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Autore: The Custodian ofthe Doors    26/02/2017    1 recensioni
Come si definisce l'importanza di un eroe? Le sue sole imprese possono dirci quanto esso sia stato grande?
Dalle azioni di un uomo si delinea il suo successo ed il ricordo che il mondo terrà di lui, le folli gesta di chi è stato designato come eroe ed è destinato all'immortalità.
Loro non sono altro che mezzi eroi invece, nessuno li ricorderà mai, non saranno i protagonisti di leggende fantastiche e racconti mozzafiato, nessuna canzone verrà composta e cantata alla vivace fiamma di un falò nelle notti stellate, nessun bambino desidererà mai esser come loro, ripercorrere i passi di chi ha lottato, ha sofferto ed è morto come semplice soldato senza poi ricevere la corona d'alloro.
Perché loro erano lì, ma questo non conta.
Loro erano solo Mezzi Eroi e sempre tali sarebbero rimasti.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Half Heroes


19. Silena Bouregard- Bellissmia confusione.


Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno dei suoi fratelli fosse nelle vicinanze, ma la cabina più leziosa del Campo era completamente vuota, Apollo brillava così tanto quel giorno di primavera che era un affronto rimanere al chiuso e non godere della sua magnifica presenza.
Sospirò tra il sollevato e lo sconfortato, le sarebbe piaciuto tanto star anche lei fuori a godersi il Sole, ma aveva altro da fare, doveva pensare, ragionare per bene. Si sistemò meglio sul letto più ampio della Cabina 10, sprofondando nei cuscini morbidi come nuvole che lo decoravano e lasciandosi assalire da quel misto di sentimenti indefiniti che le attanagliava il cuore da quasi una settimana a quella parte.
Era giusto? Stava facendo la cosa giusta? Era a fin di bene, no? Era per tutti i suoi compagni, per i suoi fratelli, per un futuro migliore.
Giusto?
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloncini crema una piccola scatolina, così minuscola che avrebbe potuto contenere solo un anello, un anello per un bambino, ma che Silena sapeva contenere ben altro.
Il cofanetto era nero, di velluto morbidissimo e lucido come il guscio di un coleottero, bombato proprio come l'insetto. Lo aprì con lentezza e cura, trattenendo il fiato mentre la dita lunghe e smaltate di rosso tremavano sugli angoli stondati, esercitando la pressione necessaria per sollevare il coperchio, lasciando che i piccoli cardini argentati ruotassero sul perno che li univa.
Uno scintillio metallico risplendette per tutta la cabina, inondando le pareti rosate di un riflesso freddo che alla ragazza parve spingersi in ogni angolo di quell'ambiente famigliare, scatenando in lei sensi di colpa che non avrebbe dovuto avere.
Chiuse di scatto la scatola e poi gli occhi, sicura che il suono secco delle due metà che si scontravano fosse rimbombato per l'intero Campo, che tra poco qualcuno sarebbe venuto a chiederle se stesse bene.
L'idea la fece saltare sul posto, rinfilò la scatolina nella tasca anteriore degli short e si ravvivò i capelli con le mani, sorridendo tesa al suo riflesso, gli occhi azzurri come il cielo di quella magnifica giornata la scrutarono sgranati, mostrandole tutta la sua tensione.
Doveva uscire di lì, assolutamente, fare due passi e fingere che andasse tutto bene, che non ci fossero problemi. Anche perché non c'erano, no? Che cosa stava facendo di male lei? Nulla, non aveva fatto nulla.
Non ancora.
Quando quel pensiero le attraversò veloce la mente i suoi piedi si mossero comandati da una forza esterna, corse veloce verso la porta e la spalancò, rimanendo bloccata sulla soglia.
Il Sole splendeva, illuminando tutto con la sua luce calda e chiara, spietata, che le mostrava la purezza di un luogo incontaminato, di un porto franco, di casa. Abbacinata da tanta luminosità si sentì mancare il fiato, le ginocchia tramarono obbligandola a poggiare il peso di tutto il suo corpo contro lo stipite, il legno angolato che le premeva sulla spalla nuda, le chiacchiere e le risate degli altri semidei che le riempivano le orecchie, assordandola e chiudendola in una gabbia di sensazioni che si andavano solo a sommare a quei sentimenti inquieti che le agitavano il petto, aggiungendo una sbarra dietro l'altra alla gabbia dorata che le si stava innalzando attorno.
Cosa doveva fare?
Sembrava che il mondo intero la guardasse in attesa, mostrandole a sfregio la bellezza che ospitava, sussurrandole che se tutto ciò sarebbe andato in fiamme sarebbe stata solo colpa sua. Sua e di nessun altro.
Cosa doveva fare?
Il colpo del diaframma l'avvertì che aveva smesso di respirare, che l'aria non circolava più nel suo bel corpo e che presto sarebbe svenuta. Ma a chi sarebbe importato? Chi si sarebbe preoccupato di lei? Era solo una figlia di Afrodite, lo sapevano tutti che loro erano deboli, che svenivano se sollecitati dal troppo sforzo o da situazioni pericolose, dai troppi sentimenti. Lo sapevano tutti che non erano fatti per l'azione, che era inutile dargli un qualunque ruolo di rilevanza. I figli della Dea dell'Amore erano bravi solo a parlare, solo quello.
Si mosse inferma sulle gambe tremanti, sentiva le rotule sussultare nelle ginocchia, minacciando di cedere da un momento all'altro e lasciandola cadere come una bambola, ma strinse i denti e aumentò il passo, scendendo i gradini rosa sbiaditi e avviandosi di buona lena verso il bosco, in un qualunque luogo in cui nessuno l'avrebbe vista.
Ma più si addentrava nel Campo più l'angoscia le scivolava lungo la schiena, entrandole sotto pelle e riempiendola di sudore freddo. Perché la stavano tutti guardando? Cos'avevano da fissarla in quel modo? Ma lo facevano sempre?
Sorrisi che le erano sempre parsi cordiali e amichevoli ora le apparivano finti e freddi, saluti vuoti dettati dall'abitudine o dall'educazione. Le parole sussurrate erano tutte rivolte a lei, ai suoi movimenti guardinghi, al suo sguardo febbrile.
Cosa sapevano? Perché le parlavano alle spalle?
Lo sapevano.
Si bloccò nel mezzo della strada, terrorizzata dai suoi stessi pensieri.
Lo sapevano.
La stavano fissando per quel motivo, perché lo sapevano.
Sapevano tutto, era spacciata. Cosa avrebbe detto loro? Come si sarebbe giustificata?
Le parve di sentire il suo nome e ciò la riscosse abbastanza da farle riprendere quella sua infinita marcia verso un posto più appartato e sicuro. Ma lo era davvero? Stava al campo, quello sarebbe dovuto essere il posto più sicuro di tutti, l'unico inviolabile e inaccessibile dalle forze nemiche. Eppure Silena non poteva far a meno di domandarsi chi fossero i nemici, quando questi erano ragazzi, semidei come lei, amici e fratelli, li si poteva definire come tali? Come nemici? Per di più, se erano i figli degli Dei a muoversi contro di essi, la barriera il avrebbe respinti? Avrebbe negato il passaggio, la sicurezza, ad un adolescente perché aveva deciso di schierarsi contro gli dei? La barriera era selettiva?
La guardò, mentre continuava a camminare, fissava quella barriera invisibile.
Lui le aveva detto che dovevano riuscire ad entrare per poter arrivare a quanti più compagni possibili, per mostrargli al verità, parlare con loro e spiegarli a cosa stavano andando incontro. Ma loro erano mezzosangue, quindi perché non si introducevano semplicemente al campo e chiedevano udienza? Il suo sguardo venne bloccato dalla casa grande, quell'edificio azzurrognolo che era simbolo e sede del potere delle divinità al campo stesso e la ragazza rise delle sue stesse domande, facendosi scappare un verso di scherno per sé stessa. Sciocca Silena, era ovvio che non potevano, che gli Dei li avrebbero fulminati.
La verità era che si sentiva confusa, confusa come i suoi pensieri e le sue domande, che le vorticavano caotiche per la testa. Cosa doveva fare? Era giusto? Lo voleva? Era sbagliato?
Le veniva da piangere e basta, non voleva prendere quella decisione, non voleva farlo, però si sentiva obbligata, doveva dargli una risposta. Si sentiva di tradire tutto l'affetto e la fiducia che era stata riposta in lei, ma dall'altra parte era stanca di veder soffrire i suoi cari, gli amici di sventure di una vita che non potevano appropriarsi della propria perché il loro divin genitore si annoiava e aveva altri piani per lui. Silena poi ci credeva nel lato buono degli Dei, doveva essercene uno, anche loro erano fatti di bene e male come gli uomini, tutti quanti compresa sua madre. Afrodite era la dea che più di tutti ispirava sentimenti positivi, il bene, una divinità benigna, ma Silena sapeva quanto potesse essere terribile e cattiva, non si illudeva. Però le voleva bene, anche se non avevano quel gran rapporto e lei aveva abbandonato suo padre e non le aveva concesso una famiglia come si deve o degli amici che non rischiavano di morire da un momento all'altro e…
Si ritrovò accasciata al suolo, coperta dagli alberi e dalle fronde, a piangere disperata senza sapere più nulla, la tabula rasa nella sua mente l'affliggeva come una spada conficcata nell'addome.
Cosa doveva fare?

<< Mamma… ti prego...>> mormorò tremante tra un singhiozzo e l'altro.
Ma nessuna parola le giunse, nessun segno caritatevole, una carezza o un suono. La dea più amabile si era di nuovo dimenticata di lei, impegnata in chissà cosa così tanto da non sentire le preghiere di una figlia sull'orlo di un esaurimento nervoso e in piena crisi di panico.
Perché non le dicevano cosa fare? Era stato così per tutta la sua vita, devi essere brava, devi comportarti bene, andare bene a scuola, non litigare, lasciare casa e andare al campo, devi rimanere lì, non devi uscire, non devi scappare ma non puoi combattere come vuoi, non devi disobbedire, non devi vivere.
Piegata su se stessa sentì la pressione della scatolina sulla coscia e si tirò su quel tanto che le bastava per riuscire a sfilarla dalla tasca, la strinse forte nel pugno e si lasciò cadere di nuovo, un singhiozzo più forte degli altri rimbombò nella foresta.

“Mi serve il tuo aiuto, a me, ai nostri compagni, a tutti noi e tu sei l'unica che può farlo. Loro non credono che tu sia abbastanza forte, ti deridono perché sei figlia dell'Amore e non vuoi imbracciare armi, ti giudicano solo dalla mera facciata che è tua madre e non si impegnano a guardare oltre, a conoscerti, a chiedersi se sei anche tu così, solo finzione, sorrisi, bellezza e parole vuote, o se sei molto di più. E io invece lo so: sei dolcezza e attenzione, dedizione verso i compagni, verso le tue cause; hai degli ideali solidi, che non possono essere piegati, ma sei sempre disposta ad ascoltare, a parlare con gli altri e spiegare. Sei bella come la tua anima Silena ma non mi illudo, so che hai dei difetti perché tutti li abbiamo, nessuno è perfetto. Il mio è quello di prendere troppo sul personale le faccende, di chiudermi in un solo obbiettivo, in un combattimento anche più grande di me, che forse non supererò, solo per dimostrare agli altri che posso farcela invece. Il tuo Silena è che sei troppo buona, sei troppo attaccata a chi ti ha teso una volta la mano, alle regole. Ti barrichi dietro ai falsi miti perché ti hanno detto di farlo, ma l'obbedienza va guadagnata, non imposta.”

Quelle parole le rimbombarono nella mente come se gliele stessero dicendo in quel momento, come una registrazione infinita.
Erano vere, erano sentite, ci credeva davvero in quello che le stava dicendo.

“ Ho bisogno di te. Abbiamo bisogno di te. Sei l'unica che può farcela, perché nessuno si aspetterebbe mai che la buona Silena alzi la testa e lotti per la giusta causa, che non si faccia assoggettare. Tu sei la nostra speranza. Combatti Silena, combatti per noi, per tutti noi. Per la nostra libertà.”

Era così? Alla fine era per questo che stavano lottando, per la libertà, per il futuro che se no non avrebbero mai avuto.
Si mise seduta e si impose di calmarsi, di respirare e asciugarsi le lacrime. Decise di fare un ultimo tentativo, di sperare nella sincerità e nella bontà di sua madre e pregò.
Pregò gli Dei di dirgli cosa fare, di consigliarla e spiegarle perché stavano combattendo, perché dovevano morire tutti quei ragazzi, perché da millenni loro si divertissero ad usarli come giocattoli e poi buttarli via. Ed ebbe la sua risposta.
Il silenzio fu la spiegazione più concreta che potesse ottenere, fu lo schiaffo più forte che ricevette in tutta la sua piccola, breve e fragile vita. Agli Dei non interessava darle spiegazioni, non importava tenersela fedele, non gli importava e basta.
Tirò su con il naso e aprì con mani tremanti la scatolina di velluto nero, sul cuscinetto di raso brillava un ciondolo, una piccola falce d'argento che segnava definitivamente la sua decisione, il suo partito, ciò per cui decideva di combattere, per i suoi fratelli e non per degli Dei falsi e bugiardi. Le aveva fatto un regalo, nient'altro che un regalo costellato di parole suadenti come i serpenti del dio dei ladri, ma molto più vere, molto più sentite e concrete di tutti i silenzi a cui era costretta da sempre.
Silena strinse il ciondolo nel pugno e chiuse gli occhi, nella sua mente un messaggio che viaggiava per miglia giungendo ad un ragazzo dagli occhi azzurri ed il volto sfregiato dal dolore e dalla sfrontatezza nati dall'abbandono.
Ed era bello, era bellissimo sapere di poter finalmente fare la differenza, di esser utile, essenziale per qualcuno, per la giusta causa. Bellissimo e confuso come i demoni che avrebbero tormentato la sua anima per tutto il tempo che l'avrebbe divisa dalla morte, finché essi non sarebbero affogati nell'acido assieme a lei, nella notte in cui gli Dei, come già infinite volte prima di allora, avrebbero toccato il fondo.



Un giorno qualuno avrebbe detto che Silena Bouregard era un eroe, null'altro che un eroe e nessuno avrebbe avuto il coraggio di replicare contro chi avrebbe pronunciato quelle parole. Ma la verità, triste ed amara come solo lei può essere, avrebbe sussurrato nei loro cuori, per sempre, che forse la dolce Silena aveva solo ceduto ai sensi di colpa, che forse, che sicuramente lei non era stata altro che un ennesimo figlio smarrito e abbandonato che non aveva trovato un appiglio in quel mare in tempesta che era la vita di ogni semidio. Tutti commettono errori e Silena aveva pagato il suo con il conto più alto. Era davvero giusto ricordarla come un esempio?


   
 
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