Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: nuvolenere_dna    23/02/2017    12 recensioni
Lo avrebbe aiutato a divenire abbastanza potente da sopravvivere a qualunque tortura che Lord Freezer avesse intenzione di provocargli.
A costo di farsi odiare.
A costo di farsi uccidere.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Re Vegeta, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
kintsugi Angolo autrice:
Eccoci qui. Vi presento ansiosamente la mia nuova creazione. Ci lavoro su da settimane e non riuscivo a ritenermi soddisfatta, anche adesso sinceramente ci vedo un sacco di difetti ma lascerò giudicare a voi, altrimenti la mia indecisione la farà marcire in eterno in qualche cartella cupa del mio computer :D
Vorrei citare in apertura una fanfiction che mi è piaciuta tanto, davvero tanto, sull’infanzia di Vegeta ed è “Salvation” di FairyCleo, l’ho letta poco dopo aver iniziato a scrivere la mia ed è rimasta sempre nei miei pensieri, la consiglio a tutti voi.
Alcune importanti precisazioni:
1. Il titolo: “Kintsugi” è una pratica giapponese che consiste nel riparare vasellame andato in frantumi con l’oro, utilizzandolo per rimettere insieme i cocci riempiendo le crepe. È una metafora che indica che dal dolore e dalla devastazione può nascere una bellezza ancora migliore, sia estetica che interiore. Il senso di questo titolo e il riferimento a questo concetto lo capirete leggendo la storia. In generale, si riferisce allo Zenkai, il potere peculiare dei Saiyan per cui ad ogni ferita, in particolare se mortale, il livello di combattimento si moltiplica rendendo il combattente molto più potente, ad esempio in seguito ad una sconfitta o ad una battaglia particolarmente tormentata.
2. La caratterizzazione dei personaggi: è stato abbastanza difficile cosa reputare IC e cosa OOC, dal momento che non conosciamo nulla di canon sul rapporto fra Vegeta e suo padre a parte la scena dentro “Le origini del mito”. La personalità di Re Vegeta non è mai stata ben definita e nemmeno quella di Vegeta da bambino: quella che vedete qui è la mia personale interpretazione, una fantasia che risente della mia sensibilità un po’ dark che spero possa piacere anche a voi.
3. Il nome di Re Vegeta: dal momento che la storia riguarda soltanto questi due personaggi mi sembrava terribilmente ridondante scrivere ripetutamente Re Vegeta e Vegeta, ho scelto per il Re il nome sostitutivo “Veldock”, già usato in questo fandom da altre autrici.
Ora vi lascio alla lettura. Tengo molto ad un vostro parere, spero in tante recensioni e pareri.
Un abbraccio forte.
ND
 
 
KINTSUGI
 
 
And the more that you resist me
Greater the damage will be
[The Unguided – Phoenix ]
 
 
Una mano enorme si infranse su una piccola guancia.
Uno schiocco secco, che rimbombò in un silenzio assordante.
Veldock gli aveva tirato uno schiaffo talmente forte da frantumargli uno zigomo, deflagrato in una fitta dolorosa sotto la pelle diafana, divenuta immediatamente livida.
Lo sguardo di Vegeta, colmo di vergogna, umiliato fino al midollo, aveva abbandonato quello di suo padre per inabissarsi a terra e riempirsi di lacrime acide, dense di frustrazione.
Perché non ci riusciva?
Perché non riusciva a combattere con lui come faceva con i Saibaiman?
Non era in alcun modo rilevante cosa facesse, come si muovesse, con quale velocità cercasse di spostarsi, lui riusciva sempre a ferirlo.
« Ma sei sicuro di essere mio figlio? »
Le pupille nere di Vegeta si spalancarono, sperdute nel bianco. Si morse le labbra per non rispondere, tremando di rabbia. “Siamo uguali”, avrebbe voluto ribattere, ma non riuscì a pronunciare alcun suono, segregato dalle radici gonfie che innervavano la sua gola. Evidentemente non era alla somiglianza fisica che si riferiva suo padre.   
« Allora? Dov’è tutta la tua forza? »  incalzò ancora l’uomo, le braccia piegate lungo i fianchi in una posizione derisoria. La guancia pulsava in modo insopportabile, gridava attraversata da aghi, fratelli degli aghi che trafiggevano il resto del suo corpo dolorante, coperto di lividi scuri.
Vegeta cercava di controllarsi ma non era facile arrestare il tremore delle sue membra e neppure rallentare il battito alterato del cuore, incantato in una pressione martellante. Non aveva mai avuto paura di nessuno come di quella figura scura che si stagliava nella penombra.
Lo sguardo negli occhi di Veldock era ostile, intriso di disprezzo. Qualcosa stonava nei lineamenti duri di suo padre, nell’espressione contrariata delle sue iridi. Dalla sera precedente si comportava in modo strano: lo aveva visto tornare a bordo dell’astronave imperiale, quella delle missioni importanti, il volto livido e il ki trattenuto a fatica. Suo padre era sempre stato un uomo calmo, imperturbabile. Inaspettatamente lo aveva fatto convocare all’alba per un allenamento speciale, il viso velato da un’oscurità ancora più nera. Vegeta non aveva osato chiedere nessuna spiegazione su cosa potesse aver turbato il padre, limitandosi a un discreto silenzio. Non erano soliti rivolgersi la parola, privi di ogni confidenza.
Dopotutto Vegeta aveva imparato presto a capire che per suo padre il loro rapporto non era nulla di più di un mero rapporto professionale, un dovere dei tanti, l’ennesima seccatura a cui era costretto a causa del suo ruolo di prestigio.
Vegeta era suo figlio, era un Saiyan dalla potenza straordinaria, e questo bastava per qualificarlo come erede.
Nulla di più.
Re Vegeta non lo aveva mai neppure allenato personalmente, preferendo affidarlo alle cure delle decine di maestri d’armi del Palazzo Reale, che spesso si erano rivelati intimiditi dalla sua potenza e dalla sua risata ghignante. Negli ultimi mesi l’ingrato compito era ricaduto sul signor Nappa, che si occupava quotidianamente di lui e dei suoi esercizi con una costanza e una pazienza notevole.
Ma Vegeta odiava anche lui, Vegeta li aveva sempre odiati tutti, quei miseri sostituti.
Il vero maestro che avrebbe voluto, l’unico, suo padre, non aveva mai diviso del tempo con lui. Una delle poche volte in cui era venuto a vederlo, osservandolo al di là del vetro con le braccia conserte, si era talmente distratto per l’emozione che un Saibaiman gli era saltato addosso, facendolo cadere rovinosamente a terra. La vergogna e la rabbia per aver fatto una brutta figura di fronte a suo padre lo avevano fatto avvampare, e aveva perso il controllo del suo ki, facendo esplodere la stanza, scaraventando sul volto impassibile del genitore una raffica di calcinacci e vetri infranti.
“Diventerai il più forte dei Saiyan!” lo adulava spesso il signor Nappa, lo sguardo colmo di ammirazione nel constatare i suoi progressi.
Eppure.. perché suo padre continuava a trattarlo come se fosse soltanto spazzatura?
« Come potrei migliorare, padre? »
Un lieve sospiro fuoriuscì dalle labbra socchiuse del bambino, ribelle di fronte alla veemenza con cui tentava di cucire insieme quei lembi di pelle. Un lieve gemito di stizza, appena accennato, che si era amplificato come un cerchio nell’acqua del volto del genitore. Delusione, disprezzo, il bambino si riempì di angoscia nel vedere nuova disapprovazione colmare gli occhi di suo padre, gli unici che gli importasse guardare e gli unici per cui nutrisse rispetto.
Si morse le labbra talmente forte da sentire il gusto ferroso del proprio sangue, ma era troppo tardi.
« Quante volte ti ho ripetuto di non mostrare le tue emozioni? » sbottò il Re, afferrandolo per il colletto e scuotendolo. Un altro ceffone, l’ennesimo, l’altro zigomo che si sbriciolava sotto la cute pallida. Veldock non poteva sopportare di vedere in lui neppure il più piccolo briciolo di debolezza.
“Tra un mese mi consegnerai il moccioso. Che ti piaccia o no.”
Una lingua serpentina aveva leccato maliziosamente delle labbra vermiglie.
Nel ripensare a quella scena Veldock sentiva la bile acida risalirgli lungo la gola, sospinta dal tremore delle sue viscere stritolate. In quel momento aveva realizzato di essere completamente impotente, sovrano di un pugno di mosche in un pianeta di ragni. Il dominio dei Saiyan sull’universo gli era sembrato improvvisamente una barzelletta: erano temuti, rispettati, i cattivi delle fiabe che gli adulti raccontavano ai bambini fin negli angoli più reconditi della galassia.
Eppure, anche loro, come tutti gli altri, non erano niente.
Nulla.
In fin dei conti, Re Vegeta non era diverso dalla maggioranza dei sovrani dei popoli che aveva sterminato: un potere inesistente, ginocchia consumate a furia di implorare pietà, la rabbia e la paura che pompavano impetuosi nelle vene di fronte alla morte.
Fissava il suo primogenito, l’unica scintilla di speranza che avesse mai avuto, e di nuovo le viscere si contraevano e tremavano.
Un mese.
Trenta giorni.
E quel bambino forse sarebbe stato trucidato.  

“Perché sei così preoccupato? Non farei mai del male ad un bambino innocente.”
Le labbra viscide di Lord Freezer si erano spalancate in una risata, a cui avevano partecipato anche Zarbon e Dodoria. I singhiozzi volgari del Demone erano stati talmente forti da portarsi una mano al petto, gli occhi gelidi che scintillavano dal divertimento, la mano che frantumava per la troppa foga il bicchiere di vino stretto fra le sue dita.
Veldock aveva desiderato con tutto se stesso di avere la forza di farlo a pezzi. Il sudore gli era colato lungo la schiena, denso come la sua collera, abissale, violenta al punto da strappargli le corde vocali. Si era limitato ad annuire, meccanico come un robot, mentre il resto del suo corpo si ribellava, scosso dagli spasmi.
Non poteva rifiutarsi, se non voleva condannare all’estinzione il suo pianeta e il suo popolo.
« Io non ho emozioni, padre. » sillabò il viso di Vegeta, una maschera impassibile tradita soltanto dal tremore del suo mento.
Per un attimo gli sembrò adulto, un perfetto soldato dallo sguardo gelido, gli occhi limpidi nello svettare indifferenti su un corpo pieno di ferite, grondante di sangue, i pugni pronti a dispensare la morte. Ma il potere straordinario di Vegeta era... comunque insufficiente.
Nelle grinfie del Demone non sarebbe stato altro che l’ennesima formica.
« Tutto questo non è un gioco! » gridò Veldock, avanzando verso di lui con aggressività.
L’ira trasudava dal viso di suo padre, un’ira quasi nera, lugubre, l’energia di un buco nero che divora tutto. Afferrò suo figlio per il collo, sollevandosi da terra e raggiungendo con uno scatto fulmineo la vetrata che li divideva dallo spazio aperto. L’atmosfera rossa era cupa, crepuscolare, i satelliti chiari si stagliavano all’orizzonte. La vista era mozzafiato, sotto di loro si estendeva Vegeta-sei, il centro nevralgico di quel pianeta sabbioso e permeato dalla rabbia ossessiva dei Saiyan, sovrastato dalle altezze candide del Palazzo Reale.
« Le vedi, Vegeta? » gli gridò, acuto nelle sue orecchie stordite, schiacciandogli il volto contro il vetro come se la sua testa fosse di plastilina. Vegeta non notava nulla di particolare, soltanto case dalle finestre illuminate, il deserto che soffiava indifferente, le ombre scure estendersi ovunque, le astronavi atterrare e ripartire come uno sciame di insetti impazziti. Deglutì ed espirò forte dalle narici, la condensa del fiato che gli appannava il campo visivo.
« Non hai ancora capito cosa significa essere un re? » la sua voce era dura, quasi velenosa.
Il bambino era ammaliato dalla sua immagine riflessa nel vetro, i lineamenti uguali ai suoi, le vene nel collo talmente ingrossate da sembrare sul punto di esplodere.
« Un re... è colui che ha tutto il potere. » sussurrò piano Vegeta, trapassandolo con uno sguardo gonfio di soddisfazione. I suoi occhi erano fiamme ardenti, potenza allo stato puro, gonfi di superbia. Veldock si sorprese a pensare a quanto somigliasse a sua madre, a quell’unica donna orgogliosa e determinata che lo aveva sfidato tenendogli testa, lasciandosi attraversare per un istante dall’immagine dei suoi capelli neri, fluenti, dei suoi occhi chiari, vividi come l’acqua impetuosa.
La aveva persa.
E Veldock era destinato a perdere anche quel poco che gli restava.
« Sei proprio un moccioso senza cervello! » sibilò, alterato, afferrandogli la testa nel palmo della mano. Lo sbatté forte contro il vetro, frantumandogli il setto nasale. La lastra si ruppe in un fragore sordo, sfracellandosi a terra insieme a fiotti del sangue vermiglio del principe. Vegeta si divincolò dalla stretta di suo padre, ritornando a terra, le gambe che tremavano, la mano che si teneva il naso da cui scendeva copioso un fiume rosso, scuro e denso nello sporcargli i vestiti.
Abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il suo, riempiendosi nuovamente di vergogna.
Ancora una volta aveva sbagliato.
Ma per lui... era vero.
Non era esistito piacere più grande nella vita di quel piccolo principe del vedere il padre partire e tornare, ogni volta con cicatrici nuove, con il nero dello sguardo divenuto più profondo, con il sorriso sempre più fiero.
Adorava sentire i racconti, immaginava suo padre depredare e uccidere, notando i suoi stivali che da bianchi erano divenuti rossi, verdi, blu, qualunque fosse il sangue dei suoi avversari. Immaginava come quei tacchi avessero schiacciato di netto le loro vene inferiori, estirpando del tutto vite prive di valore. Il piccolo Vegeta pendeva dalle sue labbra, potendo soltanto immaginare cosa significasse decidere la morte di una persona, di un popolo, di un intero pianeta, sentirsi come una divinità della distruzione, in grado di decidere chi viveva e chi no. Distruggere tutto, devastare un universo che era tutto per chi ci abitava, vedere i palazzi crollare sotto semplici pressioni di dita, vedere le reazioni di chi banalmente vedeva i propri cari morire. Vegeta si immaginava come il cattivo di una fiaba perversa, bramava il potere di sentirsi onnipotenti, il cambiare la sorte in un intero pianeta da un tramonto all’alba, il nuovo sole che illuminava soltanto più cose morte, svuotate, divenute sue, derubate di ogni essenza.  
« Quelle luci accese, quelle case, sono case di guerrieri valorosi, di Saiyan, di persone che io devo guidare! La loro vita dipende dalle mie decisioni! »
Vegeta pensò al trono di suo padre, altissimo, diviso dal resto del mondo da una scalinata imponente. Non aveva mai riflettuto sul fatto che quell’altezza potesse essere anche simbolica, come una metafora del suo essere in grado di vedere tutto e provvedere a tutti.
« Scusatemi... padre. » biascicò, lo sguardo basso.
« Quando sarai pronto, tutto questo sarà tuo! Sarà una tua responsabilità difendere l’onore della tua razza, proteggere il tuo popolo. » dichiarò, perentorio, scuotendolo per le braccia.
La rabbia invadeva il Re. Era ancora così piccolo, così inesperto, un moccioso, avrebbe dovuto aspettare almeno altri dieci anni per incoronarlo, chissà quanti per vederlo diventare il leggendario Super Saiyan.
Troppo, troppo tempo.
Non c’era più tempo.
Vegeta doveva crescere più in fretta.
« Tu sei il principe dei Saiyan! Non devi avere paura di nessuno! » gli urlò, stringendogli il mento fra le dita. Vegeta ascoltò la pressione violenta del suo tocco infierire sui lividi scuri del volto, non si ribellava a quel dolore come ipnotizzato, vampiro di quelle parole, confuso dalla figura autoritaria di suo padre. Aveva nuovamente paura, così tanta paura da essere paralizzato.
Vegeta non si fidava di lui, avrebbe voluto semplicemente disprezzarlo, guardarlo con la stessa aria di sufficienza che rivolgeva a tutti gli altri Saiyan, nullità ai suoi occhi peggiori degli insetti, ma non ci riusciva. Qualcosa dentro quell’uomo gli incuteva un timore reverenziale. Eppure era più forte di lui, lo era sempre stato, sentiva sepolta dentro di sé la forza di uccidere suo padre in qualsiasi momento.
Ma non ce la faceva, lui era più forte, lui aveva il potere di annichilirlo con un solo sguardo.
« Io non ho paura di nessuno. » dichiarò a voce alta, tradito ancora una volta dal tremore della sua voce, pericolosamente distorta in un singhiozzo. Digrignò i denti scagliandosi rabbiosamente contro suo padre. Era un vero enigma, non lo capiva. Non aveva mai capito nulla di quell’uomo, così come non capiva quell’allenamento insolito in cui veniva massacrato di botte senza nessuna apparente ragione. Aveva sempre pensato che se fosse morto suo padre non se ne sarebbe neppure accorto. Le loro stanze erano confinanti, eppure non ricordava una singola volta in cui quell’uomo gli aveva rivolto la parola al di fuori delle occasioni ufficiali.
Non una singola volta in cui avevano mangiato insieme.
Sferrò calci e pugni all’impazzata, troppo vaghi per raggiungere il bersaglio: era stravolto, stordito dalla stanchezza e dalla collera, non ce la faceva più, sentiva le gambe tremare e il corpo divenire lontano.
Re Vegeta li evitò tutti con maestria, senza contrattaccare, osservando la concentrazione scomparire dagli occhi lucidi di suo figlio. Dopotutto erano trascorse quattro ore dall’inizio dell’allenamento, il suo corpo immaturo era arrivato al suo limite naturale, ma non poteva permettergli di arrendersi così in fretta.
 « Reagisci, dannazione! » inveì, il volto contratto in un’espressione di delusione.
« Non va bene come sto facendo, padre? »
Si rimise in posizione di guardia, incedendo lentamente verso il genitore, che lo guardava impassibile. Lo assalì con tutta la forza che gli era rimasta, intenzionato a dimostrargli la sua potenza, una volta per tutte. Ma suo padre lo schivò nuovamente, senza nessuno sforzo, ridendogli apertamente in faccia con un ghigno ironico.
Forse si era accorto che la sua esistenza era una minaccia per la sua posizione di comando. Dopotutto lui era il Re, forse non poteva permettere a un altro Saiyan di essere più forte di lui, anche se si trattava di suo figlio. Suo padre divenne di nuovo l’ombra nera di cui era terrorizzato quando era piccolo.
L’ansia gli paralizzava le gambe, era troppo nervoso per combattere, sentiva come i riflessi rallentati dalla stanchezza, la tachicardia assillante che faceva sgorgare moti di nausea.
Era arrivato al limite, sentiva muscoli doloranti e tesi, compressi in una serie infinite di morse che gli rendevano ogni movimento uno stillicidio di aghi dolorosi.
Avrebbe voluto soltanto lasciarsi andare a terra, scivolando nel nulla, ma si scagliò contro di lui per la terza volta, facendo fluire un potente ki-blast dal palmo della mano.
La luce invase la stanza, un bagliore allucinò le loro iridi, accecandoli.
Veldock gli restituì il colpo con un movimento secco della mano, incurante di quanto le sue occhiaie apparissero profonde in quel lampo devastante, stanchi i lineamenti del suo volto.
Aveva perso.
Per un breve, folle attimo pensò di uccidere Vegeta, sentiva le pareti della mente traballare, divorate dalla lava corrosiva delle sue speranze tradite. Forse... era meglio assassinarlo con le sue mani che saperlo morto per mano di Freezer, oppure umiliato, frustrato a sangue o strozzato dalla coda di quel mostro.
Quel pensiero gli fece paura, un’angoscia talmente profonda da rimescolargli le viscere.
Si avvicinò a suo figlio, sdraiato a terra, colpito dalla sua stessa onda energetica, alzandolo per il bavero della canottiera. Se lo immaginò, talmente vivido da suscitargli i conati di vomito, l’immagine del suo piccolo cadavere, dei suoi occhi apatici, svuotati, bianchi, la coda strappata, la spina dorsale spezzata, sullo sfondo la risata del demone, seguita dall’eco dei suoi tirapiedi.
« Padre... Cosa succede? » domandò serio Vegeta, fissandolo profondamente, le labbra strette in un’espressione timida. Finalmente... aveva avuto il coraggio di nominare il grande assente in quella scena assurda e violenta che era stata il loro allenamento improvvisato.
« Succede che sei debole, Vegeta. Una terza classe qualsiasi saprebbe fare di meglio. »
Un ringhio tagliente nelle orecchie, gli occhi neri di suo padre che lo trapassavano da parte a parte, l’ennesima ferita che andava ad aggiungersi alle altre.
« Io... non sono debole. » sbottò, contraendo la mandibola « Io... sono più forte di voi. »
Alzò il mento, con tutta la fierezza dei suoi novanta centimetri di di altezza, e strinse i pugni. L’ira correva smisurata lungo le sue vene, riempiendolo di una forza nuova, elettrica e vigorosa come un fulmine. Quello che suo padre desiderava era uno scontro fra adulti, uno scontro mortale, dunque lo avrebbe accontentato.
Le gambe gli tremavano nuovamente, ma non più per la stanchezza, la potenza del suo sangue si espandeva deflagrando in tutte le sue cellule, pura e semplice energia che si concentrava nell’aura crepitante intorno a lui. Sorrise, borioso, inquietandosi per l’espressione strana che si era dipinta sul volto di suo padre. Sembrava angoscia, aveva forse paura di morire?
Veldock era perfettamente consapevole che suo figlio lo aveva già superato da tempo, ma non sarebbe stato comunque sufficiente per sconfiggere Lord Freezer.
« Non saper controllare la propria forza è come non possederla affatto. » affermò, stizzito, materializzandosi accanto a lui e atterrandolo con un calcio nella schiena. Vegeta cadde, stringendo i denti al punto di sentirli scricchiolare, l’odio che si faceva largo sul suo volto.
Chiuse un attimo gli occhi, permettendo al ki di invadere tutto il corpo, gemendo lievemente nel sentire il fuoco della potenza coprirlo dalla testa ai piedi, era imponente, rovente come le fiamme, un vento corrosivo che lo separava dal mondo.
Un, due, tre, quattro, contava mentalmente per restare calmo.
Un, due, tre, quattro, un sospiro profondo, sentiva i muscoli gonfiarsi e irrigidirsi.
Era talmente arrabbiato con suo padre che avrebbe voluto fargli male, ferirlo come era stato ferito da lui. Mise le mani in posizione, il ki che si accumulava in una sfera luminosa, enorme, sempre più grande. La puntò contro suo padre, il cui volto rimaneva imperturbabile, impassibile, come se non si trovasse lì. Le braccia di Vegeta tremavano, i muscoli si contraevano in spasmi dolorosi, il suo corpo era troppo immaturo e inesperto per padroneggiare tutta quell’energia.
Ancora, ancora energia, ne serviva ancora, la vita fluiva lenta dal suo corpo, svuotandolo anche della forza che aveva acquistato attraverso la collera. Un vago senso di nausea lo faceva deglutire ripetutamente, non vedeva più suo padre, il campo visivo completamente occupato dalla sfera che si ampliava crepitante fra i suoi palmi delle mani.
E se lo avesse ucciso?
« Avanti, Vegeta. Se hai il coraggio... affrontami. » gli gridò, algido, lo sguardo abbagliato dalla sua luce. Quel ki blast era il più potente che avesse mai visto da un saiyan non trasformato in Oozaru.
E se lo avesse ucciso?
Le mani del bambino tremarono più forte.
Quello era un colpo mortale, quasi tutta la forza era scivolata via dalle sue vene.
Se suo padre fosse morto, lui sarebbe divenuto Re a soli cinque anni.
Nulla di bizzarro nella storia dei Saiyan, dopotutto per loro contava solo la potenza fisica.
Avrebbe potuto prendere facilmente il suo posto, realizzando il suo sogno: finalmente sarebbe andato a depredare, uccidere, devastare. Si immaginò, il mantello di porpora che volteggiava alle spalle, una schiera di uomini alti alle sue dipendenze, i passi lenti, minacciosi, gli stivali che da bianchi divenivano sporchi del sangue inferiore di qualche verme, la mano spalancata nel diffondere una vita tossica, distorta, in cui tutto si piegava al suo volere.
Un lieve sorriso di piacere si dipinse sulle sue labbra.
Un lieve sorriso che morì quasi immediatamente, sbranato dai suoi lineamenti. Bastò un secondo per annullare quel ghigno, un secondo solo in cui Vegeta intravide lo sguardo scuro di suo padre attraverso il bagliore. Era serio, gli occhi pieni di ombre.
Dopotutto, quell’uomo duro era sempre suo padre.
E lui... lo rispettava.
Forse per questo non riusciva a massacrarlo come faceva con i Saibaman.
Non aveva mai conosciuto sua madre. Gli avevano raccontato che dopo averlo partorito si era alzata sulle sue gambe ed era partita per andare in guerra, una guerra dalla quale non era mai tornata.
Rose era stata uccisa. Era debole e stanca, ancora sfinita per il parto, ma il suo orgoglio le aveva impedito di ammetterlo, seguendo le spalle fiere del marito come in tutte le spedizioni.
Le urla di Vegeta avevano fatto tremare i vetri del Palazzo Reale. A nulla erano servite le consolazioni e le cure attente delle serve, Vegeta non aveva voluto nessuno. Si era calmato soltanto al ritorno di suo padre, sul cui volto severo si erano scavate delle rughe che nulla avevano a che fare con la vecchiaia. Non aveva manifestato nessuna emozione, limitandosi ad appoggiare il palmo della mano sul petto del neonato, madido dal pianto, in silenzio. Lo stesso silenzio si era rispecchiato nel viso di Vegeta, paonazzo da singhiozzi che erano durati ore.
Quell’uomo gelido e distante era tutto ciò che aveva.
E non voleva deluderlo.
Le sue mani tremavano ancora di più. Il suo intero corpo traballò, sfibrato dalla stanchezza. Fissava ancora suo padre, ipnotizzato in quella contemplazione, ma la figura scura si volatilizzò inaspettatamente. La sua bocca si aprì in un gemito di sorpresa quando Veldock ricomparve al suo fianco, una figura nera che si stagliava contro la luce candida.
« Cosa c’è? Hai paura di farmi male? » lo schernì in un sibilo, avvicinandosi pericolosamente, così in fretta da respirare sul suo volto. Vegeta si paralizzò, abbassando lo sguardo, colpito da un manrovescio talmente forte da fargli perdere il controllo della sfera, che finì per schiantarsi contro il muro.
Quel figlio era... perduto.
Non sarebbe mai diventato re, se lo sentiva, non avrebbe mai potuto insegnare a Vegeta a diventare il suo degno erede al comando dell’esercito dei Saiyan. Non lo avrebbe visto diventare un uomo, l’uomo potente e temuto che aveva sempre immaginato. Era ormai pura utopia.
Se lo sentiva, un rimescolio delle viscere gli diceva che quello sarebbe stato il suo ultimo mese da bambino, perché poi sarebbe stato assassinato oppure tramutato in un ignobile servo, spedito in qualche ramo oscuro della galassia.
Veldock era intenzionato a non consegnarlo inerme nelle mani di Lord Freezer, avrebbe fatto del suo meglio per aumentare la sua forza, per aumentare le sue probabilità di sopravvivere.
Voleva incontrarlo ancora.
Lo afferrò per il collo, stringendolo con entrambe le mani, gli occhi del bambino che si spalancavano per la sorpresa e per il terrore. Sbatté la testa di Vegeta sul pavimento, in un colpo talmente forte che le piastrelle sotto la sua nuca si ruppero, frantumandosi. La tensione nel corpo di suo figlio si sciolse come se la corrente elettrica fosse stata improvvisamente staccata.
Ma Veldock aveva fiducia in lui, un’incrollabile fiducia che non morisse.
Lo scaraventò a terra, mollando la presa dal suo collo. Lo osservò svenuto, la tuta strappata sulle gambe e sul petto, che si alzava piano, quasi impercettibilmente.
Vegeta era un Saiyan e come tutti i Saiyan aveva il dono di tramutare il dolore in forza.
Lo avrebbe aiutato a divenire abbastanza potente da sopravvivere a qualunque tortura che Lord Freezer avesse intenzione di provocargli.  
A costo di farsi odiare.
A costo di farsi uccidere.
Non appena vide il bambino alzarsi si materializzò vicino a lui e gli sferrò un calcio nello stomaco con tutta la potenza di cui era capace.
Vegeta rimase immobile, allucinato, sentì le gambe tremare, qualsiasi tentativo di trattenersi in piedi era inutile, tutto era liquido, il pavimento sempre più vicino. Cadde rovinosamente a terra, lo stomaco che deflagrava in un dolore che lo fece gridare. Non vedeva più niente, la stanza divenuta un caleidoscopio d’oscurità, il volto severo di suo padre che si ripeteva, distorto, in un caleidoscopio di occhi, il suo sguardo deluso, ancora una volta era stato debole, incapace di fronteggiarlo. La nausea lo scuoteva dall’interno, nemmeno più il volto di suo padre era nitido, solo la sua ombra, gigantesca, enorme, si stagliava dentro la sua testa.
Qualcosa si contrasse dentro le sue viscere, una centrifuga gli spaccava le viscere, un moto rovente gli risaliva lungo la gola.
« Padre... » rantolò, le piccole labbra da cui colavano rivoli di porpora, lo sguardo colmo di terrore.
La mano del padre lo girò con fermezza su un fianco, per una volta il loro tocco era gentile, ma Vegeta non riuscì a percepirlo, completamente paralizzato dal dolore. Sentiva il cuore battere furiosamente nel petto, le costole incrinate che rubavano spietate la vita dai suoi polmoni bucati, il fiato cortissimo. Tutto il suo petto si contrasse in uno spasmo doloroso, non riusciva nemmeno più ad urlare, il suo spirito era come rinchiuso in un puntino dentro di lui, annegato nelle profondità. Il panico lo riempiva da cima a fondo, continuava a respirare affanosamente ma non arrivava aria, non c’era più aria, neppure una molecola, l’oscurità aveva ingoiato tutto.
Non poteva fare altrimenti.
Il destino di Vegeta era ormai segnato, un fato dal colore del sangue, svuotato della gloria e dello sfarzo in cui era cresciuto, sporcato dalla morte che gli aveva sorriso quando era solo un bambino attraverso il ghigno di un Demone bianco.
Vegeta cercò lo sguardo di suo padre, annaspando alla ricerca delle sue mani, premute sul suo corpo,  ma non percepiva più nulla. Solo il dolore, invischiante come una tela di ragno, strillava potente dentro di lui, acuto come uno stridio.
Spalancò la bocca in un conato di vomito scarlatto, il corpo che si contraeva ritmicamente per espellerlo. Una pozza di sangue talmente densa da risultare nera si espanse copiosa sul pavimento.
Veldock lo guardò, lo sguardo severo come un vagabondo sulle guance livide di suo figlio, entrambi gli zigomi frantumati, il setto nasale ridotto in poltiglia, le labbra tagliate da cui colava sangue, sospinto da colpi di tosse sibilanti e affannosi, echi del cuore che pompava disperatamente, sfibrato dalla mancanza di sangue.
Soltanto i suoi occhi corvini, vividi, rilucevano come astri in quella devastazione, brulicanti di vita.
« Perché... perché volete uccidermi... » rantolò, incredulo, quasi smarrito.
In quel momento gli parve soltanto un bambino spaventato, un ragazzino, non un principe, non suo figlio, non un guerriero valoroso. Eppure...aveva resistito. Un’ombra di orgoglio e ammirazione attraversò i lineamenti austeri dell’uomo, un barlume di piacere si rifranse dentro di lui.
« Io voglio tutto... fuorchè ucciderti. »
Lo prese fra le braccia, rudemente, appoggiandoselo sulla spalla. Le piccole braccia di Vegeta si avvolsero intorno alla sua nuca, come se non avessero fatto altro per tutta la vita. Il bambino chiuse gli occhi, stremato, abbandonandosi a quel corpo duro, coriaceo, appoggiando la fronte nell’incavo del collo di suo padre.
Ora... paradossalmente... provava meno dolore. Sentiva il braccio di suo padre sostenenergli la schiena, rigida lungo la sua spina dorsale, e terminare fra i suoi capelli, tenendoselo premuto contro con fermezza. Quel contatto caldo, il suo odore, il sentirsi trasportare, erano la cosa più vicina ad una carezza che avesse mai provato. Si lasciò andare, cullato dal suono ritmico dei suoi passi, sempre più veloci.
Il principe stava morendo, era il momento giusto per portarlo nella camera di rianimazione e assistere alla sua rinascita, ma doveva fare in fretta.
« Tu devi essere il migliore, Vegeta. » gli sussurrò, risoluto, esitando per un istante nel corridoio deserto.
E poi, all’improvviso, quel calore scomparve.
Senza nemmeno accorgersene Vegeta tentò di aggrapparsi al padre con le ultime forze che gli rimanevano. Ma invano, era stato rifiutato ancora una volta e scaraventato nelle mani di servi che gli tagliarono bruscamente i vestiti immergendolo nella vasca di rianimazione.
« Quando si sveglia fatelo mangiare e portatelo di nuovo nella mia palestra personale. »
Il bambino spalancò gli occhi di scatto, annebbiato dal blu, confuso dalle bolle e dalla densità del liquido gelatinoso che lo avvolgeva, riuscendo solo a scorgere soltanto la sagoma alta di suo padre allontanarsi, il mantello di porpora che ondeggiava dietro di lui.
Sapeva che sarebbe rinato, come una fenice dalle ceneri ancora ardenti della sua morte, più forte, più coraggioso di prima. Sentiva le sue cellule iniziare a rigenerarsi, una nuova potenza rinvigorire le sue vene, germogliando piano.
Sarebbe diventato il migliore, il migliore di tutta galassia, un Re anche migliore di suo padre.
Senza dubbio.
Non lo avrebbe deluso. Quell’uomo violento e rabbioso era l’unica persona che Vegeta considerasse reale, l’unico per cui provasse rispetto, l’unico Saiyan il cui non riuscisse a sostenere lo sguardo senza provare un minimo imbarazzo.
Sarebbe diventato il più forte.
Più forte di chiunque, ne era certo, eppure si sentiva immensamente triste. Si sentì, per la prima volta, sopraffatto dal dolore, da un dolore non solo fisico, aveva paura, un terrore profondissimo di cui non conosceva la ragione, celata nelle ombre degli occhi tetri di suo padre.
Circondato dalla solitudine si permise di piangere, le lacrime che si disperdevano nel blu della vasca, scosso da singulti talmente intensi da far sanguinare ancora più copiosamente le sue ferite, il corpo sferzato dalla corrente delle biotecnologie che instancabili sfrecciavano sulla sua pelle.
Ma le ferite che si erano aperte nel suo animo non potevano essere curate dalla scienza. Una cupa angoscia si era insinuata talmente in profondità dentro di lui da scavare un nido nelle sue viscere, una seconda fenice, perversa, sbatteva le ali intessute di aghi e di tenebre dentro di lui, facendo esplodere le sue vene, gridando crudele un canto dissonante, stridente, una melodia distorta che irritava come carta vetrata tutti i suoi punti deboli.
Forse stava succedendo qualcosa di brutto che Veldock non aveva voluto dirgli.
Oppure più semplicemente... era colpa sua.
Si era meritato di essere umiliato e massacrato di botte.
Non era ancora all’altezza.
Non valeva nulla.
Non ai suoi occhi.
 
***
 
 
  
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: nuvolenere_dna