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Autore: Luxanne A Blackheart    19/02/2017    1 recensioni
Costantinopoli, 1518, Sublime Stato Ottomano.
Ibrahim Pargali Pascià, il Gran Visir, giunge a Palazzo Topkapi con un regalo speciale per il suo sultano. Si tratta di Roxelana, una schiava dai lunghi capelli rossi e la pelle bianca come il latte. Roxelana è stata venduta ad Ibrahim in cambio di soldi. Verrà condotta nell'harem di concubine di Süleyman il Magnifico. Nonostante l'amore incondizionato e puro che il suo padrone le dimostra, la rossa non si sente a casa, poiché non vuole essere una semplice schiava del piacere. Ella non vuole essere la favorita del sultano, vuole la libertà. Il suo animo ribelle e combattivo non si fermerà davanti a nulla pur di raggiungere il suo scopo: il potere. Non si fermerà neanche davanti all'omicidio e alla morte. A tutto ciò si aggiunge l'odio viscerale e l'amore proibito che le accecano la vista, emozioni che non sono destinate a Süleyman . Sentimenti contrastanti che la faranno impazzire.
Cosa rimarrà della schiava dai capelli rossi quando il destino chiederà il conto?
STORIA IN REVISIONE.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Medioevo
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Correva la ragazza dai capelli bianchi e la veste color del fuoco, incurante degli arbusti e dei rami sporgenti degli alberi che le strappavano la pelle, graffiandola violentemente e dei piedi nudi contro il terreno roccioso e irregolare. Ibrahim la osservava correre, mentre i lunghissimi capelli gli sfioravano il viso e la sua risata cristallina, risuonava per il silenzio della foresta. Gli sembrava di conoscerla, eppure non l'aveva mai vista in vita sua. C'era qualcosa nel suo modo di fare, nel suo profumo e nella sua risata che non riusciva a spiegarsi.
“Aspetta, ragazza, fermati e lascia che ti guardi!”, urlava il Gran Visir, cercando di raggiungerla, ma lei era sempre un passo avanti.
“No, non mi fermo, Ibrahim, continua a correre e stammi dietro!”, la ragazza si girò e Ibrahim poté notare solo una parte del suo viso. Aveva la pelle pallida e delicata, proprio come i suoi lunghi capelli ricci.
“Perché stiamo correndo, allora?”, domandò. La sua voce appariva attutita, come se fosse chiusa in una bottiglia di vetro.
“Non stiamo correndo, stiamo giocando!”, urlò la ragazza, girandosi verso di lui. Non aveva un volto o se lo aveva, Ibrahim non lo ricordava. “Vieni, avremo solo questo momento!”
“Perché? Che cosa succederà? Dove andrai?”, domandò il Gran Visir. All'improvviso si trovarono su una enorme spiaggia. Il sole illuminava tutto l'ambiente in modo accecante e l'acqua del mare era blu, cristallina e freddissima. Perfetta come quella della sua amata Grecia.  La sabbia aveva un meraviglioso colore dorato e ogni tanto vi si poteva trovare qualche conchiglia.
“Io da nessuna parte.”
“Allora perché hai detto così?”
“Ibrahim, perché parli da solo?”, l'uomo si girò di scatto e vide Roxelana, vestita di bianco e con il pancione, avvicinarsi a lui, lentamente. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e un enorme sorriso le incorniciava i lineamenti. Adesso che la gravidanza era in stato avanzato il suo viso  si era addolcito ed era chiaramente ingrossata, ma quei chili in più le donavano e la facevano sembrare più bella, le davano un certo calore.
“Non stavo parlando da solo, c'era una ragazza qui con me.”, borbottò, guardandosi attorno, ma la fanciulla dai capelli bianchi era scomparsa. Scrollò le spalle, afferrando la ragazza fra le braccia e stringendola in un abbraccio caloroso, stando attento al pancione. Infossò il naso fra i suoi capelli, annusandone il profumo. Continuava ad odorare di neve, dopo tutti quegli anni. “Non lasciarmi mai, mio amore.”
“Certo che non lo farò, siamo sposati. Il giorno in cui ci lasceremo sarà la morte per poi ritrovarci subito dopo. Mi dispiace per te, ma dovrai sopportarmi per sempre.”
“Che uomo sfortunato che sono!”, Ibrahim ridacchiò, poggiando una mano sulla guancia di Roxelana e baciandola sulla fronte. “Andiamo in casa, adesso.”
Ma i due non riuscirono a compiere un altro passo poiché furono attaccati. Uomini muniti di sciabole, che parlavano una lingua sconosciuta, che lui comprendeva alla perfezione. I turchi. Li accerchiarono prima che potessero fare qualcosa, Roxelana urlò quando due mani la afferrarono per le braccia, strappandola con violenza da lui. Ibrahim cercò di fare qualcosa, ma anche lui fu fermato. Urlò, si dimenò, cercò di fermarli ma fu impotente anche questa volta, mentre la donna che amava veniva uccisa davanti i suoi occhi. Roxelana cadde per terra; giaceva in una pozza di sangue con la testa staccata dal collo e gli occhi ancora aperti, mentre le braccia erano rimaste strette intorno al ventre, come per cercare di proteggere il bambino.
“Roxelana!”, urlò Ibrahim, straziato dal dolore mentre amare lacrime di rabbia e disperazione gli bagnavano le guance. Due turchi gli impedirono di muoversi, facendolo inginocchiare sulla sabbia ghiacciata e sporca di sangue, del suo sangue.
“Traditore.”, lo chiamavano, mentre lo costringevano a fare ciò che loro ordinavano. L'ultima cosa che vide, prima che la loro lama si abbattesse sulla sua gola, per subire lo stesso destino della sua amata, fu la ragazza dai capelli bianchi. Ed era così bella, che gli sembrò di osservare un angelo.
“Mi dispiace, angelo, ma devo andare.”
*** ***
Era incredibile come il tempo trascorreva, quando si aveva tutto ciò che si desiderava dalla vita. Roxelana, nel vedere crescere la sua pancia mese dopo mese, si sentiva sempre più mamma, sempre più buona, sempre più purificata dalle azioni malvagie che aveva progettato, fatto o solamente pensato. Quella creaturina non era ancora venuta al mondo e la stava rendendo una persona migliore. Si era particolarmente avvicinata con Hatice Sultan, più di quanto avessero fatto precedentemente, che ormai aveva superato la morte di Iksander, anche se si recava ogni giorno a lasciare dei fiori sulla sua tomba.
Tutto andava per il meglio, non c'era niente fuori posto e avrebbe continuato a sentirsi così per tutta la vita. Merito del suo bambino.
-Oh, Allah, grazie al cielo sei sola! - Ibrahim irruppe all'improvviso nella biblioteca, nella quale durante la mattinata Roxelana si recava per terminare i suoi studi sulla lingua e storia turca. Selim non c'era, aveva accompagnato la sorella al cimitero, che distava pochi minuti dal palazzo.
La rossa, nel vederlo entrare, sussultò per quanto era immersa nei suoi studi.
-Ibrahim, ma cosa fai? Mi hai fatta spaventare! Se ci fosse stato qualcuno qui con me, cosa ti saresti inventato?! -
-Non mi interessa. Ho fatto un sogno orribile e volevo solo assicurami che fosse una finzione e tu fossi ancora qui. - Ibrahim le si avvicinò e si inginocchiò; le accarezzò la guancia con la mano grande e callosa, mentre con l'altra il pancione.
-Che cosa hai sognato? Come vedi io sto bene, non devi preoccuparti. - Cercò di rassicurarlo la rossa con voce calma. Vederlo così sconvolto le faceva tenerezza, sopratutto se motivo di tanta preoccupazione era lei. In quei mesi Ibrahim le era sempre stato accanto, non facendole mai mancare le sue attenzioni e il suo amore. Fra lui e Selim, Hurrem non sapeva decidere chi sarebbe stato il padre perfetto.
-Ho sognato una ragazza, sembrava un angelo e te, con il pancione, e la Grecia. Eravamo felici, davvero felici e sposati. Ma la nostra felicità è durata poco, poiché loro sono di nuovo venuti a distruggere la mia vita, la nostra vita. Hanno ucciso te e il nostro bambino davanti ai miei occhi ed è stato così orribile, vederti morta e non poter, nuovamente, fare nulla per impedirlo, che mi ha sconvolto. Solo il pensiero di vivere senza di te, mi uccide. Sei diventata parte integrante della mia vita, tu e questi bambini che stanno per arrivare. Vivo solo per voi, perché vi amo. - Erano rare le volte in cui Ibrahim le diceva e pronunciava quelle parole, erano rare le volte in cui Ibrahim esternasse così i suoi sentimenti, ma ogni volta che lo faceva, il cuore perdeva un battito e sentiva, all'altezza dello stomaco, uno strano solletico che la faceva scuotere e sorridere. Sentirsi dire quelle due semplici parole dalle persone che più si amano, sentirsi ben voluti, amati, nonostante tutto e nonostante i litigi, sentirsi amati da Ibrahim Pascià, il freddo Gran Visir che l'aveva rapita, era la sensazione più bella e appagante del mondo, soprattutto perché quel sentimento era corrisposto. Lo amava, oh se lo amava e non avrebbe mai immaginato una vita senza la sua persona affianco, nonostante avrebbero continuato a vivere nell'oscurità della notte e nel silenzio. - Vivo solo per te, perché ti amo e sei l'unica persona in questo  mondo a rendermi veramente felice, a farmi adirare come pochi, ma nonostante questo, a strapparmi un sorriso il momento dopo, perché noi siamo fatti così, nonostante le nostre differenze di età e di cultura e di pensiero. Ci completiamo, siamo autodistruttivi, ma io amo te e tu ami me. Non importa quanto ci metteremo, ma un giorno staremo insieme. -
-Oh, amore... - Roxelana sorrise, asciugandosi una lacrima che le era scesa sulla guancia, furtivamente. - Dove sei stato per tutto questo tempo? -
-Sempre qui, ma eravamo troppo impegnati ad odiarci e bisticciare per rendercene conto. - Ibrahim sorrise, chinandosi e baciandole il pancione. Lo guardò, notando le scure occhiaie e i capelli sparati in tutte le direzioni, disordinati e neri, il contorno perfetto delle labbra e la folta barba scura. Era bello come sempre, nessuna differenza. Doveva solamente tagliarsi i capelli, poiché stavano diventando troppo lunghi. -Ad ogni modo, ho una notizia che ti renderà felice. -
-Avanti, allora, non farmi aspettare! -
-Io e Selim siamo riusciti a far approvare quella legge che hai presentato al consiglio. Non ci saranno più schiavi nell'Impero. Non ci saranno più persone come noi. - Ibrahim sorrise, notando la faccia buffa, misto tra felicità e incredulità, che si dipinse sul volto di Roxelana. Non riusciva a crederci, ormai aveva perso le speranze e dubitava persino che Selim avesse continuato ad insistere.
-Ma... Dici sul serio? -
-Sono serissimo. Questo era anche il motivo per cui ti sono venuto a cercare, pensavo Selim te lo avesse già detto. -
-Non abbiamo avuto modo di vederci oggi. E' stato tutta la mattinata fuori. Ma comunque è una delle notizie più belle che tu avresti mai potuto darmi! - Esclamò felice, buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte. Guardandosi intorno, gli stampò un bacio veloce sulle labbra, in preda alla felicità. Sapeva fosse rischioso, ma non aveva saputo contenersi. -Adesso verremo ricordati per qualcosa di buono, non saremo semplici nomi scritti sui libri, saremo qualcuno! -
-Tu, sarai qualcuno. -
*** ****
Selim aiutò la sorella dal rialzasi da terra, dopo che vi aveva posato una rosa bianca. Recarsi a trovare Iksander, dopo tutto quel tempo, era ancora un momento doloroso per Hatice e nonostante aspettasse un bambino dal primo uomo che amava, Iksander era stata una parte ugualmente importante per lei, che avrebbe comunque portato dentro di sé. Non si supera mai facilmente l'abbandono o la morte di qualcuno che si è amato. Lui sarebbe rimasto per sempre lì, nel suo cuore e nei suoi pensieri e il tempo non avrebbe cancellato via nulla, se non l'esatto colore dei suoi occhi, quel piccolo neo all'altezza del labbro, quasi invisibile, il taglio imperfetto delle labbra, le mani belle ed eleganti e la voce... Quella sarebbe stata la prima ad essere dimenticata.
-Va tutto bene, Iksander. Sono felice e Ibrahim mi tratta come mi avresti trattato tu. Mi manchi, lo sai questo, no? Ma il dolore adesso è diventato più sopportabile, anche perché mio figlio mi da la forza per andare avanti. Ritornerò da te, prima o poi, e allora continueremo a restare insieme. - Hatice si asciugò una lacrima, che Selim notò, ma fece finta di niente. Le teneva la mano, stringendola forte e cercando di darle tutto il conforto di cui era capace. Non voleva vederla soffrire, era la sua sorellina, ma sapeva che non avrebbe potuto difenderla per sempre, per quanto ci avesse provato. Il dolore, il soffrire, il piangere e l'essere tristi fa parte della vita e come esseri umani non si può solamente gioire, ridere ed essere felici. - Io, finché vivrò, verrò sempre a trovarti. -
-Andiamo? E' quasi ora di pranzo e nelle tue condizioni non dovresti allontanarti molto da Palazzo, sorella mia. - Selim le accarezzò la guancia, pulendole della leggera sporcizia nera, terreno probabilmente. All'improvviso si udì un cavallo giungere velocemente, sollevando una enorme polvere giallastra dal terreno. Selim guardò l'uomo, aggrottando le sopracciglia quando notò il simbolo del palazzo. Era un messaggero.
-Che cosa ci farà mai uno dei nostri messaggeri? - Domandò la principessa, tossicchiando.
-Ah, lo stiamo per scoprire, spero niente di brutto. - Borbottò il sovrano, pensando immediatamente a sua madre. La Valide Sultana non era stata molto bene di salute in quel periodo e aveva sofferto molto. I Guaritori sostenevano che non avesse ancora molto da vivere.
-Mio Magnifico, vostra grazia Hatice Sultan. - Il messaggero, col fiatone si chinò, porgendo un pezzo di carta, che portava il sigillo di Ibrahim. -Dovete immediatamente ritornare a palazzo. -
-Perché? - Domandò Hatice, guardando prima suo fratello, che era sbiancato all'improvviso nel leggere la lettera, e poi il servitore. - E' successo qualcosa a nostra madre, Selim? -
-No, si tratta di Hurrem. Il bambino... E' giunto il momento. -
-Come? Ma è solo al settimo mese! - Esclamò la ragazza, strabuzzando gli occhi  preoccupata e sbalordita. - Devi correre a Palazzo, Selim. -
-Non posso abbandonarti così, in mezzo al nulla. -
-Non sono da sola, ci sono le guardie e c'è anche lui adesso. Io sono al sicuro. Prendi questo cavallo e corri a palazzo, ci metterai di meno di quanto ci metteremmo con la carrozza. -
Selim annuì, sospirando. Puntò lo sguardo sul messaggero che si guardava le scarpe e gli disse: -Porta mia sorella alla carrozza e assicurati che sia sempre al sicuro per tutto il viaggio. Una volta che sarete giunti a palazzo, vieni da me e avvertimi, d'accordo? -
-Come desiderate, mio magnifico. - Selim baciò velocemente la sorella sulla fronte  e scattò verso il cavallo, diretto verso Palazzo Topkapi e dalla donna che aspettava suo figlio. Stava finalmente per diventare padre dalla donna che amava, l'unica, la sua rossa. 
*** ***
Quando giunse finalmente a palazzo le urla di Hurrem si sentivano ovunque. Urlava come una forsennata di toglierle quella cosa che sembrava la stesse mangiando viva, supplicava i guaritori di fare qualcosa, qualsiasi cosa, poiché il dolore era insopportabile e sarebbe morta da un momento all'altro.
-Oh, Ibrahim, grazie ad Allah sei qui. Cosa le è successo? E' troppo presto, è ancora al settimo mese! - Selim, tutto sporco e sudato, aggredì quasi l'amico per sapere delle condizioni della moglie e del figlio.
-Non sanno cosa possa essere successo, Selim. Il momento prima stava bene e quello dopo ha avvertito dei forti dolori e il suo vestito si è macchiato di sangue. Ero con lei quando è successo. - Ibrahim sospirò, scompigliandosi i capelli scuri. Quel giorno non indossava il turbante e i suoi capelli ribelli erano un cespuglio indefinito sulla testa, così come quelli lunghi di Selim. -Sono chiusi lì dentro da circa dieci minuti e Hurrem Sultan non fa altro che urlare.  Non possiamo entrare, il Guaritore mi ha detto che nessuno può entrare se non le serve stesse, che portano erbe, pezze e acqua calda. -
-Oh, Allah, spero che il bambino e lei sopravvivano. - Il sultano sospirò, guardando la faccia pallida di Ibrahim, che nella confusione e ansia generale non aveva notato. Sembrava invecchiato all'improvviso di tre anni ed era come se avesse paura di qualcosa, come se custodisse un segreto che nessuno doveva scoprire. - Non preoccuparti per Hatice, comunque. Starà arrivando da un momento all'altro e stava benissimo quando l'ho lasciata. Se adesso vuoi andare, puoi. Il tuo compito è finito. Ti ringrazio, fratello, per esserle stato accanto. -
-Non è stato un dovere, poiché nonostante tutti i nostri battibecchi, quello che lei porta in grembo è anche un membro della mia famiglia. - Ibrahim deglutì, schiarendosi la voce. Adesso sembrava sul punto di vomitare.
-Ibrahim, sei sicuro di star bene? - Domandò il sultano, poggiandogli la mano sulla spalla, preoccupato. - Sembri sul punto di svenire. -
-No, sto bene, non preoccuparti. - Ibrahim forzò un sorriso poco convincente. Le urla di Roxelana si placarono all'improvviso e Selim sospirò di sollievo quando si udì un piccolo e fatuo pianto di bambino. Il guaritore uscì dalla stanza, pulendosi le mani insanguinate sulla veste.
-Mio Magnifico, Gran Visir. - Pronunciò a mo di saluto, inchinandosi. - Congratulazioni, è un maschio. Ci sono state delle complicazioni. Il cordone ombelicale si era stretto intorno al collo del bambino e rischiava di strozzarsi, ma fortunatamente con il nostro intervento abbiamo potuto salvare il vostro erede. Sia madre, che figlio sono in ottima salute. -
-Grazie ad Allah, posso vederli? - Esclamarono in coro sia il Gran Visir che il sultano. Selim si girò per guardare divertito l'amico, che tossicchiò imbarazzato.
-Certo, ma fate in modo che la sultana non si muova troppo. Adesso deve stare a riposo, non alzarsi e non fare sforzi. E' molto debole. - Il Guaritore si inchinò ai due e si diresse verso le camere della Valide Sultana.
-Selim, potrei entrare con te? - Domandò Ibrahim, avendo perso completamente il senno e imbarazzato. Selim annuì, circondandogli le spalle con un braccio ed entrando assieme all'amico nelle stanze della donna. La sultana era stata vestita e le lenzuola sporche di sangue e di liquidi venivano proprio in quel momento portati via. Hurrem era stesa sul letto, pallida e con i capelli legati sul capo tutti sudati. In faccia aveva una espressione stanca, ma felice al tempo stesso. Una delle levatrici aveva tra le braccia il nascituro e lo dondolava dolcemente tra le braccia, cantandogli una canzoncina per farlo addormentare.
-Finalmente sei qui, mio amore. -  Sussurrò prima di addormentarsi. Selim andò dritto dalla rossa, accoccolandosi al suo fianco e accarezzandole la pelle delicata del collo, mentre le sussurrava qualcosa all'orecchio. Ibrahim li guardò con la punta dell'occhio, ricacciando dentro di se la gelosia, mentre si recava dalla levatrice e da suo figlio.
Era piccolissimo, così piccolo da poterlo quasi tenere con una mano, una creatura tanto minuscola da sembrare una di quelle bambole, che usava Hatice da piccolina per giocare.
-Ciao... - Sussurrò il Gran Visir, accarezzando la pelle delicatissima e tenera del viso di suo figlio, il suo primo figlio. Era diventato padre per la prima volta e non poteva urlarlo al mondo perché il suo migliore amico credeva fosse suo. Quella cosina così piccola non avrebbe mai avuto il suo cognome, non avrebbe mai scoperto quali erano le sue origini, nonostante nelle sue vene scorresse sangue greco e non turco. -Benvenuto al mondo, piccolo mio. -
-E' talmente bello, non trovate Gran Visir? - Ibrahim guardò la levatrice, sorridendole. Poi si raddrizzò e dopo aver salutato Selim, aver lanciato un'ultima occhiata a Roxelana, uscì dalla stanza. Aveva una commissione importante da svolgere.
*** ***
Quando Selim tornò in camera per portare la cena ad Hurrem, notò la porta semiaperta e delle voci provenire da essa. Non era in compagnia quando se n'era andato.
-Avrei voluto restare con te tutto il giorno, avrei voluto essere io quello che ti curava le ferite e quello che si occupava del piccolo quando tu dormivi. Sono stufo di tutto questo stare nell'ombra, di fare tutto di nascosto agli occhi di Selim. Vorrei gridarlo, urlare al mondo che ti amo e che sei mia. - Quella era la voce di Ibrahim, notò con orrore Selim. Ci mancò poco che gli cadesse il vassoio dalle mani.
-Non fare lo sciocco, Ibrahim. Non possiamo rinunciare a tutto questo, non adesso che la situazione è così delicata. Pensa ad Hatice... E poi io amo anche Selim, non solo te. Non possiamo fargli questo...-
-Se non fosse per lei, perché le voglio bene, ti rapirei e lascerei questo maledetto posto. Rinuncerei alla mia vita, solo per te. -
-Lo farei anche io, se non fosse per Selim e per il bambino. - Hurrem sorrise, afferrandogli la mano. Selim si sentì mancare ed ebbe dei conati di vomito. Non volle sentire altro. Poggiò il vassoio per terra e corse in biblioteca, sedendosi. Strinse i pugni e la mascella, ripensando alla conversazione avvenuta tra sua moglie e suo fratello, o quello che una volta reputava essere tale.
Era stato uno stupido, cieco e imbecille. Gliel'avevano fatta sotto il naso, trattandolo come un idiota, pugnalandolo alle spalle nei peggiori dei modi, lo avevano manipolato, gli avevano mentito! Loro, le persone per cui sarebbe morto e avrebbe ucciso, le persone che più amava al mondo.
No, bastava così; le cose stavano per cambiare, il suo animo e il suo cuore erano feriti. Voleva vendetta e avrebbe fatto cambiare le cose adesso. Era il sultano dell'impero più grande e potente del mondo, non un idiota qualunque da poter raggirare.
Il gioco, adesso, lo dirigeva lui.
 
   
 
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