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Autore: Lucius Etruscus    24/02/2017    1 recensioni
Stringere alleanza con il diavolo ha sempre dei costi, ma il maggiore Dunja è disposta ad accettarli. Sull’Avamposto di ricerca scientifica Adullam sbarcano Dunja e Boyka per stringere alleanza con il dottor Lichtner, uno scienziato specializzato nella costruzione... delle armi più inaspettate dell’universo. È solo questione di tempo prima che la situazione esploda...
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di 20th Century Fox (Aliens) e Nu Image / Millennium Films (Boyka). Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
In fondo al testo riporto tutte le fonti che ho utilizzato per la stesura.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avamposto di ricerca scientifica Adullam

«Benvenuti su Adullam», li accolse la voce flautata di una ragazza.

La navetta da trasporto della USS Verloc era atterrata nel punto prestabilito, in una radura nei pressi della città fortificata del dottor Lichtner, un posto isolato dove il velivolo sarebbe stato al sicuro in attesa del ritorno del maggiore. Dunja e pochi uomini sarebbero entrati in città mentre gli altri Colonial Marines avrebbero aspettato fuori: era la procedura standard.

La ragazza che li aveva accolti appena sbarcati indicò loro un veicolo. «Seguitemi, vi porterò dal dottor Lichtner.» Dunja e Boyka salirono a bordo.

Dimitri era impallidito quando aveva scoperto che solamente il maggiore e il lottatore sarebbero entrati nella città fortificata, ma Dunja fu inamovibile: voleva che il sergente rimanesse a guardia della navetta, con la cassa che conteneva Rykov in sonno criogenico e che organizzasse i soldati in caso di necessità. Non aveva senso andare in tanti da Lichtner, per prendere gli accordi del caso bastava lei e la sua “guardia del corpo”. Boyka non aveva commentato quella sua nuova mansione.

Entrati nell’ampio veicolo, Dunja commentò soddisfatta. «Che lusso: il dottor Lichtner è sempre così accogliente con gli ospiti?»

La ragazza sorrise in modo strano, quasi se l’espressione degli occhi non corrispondesse a quella della bocca. «Non capita spesso che vengano ospiti, qui su Adullam, quindi al dottore piace fare le cose in grande quando alcuno di così importante lo viene a trovare.»

Dunja chinò leggermente il capo in segno di ringraziamento. «Troppo buona, noi non siamo affatto così importanti.»

I complimenti andarono avanti ancora un po’, finché la ragazza non cedette alla curiosità. «È sempre così serio il suo soldato?»

Dunja si voltò a guardare divertita l’espressione immobile di Boyka. «L’ho scelto apposta così: una guardia del corpo non deve essere un chiacchierone né un simpaticone. Mi basta che faccia il suo lavoro e stia al suo posto.» Il lottatore non mosse un muscolo in risposta.

Il viaggio fu breve e il veicolo entrò nella città fortificata. All’interno piante rigogliose e piccole case basse sembravano stonare con il resto del piccolo pianeta, semidesertico. «Il dottore ha fondato una splendida città», disse Dunja guardandosi in giro.

La ragazza sorrise. «Il dottore ha cura di tutto ciò che gli è caro. Non gli capita spesso di mostrarlo a degli ospiti esterni quindi sarà felicissimo del vostro arrivo. Eccolo che arriva.»

Scesi dalla macchina, Dunja e Boyka si voltarono vedendo arrivare uno strano veicolo che trasportava, apparentemente a fatica, un uomo obeso scortato da giovani ragazze. «Benvenuti, amici miei», esultò l’uomo appena fu vicino agli ospiti, allargando le braccia in un gesto ampio.

«È un piacere conoscerla dal vivo, dottor Lichtner», esordì Dunja. «Ho sentito molto parlare di lei.»

«Per carità, tutte illazioni!» rispose il dottore esplodendo in una risata grassa. «Spero non crederà alle voci, sono solo invidiosi del piccolo paradiso che mi sono costruito.»

Il maggiore si inchinò a stringere la mano grassoccia e molliccia che Lichtner gli porgeva rimanendo seduto sul suo trabiccolo: probabilmente l’uomo non era più in grado di trasportare il suo peso con le sole gambe. «Sono perfettamente d’accordo con lei», rispose amabilmente Dunja.

«E chi è questo baldo giovane che si è portata appresso?» chiese il dottore guardando Boyka, che non accennava a muoversi.

«Saluta il dottore», lo redarguì Dunja, al che Boyka strinse anche lui la mano dell’uomo. «Lo scusi, è un buzzurro che non è abituato a stare tra le persone civili. Ma è un’ottima guardia del corpo: il giorno che riuscirò ad educarlo sarà davvero perfetto.»

Lichtner fissò Boyka continuando a sorridere. «Guardia del corpo, eh?» disse quasi sovrappensiero. Poi tornò a guardare la donna. «Educare e rendere civili sono le costanti del mio lavoro, lo sa?» Dunja annuì sebbene non capisse. «L’universo è caos puro, ed è compito di pochi saggi illuminati dargli forma. Educare significa sconfiggere il caos. Si guardi in giro», e agitò le mani a mostrare lo splendore della sua città. «Adullam era un pianetino a mala pena segnato nelle carte spaziali, ma io ho “educato” ogni sua parte per creare il mio paradiso.»

Dunja continuava ad annuire ma non vedeva l’ora finisse quell’inutile sproloquio. «Ha fatto un lavoro eccellente, dottore», buttò lì nella speranza fosse finita la solfa.

«Avremo modo di parlare meglio più tardi», esordì il dottore e fece un gesto alle ragazze che lo seguivano. «Accompagnate i nostri ospiti nella loro stanza.» Tornò a guardare Dunja. «Vi lascio riposare dal viaggio: sarete miei graditissimi ospiti stasera a cena. Se volete potete anche invitare gli altri soldati: mi piange il cuore a pensare ai vostri uomini che passeranno il tempo chiusi in quella piccola astronave.»

Poteva sembrare un gesto di cortesia, ma non lo era. Dunja nascose un brivido: quella sembrava dannatamente una minaccia, come a dire che quei Colonial Marines non avrebbero potuto difenderla in alcun modo. «La ringrazio dell’offerta, è davvero gentile, ma sono soldati: sono abituati a situazioni peggiori.»

Il sorriso sul volto del dottore era sempre raggiante. «Come preferisce. A dopo, maggiore», e se ne andò mentre la ragazza che li aveva accompagnati indicò loro di seguirla.

Quando si trovò davanti ad un solo alloggio, Dunja gettò un rapido sguardo a Boyka: o il dottore dava per scontato sarebbe arrivata da sola... o dava per scontato che avrebbe diviso la stanza con la sua guardia del corpo. In entrambi i casi il maggiore non se la sentì di chiedere una stanza a parte per Boyka, ma si limitò a stringere la mano alla ragazza che li aveva accompagnati. «Lei è stata così gentile con me e non so neanche il suo nome.»

La ragazza sorrise nel suo modo strano. «Mi chiamo Olimpia e mi curerò di voi durante la vostra permanenza.» E se ne andò con una rapidità inaspettata.

~

Boyka si affacciò alla finestra e rimase lì immobile, mentre Dunja si sdraiava sul letto. «Quella ragazza ha il sorriso più falso che abbia mai visto... Oh, chissà se ci sono microfoni nascosti.» Si guardò distrattamente in giro. «Scherzavo, è una ragazza fantastica», disse ad alta voce, sorridendo.

Tornò a sdraiarsi e a fissare il soffitto, finché alla fine cedette. «Non hai proprio niente da dire?» La domanda rimase sospesa nell’aria per un po’.

Boyka non si voltò dalla finestra ma parlò con tono appassionato. «Sono cresciuto in un carcere, è la prima città che vedo in vita mia... Ma non dovrebbe esserci gente in giro? Siamo in pieno giorno e non ho sentito un solo rumore. Perché poi quel grassone è circondato solo da ragazze giovani?»

«Non è difficile da immaginare», rispose Dunja sempre fissando il soffitto. «Ai maschi potenti piace avere carne fresca al proprio fianco, e nessuno li giudica male per questo...»

Il silenzio tra i due era denso, finché Boyka lo spezzò. «Scoparsi ragazze è diverso che presentarle agli ospiti: avevano tutto l’aspetto di guardie del corpo e questo è ridicolo. Erano così giovani e magre che con un solo schiaffo le avrei potute uccidere tutte.»

«Lichtner non riceve molti ospiti, l’hai sentito, quindi non è abituato ad avere guardie del corpo. Quelle saranno le sue ancelle e con quelle si è presentato. Non mi sembra qualcosa di strano. Anch’io mi sono presentata con una guardia del corpo che non lo è affatto...»

«Non mi piace, c’è qualcosa di sbagliato in questo posto. E qualcosa di sbagliato in quelle ragazze. Camminavano come... come...»

«Non ti facevo così attento ai particolari, addirittura hai notato come camminavano? A me sembrava che camminassero come chiunque altro.»

«Un lottatore è abituato ad analizzare chi gli sta davanti nel minor tempo possibile: io sono un campione, quindi non importa se chi mi sta davanti è un amico o un nemico. Io studio tutti, mi viene automatico.»

«Dimenticavo la tua grande umiltà», sorrise Dunja. «E allora, campione, cos’hai notato nella camminata di quelle ragazze?»

Boyka stavolta si voltò a guardare la donna. «Non so spiegarlo in altro modo, ma... camminavano come combattenti, come chi sa di essere più forte di tutti e non si preoccupa di nasconderlo. Camminavano come me... e questo non mi piace.»

Dunja incrociò il suo sguardo solo per un secondo, poi si alzò dal letto e cominciò a svestirsi. «Quelle quattro ossa con un po’ di pelle sono tutto tranne che combattenti: magari camminavano storte perché non mangiano da giorni, per essere così magre. Io ora mi faccio una doccia, e dopo dovresti farla anche tu: non mi va che la mia guardia del corpo puzzi di sudore.»

Boyka guardava impassibile la donna che si spogliava. «Quindi è ufficiale? Ora sono la tua guardia del corpo?»

Dunja aspettò a rispondere finché non si fu sfilato l’ultimo vestito. Si portò poi le mani ai fianchi e rimase così, spavaldamente nuda davanti a Boyka, a mostrargli il suo corpo muscoloso da soldatessa. «A quanto pare non posso farci altro, con te, perciò sì: ora sei la mia guardia del corpo. Ti devo la vita e non lo dimentico, quindi se ti viene in mente qualche altra mansione che ti piaccia di più non hai che da dirmelo.» La donna afferrò uno degli asciugamani lasciati in vista e se lo mise su una spalla. «Allora, non hai altro da dire?»

Boyka non le aveva mai tolto gli occhi di dosso, pur non lasciando trasparire ciò che pensava. «Sono la tua guardia del corpo, quindi mi limito a guardarti il corpo...»

Dunja sorrise stizzita ed entrò in doccia.

~

La cena con Lichtner fu più noiosa del previsto. Il dottore parlò e parlò delle sue idee sul caos e l’educazione, raccontò di come aveva tirato su la città dal deserto e di mille altri argomenti tutt’altro che interessanti. Dunja sorrideva ed annuiva, e lanciava complimenti a caso. Boyka fingeva di essere distratto ma in realtà studiava ogni angolo della sala e soprattutto ogni persona al suo interno.

A Dunja non era sfuggito che tra i vari ospiti non c’era un solo uomo: la tavola del dottor Lichtner era frequentata da sole donne giovani. «Lei è un uomo che non si fa mancare nulla, dottore», si lasciò andare ad un certo punto.

Il dottore rise. «È per le mie ragazze? Le assicuro che non è come sembra.»

Dunja agitò una mano. «Non deve fraintendermi, so come vanno le cose...»

«Mi fa piacere invece spiegarle», la interruppe il dottore. «Mi capita così di rado di vantarmi della mia opera che le chiedo di lasciarmi questa soddisfazione.»

Il maggiore non capì bene di quale opera si trattasse ma fece segno di continuare.

«Tutti sanno che le mie armi sono le migliori in circolazione, ma quella è un’attività che porto avanti per mero interesse economico. Io ambisco all’arma più perfetta: l’umanità.» Seguì qualche istante di silenzio d’effetto. «Siamo tutti umani, maggiore, ma cosa distingue lei da una donna qualsiasi? La disciplina, l’ordine militare che fa di lei una fiera combattente. Più cresce il livello di ordine più si raggiunge la perfezione: di questo sono fermamente convinto. Ma è noto che gli esseri umani si ribellano a qualsiasi tipo di ordine, così li ho abbandonati per provare qualcosa di diverso: provare a costruire umani che ambissero alla perfezione.»

Dunja deglutì più forte del previsto. «Costruire, dice?»

Lichtner fece un segno ad una ragazza, che si avvicinò. «Questa è Olimpia, la ragazza che vi ha accolti: avete notato qualcosa di diverso in lei?» Dopo un attimo di gelo Dunja fece segno di no, una palese bugia. «È invece il frutto del mio interesse nella robotica umana. So che la Weyland-Yutani ha il monopolio delle “persone sintetiche” ma ho voluto cimentarmi anch’io: Olimpia infatti non è umana, è una ginoide. È una macchina “a forma di donna”.»

La ragazza continuava a sorridere, mentre Dunja e Boyka la guardavano allibiti. «È una sintetica?» chiese il maggiore.

«Preferisco ginoide», rispose Olimpia. «Non sono stata concepita bensì creata, ma al di là di questo sono cresciuta come qualsiasi altra ragazza: sono umana esattamente come voi.»

Mentre la ragazza sfoggiava il suo falso sorriso, Lichtner allargò le braccia. «Vedete? È convinta di essere cresciuta e di essere in tutto simile ad una donna umana. Anche se ora sta ascoltando quello che dico, anche se ora ribadisco che è solo una macchina a forma di donna, il suo software le continuerà a generare il falso ricordo di essere cresciuta. Di essere viva. L’alternativa, è triste dirlo, è stata una macchina priva di qualsiasi utilizzo, che ho dovuto smantellare. Olimpia, proprio perché convinta di essere simile ad una umana, è una macchina più utile. Ma... lo stesso non era quello che cercavo.»

Dunja aveva lo stimolo di girarsi a guardare Boyka, come a dire “lo senti quanto è folle quest’uomo?”, ma non poteva farlo: Lichtner continuava a fissarla, infiammato.

«Così ho proseguito le mie ricerche sul controllo e sull’educazione. Mi sono detto che la vita biologica ha qualcosa di impossibile da ricreare: non posso costruire la perfezione... devo limitarmi ad educare quella già esistente. E cosa c’è di perfetto già esistente in natura?»

Dopo un silenzio imbarazzato Dunja rispose a caso: «L’essere umano?»

Lichtner scoppiò in una risata. «Per carità, no. Ma aspetti, le parole non possono spiegare in pieno la potenza della mia opera: posso chiederle un favore, maggiore?» Dunja annuì titubante. «Può chiamare per radio i suoi uomini e chiedere loro di non reagire, qualsiasi cosa avverrà nel giro di qualche minuto?»

Dunja represse un brivido. «Che cosa ha in mente, dottore? Non capisco...»

«Le chiedo un atto di fede, maggiore. Ho le migliori intenzioni del mondo, le assicuro e le garantisco che né lei né i suoi uomini hanno da temere da me o dal mio pianeta, ma è necessario che lei li avverta di non reagire. La paura potrebbe fare dei danni.»

Dunja era raggelata e paralizzata: negare un favore così strano a quel folle poteva avere conseguenze terribili, visto che in pratica erano in suo potere. Stringendo i denti il maggiore afferrò la trasmittente che portava legata alla spalla e parlò con una voce che cercava disperatamente di nascondere la folle paura. «Dimitri, mi senti?» Una voce rispose affermativamente. «Il dottor Lichtner sta per mostrarci un... trucco. Diciamo una specie di sorpresa per impressionarci. Mi assicura che è tutto innocuo ma è importante che voi manteniate la calma. Qualsiasi cosa avverrà nel giro di pochi minuti.» Il maggiore dovette ripetere l’ordine, oggettivamente assurdo, ma alla fine guardò il dottore con occhi tesi. «Spero di non aver mal riposto la mia fiducia, dottore.»

Lichtner si illuminò in volto e fece un rapido quanto apparentemente distratto gesto con la mano, rivolto alle ragazze dietro di sé che non mostrarono alcuna reazione. «Vedrà, maggiore, sarà uno spettacolo sorprendente e non un solo capello verrà torto ad alcuno. Altro vino?»

Sotto gli occhi allibiti di Dunja e Boyka la cena proseguì come se niente fosse, finché il maggiore non ce la fece più. «Dottore, spero scuserà la mia apprensione, ma... non ha detto che avremmo assistito a... qualcosa

Lichtner annuì. «In effetti dovremmo esserci, come tempi.»

D’un tratto la trasmittente di Dunja gracchiò, e la donna rispose con voce palesemente allarmata. «Che cazzo succede, maggiore?» gridava Dimitri, fuori di sé. «Dove siamo finiti? Santo Dio...»

«Sergente!» gridò la donna. «Torna in te e dimmi cos’è successo.»

Dimitri cominciò a farfugliare qualcosa ma già Dunja non lo stava più ad ascoltare, atterrita dallo spettacolo che si presentò davanti ai suoi occhi.

«Le avevo promesso qualcosa da togliere il fiato», disse Lichtner, «e mi sembra di essere stato di parola.»

Nell’ampia sala dove si trovavano erano appena entrati degli xenomorfi: non erano piombati dentro come loro solito, né sembravano mostrare alcuna aggressività. Erano semplicemente entrati dalla porta in perfetto ordine. Come fosse una parata.

Gli occhi di Dunja e Boyka erano allibiti davanti allo spettacolo di un gruppo di alieni che trasportava una cassa appena prelevata dalla loro navetta. La cassa contenente Rykov addormentato.

«Lei... è riuscito ad ammaestrare gli xenomorfi», disse Dunja senza muovere un muscolo, completamente rapita dalla visione.

«No, maggiore, purtroppo non ho questo potere, ma sono andato alla radice: non si può piegare qualcosa che è nato violento... ma si può piegarlo al momento della nascita.»

Il gruppo di creature raggiunse il centro della sala e posò in terra la cassa, facendo qualcosa che sembrò dannatamente un inchino.

«Sono creature nate ubbidienti?» chiese Dunja senza riuscire a distogliere lo sguardo.

«C’è un equivoco, maggiore», e Lichtner agitò una mano per richiamare l’attenzione della donna. «Non sto parlando di quei mostri, quelli sono solo comunissimi xenomorfi che ubbidiscono agli ordini inviati loro per comunicazione mentale. No, io mi riferisco a chi sta mandando loro gli ordini in questo momento», e con un ampio gesto della mano indicò le ragazze dietro di sé.

Dunja le fissò ancora più confusa. «Sono telepati?»

Lichtner sorrise. «In un certo senso. Ma non lasciatevi ingannare dal loro aspetto: sembrano donne ma non lo sono, non almeno nel senso abituale del termine. Anche loro sono ginoidi, ma non sono state costruite: come una qualsiasi altra donna sono state generate, partorite... Loro però sono fuoriuscite dal ventre di una vittima...» Dunja lo fissò con gli occhi sgranati e la bocca aperta, e il dottore così seppe che poteva calare il colpo di teatro. «Sono xenomorfi, maggiore... modificati geneticamente per essere a forma di donna.»

   
 
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