un ferreo controllo subito svanì, dopo, Sherlock (come già lo chiamava nell’intimità della propria mente) riprese il discorso: «Ci fu la contessa non so cosa…» balbettò.
«La Contessa de Roux» annuì Victor, sorridendo di malizia. «Moglie di altrettanto conte e cornuto marito, aggiungerei perfino. Che Dio l’abbia in gloria.»
«Contessa de Roux» gli fece eco Holmes, incurante di commenti fuori luogo. «Moglie di un nobile francese alla quale lui faceva da confessore o, meglio, a cui avrebbe dovuto far da confessore. I due sono stati scoperti a letto e non dormivano affatto. Evitando di esser rozzi e così che tu possa capire meglio, John, possiamo ritenere che il qui presente Victor Trevor ama interpretare i passi del vangelo a proprio vantaggio, nel caso della moglie del conte ha preso fin troppo alla lettera certi aspetti del prendersi cura del prossimo.»
«Chiedete e vi sarà dato, dice il vangelo» aggiunse Victor, con fare di predica. «Ho applicato i dettami delle sacre scritture.»
«Blasfemie» tuonò il boia, severo e implacabile. «Ti sei portato a letto una donna sposata e smettila di essere così sacrilego» lo rimproverò ancora, venendo però quasi del tutto ignorato. Almeno, finché non si fece il segno della croce, a quel punto il prete sussultò come se fosse stato punto da un insetto. «Che Dio abbia pietà di me» concluse questi, facendo roteare gli occhi.
«Sei Grigio di nome e di fatto, Lestrade, dimmi ma ci sei nato noioso o lo sei diventato stando vicino a Sherlock il verginello? Cristo mio benedetto, giuro che è la volta buona che ti infilzo con la tua stessa spada» ribatté prima di sputare a terra in segno di disgusto.
«Smettetela» tuonò il pirata bianco, mettendoli a tacere una volta per tutte e riuscendoci chissà come. Sembrava nutrissero una sorta di reverenziale timore nei confronti del loro capitano. Il prete e il boia avrebbero dovuto conoscere capitan Holmes meglio di chiunque, era naturale per loro l’esserne tanto spaventati? Già, perché quella era paura, John la riconobbe così come riuscì a carpire la rabbia di Sherlock. Non se lo sarebbe mai aspettato, ma quella che vedeva era pura e semplice paura, che tingeva le espressioni del boia chiamato Lestrade e di un prete che aveva tutto tranne che del santo. John li vide irrigidirsi e zittirsi subito, chinarono quindi il capo e senza obiezioni.
«Successivamente, Victor è dovuto fuggire dalla Francia poiché il suddetto conte pretendeva che venisse appeso per la sua virilità a una corda e quindi issato, poi ci avrebbe pensato lo stesso conte a evirarlo e ucciderlo.»
«Fu detto: Occhio per occhio e dente per dente» profetizzò Victor, sollevando l’indice «ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. Dal vangelo secondo Matteo.»
«A parole, Trevor caro, son capaci tutti» intervenne il boia, ghignando. «La verità è che sei fuggito a gambe levate e che di porgere l’altra guancia neanche avevi l’intenzione, se non fosse stato per me e per Sherlock tu saresti stato seppellito con i tuoi preziosi gingilli conficcati in bocca» sentenziò, incrociando le braccia e mettendo una volta per tutte fine a quello strambo discorso che si concluse allora, con la viva e sincera risata di John che, ancora incredulo e stordito, si lasciò andare a un divertimento vivace e contagioso. Soltanto a quel punto l’atmosfera si distese mentre le risa si allargavano, divenendo quindi più lievi e infine spegnendosi in un pericolosissimo guardarsi che coinvolgeva unicamente Sherlock e John. Non ne conosceva le ragioni, ma era come se non riuscisse a levare occhi e i pensieri dal pirata bianco. Per fortuna, l’indomito pirata vestito da prete si zittì e nel mentre, John racimolava quel poco di coraggio che possedeva. Quanto stava per arrivare avrebbe messo in pericolo la sua stessa vita.
 


 
oOoOo
 


L’aver messo a tacere Victor Trevor e i suoi strani discorsi sulle donne, sembrò rasserenare l’animo scombussolato di John Watson, eppure non sortì totalmente un effetto calmante. Per certi versi fu allora che si ricordò il motivo grazie al quale era riuscito a portarsi a casa quei pirati, attirandone l’attenzione e c’entrava con quell’ingombrante peso che si portava addosso da troppo tempo e che sapeva fosse giunto il momento di condividere. Non seppe dire come, e in futuro ebbe maniera di rendersi conto che con Sherlock Holmes mai avrebbe avuto modo di comprendere del tutto come facesse a leggergli la mente, ma il pirata bianco sembrò intuire dove i fili dei suoi ragionamenti lo stessero conducendo. Successe che i loro sguardi s’incrociarono, di nuovo e di nuovo senza che John lo volesse per davvero o che riuscisse a controllarsi. Accadde da un attimo a quell’altro e quando i suoi occhi intrecciarono lo sguardo acceso e vivace del capitano, un brivido gli percorse le membra scivolandogli giù lungo la schiena. Il pirata voleva vedere la mappa, voleva che gli dicesse la verità ma in effetti, chi poteva dire fin dove i desideri di Sherlock Holmes li stessero spingendo. Avrebbe preteso che lo seguisse a bordo della sua nave? John non ci aveva mai riflettuto se non in quelle sciocche sue fantasie solitarie, ma se glielo avesse ordinato o anche soltanto domandato, non se lo sarebbe lasciato ripetere due volte. Anche se odiava i pirati e se mai si sarebbe fidato di uno di loro, anche se non una volta avrebbe riposto un qualcosa nelle mani di Sherlock Holmes, lo desiderava. Con ogni più piccola fibra di se stesso voleva seguirlo e fuggire con lui verso l’isola del tesoro.

«Lasciateci soli.» Fu Sherlock a spezzare ogni indugio, rompendo il silenzio teso, sceso ancora una volta in quella piccola stanza. Ordine che non venne accolto con gioia e al quale Victor e quel Grigio si opposero. Saltarono entrambi in piedi con un balzo scattante e sguardo contrariato, dissero la propria ben decisi a non dare a John troppo credito.
«No, capitano» sputò quel Lestrade, feroce.
«Il noioso sant’uomo al mio fianco ha ragione, capitan Holmes, dovremmo lasciarti da solo con uno sconosciuto che sostiene di essere un medico e un soldato? È chiaro che mente.»
«Dice la verità» sentenziò il pirata bianco, perentorio e senza mai levare gli occhi dalla figura di un John Watson che si stagliava dritta e rigida al centro della stanza. Pugni serrati, corpo fermo e solido e lo sguardo deciso di chi ha tutta l’intenzione di farsi credere o di non cedere a minacce più o meno velate. Era il soldato a prevalere in quel momento e la stessa stoica fermezza che gli aveva permesso di andare avanti a combattere, nonostante la pallottola conficcata nella spalla, anni addietro. Lo stesso modo di ragionare che non si era piegato di fronte a un cognato insopportabile e che lo aveva fatto fuggire lontano, a inseguire i propri sogni di avventure.
«Che sia stato un soldato è fuori da ogni dubbio» proseguì il capitano, portamento diritto e teso, sguardo acuto a sondare le espressioni dello stesso John, quasi beandosi del suo sincero stupore. «E lo si intuisce chiaramente dalla postura, ancora impostata in quella maniera. Non è stato congedato per sua volontà, lo hanno forzato ad abbandonare l’esercito. Nessun militare in pensione che è soddisfatto della propria carriera verrebbe nelle Indie Occidentali, pertanto lo hanno cacciato. Direi che è stato ferito in battaglia e c’è una sola ragione per cui l’esercito di Sua Maestà manderebbe a casa un giovane uomo ancora in grado di combattere l’ennesima stupida guerra: se non è più in grado di brandire una spada o imbracciare un fucile, una persona non vale niente per l’esercito britannico. Tzé, e poi mi chiedete perché faccio il pirata…  Quindi sì, era un militare ma è anche un medico e lo intuisco dalle erbe che sono stipate accanto alle pentole: sono tutte piante conosciute per esser curative, ma l’indizio più importante è la borsa. Ha un valore economico molto elevato, è in pelle pregiata e c’è un intarsio: JW dice la scritta ovvero John Watson. Segno che è stata fatta appositamente per lui, magari è un regalo, magari di un padre. I genitori sono sicuramente morti entrambi, altrimenti non avrebbe avuto cuore di venire fin qui, lasciandoli a morire di preoccupazione ancora una volta. Però deve avere almeno un fratello o una sorella. Direi che è una sorella, considerato il pendaglio appeso al collo e che porta la scritta “Harrieth” incisa sopra. Potrebbe essere un amore passato, lei potrebbe esser morta e quello un caro ricordo, ma un militare che ha combattuto nella guerra civile non ha avuto tempo di farsi una moglie e se è un amore di gioventù che non è più corrisposto, di sicuro lei non gli avrebbe donato un simile e costoso gioiello. Quella è fattura recente, il pendaglio non è rovinato o consunto. Quindi è una parente ed è sposata, detesta suo marito allo stesso modo di come tu, John detesti entrambi. Odi lui perché è un idiota, come lo so? Per rimanere in Inghilterra al giorno d’oggi bisogna esser degli stupidi, guarda mio fratello! Così odi anche lei per la scelta matrimoniale fatta e per l’aver sposato un uomo che di certo non la ama e che preferisce farle dei regali, invece che passare del tempo con lei. E poi se l’amassi sinceramente avresti concluso la lettera che hai al contrario abbandonato sul tavolo e che è lì da giorni, come lo so? L’inchiostro ormai è secco, la cera della candela che è colata sopra è già rappresa e poi la lettera non è terminata. Il che significa che è un qualcosa che ti sei deciso a scrivere per dovere e non per il piacere di farlo, perché nonostante tutto tieni ai valori familiari. Sei un sentimentale… Quindi no, Victor, John Watson non mente.»

Il silenzio che ne scese dopo fu differente da quello che sino a poco prima aveva tenuto loro compagnia. Non c’era tensione o preoccupazioni, ma soltanto stupore. La fiumana di parole uscite dalla bocca del pirata Sherlock Holmes risuonarono per infiniti istanti nella mente di John, che si ritrovò a boccheggiare quasi fosse stato lui stesso a parlare senza respirare una volta. Poi, la sensatezza prese possesso dei suoi pensieri facendogli comprendere quanto Sherlock era stato in grado di capire. Erano tutti particolari riguardanti la sua vita passata, i suoi sentimenti ed erano tutti dannatamente corretti, non c’era un errore che uno in quel discorso e persino l’odio per sua sorella era reale. Come poteva quel pirata aver intuito di lui simili dettagli? Com’era riuscito a sapere del suo odio per Harrieth da una collana o che i suoi genitori erano morti? Ma soprattutto chi era il pirata bianco? Ed era vero che possedeva poteri magici? Non ci aveva mai creduto perché erano sciocchezze, ma cominciava a pensare che potesse esserci un fondo di realtà in certe dicerie. Avrebbe voluto saperne ancora o che Sherlock facesse di nuovo quella cosa, perché mai nessuno lo aveva capito così bene. Tuttavia preferì tacere e non dire nulla, vedere Victor Trevor e il boia trascinarsi sino alla camera da letto adiacente e chiudersi la porta alle spalle, fu sufficiente a farlo tornare alla realtà. Ora erano soli e tanto sembrava bastare al corpo per tendersi e allo stomaco di serrarsi. Aveva paura? No, non soltanto. Quella che provava era anche eccitazione, la stessa sentita prima in quella piazza. La medesima emozione alimentata dalla corsa e da quel modo di cercarsi con gli occhi.
«E ora la mappa» disse a voce bassa e roca, carica di un fare mellifluo di cui John faticò a comprenderne la natura. Cercava forse di ammaliarlo? Dubitava, ma era emozionato e lo si vedeva perfettamente dagli occhi che scintillavano e dalla bocca incurvata in un timido sorriso, del tutto simile a quello che si era lasciato sfuggire prima. Questa volta, però, John riuscì a scorgerlo e infatti sorrise in rimando. Poi, però, le sue espressioni si fecero serie. Era giunto il momento.
«Prima che te la mostri, sappi che a nessuno ho fatto vedere quello che sto per far vedere a te» esordì a voce ferma, anche se appena nervosa. «Esiste una ragione per cui questa mappa è in mio possesso, non l’ho voluta ma ora l’ho con me e non posso liberarmene. Voglio soltanto una cosa da te.»
«Di che si tratta?»
«Venire con voi» annuì, deciso. Non si preoccupò di chiedere a se stesso se lo volesse davvero o meno, aveva smesso di fingere che non volesse aver nulla a che fare col pirata bianco. «Un medico vi sarà utile, presumo. Non ho mai navigato ma posso imparare e so combattere, anche se la spalla mi rallenta di tanto in tanto. Posso occuparmi della cucina se necessario.»
«Dita di ferro non ti farà mai entrare nelle sue cucine, John e ti consiglio caldamente di star lontano da quell’uomo se non vuoi ritrovarti sgozzato e issato sul pennone. Sarebbe capace di uccidere per un piatto di zuppa venuto male. Tutti noi gli stiamo debitamente a distanza.»
«D’accordo, d’accordo» disse, frettolosamente e con una punta in più di preoccupazione mista a divertimento «allora farò qualsiasi cosa, anche pulire il ponte o…»
«John» lo tranquillizzò Sherlock, senza aggiungere altro, salvo riprendere dopo qualche attimo. «Avevo già intenzione di portarti con me. Non puoi più restare ad Antigua, quando Moriarty capirà che ci hai aiutati (e lo capirà), non avrà pietà di te e io non posso permettere che nessun altro muoia a causa mia. Dell’oro non mi importa, puoi anche tenertelo, ma pretendo d’essere io a condurre la scoperta e a decidere ogni particolare della missione. Naturalmente terrò da parte un compenso per la ciurma, direi quasi una metà, se per te va bene. Che ne dici? Come accordo mi sembra equo. Una volta trovato l’oro bruceremo la mappa e tu sarai libero.»
«S-sì» balbettò, ancora più confuso «va benissimo.» Stava forse sognando? Un pirata, malvagio e cattivo, gli aveva appena detto che dell’oro non gliene importava? E che poteva tenerselo? I pirati non erano così, non si preoccupavano della ciurma al punto da mettere il loro compenso in un accordo come unico compromesso e non badavano alla vita degli altri (non se non avevano degli interessi o mire particolari). I pirati non cedevano un tesoro, non dicevano che non gli importava di pietre preziose e dobloni. I pirati non si scusavano e non parlavano di equità. Lo stava fregando in qualche modo? Magari circuendolo così che cadesse in una sorta di trappola? Era possibile, ma non vedeva niente di simile nei suoi occhi. Non c’era menzogna nel pirata bianco e non ce n’era nel suo sorriso o nello sguardo. Occhi che John vide allora e forse per la prima volta. Grandi, ampi, sinceri, già assurdamente diversi nei toni di colore, adesso ben più scuri e quasi di un blu profondo. Quello era lo sguardo di un uomo, non di un pirata, ma di un sincero, onesto e stupefacente uomo che gli chi implorava di fidarsi. Era uno sguardo che bramava un qualcosa di cui John aveva dimenticato forme e significato. Amicizia, Sherlock gli stava chiedendo di essergli amico e di salpare con lui per la prossima avventura.
«D’accordo» annuì John, prendendo un profondo respiro che non placò il tremore delle mani o l’agitarsi del cuore nel petto, che danzava furioso. Ispirò una seconda volta, ma le dita nervose e instabili non la smettevano di farlo sembrare un imbranato. Iniziò con lo slacciarsi il panciotto che portava sempre sopra la sottile camicia di lino. Bottone dopo bottone, fino a che non fu levato, quindi sfilato e gettato malamente sul tavolo. Non si preoccupò di sollevare il viso fino a Sherlock, già sapeva del suo stupore e del suo non riuscire a capire. Percepiva l’incomprensione su di sé, intuendola da quel “John” sussurrato a mezza voce. Sì, si stava spogliando, tremava certo ed era visibilmente nervoso, impacciato al punto da far fatica ad allentare i lacci che tenevano ferma la blusa. Ma aveva un reale e fondato motivo per farlo e sapeva anche che non sarebbero servite parole. Sherlock gli stava di fronte, proteso e con occhi grandi e spalancati, aveva una punta di rossore sulle guance che era decisamente deliziosa e un imbarazzo sempre più evidente. Si spogliò e lo fece lentamente e soltanto allora, dopo che anche la camicia fu levata, finalmente la mappa del tesoro fece la propria comparsa. Se ne stava lì e lì era stata per tutto il tempo, non vista, celata agli sguardi indiscreti, disegnata con precisione sulla rosea pelle di John Watson, medico e militare. Appena diventato pirata e con la mappa di un tesoro incisa nella carne e stampata a fuoco nella sua mente.
 

 
Continua
 


 
*Tutte le info su Luigi XIII e sua moglie le ho prese qui.

Due parole su Victor Trevor. Per quanto riguarda la caratterizzazione è in parte ispirata al personaggio di Mick Angel di City Hunter, ma soltanto da un certo lato. Su di lui vi voglio comunque avvisare, se siete persone particolarmente religiose o sensibili, di ponderare bene se proseguire o meno. Victor Trevor è un prete molto sul generis: beve, impreca e va a donne. La sua caratterizzazione verrà ampliata nel corso dei vari capitoli e parte della sua storia spiegata, però questo non cambia le cose perché tale resterà fino alla fine.
 
   
 
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