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Autore: aphrodite_    19/02/2017    5 recensioni
Arriva un nuovo ragazzo a scuola determinato a rendere un inferno la vita di John. Chi l’avrebbe saputo che sarebbe finita così?
TRADUZIONE AU || autrice originale: johnandsherlocks - traduttrice: aphrodite_
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

RIASSUNTO: “Non sarebbe comunque finita bene.”
 
I'M LOOKING FOR SOMEONE TO LOVE

Il resto della settimana passò rapidamente. Sherlock non andò a scuola per tutta la settimana e John si chiedeva come mai suo fratello glielo permettesse. Ad ogni modo, si era abituato a vedere Sherlock ogni volta che tornava a casa, e sembrava che il moro conoscesse gli orari precisi di John, e che lo aspettasse... Per parlare? Per sistemare le cose? Certo che no. Lo faceva per ignorarlo e far sentire John una merda. E stava funzionando.
John entrò in casa, si costrinse a non guardare Sherlock e fece il possibile per ignorarlo, ogni giorno. A volte era facile, altre volte era difficile e non riusciva a resistere all’impulso di sbirciare dalla finestra, per vedere se fosse ancora lì, ad investigare.
La polizia sembrava persa, ci stavano mettendo troppo per risolvere il caso. Era Sherlock che li rallentava? John pensò che forse avrebbe dovuto andare per vedere se avesse ragione, o se Sherlock avesse bisogno di qualcosa, ma poi pensò e si convinse che fosse la peggiore delle idee.
John non poteva negare che quei giorni fossero stati infernali. Solo a scuola, solo a casa, solo, solo, solo. Percepiva il vuoto che Sherlock aveva lasciato, un vuoto che non sapeva riempire. E Sherlock sembrava così bello attraverso quella finestra, così brillante, intelligente, premuroso, attraente… Così vicino, ma molto, molto lontano da lui.

***

Era venerdì, Harry era seduta a tavola, accanto John, che la guardava con un sorriso dispiaciuto e lei, in risposta, sorrideva timidamente. John schiarì la gola. “Mi dispiace, Harry.”

Lei scosse il capo. “No, hai ragione. Hai ragione.” Quella era la prima volta in cui parlavano da quando John l’aveva chiamata ‘alcolizzata’.

 “Riguardo cosa?” Chiese incredulo, perché ultimamente non ne aveva azzeccata una.

“Sono un’alcolizzata.” Disse, facendo spallucce. “Ed ero arrabbiata, incredibilmente arrabbiata con te, ma poi ho capito che avessi ragione. Così sono andata via ed ho bevuto, tanto, e quella è stata una decisione stupida. Ma ho aperto gli occhi, credo. Quindi grazie. Ci proverò, davvero, lo farò.”

John sorrise. “Sarò sempre qui per supportarti, capito?”

Annuì, guardò in basso ed una lacrima le rigò il viso. L’asciugò con il dito velocemente, ma non abbastanza affinché John non lo notasse. “Hey, va tutto bene?”

Sollevò il capo, stava piangendo. John non aveva mai visto sua sorella piangere in quel modo. Era allarmante, strano. Scosse il capo. “Non è niente, sto bene.”

"Harry."

 “Io… Io sto bene.”

 “No, non è vero.” Disse John, guardandola.

 “Clara mi ha lasciato.” Disse all’improvviso, e sembrava un casino, ce l’aveva scritto in faccia.

John non disse nulla, così Harry continuò a parlare.

 “Ha detto di amarmi, ma che non può andare avanti in questo modo. Ha detto che sono un peso per lei. Un peso, ci credi? Ha detto che deve pensare, che ha bisogno di spazio. L’ho persa.” Disse perdendo il controllo delle lacrime che rigavano il suo viso.

 “Mi dispiace, Harry.” Disse John, perché davvero, non sapeva cos’altro dire. In quel momento non era la persona adatta per dare consigli d’amore.

 “Io… Devo andare in riabilitazione, e lo farò per lei. Lo prometto.”

John sorrise ed annuì. “Sono orgoglioso di te. E perdonami, ti prego.”

 “Certo, John. Almeno adesso posso guardarti senza darti un calcio sulle palle, e questo è un inizio.”

 “Grazie a Dio!” Disse John, abbozzando un sorriso.

Harry ridacchiò e ripulì le lacrime sul suo viso.

 “Dunque… Brutta settimana per l’amore, eh?” Disse John cercando di sembrare divertente, ma risultò malinconico.

 “Le cose non vanno bene?”

 “Non vanno bene.” John scosse il capo.

“Con il tuo teppistello?” Chiese Harry con nonchalance.

 “Per prima cosa, lui non è mio. Secondo, sì.”

 “Avete rotto?”

 “Per farlo avremmo dovuto avere qualcosa da rompere…”

 “Non sembrava così.”

 “Beh, lo è. Non c’è più niente. Abbiamo discusso. E’ furioso. Mi sta ignorando, e non posso biasimarlo. Ma è frustrante pensare che è qui, ad un passo da me, che si diverte, mentre io sto qui a pensarlo e…” Chiuse la bocca. Aveva detto troppo. E l’espressione di Harry lo confermava.

 “Cosa intendi con ‘non c’è più niente’?”

 “Non siamo niente e non c’è niente tra noi.”

 “Ma tu lo ami. No?”

Non aveva senso negarlo. Harry lo sapeva. L’aveva sempre saputo, lo sapeva ancor prima di John. “… Sì.” Disse esitante, ed arrossendo.

 “Allora c’è qualcosa. C’è l’amore. E l’amore è già qualcosa. E’ praticamente tutto.” Disse sorridendo.

 “Scusa, non ti seguo.” John scosse il capo.

 “Non rinunciare senza prima combattere, senza discuterne, John.” Disse Harry con convinzione.

 “Abbiamo discusso molte volte.”

 “Sai cosa intendo. Se ti piace davvero, allora non lasciarlo andare, non farlo. Non così.”

Aveva ragione. Aveva sempre ragione.

***

Centinaia di detective e giornalisti arrivarono nella casa accanto, ogni tanto si vedeva Sherlock, era molto serio. John pensò a come sarebbe stato bello esser lì con lui, in azione, concentrati. Era come uno show. Incredibile. Pensò alla conversazione che aveva avuto con sua sorella e decise che avrebbe lottato, non avrebbe lasciato perdere per una stupida discussione.
Vide Sherlock fuori, stava fumando una schifosa sigaretta. John indossò la giacca ed uscì di casa.
Prima di raggiungere la porta, prese un respiro profondo. Era nervoso. Pensò a cosa dire, ma non servì a nulla pensare. Aprì la porta. Sherlock stava fumando trepidamente. Aspirava, aspirava, aspirava, finì quella sigaretta troppo rapidamente e ne prese un'altra… Ok, John doveva parlargli subito.

 “Devo parlarti.” Disse John camminando verso Sherlock.

Senza guardarlo, concentrandosi sulla sua sigaretta, Sherlock rispose: “A meno che non debba parlarmi del progetto di storia, non sono interessato.” Gettò il mozzicone di sigaretta per terra, dopodiché lanciò un’occhiata a John, scuotendo il capo e dirigendosi verso la scena del crimine.

John lo afferrò rapidamente dal braccio, e lo riportò dov’era, ed improvvisamente Sherlock era molto, molto, molto vicino a lui, e Dio, gli era mancato quel profumo, quegli occhi, quel viso, quelle labbra. Smettila di fissargli le labbra! Si costrinse a guardare Sherlock in viso, ed incontrò i suoi occhi, gli occhi di Sherlock: fissavano le sue labbra. Era irresistibile.
Dopo un momento di silenzio, il moro guardò la mano di John e si scostò dalla presa muovendo violentemente il suo braccio. Guardò John con una strana espressione, con falsa ripugnanza. “Dammi un minuto.”

Sherlock sospirò ed alzò gli occhi al cielo con la sua espressione sherlockiana che ricordò a John i loro primi giorni. “D’accordo. Sputa il rospo.”

Scosse il capo. Sembrava inerme, disperato, ed odiava ciò. “Che stiamo facendo?”

 “Io sto investigando e tu mi stai interrompendo.” Disse Sherlock, fissando gli occhi di John.

 “No, tu stavi distruggendo i tuoi polmoni, ma lo sai già, e sai anche cosa intendo con quella domanda, quindi smettila di fingere e rispondi.”

 “Fingere, fingere, fingere. La parola della settimana.” Disse Sherlock con sarcasmo.

 “Rispondimi.”

 “Ti ho risposto.” Disse Sherlock, era pungente, senza cuore, serio.

John rimase immobile, cercando di comprendere. Non riusciva a trovare una risposta adatta alle sue parole. Fingere, forse era quello che stavano facendo.
Sherlock sospirò di nuovo. “Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati per studiare e mi hai chiesto di scegliere un argomento per il progetto di storia ed ho scelto Chimica anche se era un argomento che piaceva ad entrambi? Beh, stavolta è la tua scelta, John. Sta a te. Non sarò io a salvarci, questa volta. Scegli tu se farlo o no. Scegli quel che vuoi.” Sherlock si voltò.

 “Stammi a sentire.” Disse John alzando il tono della voce, e Sherlock lo guardò.

 “Ti ascolto.”

“Io… Mi manchi. Mi manchi da morire. Mi hai chiesto di decidere quel che voglio, e la risposta è semplice ed è la stessa che mi hai dato tu quando quel giorno ti sei scusato: io voglio te. Semplicemente. Ma ti voglio per quel che sei. Affascinante, intelligente, adorabile…”

 “… Teppista?” Disse Sherlock immobile, e John scattò. “Vedi? Non mi accetti per quel che sono!”

 “Non ho detto che non ti accetto!”

“Oh, ma per favore, i tuoi occhi dicono tutto quel che ho bisogno di sapere, John.” Disse Sherlock avvicinandosi, i loro visi si sfioravano ed entrambi si stavano guardando negli occhi. “… E se non mi accetti per quel che sono, allora no, grazie.”

 “Io…” John provò a parlare, ma non riuscì.

 “Non ti fidi di me, non ti fidi dell’altra parte di me. Lo vedo ogni volta che sto con te, hai sempre timore che io possa picchiarti, insultarti, o prenderti in giro. Tu non mi credi.”
 
 “Sherlock! Hai permesso che mi picchiassero! Pensi che io possa fidarmi così facilmente?!”
 
“Fai quello che vuoi.” Disse sgarbatamente. “Fai quel che vuoi ma lasciami in pace. Una volta per tutte. Basta creare false illusioni. Per te e per me. Non diventeranno mai realtà. Vedi?” Sorrise amaramente. “Ho scelto io per te. Ed è stata la scelta migliore.” Si voltò, ancora. “Adesso, se puoi scusarmi, sono occupato. Cose più importanti. Addio, Watson.”

John rimase lì, in silenzio, guardando Sherlock andare via. L’aveva lasciato solo una volta per tutte. Bella scelta. Eccetto una sola cosa: John non voleva, ma se era ciò che Sherlock voleva, allora doveva essere così. Sospirò, era arrabbiato, scioccato… Triste. Tornò a casa.

***

John sperava che le cose sarebbero cambiate almeno un po’ con la lezione di storia. Ma non fu così. Non appena entrò in classe, Sherlock era già lì e lo stava chiaramente ignorando. John pensò che preferiva quando Sherlock lo bullizzava, quando alzava gli occhi al cielo non appena lo vedeva, qualsiasi cosa, qualsiasi, sarebbe stata meglio dell’indifferenza. Prese il suo zaino e guardò Sherlock, che guardava il libro sul banco, stava leggendo o forse stava fingendo di leggere, John non ne era sicuro. Rimase lì a fissarlo e pensando a come fosse possibile che quel legame che avevano instaurato così meraviglioso, potesse essere finito, per poi fingere che non fosse mai accaduto. Non era giusto. Odiava ciò e voleva odiare Sherlock. Ma non ci riusciva.

Era ancora fermo lì, perso tra i suoi pensieri. Non sapeva da quanto fosse l, ma sicuramente da tanto tempo, perché il moro sollevò il capo e guardò John ed a John mancava da morire. “Ti serve qualcosa, Watson?”

John si schiarì la gola e si accigliò, non era abituato a sentirsi chiamare così da Sherlock. “La prima bozza del progetto deve essere consegnata tra due settimane. Dobbiamo metterci a lavoro.”

 “Dopo.”

 “No! Non può essere dopo! Non farò tutto all’ultimo minuto!”

 “Non so se lo sai, Watson, ma diversamente da te, io ho una vita al di fuori della scuola, e molte cose da fare. Ti ho detto che ce ne occuperemo dopo. Prendere o lasciare.”

John sospirò. “D’accordo. Ne parliamo dopo.”

 “Hm.” Sherlock annuì appena ed andò via, senza neanche salutare.

John sentì un groppo in gola. “Lascia stare, Watson. Lascia stare.” Disse a se stesso.

Doveva, in ogni caso.

***
Sherlock prese un respiro profondo e chiuse gli occhi non appena uscì dalla classe. Poggiò la fronte contro l’armadietto e rimase lì per un po’. Non si sentiva abbastanza forte per affrontare la giornata. Si odiava perché era così debole, perché permetteva al suo cervello di far spazio per John Watson.
Dio, aveva bisogno di una sigaretta. Da matti. Sperava con tutto se stesso che Jim & co. non fossero fuori a fumare, non voleva parlare con loro. Con nessuno. Con John.
Non appena arrivò al posto in cui solitamente fumava, accese la sigaretta ed iniziò a fumare con ansia. Odiava quando ne fumava una, e poi un’altra ed un’altra ancora ed un’altra ed il pacchetto era finito e non si sentiva per niente meglio. Era raro che accadesse. Depressione, attacco di panico, crollo psicologico. Suo fratello chiamava in diversi modi quella sensazione. Ma lui non si sentiva in quei modi.
Le lezioni erano terribili, trascorreva la maggior parte del suo tempo a cercare di concentrarsi effettivamente sulla lezione piuttosto che sui capelli di John, che voleva toccare in una maniera assurda, e sentire il suo profumo e Dio, quand’è che era accaduto tutto ciò? Quand’è che il gioco era diventato una cosa seria?
Pensò a quanto fosse stupido lasciare che sensazioni del genere pervadessero la sua mente per via di una persona. Una persona. Sentimento. Patetico. Era deluso da se stesso. Ma adesso si era svegliato. Si era tolto il velo dagli occhi, aveva realizzato quanto fosse inutile innamorarsi di qualcuno. Dannazione, no. Lui non si era innamorato di John. Si era sbagliato. Era fuori di testa, era pazzo.
Non voleva stare con John Watson, ovviamente.
Qualcuno si schiarì la gola, alle spalle di Sherlock, il quale si voltò immediatamente sperando che fosse John la persona dietro di lui, e si odiava per quel pensiero.

 “Bene, bene, bene, cosa abbiamo qui?”

Merda. Mr. Hikes.

Sherlock gettò via la sigaretta, la pestò. “Buongiorno, Mr. Hikes.” Disse sorridendo debolmente e cercando di sembrare quanto più convincente possibile.

 “Fumare a scuola? Che trasgressione, Holmes, che trasgressione.” Disse scuotendo il capo, chiaramente deluso.

 “Mi dispiace, Io… Ne sentivo il bis-“

 “Spero sinceramente che…” Mr. Hikes lo interruppe. “… Non ne sentirai il bisogno questo pomeriggio, durante la tua punizione.”

Sherlock smise di sorridere. “Punizione?”

 “Dovresti ringraziarmi perché non lo dirò al preside, Holmes.”

Sherlock chiuse la bocca immediatamente e realizzò che fosse meglio non contestare, perché Hikes aveva ragione e non poteva sopportare di essere cacciato via dalla scuola. Cosa che sarebbe sicuramente accaduta se il preside avesse scoperto quel che Sherlock aveva fatto. No. Doveva rimanere in quella scuola. Per John. Per nessuno. Per se stesso. Non per John, ovviamente. Annuì.

 “Bene. Ci vediamo in punizione. Adesso vai in classe.” Disse Hikes, con tono autoritario, dirigendosi verso l’entrata della scuola. Sherlock lo seguì, sospirando. Quante altre cose gli sarebbero andate male quel giorno?

***
L’ora di pranzò passò. Sherlock stava leggendo un libro, ‘On The Road’ di Jack Kerouac[1]. Stava aspettando pazientemente John, ma non c’era neanche l’ombra di lui, ed aveva senso, considerando che Sherlock gli avesse detto di farsi da parte e lasciarlo in pace. E la sua non-presenza era la risposta più razionale. Significava che avrebbe dovuto essere felice di ciò. Ma non lo era. Si sentiva infelice. E odiava quella sensazione.
Le persone andavano via dalla mensa e Sherlock sapeva che John quel pomeriggio avrebbe avuto l’incontro al club di chimica e sorrise perché John era così diverso da tutte quelle persone, da chiunque avesse conosciuto, era unico, speciale, intelligente…
John girò l’angolo e prese un respiro profondo. Sherlock sedette composto, chiuse il libro e lo guardò, senza sorridere, ma senza sembrare riluttante a conversare. John non lo guardò affatto, gli passo accanto, guardando dritto, senza neanche sbattere le palpebre, si stava chiaramente impegnando ad ignorarlo il più possibile. Sherlock aggrottò le sopracciglia e si morse il labbro inferiore, e tutto ciò che poteva vedere in quel momento era la schiena di John. Camminava determinato, ed era di fretta, chiaramente diretto al laboratorio di chimica fin quando non si perse tra la folla. Sherlock sospirò e si alzò per andare in classe. Sarebbe stato un lungo pomeriggio.
Quando entrò in classe, trovò Irene che sbirciava dalla finestra. Mormorò: “Buon pomeriggio.”

Lei sorrise ampiamente. “Ciao, Sherlock. E’ un piacere vederti.” E gli fece l’occhiolino.

Sherlock sorrise debolmente, quando Hikes entrò in classe, avrebbero dovuto organizzarsi per pulire i cancellini che lui e John non avevano pulito. Quella era stata una punizione piacevole. Questa sarebbe stata… Noiosa.

Non appena Hikes uscì dalla classe, Irene sedette sulla cattedra ed accavallò le gambe. “Quindi… Cosa ti porta qui?”

“Mh?” Disse Sherlock, era distratto, non voleva prestare attenzione ad Irene e preferiva pulire i cancellini in silenzio, in quel caso. Gli mancava John.

 “Ho detto perché sei qui? Perché sei in punizione?”

 “Fumo.” Sherlock fece spallucce senza guardare la ragazza. “Tu?”

 “Mi hanno beccata mentre baciavo un tizio nel retro della scuola.”

 “Chi?” Chiese Sherlock, era curioso.

 “Jim.” Disse con uno stupido sorriso.

Sherlock fece di tutto per nascondere il disgusto che stava per prendere il sopravvento. “E perché lui non è qui?” Era ovviamente un sollievo che Jim non fosse lì.

 “Hikes ha pensato che Jim avrebbe potuto aiutare in mensa.” Disse ridacchiando.

Sherlock rise appena.

 “Quindi… Hai fumato. Che cattivo ragazzo!” Disse arcuando il suo sopracciglio.

 “Avevo bisogno di una sigaretta.”

 “Davvero? Perché?” Lo guardò con sospetto. Come diamine faceva a sospettare le cose così facilmente? Quella ragazza era intelligente!

Sherlock contrasse le sue labbra e non rispose. Guardò in basso e rimase in silenzio.

La ragazza formò una grande “O” con la bocca. “Il ragazzo!”

 “Chi?”

Rise. “Oh, ti ha spezzato il cuore, non è vero? Ti avevo avvertito a riguardo, ricordi? E non eri ubriaco, credo.”

Sherlock scosse il capo.

Lei sorrise. “Cos’è successo al ‘sono stato informato di non avere un cuore’?”

 “Non ce l’ho, infatti.” Disse Sherlock, era serio.

 “Oh, Sherlock, sei così dolce.”

Beh, quella era la prima volta; Sherlock era stato chiamato in molti modi in vita sua, ma non era mai stato definito “dolce”.
 
“Dolce?” Disse confuso.

 “Che è successo tra di voi?”

 “Abbiamo discusso.”

 “Ammetto che l’avevo previsto. Non sarebbe comunque finita bene.”

Irene aveva ragione.

 “Credo tu abbia ragione. Non sarebbe finita bene.”

Annuì e si avvicinò a Sherlock. “E’ qui?”

“Ci siamo solo io e te, qui.” Disse Sherlock con un’espressione rivolta ad Irene che recitava la frase: non essere idiota.

 “Intendo qui a scuola!”

Sherlock avrebbe dovuto dir di no. Mentire era la cosa più giusta da fare. Ma chissà come, non riuscì a farlo. Non riusciva a mentirle. Perché? Rimase in silenzio cercando di pensare.
Il suo sorriso divenne più ampio, si avvicinò ancora a Sherlock. E Sherlock realizzò che non gli piaceva che le persone si avvicinassero a lui, a meno che non fosse John a farlo. E buon Dio, perché continuava a pensare a John?!

Toccò la gamba di Sherlock e poggiò la sua mano lì. Poi sussurrò al suo orecchio: “Lo sai che posso aiutarti? Vuoi farlo ingelosire? Vuoi vedere quanto tiene a te?”

E Sherlock annuì. Non avrebbe dovuto farlo.

 “Chi è? Andiamo, Sherlock. Dimmelo. Chi ha spezzato il tuo cuoricino?”

Sherlock scosse il capo.

 “Allora mi dispiace, non ti aiuterò.”

 “Non ho mai chiesto il tuo aiuto.”

 “Ma ti serve.”

Ed ancora, Irene aveva ragione. Perché aveva ragione in tutto quel giorno? E se le persone avessero capito che Sherlock fosse innamorato di qualcuno? E se avessero capito che quel qualcuno fosse un ragazzo? No. Aveva una reputazione. E se l’avessero scoperto, avrebbero fatto del male anche a John. Era la scelta migliore, l’aiuto di Irene. Come aveva fatto a non pensarci prima?

 “Mi ‘spiace, non posso dirlo.”

“Mi ‘spiace, non ti aiuterò.” Disse Irene, con determinazione.

 “Irene… Ti prego?” Sherlock odiava pregare la gente.

 “Sono disposta ad aiutarti, Sherlock, ma prima vorrei sapere con chi ho a che fare! Sono solo curiosa.” Gli fece l’occhiolino.

 “Non lo so…” Sherlock stava esitando.

 “Andiamo, sai che riesco a mantenere i segreti, non ti fidi ancora di me?”

Sherlock sospirò. Rimase in silenzio per un attimo. “John Watson.”

Irene sorrise, sorrise divertita, e non sembrò sorpresa neanche per un secondo.

***

NOTE: [1] Sulla strada (titolo originale: On the Road) è un romanzo autobiografico, scritto nel 1951, dello scrittore statunitense Jack Kerouac, basato su una serie di viaggi in automobile attraverso gli Stati Uniti, in parte con il suo amico Neal Cassady e in parte in autostop. Maggiori info: QUI.

NOTE 2: AAAAAH. Irene. Quanto posso odiarla?! L’ho odiata come personaggio su Sherlock, e la odio anche qui in questa fan-fic. E’ insopportabile… E coprirà un ruolo importante in questa storia, quindi non scordatevi le sue parole! John che ignora Sherlock e Sherlock che si mangia le mani perché viene ignorato… Rido. Sembrano dei bambini, sono teneri. Cosa ne pensate voi? Spero vi sia piaciuto il capitolo, so che avrei dovuto pubblicarlo ieri, ma purtroppo sono alle prese con lo studio! Oggi stesso inizierò a tradurre il prossimo. Buona domenica e buona lettura! Baci xx
  
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