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Autore: TimeFlies    20/02/2017    2 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a paper moon- capitolo 38


                                                    

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38. Adam 

«Ho un messaggio, da parte di Colin.» Annunciò Nathan.
Tutta l’ironia era sparita dal suo viso lasciando il posto ad un’espressione seria che non gli si addiceva. Lo faceva sembrare più vecchio, quasi sciupato.
Accanto a me, Sean era guardingo, i muscoli del collo in rilievo per la tensione. «Hai intenzione di riferirlo o no? Non ho tutto il giorno.» Ringhiò, eppure, nascosta sotto l’apparente disprezzo, c’era una punta d’ansia.
Un angolo della bocca del cacciatore si arricciò in una smorfia. «È un ultimatum. Colin vuole qualcosa di concreto entro una settimana.»
Di colpo, mi sentii la bocca secca come sabbia. Avevo improvvisato l’accordo fino a quel momento, cercando di prendere tempo per elaborare una vera e propria strategia, ma non avevo niente, non ancora almeno. Pensavo che saremmo stati noi a gestire i tempi, l’annuncio di Nathan ribaltava completamente la situazione.
«Altrimenti?» Riuscii a chiedere prima di deglutire.
Lui lanciò un’occhiata veloce a Scarlett per poi sospirare. «Altrimenti riaprirà la caccia.»
Al mio fianco, Scarlett trattenne il fiato. Sean serrò la mascella, un lampo d’oro che gli attraversava le iridi. Era in momenti come quelli che tutto il suo lato protettivo veniva fuori, tutte le promesse che aveva fatto sul tenere al sicuro il proprio branco si convogliavano nel suo sguardo, determinato e fiero come quello di un lupo.
«Se dovesse farlo, sa che non ci rintaneremo come conigli spaventati, vero?» Domandò, la voce lenta, misurata. «Sarà una caccia senza ruoli prestabiliti.»
Nathan si passò una mano tra i capelli, sembrava stanco adesso, di quella stanchezza che non puoi guarire dormendo, che ti entra nelle ossa e vi si aggrappa in modo doloroso. «Credo che ne sia consapevole, che tutti lo siano. Vogliono mettere fine a questa storia tanto quanto voi.»
«E sono pronti ad uccidere per farlo?» Chiese Scarlett, i grandi occhi scuri velati di paura.
Il cacciatore evitò di guardarla. «Ecco…»
«Certo che lo sono. Lo fanno da una vita.» Sbottò Sean coprendo la sua voce. «Se il tuo capo è così convinto di quello che sta facendo, bene, vuol dire che in una settimana sapremo chi vivrà. E ti giuro che questa volta nessuno di voi sarà in grado di andarsene sulle proprie gambe.»
Fu come se le sue parole abbassassero la temperatura in tutta la radura cristallizzandola. Nel sentire la rabbia gelida e assoluta che dominava la sua voce ebbi la conferma che Sean Leblanc poteva distruggerti, annientarti e ridurti all’ombra di te stesso esattamente come poteva dare la vita per te, lottare per difenderti anche contro tutto il mondo. Era l’alleato perfetto, ma era anche il nemico peggiore che potesse capitarti di incontrare.
Nathan schiuse le labbra prima di deglutire. «Riferirò.» Il suo fu un mormorio appena udibile nel frusciare degli alberi.
Sean sollevò il mento, l’espressione arrogante e vagamente annoiata di un principe. «Puoi andare adesso.»
Il cacciatore scoccò un’occhiata di sottecchi a Scarlett ed esitò, combattuto. Sembrava sul punto di dire qualcosa, le parole però gli rimanevano impigliate in gola. Dopo qualche secondo, espirò con fare frustrato e si voltò per allontanarsi a grandi passi. Solo quando sentimmo il rumore di un’auto che si allontanava riuscimmo ad allentare un po’ la tensione.
Sean buttò fuori l’aria in uno sbuffo rabbioso fissando il punto in cui Nathan era scomparso tra gli alberi. Scarlett sembrava pietrificata, lo sguardo lontano e reso più scuro da un’ombra.
«Una settimana…» Sussurrò quasi stesse pensando ad alta voce. «Possiamo… possiamo fare qualcosa in una settimana?» Aggiunse poi voltandosi verso di me.
Mi morsi il labbro sentendo un retrogusto amaro in bocca. Il piano era mio, era ovvio che chiedesse a me, ma io non avevo niente, né rassicurazioni né strategie. Avevamo soltanto una scadenza adesso e sembrava pericolosamente vicina.
«Certo che faremo qualcosa.» Dichiarò Sean, il tono fermo di chi non prende neanche in considerazione altre possibilità. «Non toccheranno nessuno di voi.»
Allungai una mano e strinsi quella di Scarlett, che mi rivolse un sorriso sbilenco.
Sean osservò quel gesto con imperioso distacco. «Dovresti dormire un po’ tu.»
Lei si lasciò sfuggire una smorfia. «Sto bene, sul serio.»
«Ha ragione, Scar.» Intervenni. «Ora come ora non possiamo fare niente, tanto vale che tu vada a riposarti.»
Scarlett alternò lo sguardo da me a Sean prima di sospirare passandosi una mano sul viso. «D’accordo, d’accordo. Ma dovete promettermi che non vi ammazzerete nel frattempo.»
Le sopracciglia di Sean si inarcarono in un’espressione quasi indignata. «Non ho tempo di uccidere nessuno adesso, tanto meno lui.»
Lei sembrava ancora dubbiosa. Nonostante questo, non protestò quando ci incamminammo verso la casa, io accanto a lei e Sean appena dietro di noi. Si strinse le braccia al petto trattenendo uno sbadiglio mentre aprivo la porta. Dopo avermi lasciato un bacio sulla guancia, sgusciò verso le scale: a quanto pareva il sonno aveva vinto ogni suo scetticismo riguardo il rapporto tra me e il suo Alfa.
Lasciai entrare Sean prima di richiudere la porta. La sua rabbia feroce si era in parte mitigata, ma c’era ancora tensione nel suo modo di muoversi.
Si avvicinò al tavolo e ne sfiorò la superficie con le dita, sovrappensiero. «Pensavi di andare a scuola oggi?»
Mi mordicchiai il labbro. «A questo punto direi di no.»
«Mmh.» Fece lui prima di sfilarsi la giacca da aviatore e buttarla sul tavolo. Vi si appoggiò con entrambe le mani, le linee morbide che delineavano i muscoli della schiena che si indovinavano sotto il tessuto leggero della maglietta che indossava.
«Non hai freddo?» Mi sentii chiedere.
«No.» Borbottò sbrigativo. «Sto bene. Sto dannatamente bene. Sai perché? Perché avevo ragione.»
Aggrottai la fronte. «Riguardo a cosa?» Si voltò verso di me, un lampo selvaggio che gli attraversava lo sguardo. «Colin. Non ha mai voluto l’accordo, sapevo che prima o poi avrebbe fatto una mossa del genere. Un ultimatum…» Sputò fuori l’ultima parola come se fosse stata intrisa di veleno. «Deve solo provarci.»
«Quindi che facciamo? Voglio dire, tu vuoi…» Iniziai cauto.
«Sì, eccome. Voglio annientarli, ma per ragioni che conosciamo entrambi non posso farlo.» Replicò scoccandomi un’occhiata eloquente. «Dovremmo pensare a qualcos’altro.»
Annuii tra me e me. «Dobbiamo trovare una sorta di merce di scambio, qualcosa che potrebbe accontentarli ma che nello stesso tempo non ci danneggi.» Rimasi in silenzio per qualche secondo cercando di riflettere. «Cosa potrebbero volere?»
«Vederci morti. Ucciderci. Sterminarci.» Elencò Sean senza scomporsi.
«Okay, qualcosa di meno distruttivo per noi?» Tentai.
Lui inarcò un sopracciglio. «Loro cacciano i licantropi, secondo te saranno poco distruttivi? Se dovessero riuscire a mettere le mani su qualcuno di noi… beh, non si limiterebbero ad un solo proiettile.»
Sentii un brivido gelido corrermi lungo la schiena nel ripensare alla ferita di Scarlett, al sangue che le aveva macchiato i vestiti, alla sua espressione terrorizzata e sofferente. Non potevamo lasciare che una cosa del genere accadesse di nuovo.
«D’accordo, non sarà una lotta pari quindi.» Commentai passandomi la lingua sul labbro.
«Non lo è mai stata.» Mormorò Sean cupo.
Di colpo mi tornò in mente la sua voce vuota, piatta mentre raccontava di come i cacciatori avevano sterminato prima la sua famiglia e poi il suo branco, togliendogli tutto, portandolo ad un passo dalla morte. C’era qualcosa di spezzato in lui, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo persino con se stesso, così lo aveva annegato nel potere e nella forza diventando quello che aveva bisogno di essere per sopravvivere, per essere un gradino sopra chi lo voleva morto.
«Prima che me lo dimentichi.» Aggiunse, la voce di colpo più severa. «C’è una cosa che devo chiederti.»
Per quanto mi ripetessi che Sean non era pericoloso, non per me almeno, non riuscii a non irrigidirmi a quel cambio di tono. Mi schiarii la gola nel tentativo di nascondere la tensione. «Cosa?»
«Hai passato una notte di plenilunio con Scarlett.» L’aveva presentata come una domanda, ma quella che aveva appena pronunciato era un’affermazione che non ammetteva repliche.
Se ne era così sicuro, mentire era del tutto inutile. «Sì, l’ho fatto. Qualche mese fa. Perché?»
«Un umano che partecipa ad un plenilunio… è un grande affronto, quasi una mancanza di rispetto.» Rispose dopo aver esitato per un attimo, come se stesse cercando le parole giuste. «Il fatto che quell’umano fossi proprio tu non mi sorprende, però. In effetti, avrei dovuto arrivarci prima.»
«Perché ho l’impressione che questo ti… dia fastidio?» Chiesi cauto.
Mi inchiodò sul posto con uno sguardo oscuro e rabbioso. «Perché è così. Com’è possibile che tu riesca sempre ad infilarti in situazioni pericolose e proibite? Sei un dannato ragazzino, dovresti pensare a… a tutt’altre cose, non ai licantropi.»
«È un po’ difficile farlo quando ne conosco uno. Anzi, due.» Ribattei sostenendo la sua occhiata accusatoria.
Mi si avvicinò a grandi passi, la sua presenza sembrava riempire l’intera stanza. Solo in quel momento mi accorsi dell’aura di potere, selvaggio e irrequieto, che emanava. «Non ti rendi conto di quanto sia preziosa la luna piena per un licantropo, vero? La consideri una mera leggenda, qualcosa di distante e forse anche irritante. Stai insultando uno dei valori più importanti per i lupi, alcuni sarebbero pronti ad ucciderti per questo.»
Quelle accuse bruciavano più del previsto, forse perché venivano da lui, o forse perché non le capivo. Mi stava rimproverando per aver cercato di aiutare Scarlett? Serrai i pugni lungo i fianchi stringendo la mascella. «Ho cercato di fare la cosa giusta. Scarlett non si è presentata con un manuale su come essere licantropi. Anzi, sai cosa? Hai un bel coraggio ad accusarmi di aver sbagliato e aver denigrato la tua preziosa luna piena quando tu per prima hai lasciato Scarlett da sola ad affrontarla.»
Non era quello che avrei voluto dire, non era quello che avevo pianificato, eppure non ero riuscito a frenare le parole. Erano uscite prepotentemente, dure e dirette. Sean mi faceva quell’effetto, mi spingeva a dire quello che pensavo davvero anche quando sarebbe stato meglio tacere.
Una scintilla d’oro gli accese le iridi. «Ho fatto quello che dovevo per sopravvivere. E per quanto riguarda Scarlett, le ho dato un grande potere che tu non puoi comprendere. L’ho resa forte.»
«No, le hai solo complicato la vita. E poi sei sparito.» Sbottai. «Tu non c’eri quando lei aveva bisogno di te, non c’eri e sei ricomparso solo quando ti faceva comodo. È questa la verità, anche se lei ti rispetta troppo per dirtelo.»
«Tu no?» Chiese, la voce tesa come una corda di violino.
Tra tutto quello che avrebbe potuto replicare a una provocazione così aggressiva, quella era l’unica a cui non avevo pensato. Che gli importava di quello che pensavo io? Era un Alfa, poteva fare quello che voleva quando voleva, era potente, perché si preoccupava dell’opinione di un umano?
«Non… non mi hai mai dato un buona ragione per farlo.» Mormorai abbassando lo sguardo.
Rimase in silenzio per qualche secondo. «Quindi è questo quello che pensi di me? Che sono un egoista approfittatore?»
«Penso che avresti potuto farlo in un altro modo, avresti potuto starle accanto, avresti potuto non morderla.» Mi sentii dire.
«Sai perché i cacciatori non la trovarono la notte in cui la morsi? Perché non catturarono neanche me? Cinque anni fa Seattle era sotto il controllo di un altro gruppo di cacciatori, appartenevano alla famiglia Chandler. Quelli che inseguivano me lo sapevano, così come sapevano che entrare nel loro territorio avrebbe portato guai. Ci volle un anno di trattative perché i Chandler li lasciassero venire a Seattle, due perché Colin Young prendesse il comando dopo la morte del loro precedente leader.» Mentre parlava la sua voce era calma, eppure la sua espressione era guardinga.
«Non ti ho chiesto di giustificare quello che hai fatto, né il perché. Ormai Scarlett si è trasformata, il resto della storia lo conosciamo benissimo entrambi.» Replicai. «Voglio solo che tu sia onesto, con me e con te stesso. Pensi davvero di avere qualche diritto su Scarlett? Di poterla rimproverare per come vive la sua licantropia?»
I muscoli del suo collo si tesero di colpo quando serrò la mascella. «E tu pensi di potermi dire come fare l’Alfa, ragazzino? Credi di poter comprendere una cosa tanto grande e di poterla addirittura contestare?» Il disprezzo nel suo sguardo bruciava come acido, soprattutto perché c’era qualcos’altro dietro, un’ombra di quello che sembrava dolore.
Espirai lentamente cercando di mantenere la mente lucida. «Sto solo cercando di farti notare la differenza tra abbaiare ordini dopo essere apparso all’improvviso e impegnarti per costruire un rapporto con Scarlett. Non è facendo il dittatore che otterrai la sua fiducia.»
Avanzò ancora, l’espressione dura come il marmo. «Molti altri al posto mio ti avrebbero già ucciso. Dovresti essermi grato per non averlo fatto.»
Mi lasciai sfuggire un sorrisetto beffardo. «Grazie per avermi risparmiato allora. Sei stato davvero generoso a lasciar vivere l’unica persona che abbia mai provato ad aiutare Scarlett.»
Avevo parlato senza pensare, di nuovo. Questa volta avevo la netta impressione che non me la sarei cavata con una semplice battuta tagliente, il lampo dorato nelle iridi di Sean me lo confermava. Coprì in un secondo la distanza che ci separava costringendomi ad indietreggiare fino a che non mi ritrovai con la schiena al muro. Era teso, quasi impaziente, un fascio di muscoli e nervi pronti a scattare alla minima sollecitazione.
«Oh, non preoccuparti, sono ancora in tempo per rimediare a questa mia mancanza.» Ringhiò, sarcastico e affilato. Mi afferrò un polso e lo sollevò con un movimento brusco. «Sai, potrei morderti adesso, trasformati e metterti allo stesso pari di Scarlett visto quanto ti preme che viva bene la sua licantropia. Potrei farlo, e a quel punto forse capiresti perché faccio quello che faccio.» Come a rendere la sua minaccia ancora più reale, lasciò intravedere le zanne in un sorrisetto senza allegria. «Se dovessimo fare a modo tuo, seguire le regole ed essere sempre gentili, saremmo già tutti morti. Ho dovuto fare delle tante cose per sopravvivere, tu ne condanneresti la maggior parte, eppure io adesso sono ancora qui, la mia coscienza non mi ha ucciso. A volte è necessario dimenticarsi della morale o delle regole.»
«Senza le regole saremmo animali incapaci di vivere insieme in modo pacifico, senza ammazzarci a vicenda.» Ribattei sostenendo il suo sguardo, più cupo del solito. «Abbiamo bisogno delle regole, e abbiamo bisogno di fidarci l’uno dell’altro. Capisco che non ti piaccia avere a che fare con me, ma al momento abbiamo altri problemi di cui occuparci.»
Mi studiò in silenzio, le labbra strette in una linea di tensione. «Su una cosa hai ragione, non mi piace collaborare con te, però non mi piace neanche darla vinta ai cacciatori. Se l’unica possibilità che abbiamo contro di loro è lavorare insieme allora lo faremo. Ma una volta risolto questo, ricorda cosa ti ho detto riguardo al tuo ruolo nel branco.»
Fu come ricevere un pugno nello stomaco. Boccheggiai sotto il suo sguardo impietoso cercando di pensare con lucidità. Sean non mi diede il tempo di rispondere, si allontanò da me e uscì dal cottage sbattendo la porta con forza. 

Diverse mappe e cartine erano ammucchiate sul tavolo, ne occupavano quasi tutta la superficie. La maggior parte provenivano dall’appartamento di Sean, che, a quanto pareva, ne aveva un’intera collezione. Quelle che a detta sua mancavano ce le eravamo procurate in biblioteca.
In realtà, non mi era del tutto chiaro il motivo per cui Sean avesse bisogno di così tante mappe, soprattutto perché alcune rappresentavano l’Europa, l’Asia e il Sud America oltre agli Stati Uniti e il Canada. Avevamo sei giorni per trovare i termini per negoziare con i cacciatori e lui se ne veniva fuori con un’improvvisa voglia di studiare la geografia mondiale.
Dopo il nostro litigio del giorno prima ero quasi certo di aver rovinato definitivamente il nostro già precario rapporto, invece me l’ero ritrovato davanti a scuola alla fine delle lezioni, pensieroso e taciturno, ma meno rabbioso del previsto. La prospettiva di un’altra guerra contro i cacciatori doveva aver messo a tacere anche il suo orgoglio prorompente portandolo a riconsiderare la nostra alleanza. Temevo ancora che sarebbe stata solo una tregua temporanea, il tempo di risolvere con Colin, poi sarebbe tornato sospettoso e impietoso nei miei confronti, ma intanto avevo guadagnato un accenno di possibilità.
Sollevai dubbioso l’angolo di una cartina del nord Europa che sembrava risalire al secolo scorso. «Non voglio sembrare scettico, ma…»
«Ma lo sei.» Concluse lui, intento a fissare la porta d’ingresso del cottage come se questo potesse far arrivare Scarlett e Matthew prima.
Aveva indetto una riunione di tutto il branco quel pomeriggio, la prima tra l'altro. Adesso pareva impaziente di cominciare qualunque cosa avesse in mente.
«Cosa vuoi fare?» Domandai per la terza volta nel giro di poche ore.
«Ci sono delle cose che devo spiegarvi, cose importanti.» Mi lanciò un’occhiata da sopra la spalla. «Aspetteremo gli altri però.»
Annuii tra me e me. «Naturalmente.»
Con i suoi abituali dieci minuti di ritardo, Matthew aprì la porta del cottage seguito da una Scarlett molto impegnata a non far cadere il bicchiere di carta e la scatola che aveva in mano.
Ci rivolse un sorriso ampio mentre chiudeva la porta con un calcio. «Ehilà! Ho portato dei cupcakes.»
Sean inarcò un sopracciglio astenendosi dal commentare. Matthew si tolse la giacca di jeans lasciandola poi sullo schienale del divano e si avvicinò al tavolo per osservare con curiosità le mappe. Anche Scarlett rivolse loro un’occhiata interessata che poi passò su di me come a chiedere spiegazioni. Mi strinsi nelle spalle facendo un cenno all’Alpha in piedi a pochi passi da noi. Lei non si scompose, trovò un angolo libero per posare la sua scatola e prese un sorso dal bicchiere con la cannuccia nera che spuntava dal tappo.
«Stiamo cercando la nostra nuova casa?» Domandò Matthew ancora chino sulle cartine. «Ho sempre voluto visitare la Tailandia, dite che è un buon posto per nascondersi da dei cacciatori psicopatici?»
«Non scapperemo da nessuna parte.» Lo rimbeccò Sean in tono severo. «Di recente ho… uhm, avuto modo di riflettere sul fatto che tutti avete molte mancanze per quanto riguarda la licantropia e tutto quello che le ruota attorno.» Mentre parlava, per un attimo il suo sguardo si posò su di me. «Ho deciso di rimediare.»
Tutti i rumori nella stanza cessarono di colpo. Matthew smise di sfogliare le carte, Scarlett smise di bere e io continuai a fare quello che avevo fatto fino a quel momento: osservare Sean cercando di interpretare le sue intenzioni, anche se con scarso successo.
«Facciamo lezione di… licantropia?» Chiese Scarlett, gli occhi che brillavano di curiosità.
Sean annuì. «Una specie. Per essere un braco come si deve dovete sapere cosa comporta essere un licantropo, ma anche qualcosa sulla nostra storia.» Accennò al tavolo. «Sedetevi.»
Matthew e Scarlett si accomodarono subito, evitando la sedia a capotavola su cui Sean aveva posato la sua giacca. Mi ci volle un secondo buono per realizzare quello che aveva detto. Scarlett si schiarì rumorosamente la gola richiamandomi alla realtà e solo allora mi decisi a prendere posto a mia volta dalla parte opposta del tavolo.
Sean rimase in piedi, si avvicinò a noi e con delicatezza estrasse una cartina dal mucchio distendendola poi sopra le altre. Rappresentava l’Europa odierna, ogni stato era di un colore diverso, le capitali e le città più importanti erano scritte in uno stampatello efficiente e preciso.
«Penso che tutti voi sappiate che i licantropi sono originari della Romania, più precisamente della Transilvania.» Esordì tracciando con le dita un cerchio leggero intorno alla zona corrispondente. «Su questo le varie leggende e racconti dicono il vero, i primi casi di licantropia sono registrati qui. Ancora oggi, la maggior parte dei lupi vivono nell’Europa dell’est. Un numero consistente di noi vive anche in Inghilterra.»
«Come in quel film? Com’era il titolo, Un lupo mannaro americano a Londra?» Si intromise Matthew guadagnandosi una gomitata da parte di Scarlett.
Sean sospirò. «No. A dir la verità pochi licantropi vivono a Londra, le comunità maggiori sono nel nord della Gran Bretagna, in Galles e in Scozia. Ci sono un paio di branchi anche in Irlanda. Nel resto dell’Europa si conta qualche altra presenza, c’è un branco piuttosto consistente nel sud della Spagna e uno in Austria.»
Tra gli strati di mappe trovai una penna; cominciai a rigirarmela tra le dita mentre riflettevo. «Da come ne parli sembra che ci siano pochi lupi nel mondo.»
«Esatto.» Confermò lui, la voce calma e neutra. «I cacciatori sono convinti che i lupi mannari prenderanno il controllo e soggiogheranno gli umani senza il loro intervento, ma siamo molti meno di quello che pensano. Quando parlo di branchi mi riferisco a gruppi di dieci lupi, o comunque poco più grandi. Uno dei più numerosi si trova a Washington, conta quattordici membri.
»
«Quanti licantropi vivono negli Stati Uniti?» Volle sapere Scarlett avvolgendo le dita intorno al suo bicchiere.
Sean si appoggiò al bordo del tavolo con entrambe le mani. «Non conosco il numero preciso, ma molti meno di quelli che ti aspetteresti. Seattle da sola arriva a malapena a settanta lupi. Per lo più vivono a nord, nelle zone delle capitale e negli stati limitrofi.»
Quasi senza pensarci, tirai fuori il quaderno di matematica dallo zaino, lo capovolsi e cominciai a scrivere sulle ultime pagine. «È un po’ come se foste una minoranza etnica.»
«Uhm, sì.» La voce di Sean suonò incerta. «Non è l’esempio che avrei usato, ma sì. Le persone hanno un’immagine distorta di noi, soprattutto i cacciatori. Ci credono un’orda di creature demoniache assetate di sangue.» Le sue labbra di arricciarono appena in una smorfia nel pronunciare le ultime parole.
«Perché siete… siamo così pochi?» Intervenne Scarlett. «Voglio dire, se basta mordere una persona per trasformarla, perché nessuno ha cercato di incrementare il numero di lupi?»
Lui incrociò le braccia al petto. «Non è così semplice. Il solo morso non basta, ci sono molti altri fattori in gioco che portano alla trasformazione. È un’arma a doppio taglio, può innescare il meccanismo giusto e creare un nuovo licantropo o può avere… effetti collaterali.»
Sollevai lo sguardo su di lui, incuriosito. «Effetti collaterali?»
«Non tutti quelli che vengono morsi si trasformano. A volte il corpo umano reagisce difendendosi e facendo partire una sorta di contrattacco. Non è il termine adatto, ma diciamo che una volta che si viene morsi le cellule umane interessate cominciano a mutare.» Spiegò Sean dopo aver lanciato un’occhiata critica al mio quaderno. «A questo punto, è l’organismo a controbattere cercando di combattere questo cambiamento e di fermarlo, lo percepisce come un virus, un’infezione che deve essere debellata.»
«I licantropi sono più forti degli umani, quindi anche le loro cellule lo sono. Il corpo di una persona non può semplicemente fermarle… giusto?» Dedussi mordicchiando il tappo della penna.
Sean fece un cenno d’assenso nella mia direzione. «Esatto. La risposta delle cellule umane è immediata, ma inutile. L’unico risultato che ottengono è indebolirsi in modo molto grave. Chi viene morso e non si trasforma subisce ripercussioni fisiche di grande portata, al pari di quelle di un cancro o della leucemia. Il corpo impiega troppe risorse per combattere le cellule che stanno cambiando, riesce in qualche modo a frenare la trasformazione, questo sì, per farlo però si sfinisce al punto da rimanere invalido in modo permanente.»
Scarlett ritrasse le mani dal bicchiere come si fosse scottata, l’espressione sconvolta. «E come… come funziona allora? Mordete gente a caso sperando che il loro corpo reagisca bene?»
C’erano mille altre domande ad affollarle la mente, lo si percepiva dal suo sguardo tormentato. Non era difficile intuire a cosa stesse pensando, cosa quelle informazioni avessero risvegliato in lei. E doveva averlo notato anche Sean, perché i suoi occhi si incupirono; adesso assomigliavano a due schegge di vetro opaco.
«No, questa è solo una delle tante variabili che entrano in gioco quando si parla di trasformazione.» Disse addolcendo la voce. «Si devono considerare anche il sistema immunitario, le condizioni di salute, persino le allergie possono influire. E il DNA. Se vieni morso da un lupo qualunque le probabilità che ti trasformi sono basse, soprattutto se questo lupo è stato morso a sua volta. Se è un licantropo dalla nascita allora la situazione… migliora un po’.»
Lei strinse le labbra riducendole ad una linea stringendosi le braccia al petto con forza. «Mmh. Non hai ancora risposto alla mia domanda.»
Sean espirò piano. «Gli Alfa sono i lupi più capaci di trasformare, per ovvie ragioni. Un Alfa che è licantropo di nascita ha circa l’ottanta per cento di possibilità di creare un lupo. Siamo in grado di percepire quando una persona può reggere il morso, non con assoluta certezza, ma quasi.»
Scarlett annuì dopo aver esitato per un attimo. Un angolo della sua bocca si contrasse appena, quasi avesse voluto parlare ancora.
«È per questo che hai morso Scarlett?» Mi sentii chiedere pur senza aver deciso di farlo.
Mi ritrovai al centro dell’attenzione di tutti, tre paia di occhi mi fissavano con sorpresa. Nessuno, neanche io, si aspettava una domanda del genere da me. Sean afferrò il bordo del tavolo con un mano osservandomi senza preoccuparsi di nascondere il suo interesse.
«Sì, è stato puro istinto.» Si strinse nelle spalle, ma quel gesto non sminuì le sue parole. «Quella notte è stato qualcosa che va oltre l’umano a portarmi a morderla. È difficile da spiegare, semplicemente sapevo che avrebbe reagito bene.» Spostò la sua attenzione su Scarlett. «E posso dire che è stata una buona scelta.»
«Lo dici solo perché ho portato la merenda.» Borbottò lei, eppure si vedeva che quell’ultima frase le aveva fatto piacere.
Lui si concesse un breve sorriso appena accennato, prima di tornare serio. «I lupi sono animali sociali, fatti per vivere in branco. Cercano in modo automatico di unirsi ad un gruppo o di crearne uno. Non sempre risulta facile convivere e collaborare, soprattutto per creature dalle tendenze irascibili. È a questo che servono gli Alfa.»
«Per questo motivo i branchi non sono molto grandi né molto comuni, giusto?» Intervenne Matthew, che fino a quel momento si era limitato ad ascoltare.
«Mm-mm. Non è facile far stare insieme un gruppo di licantropi, spesso si creano conflitti per questioni stupide o per eccessi d’orgoglio. Diciamo che siamo anche noi stessi la causa della scarsità di lupi, spesso e volentieri non siamo in grado di gestirci e attiriamo l’attenzione dei cacciatori.» Confermò Sean, le dita che tamburellavano sulla superficie del tavolo. «Ho visto interi branchi sterminati per questa ragione.»
Rilessi gli appunti che avevo scarabocchiato mentre lui parlava. «Quindi i lupi vogliono una sorta di comunità, ma hanno bisogno di una guida, qualcuno che dia loro disciplina e sicurezza.»
Sean inarcò le sopracciglia. «Sì, ma che diavolo stai scrivendo?»
Gli lanciai un’occhiata di sottecchi. «Uhm, niente, prendo qualche appunto, mi aiuta a pensare.»
Lui aggrottò la fronte inclinando la testa di lato ricordandomi l’espressione che faceva Cora quando voleva mangiare. «Okay, perché no? A questo punto dobbiamo impiegare ogni risorsa che abbiamo.»
«È per via dell’ultimatum di Colin che hai organizzato questa… lezione?» Chiese Scarlett guardandolo con una certa insistenza.
«Ci servono idee per concludere quest’accordo, ma per crearne abbiamo bisogno di avere tutte le carte in tavola. Adesso sapete di più sui licantropi, avete più elementi in mano per cercare una soluzione.» Spiegò lui. «Essere disinformati è solo dannoso.»
«È questo il problema con i cacciatori,» Commentai ripassando la parola “branco” che aveva appuntato al centro della pagina, «sono disinformati riguardo ai licantropi e al loro stile di vita. Da quel che ho visto ho l’impressione che neanche si facciano troppe domande su come vivete o sulla vostra gerarchia.»
Matthew si passò una mano tra i capelli disordinati. «Non si sono mai soffermati a pensare ad una cosa del genere, sanno solo che i lupi sono pericolosi e che devono essere sterminati. Anche io ho visto fin troppi licantropi morire senza una buona ragione.»
«È per questo che siamo qui, per escogitare una strategia contro Colin e il suo gruppo.» Convenne Sean e c’era una nuova luce ad animargli lo sguardo.
Mordicchiai la penna osservando il foglio davanti a me. «Hai detto che ai lupi serve una guida per tenerli uniti e hai anche detto che a Seattle non ce ne sono molti.»
«Non stai suggerendo quello che penso io, vero?» Mi ammonì lui con aria cauta.
«È una città grande, ma tu hai diverse conoscenze, no? Se riusciamo a coinvolgerle possiamo coprire zone molto più ampie…» Cominciai cercando una mappa di Seattle tra tutte quelle sparse sul tavolo.
Sean sbuffò scuotendo la testa. «Sarebbe una follia. Come pensi di convincerli? Portando loro dei cupcakes?»
«Prima cosa, non sottovalutare i cupcakes. Seconda cosa, si può sapere di che state parlando?» Sbottò Scarlett alternando lo sguardo tra me e lui.
«Creare un branco unico che comprenda tutti i lupi di Seattle.» Rispose il suo Alfa prima di sfilare una cartina da chissà dove e mettermela davanti. «Ecco di cosa stiamo parlando.»
Fui meno sorpreso del previsto nel notare che la mappa che aveva trovato era proprio quella che stavo cercando. «Può funzionare. Settanta lupi non sono la fine del mondo, in qualche modo possiamo unirli.»
«I licantropi di Seattle sono piuttosto tranquilli, no? In tutti gli anni che ho vissuto qui non ho mai sentito parlare di attacchi durante i pleniluni né di risse.» Si intromise Matthew.
«Sono abbastanza intelligenti da capire che non devono esporsi, di questo dobbiamo rendergliene atto.» Commentò Sean con una piccola smorfia. «Ma creare un branco di settanta licantropi resta un’impresa da pazzi.»
Lo guardai negli occhi, quasi sfidandolo a distogliere lo sguardo. «Troveremo un modo per farlo funzionare. Se ci riusciamo, i cacciatori non avranno più ragione di stare qui.»
«Noi licantropi cerchiamo per istinto un gruppo a cui appartenere, se ne creiamo uno che abbia te come leader accontenteremo tutti, cacciatori e lupi.» Convenne Scarlett sporgendosi in avanti. «I licantropi avranno un branco e saranno sotto controllo, è perfetto.»
«Ho deciso di tornare perché tu eri in pericolo, non perché volevo una responsabilità del genere.» La voce di Sean aveva assunto una nota più cupa. «Questo è troppo. Una cosa è fare un accordo con i cacciatori per tenere al sicuro voi, un’altra prendersi sulle spalle un’intera città.»
Mi mordicchiai il labbro sentendo i sensi di colpa pugnolarmi. Sean era scaltro e cauto, avrebbe trovato un modo per gestire un branco di quelle dimensioni, ma non potevo chiedergli di farlo contro il suo volere. Era ricomparso dopo cinque anni per salvare la vita di Scarlett e aveva deciso di restare solo per lei, era probabile che, una volta sistemata la questione con i cacciatori ed essersi assicurato che lei sapesse gestire la propria licantropia sarebbe, scomparso di nuovo.
Perché avrebbe dovuto rimanere? Non aveva legami qui, poteva andarsene per cercare qualcosa di meglio per se stesso, che motivo aveva di correre un rischio così grande? Ma era l’unico modo per battere i cacciatori in modo permanente.
Trassi un respiro profondo prima di parlare. «Pensa se, anni fa, tu avessi trovato un posto come questo, una città priva di cacciatori, un branco che poteva accoglierti, anche solo temporaneamente. Un luogo dove sentirti al sicuro e prendere un po’ di respiro.»
Sean strinse il tavolo con più forza, fino a far sbiancare le nocche. «Non usare il mio passato contro di me. Posso sorvolare su molte cose, ma non su questa.»
«Non è quello che sto facendo, sto cercando di farti vedere le cose da un altro punto di vista.» Replicai abbassando appena la voce. «Puoi, possiamo fare grandi cose se lavoriamo insieme, questo branco può essere un ottimo punto di partenza.»
«È una buon’idea, risolverebbe tutto e ci metterebbe in un’ottima posizione, un po’ esposta forse, ma non saremmo soli.» Disse Matthew lanciando un’occhiata a me e Scarlett. «È a questo che serve un branco, no?»
«Se dovessi accettare…» Iniziò Sean, la mascella serrata e i muscoli tesi.
«I grandi imperi non nascono dai “se”.» Intervenne Scarlett. Rendendosi conto di avere gli occhi di tutti su di sé, scrollò le spalle. «L’ha detto oggi il mio professore di storia e credo che abbia ragione. Napoleone non si è fatto fermare da qualche dubbio, ha perseverato. Certo, alla fine è stato esiliato ed è morto in solitudine, ma prima ha fatto grandi cose.»
«Anche Carlo Magno.» Aggiunse Matthew annuendo. «E Carlo V. Forse dovresti cambiare nome in Carlo…»
Sean si massaggiò le tempie sbuffando piano. «Potete tornare seri, per favore?»
«Sono seria!» Esclamò Scarlett con enfasi. «Napoleone e Carlo Magno erano coraggiosi e determinati, hanno lasciato il segno nella storia. E credo che l’abbia fatto anche l’altro Carlo, ma non me lo ricordo… Comunque, il punto è che tu puoi essere come loro, se non migliore. Mi hai salvato la vita, Sean, sei coraggioso e determinato anche tu. E poi, non sei da solo.»
«Oh sì, ho un diciassettenne testardo e con poco senso di autoconservazione ad aiutarmi, come sono fortunato.» Borbottò Sean incrociando le braccia al petto.
Mi lanciò un’occhiata inarcando un sopracciglio e dal suo sorrisetto appena accennato intuii che la mia espressione era più indignata di quanto credessi.
«Pensa a noi che dobbiamo collaborare con un licantropo con tendenze lunatiche e che risponde a monosillabi.» Replicai sollevando il mento.
Matthew appoggiò i gomiti sul tavolo. «Va bene, va bene, abbiamo tutti dei difetti. Torniamo a noi adesso. Se lavoriamo insieme e ci organizziamo come si deve possiamo farcela, però dobbiamo essere tutti d’accordo. Proporrei una votazione, chi è a favore di creare un unico branco per tutta Seattle?»
Scarlett e io alzammo le mani nello stesso momento, subito seguiti da Matthew. Ci voltammo a guardare Sean, in attesa: noi da soli eravamo già la maggioranza, ma senza di lui non avremmo potuto fare assolutamente nulla.
«Se vogliamo farlo sul serio, abbiamo sei giorni per metterlo a punto.» Mormorò e per la prima volta da quando l’avevo conosciuto apparve vulnerabile, esposto.
Annuii ricambiando il suo sguardo. «Diamoci da fare allora.»
«Prima mangiamo però, sto morendo di fame.» Si intromise Scarlett riprendendo la sua scatola. «Ho preso i cupcakes ai mirtilli.» Aggiunse sollevando il coperchio con espressione soddisfatta.
Matthew si sporse a sbirciare da sopra la sua spalla con aria interessata. Sean scosse la testa lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso. Posai la penna e trassi un respiro profondo: avevamo ancora delle questioni in sospeso, questioni che volevo chiarire anche se mi spaventavano.
«Possiamo parlare un attimo?» Gli chiesi alzandomi.
Mi guardò annuendo appena. Ci spostammo vicino alle scale di legno che salivano al secondo piano lasciando Scarlett a battibeccare con Matthew su come dovevano dividersi i dolci; c’era una distanza vagamente imbarazzata tra noi, come se entrambi stessimo ripensando alle accuse che ci eravamo rivolti solo il girono prima.
Mi schiarii la gola. «Vuoi ancora buttarmi fuori dal branco?»
Si passò la lingua sul labbro prendendosi qualche secondo per rispondere. «Hai messo molto impegno in questo progetto, sei stato tu a dargli il via, sarebbe egoistico e ipocrita da parte mia cacciarti senza riconoscerti i tuoi meriti.»
Rimasi in attesa, il cuore che mi batteva frenetico contro le costole. E lui doveva averlo notato, per forza. Ci tenevo più di quanto avessi ammesso con me stesso, me ne rendevo conto solo ora.
«Puoi restare.» Mormorò infine Sean. «Ci tieni a lei, non faresti mai niente per ferirla.»
A dir la verità, la sua affermazione era un po’ riduttiva. Non avevo proposto l’accordo solo per Scarlett, forse all’inizio era stato così, ma adesso, dopo aver imparato di più sui licantropi e soprattutto sulle persone che costituivano quel nostro branco improvvisato, proteggerlo era più di un semplice tornaconto personale.
Abbassai lo sguardo mordendomi l’angolo del labbro. «Già… ma non è solo per lei.»
«So che conosci Matt da molto tempo, però tutto questo è partito per Scarlett, per salvare lei. Mi è sembrato ovvio che fosse quella la ragione principale.» Rispose Sean stringendosi nelle spalle.
«E tu? Non pensi che ci sia qualcuno che si preoccupa per te?» Le parole sgusciarono fuori prima che potessi fermarle. Trattenni il fiato d’istinto, mi aspettavo un commento evasivo e affilato ad una domanda del genere.
Lui rimase calmo, del tutto a suo agio. «Seattle non è la mia città, non c’è nessuno qui per me. E va bene così.»
Dovetti mordermi la lingua per non aggiungere nient’altro. La sua voce aveva una vaga nota di rassegnazione che gli avevo già sentito usare, non sentiva di meritarsi niente da nessuno; se aveva bisogno di qualcosa o di qualcuno non avrebbe chiesto aiuto, si sarebbe arrangiato da solo.
«Avremo molto lavoro da fare, ragazzino, pensi di essere pronto?» Domandò, gli occhi di una sfumatura di verde più chiara adesso, meno torbida.
Lanciai un’occhiata a Scarlett: si era seduta sul bordo del tavolo mentre mangiava con evidente soddisfazione uno dei suoi cupcakes. Sorrideva, era bella e spontanea e degna di vivere. Ne valeva la pena, anche solo per vederla sorridere di nuovo in quel modo.
«Sì, penso di sì.» Dissi senza distogliere lo sguardo da lei. «Dobbiamo esserlo.»





SPAZIO AUTRICE: Sono in super ritardo con questo aggiornamento, lo so, ma questo capitolo è stata una vera e propria impresa da scrivere: ci avviciniamo alla fine della storia, tra meno di cinque capitoli sarà conclusa, e voglio fare le cose per bene per questo probabilmente mi servirà più tempo.
Vi chiedo un po' di pazienza in più, che spero tanto di riuscire a ripagare dandovi un bel finale <3
Nel frattempo, che ne pensate di questo nostro branco un po' improvvisato? Sean sta facendo un buon lavoro nel suo ruolo di Alfa? Riusciranno a trovare un accordo con Colin e i suoi cacciatori? Sono curiosa di sapere che ne pensate **
Grazie per aver letto anche questo capitolo, a presto! (Almeno spero...)

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