Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: gattina04    26/02/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
6. Il mio tutto
 
POV Emma
Avevo pensato che le anime che avevo incontrato al di fuori dalla caverna oscura fossero tantissime; invece non erano niente in confronto a quelle che si trovavano là e che adesso sfilavano davanti ai miei occhi.
Attraverso i vicoli sotterranei eravamo sbucati in quella che sembrava una gigantesca piazza, gremita di anime perse. Tuttavia c’era qualcosa che mi rendeva alquanto perplessa: era una sensazione e allo stesso tempo una certezza. Tutte quelle anime che avevo di fronte agli occhi erano ovviamente diverse da Robin e dagli altri, ma non sembravano neanche come le persone tormentate che avevo incontrato all’inizio di quella mia assurda avventura. Non riuscivo a capire cosa le differenziasse, ma c’era qualcosa che mi portava a credere che mi trovassi di fronte a qualcosa di diverso.
Avevo pensato che il passaggio ad anima persa fosse un qualcosa di repentino, stile tutto o nulla; invece, considerando ciò che avevo davanti agli occhi, capii che doveva trattarsi di qualcosa di più graduale. Era come se avessi davanti a me tanti stadi diversi che alla fine portavano allo stessa conclusione. Era strano ed era in qualche modo anche inquietante.
«Dobbiamo restare uniti», mormorò Milah. «Non distanziatevi gli uni dagli altri per nessuna ragione».
«Dove dobbiamo andare?», sussurrò Robin, in un tono appena udibile.
«Esattamente dall’altra parte della piazza». Osservai il punto verso cui era rivolto lo sguardo di Milah, cercando di capire il percorso che avremo dovuto affrontare. Proprio dalla parte diametralmente opposta della piazza sembrava esserci una specie di gigantesca porta in stile medievale. Non era difficile da individuare, date le sue dimensioni, ma per raggiungerla saremo dovuti passare proprio in mezzo a quella ressa; ciò che rendeva l’impresa alquanto ardua era il fatto che tutte quelle persone erano così unite da sembrare quasi un muro invalicabile.
«Cosa c’è oltre la porta?», domandai abbassando la voce a mia volta.
«Non preoccuparti di quello adesso», replicò Milah, «pensiamo prima a raggiungerla». Non mi aveva risposto, ma le sue parole non lasciavano intendere niente di buono.
«Muoviamoci allora», proruppe Charlie.
«Sì ma mi raccomando restiamo uniti», concordò Robin. Senza più aspettare iniziammo ad avviarci verso quella marea di persone. Avevo sempre odiato i luoghi affollati e odiavo ancora di più il fatto di dover passare in mezzo a quella calca. Eppure non c’era altra scelta.
Iniziammo a camminare lentamente, scansando vari gruppi di anime e solo dopo alcuni metri riuscii finalmente a capire quale era effettivamente la differenza: i lamenti che avevo sentito e che mi avevano guidato fuori dalla caverna erano del tutto cessati. Le persone che avevamo di fronte non sembravano così disperate come quelle che avevo incontrato fino a quel momento. Allora perché Milah, Robin e Charlie erano così preoccupati e così convinti della loro pericolosità?
Arrivai alla conclusione che doveva esserci dell’altro sotto, qualcosa che probabilmente non avevo ancora scoperto. Qualunque fosse la situazione, era meglio raggiungere velocemente la porta senza fare troppe domande anche se, ad ogni passo, continuavano ad aumentare nella mia testa. Come si faceva a passare da anima consapevole ad anima persa? Quelle persone si erano rese conto di ciò che le stava accadendo? E perché mi sembrava che le anime riunite in piazza non soffrissero quanto quelle alla periferia della città?
Ne avevo molte altre, ma c’erano talmente tante cose che non sapevo e quello non era sicuramente il momento adatto per chiedere. Dovevo aspettare, anche se andare incontro all’ignoto senza conoscere nulla di ciò che mi circondava mi faceva diventare matta.
Mentre passavamo tra un gruppo di gente e l’altro, sentii qualcuno sfiorarmi il braccio con delle dita gelide. Quel contatto fu del tutto inaspettato e mi fece accapponare la pelle. Non mi ero aspettata niente di simile, visto che il resto delle anime con cui avevo avuto contatti mi aveva a stento visto. Quella era un’altra differenza: queste persone erano consapevoli della nostra presenza, sembravano capire che ci trovavamo esattamente accanto alloro e che stavamo tentando di superarli.
All’improvviso una donna mi afferrò il braccio e puntò i suoi occhi dritti nei miei. Anche se sembrava fisicamente cosciente, il suo sguardo era vacuo, pareva completamente svuotata. Era terribile vedere una cosa del genere ed era così inquietante che non riuscii più a distogliere lo sguardo. Senza volerlo mi fermai e mi ritrovai ad annaspare alla ricerca di aria.
«Emma, non ti fermare». La voce di Charlie mi riportò con i piedi per terra, mentre la sua mano scacciò quella gelida che si era posata sul mio braccio. «Non permettere loro di avvicinarsi».
Annuii senza pronunciare una parola e lasciai che mi prendesse per mano, portandomi via da là. La sua pelle era più calda di quella che mi aveva appena toccato, anche se più fredda della mia, e quel contatto era in qualche modo confortante. Era abituata a stare mano nella mano con Killian, ma quel gesto era completamente diverso. Con il mio pirata era una cosa semplice e naturale, un modo per tenerlo vicino che faceva stare entrambi tranquilli; Charlie invece non solo mi guidava e mi tirava, ma riusciva in qualche modo ad infondermi coraggio senza dire una sola parola. Erano poche le persone in grado di farlo, questo glielo dovevo riconoscere.
Proseguimmo per un altro po’ in quel modo, lui davanti e io dietro, le mie dita strette nelle sue. Non ero sicura di come Hook avrebbe reagito se avesse saputo della cosa, ma d’altra parte lui non era lì e non avrebbe potuto fare niente per aiutarmi.
Durante il nostro percorso le anime tentarono ancora di toccarmi, tuttavia non permisi più loro di farlo, proprio come mi aveva suggerito Charlie poco prima. Stavo infatti scacciando via una donna con una spallata quando questa mi colse alla sprovvista iniziando a parlare.
«È qui». La sua voce era solo un sussurro, ma mi arrivò chiara all’orecchio. Non aveva un accento lamentoso, sembrava invece sicura di ciò che diceva; il suo tono era persuasivo e così naturale da confondermi ancora di più.
Scossi la testa e cercando di passare sopra a quella voce e mossi un altro passo avanti. Ma quella donna non aveva nessuna intenzione di mollare e nonostante l’avessi superata continuò a parlare, facendo crollare tutte le mie difese con una semplice frase.
«Lui è qui». A quelle parole mi bloccai e istintivamente lasciai andare la mano di Charlie. Non avevo la minima idea di chi fosse il lui a cui si riferiva, eppure mi convinsi all’istante che non poteva trattarsi di nessun altro. Chi altro poteva essere se non Killian? Non l’aveva detto, ma il mio cuore sapeva che si trattava di lui.
«Cosa?», sussurrai voltandomi indietro. La donna mi si avvicinò di nuovo muovendosi con un passo ondeggiante e la testa bassa.
«Lui è qui», ripeté afferrandomi le mani. «Ti sta cercando». Il mio cuore partì all’impazzata sentendo quelle parole, confermando ciò che già prima avevo capito. Perché in fondo era quello ciò di cui che avevo bisogno. Chi credevo di prendere in giro? Cercavo di fare la coraggiosa, di non cadere in pezzi ma l’unica cosa che volevo sapere era che Killian mi stava cercando, che lui era lì per me. Ironia della sorte: ero una salvatrice che voleva essere salvata.
«Killian è qui?», balbettai speranzosa.
«Emma!». Nello stesso istante la voce di Charlie fece da sottofondo alle mie parole.
«Certo che è qui», rispose la donna. «Vieni con me, ti porterò da lui». Proprio mentre lei mi cominciava a tirare per un braccio, Charlie mi afferrò per l’altro trascinandomi indietro.
«Emma!», proruppe. «Maledizione! Cosa ti ho appena detto?».
Mi voltai verso di lui quel tanto che bastava per potergli spiegare la situazione. «Lui è qui, Killian è qui. Lei sa dov’è».
«Cosa diavolo stai dicendo?». Charlie tentò di incrociare il mio sguardo, ma io voltai la testa per assicurarmi che la donna non scappasse via. «Emma niente di tutto questo è vero».
«No», scossi il capo e tornai a guardarlo. «Tu non lo conosci, lui è qui, lui ci salverà tutti». Era davvero patetico quello che stavo dicendo, ma sapevo che Killian era in grado di farlo, che lui mi avrebbe cercata fin da subito e che non si sarebbe arreso finché non mi avesse trovata. Ed ora c’eravamo quasi, io dovevo in qualche modo dargli una mano e riuscire ad arrivare da lui.
«Emma! Ascoltati», tentò di nuovo Charlie. «È ridicolo!».
«Devo andare», sussurrai liberandomi dalla sua presa e facendo un passo verso la donna. Quella missione verso l’ignoto poteva aspettare visto che Killian era là. Avremo potuto farla insieme, una volta ritrovati. Forse non ci sarebbe stato bisogno di andare a cercare quella leggendaria donna, Killian poteva avere la soluzione.
«Maledizione. Milah! Robin!». Charlie mi afferrò mettendomi un braccio sotto il petto placcandomi e impedendomi di seguire quella donna. Per fortuna lei non sembrava aver fretta e mi stava ancora aspettando nonostante quella ridicola scena che il mio nuovo amico aveva messo in atto.
«Vieni», pronunciò muovendo appena le labbra. Anche se non ero ancora riuscita a guardarla negli occhi, che erano in parte coperti da una ciocca di capelli, ero certa della sua sincerità.
«Che succede?». All’improvviso mi ritrovai Milah davanti a coprirmi completamente la visuale.
«Killian è qui», balbettai cercando in qualche modo di liberarmi dalla presa di Charlie che continuava a tenermi imprigionata contro il suo petto.
«Cosa?». Milah e Robin parlarono contemporaneamente.
«Killian è qui, lei sa dov’è. Può portarmi da lui».
Robin si girò solo un istante per poter osservare quella donna. «Ti sta mentendo Emma».
«No invece», mi divincolai. «Charlie lasciami. Devo andare». Lacrime di frustrazione iniziarono a rigarmi le guance. Perché nessuno capiva che dovevamo seguirla? Era importante! Ero sempre stata brava a scoprire i bugiardi e, anche se non avevo avuto la possibilità di incrociare lo sguardo di quella donna, non potevo sbagliarmi.
«Emma ascoltami». Milah mi posò entrambe le mani sulle guance costringendomi a guardarla negli occhi. «Loro sono in grado di entrarti dentro e di sfruttare le tue debolezze. Lui non è qui, non può essere qui».
«Invece sì», singhiozzai. Perché nessuno capiva di cosa era capace il mio Killian?
«No, Emma non è così, è solo quello che vogliono farti credere per poter prendere la tua anima». Scossi la testa rifiutando di credere a ciò che aveva appena detto. Non poteva essere davvero così. Io avevo davvero bisogno di sapere che Hook era là, ne avevo così bisogno da prestare fede anche ad un’assurda bugia.
«Si stanno avvicinando». La voce di Robin servì per riportarmi un altro po’ più vicino alla realtà.
«No», sussurrai. Se prima piangevo per la frustrazione, in quel momento le mie lacrime si stavano in qualche modo trasformando in dolore. Era come se le prime avessero aperto la strada per tutte le altre: la diga che tentavo di tenere in piedi dentro di me, stava praticamente crollando a pezzi, lasciando uscire un fiume in piena.
«Abbiamo attirato troppo l’attenzione», sussurrò Milah. Sentendo quelle parole alzai lo sguardo e attraverso le lacrime vidi che lo spazio intorno a noi si era ristretto. Le anime si stavano pian piano avvicinando circondandoci completamente.
«Mi dispiace», singhiozzai smettendo di divincolarmi. All’improvviso capii quanto ero stata sciocca. La sola idea che Killian fosse arrivato fino a là e che avesse mandato quella donna a cercarmi era ridicola. Come avevo potuto credere ad una cosa così stupida? Avevo appena messo in pericolo tutti quanti senza neanche accorgermene.
«Dobbiamo andare», disse Robin. «Forza Emma».
Invece di obbedire e di aiutarli in qualche modo ad uscire da quella situazione di cui io stessa ero la causa, mi accovacciai appoggiando la testa sulle ginocchia. Iniziai a piangere silenziosamente, non riuscendo più a calmarmi. Non era una reazione da me: io ero sempre fredda e coraggiosa di fronte al pericolo. Invece in quel momento mi sentivo tremendamente debole, così fragile da non riuscire neanche a smettere di singhiozzare. Ero appena diventata il perfetto cliché della pulzella in pericolo che deve essere salvata dal principe sul suo cavallo bianco.
«Merda! Non si muoverà», inveì Milah.
«Prendimi lo zaino». La voce di Charlie fu sicura ed autoritaria. «Forza Emma andiamo». Meno di un secondo dopo mi sentii sollevare e mi ritrovai sulla spalla di Charlie, con le gambe sul suo petto e la testa rivolta verso la sua schiena. Non provai neanche a divincolarmi e lasciai che lui mi portasse via di lì. Per quella volta lasciai che Charlie fosse il mio principe dal cavallo bianco, anche se avrei preferito con tutta me stessa essere salvata da un pirata con un uncino al posto della mano.
Ero stata proprio una stupida. Come avevo potuto farmi raggirare così? Quella donna non mi aveva neanche detto a chi si riferisse ed io ero saltata alla conclusione che si trattasse di Killian. Ed il motivo era chiaro: mi mancava così tanto da far male. Mi mancava più di mio figlio e dei miei genitori, della mia stessa famiglia. Era orribile e allo stesso tempo naturale: da molto tempo era diventato lui il mio tutto. Lui era il primo con cui volevo condividere una notizia, il primo da cui correvo se ero triste, l’unico che capiva quando stavo mentendo e quando invece ero seria. Era l’unico che sapeva farmi sorridere nei momenti brutti ed era uno dei pochi che mi infondeva costantemente fiducia.
Avevo tentato di negarlo fin da quando ero arrivata ma adesso non potevo più nasconderlo. Avevo una voragine al posto del cuore al solo pensiero di essere intrappolata là, senza possibilità per lui di sapere dove fossi e come raggiungermi. Ero stata brava fino a quel momento a tenerlo relegato in fondo alla mia mente, ma quella donna con quella semplice affermazione “lui è qui” mi aveva fatto crollare.
Mi odiavo per aver messo tutti in pericolo, per essere stata così stupida, per non riuscire a smettere di piangere e per essermi dimostrata più un peso che d’aiuto in quella missione già alquanto pericolosa. Di solito non ero io la principessa debole e spaventata, non lo ero mai stata; nonostante tutte le difficoltà non ero mai scoppiata a piangere in quel modo. Ero sempre in prima linea a combattere, pronta a salvare tutto e tutti. Non era quella che scoppia in lacrime e non riesce più a fermarsi. Non mi riconoscevo e sembrava che la frustrazione e il dolore si mescolassero insieme in un mix micidiale. Piangevo per la rabbia e perché mi sentivo sola e spaventata. Era successo tutto all’improvviso, quando stavo vivendo uno dei momenti più felici della mia vita. Quel cambiamento repentino mi aveva colto alla sprovvista, devastandomi completamente.
Non so esattamente quanto tempo dopo, ma l’andatura di Charlie iniziò improvvisamente a rallentare, fino a fermarsi del tutto. Non avevo alzato più la testa da quando mi aveva sollevato, pur sentendolo correre nonostante il mio peso. Mi vergognavo per ciò che avevo fatto e mi sentivo anche in colpa. Dovevano assolutamente togliermi il titolo di Salvatrice per darlo a lui.
«Qui va bene». La voce di Milah mi giunse dalla mia destra. «Possiamo riposarci un attimo».
Senza aggiungere una parola Charlie mi rimise a terra, riprendendo fiato e aiutandomi a rimettermi in piedi. Notai che avevamo raggiunto la porta e che eravamo esattamente ad un lato del suo enorme arco. Era un posto appartato, dove le anime passavano senza però vederci.
«Mi dispiace», sussurrai asciugandomi le lacrime. «Mi dispiace così tanto».
«È stato molto stupido da parte tua», mi rimproverò Milah. «Hai messo in pericolo tutti quanti, noi più di te. Forse non hai capito quanto stiamo rischiando!».
«Hai ragione», mormorai puntando lo sguardo a terra. «Sono stata una sciocca».
«Beh sciocca è dir poco», continuò.
«Milah!». Sia Robin che Charlie vennero in mio soccorso.
«No è vero». Trassi un profondo respiro e alzai lo sguardo su di lei. «Lo so che non è una giustificazione, ma mi manca da morire».
La vidi sospirare e cambiare espressione, passando dalla rabbia alla comprensione. «Lo so e sapevo che prima o poi saresti crollata, solo speravo che non lo facessi in mezzo al pericolo».
«Emma», intervenne Robin, «tutti noi ci aspettavamo che prima o poi tu reagissi in qualche modo. Sei sempre stata così calma e pacata rispetto alla proporzione di ciò che ti è capitato. Pensavamo che saresti esplosa quando hai scoperto dove ti trovavi, ma non hai reagito così male. Rabbia, dolore, disperazione sono sensazioni che abbiamo provato tutti».
«Sai cominciavo a crederti una donna bionica», scherzò Charlie, «così capace di controllare le sue emozioni. Avevo pensato che ti saresti messa ad urlare e non a piangere, ma va bene lo stesso. Fa bene sfogarsi». Mi asciugò le lacrime con un dito mentre io tiravo su col naso. Aveva perfettamente ragione, non era servito a nulla eppure piangere mi aveva in qualche modo riportato nella giusta direzione.
«Tornerai da Hook, Emma», mi disse Robin appoggiandomi una mano sulla spalla. «Tornerai a Storybrooke sana e salva. Altrimenti come farai a dire a Regina che io sto bene e che non deve preoccuparsi per la mia anima?».
Accennai un sorriso e mi asciugai con la mano le ultime lacrime. Avevo ripreso lentamente il controllo sul mio respiro e sul mio corpo; per il momento avevo pianto abbastanza. Era giunta l’ora di mostrare a quel mondo cosa volesse dire essere la Salvatrice e di cosa ero capace, anche senza magia.
«Sei pronta per ripartire?», mi domandò Milah.
«Sì, e questa volta prometto che non sarò di intralcio. Farò tutto ciò che è necessario per portarvi tutti via di qui sani e salvi, vi do la mia parola». Ed io mantenevo sempre la parola data, a qualunque costo.
 
POV Killian
Sebbene avessi bisogno di risolvere al più presto quell’intricata matassa, dovevo prima tentare di calmarmi e di mettere ordine nella mia testa. Aver preso le distanze da quella bambina non significava di pari passo smettere di pensare a lei; anzi era tutt’altro. Il mio nome pronunciato dalle sue labbra non faceva altro che ronzarmi in testa, insinuando il dubbio nella mia mente. Potevo essermi sbagliato? Forse la mia Emma esisteva ancora nella sua forma bambina, forse non era tutto così nero come mi sembrava ed io potevo rimanere con lei senza compromettere la purezza di quello che c’era tra noi.
Tuttavia, se da una parte non desideravo altro che fosse vero in modo tale da poter tornare da lei, non potevo farlo perché ormai avevo fatto la mia scelta ed avevo optato per ciò che sarei riuscito a sopportare. Stare insieme alla piccola Emma, per quanto potesse nascondere la mia Swan, non avrebbe fatto altro che uccidermi lentamente. Per questo dovevo trovare una soluzione il più velocemente possibile, senza perdere tempo.
Prima, però, dovevo calmarmi e cercare di mettere a tacere la battaglia che infervorava in me tra testa e cuore. Ero un groviglio di emozioni, un fascio di nervi; avrei voluto fare a pugni con qualcuno, urlare a squarciagola tanto per sfogarmi un po’. Mi mancava Emma e non sapevo come fare a sopportare quella dannata solitudine. Emma era la mia famiglia, il mio tutto, ed ora quel tutto si era ridotto ad una bambina a cui non potevo stare accanto per non sentirmi sporco o di peggio.
C’era solo una cosa che riusciva sempre a calmarmi e a mettere a tacere le mille voci nella mia testa; per questo, quasi inconsciamente, mi diressi verso il porto e una volta là mi misi a sedere sul molo, fissando un punto indistinto all’orizzonte.
Avevo appena scelto di allontanarmi dalla piccola Emma eppure dentro di me sentivo quasi il bisogno di tornare da lei. Sapevo a cosa era dovuto: avevo bisogno di stare con Emma, ma non era la bambina quella con cui sarei dovuto stare. Se fossi tornato mi sarei sentito meglio sul momento, ma sarebbe stato l’inizio della fine. Come potevo guardarla sapendo l’intensità dei miei sentimenti? Io non ero un uomo che si innamora facilmente, ma quando lo facevo mi lasciavo completamente travolgere; e per quanto odiassi ammetterlo io ero completamente suo e senza Emma non ero più niente. Tornare da lei sarebbe stato facile sul momento ma non era la scelta praticabile.
Ero rimasto solo in quella lotta contro quello che rimaneva uno stupido maledetto desiderio. Io avrei riportato indietro Emma a qualsiasi costo e quel costo comportava tagliare i ponti con colei che l’aveva sostituita. Non mi sarebbe bastato aspettare e vederla crescere, perché la probabilità che fosse la stessa era pari a zero, o almeno così credevo. L’unica persona che avrebbe potuto confermare la mia ipotesi era Pinocchio, e doveva essere proprio lui il mio punto di partenza. Gli altri potevano anche divertirsi a fare l’allegra famigliola felice, io avrei continuato per la mia strada.
«Sapevo di trovarti qui». Una voce mi riportò alla realtà mettendo momentaneamente a tacere la confusione dentro la mia testa.
Continuai a guardare l’oceano senza dire una parola e non mi voltai neanche quando Henry si sedette al mio fianco.
«So che non è…», mi disse una volta seduto, ma io non lo lasciai continuare.
«Henry, ti prego non serve».
«No», ribatté, «lasciami finire. So che non è facile per te vedere la mamma così, ma non è facile neanche per me. È mia mamma non dovrebbe sembrare la mia sorellina!». Aveva ragione: per un momento mi ero dimenticato che c’era qualcun altro che come me stava perdendo tutto. Per me era difficile, ma non era una passeggiata nemmeno per lui.
«Capisco», continuò, «il motivo per cui te ne sei andato e sono d’accordo con te. Tutti capiamo cosa stai provando…».
«No, non credo che ci riusciate». Scossi la testa amaramente.
«Sì invece. Deve essere terribile vederla così, è terribile per me ed io ho anche un’altra mamma. Io lo so quello che provi per lei e so anche quello che lei prova per te e per quanto la piccola Emma abbia dimostrato un forte attaccamento nei tuoi confronti non è la stessa cosa. Questo lo sappiamo tutti».
«Henry quello che provo in questo momento è alquanto confuso, e so che se non risolvo questa matassa al più presto io finirò per andare fuori di testa».
«Certo ed è per questo che io sono qua adesso. Io voglio aiutarti: chi altri potrebbe essere motivato come te se non io per far tornare la mamma come prima?». In effetti non aveva tutti i torti e dovevo riconoscere che era molto più maturo di quanto pensassi.
«Lo sai che hai bisogno del mio aiuto», insistette, «ed è quello che ti sto offrendo». Anche se non volevo ammetterlo, certe volte quel ragazzino aveva dei colpi di genio che mi sarebbero stati utili. Ed in fondo non avevo nulla contro di lui, anche Henry era una vittima che non guadagnava nulla da quella situazione.
«D’accordo», acconsentii. Senza aggiungere altro mi alzai, pronto per mettermi in azione. «Allora andiamo?».
«Dove?», mi domandò alzandosi a sua volta.
«Da Pinocchio». Parlare con il bambino di legno era praticamente l’unica certezza che mi restava. «Non saprei cosa altro fare».
«Beh mi sembra un buon punto di partenza». Senza aggiungere altro ci incamminammo di nuovo verso il centro di Storybrooke diretti alla bottega di Geppetto. Eravamo quasi certi di poterlo trovare là con suo padre, intento a portare avanti la tradizione di famiglia.
«Hook?». Henry mi chiamò rompendo il silenzio che si era creato. Continuò a camminare al mio fianco, ma notai che mi stava studiando attentamente.
«Che c’è ragazzino?».
«Lo so che pensi che i nonni non siano motivati quanto te o me, ma non è così». L’avevo pensato all’inizio, ma mi ero ricreduto quando avevo visto lo sguardo di Mary Margaret e David dopo che la piccola aveva parlato.
«Beh non credo», ribattei amaramente. «Henry li abbiamo persi quando Emma ha parlato».
«No, non è vero», replicò alzando leggermente la voce. «Beh Hook prova a metterti nei loro panni? Come avrebbero potuto rimanere indifferenti? Ma sicuramente vogliono riabbracciare la vera Emma almeno quanto noi». C’era un fondo di verità nelle sue parole, però non cambiava la situazione: loro avevano guadagnato una figlia ed io avevo perso il mio Vero Amore, così come Henry aveva perso sua madre.
«Henry», gli chiesi dopo un po’, «tu credi che Emma sia sempre là dentro? Credi che nel profondo la piccola possa ricordare ciò che era?».
«Non lo so, ma è anche per questo che stiamo andando a parlare con August no?». Già era proprio per quello e se, da una parte non vedevo l’ora di sapere la risposta a quella domanda, dall’altra temevo la verità più di ogni altra cosa. Cosa avrei fatto se la vera Emma fosse stata persa per sempre? O come sarei riuscito a starle vicino se invece fosse stato tutto il contrario? Tuttavia, una cosa era certa quella situazione di incertezza mi stava uccidendo, così come mi avrebbe ferito qualsiasi risposta avessimo ricevuto.
«Comunque», continuò Henry, «conosci la mamma, non basterà un semplice desiderio per fermarla. Qualsiasi cosa sia successa noi non ci fermeremo, ma sono sicuro che la cosa è reciproca. La mamma troverà il modo per venir fuori». Aveva ragione anche se il suo discorso non aveva molto senso logico.
Lasciai che la speranza di Henry prendesse corpo dentro di me e mi lasciai guidare per le vie di Storybrooke cercando di mantenere la mente più sgombra possibile. Per fortuna il tragitto fu breve e dopo poco arrivammo di fronte alla bottega di Geppetto; lo trovammo là fuori intento ad intagliare un grosso pezzo di legno.
«Ciao Marco», lo salutò Henry. «C’è August? Avremo bisogno di parlare con lui».
«Ciao Henry! Hook», ci salutò a sua volta. «August è dentro, accomodatevi pure». Entrammo nella piccola bottega e trovammo subito l’ex bambino di legno, seduto ad un vecchio tavolo con lo sguardo su un libro. Appena sentì i nostri passi alzò la testa e ci fissò con aria perplessa.
«Immagino che questa non sia una visita di cortesia», ci disse prima che potessimo aprire bocca. «Se siete qua vuol dire che è successo qualcosa». Annuimmo con un sospiro e notando la nostra espressione anche il suo sguardo si fece più serio. Feci per parlare ma il rumore di un martello mi interruppe, facendomi dimenticare il discorso coerente che avevo preparato per spiegargli la situazione.
«Credo che dovremo andare in un posto più tranquillo per parlare», ci propose. Annuimmo e senza aggiungere altro lo seguimmo fuori dal negozio.
 
Studiai l’espressione di August cercando di intuire a cosa diavolo stesse pensando. Eravamo seduti ad un tavolo da Granny e avevamo appena finito di spiegargli l’accaduto. Si portò una mano sotto il mento e si sfregò la guancia riflettendo su cosa dire.
«Allora?», domandai impaziente.
«Beh dammi un momento», ribatté. «È una notizia abbastanza sconvolgente e anche difficile da credere».
«Lo sappiamo», intervenne Henry. «Forse questa potrà aiutarti». Estrasse dalla tasca il suo marchingegno per parlare e mostrò ad August la foto che avevamo fatto alla piccola Emma.
«Oh mio Dio! È proprio lei», ammise Pinocchio sospirando.«Potrei riconoscerla ovunque. È come la piccola che ho portato all’orfanotrofio più di trent’anni fa». Sentii una punta di gelosia farsi strada dentro di me a quelle parole, ma fu subito sostituita dalla rabbia. Era vero: lui la conosceva da molto più tempo di me ed era stato suo amico quando ancora non aveva nessuno, ma quando erano piccoli anche lui non aveva esitato ad abbandonarla.
«Non pensavo che potesse succedere una cosa del genere», disse dopo qualche secondo. «Credevo che fosse capitato solo a me».
«Turchina ci ha detto che la situazione è diversa stavolta. Il suo cambiamento è dovuto ad un desiderio, non è facile trovare una soluzione. Lei non può aiutarci e neanche il nonno». Notai che Henry non aveva usato le stesse parole di Turchina: non può essere annullato; gli fui enormemente grato per quello.
«Non capisco», continuò August, «credete che io possa aiutarvi?».
«Forse, ma prima abbiamo bisogno di sapere una cosa», risposi. «E tu sei l’unico in grado di darci una risposta». Presi fiato e poi buttai fuori tutto insieme. «Lei è ancora lì dentro? Voglio dire quando tu sei tornato bambino ti ricordavi dell’uomo che eri stato? Non intendo ricordare in senso stretto, ma magari avevi la sensazione che ci fosse dell’altro che tu fossi qualcosa di più di un semplice bambino. Non so come spiegarlo…».
«Ho capito Hook», mi fermò. «Vorrei poterti dire che in fondo sapevo di essere stato un uomo un tempo, ma non è così. Non c’era niente che mi desse anche solo un sentore del mio passato, non mi ricordavo niente finché Gold non mi ha ritrasformato».
Strinsi forte il pugno che avevo appoggiato sul tavolo e cercai di digerire la notizia che avevo appena ricevuto. Faceva più male di quanto sospettassi: voleva dire che Emma non c’era più e solo allora capii che non era la risposta che volevo. Avrei preferito starle accanto pur in veste di bambinaia e sapere che la mia Emma era ancora lì, piuttosto che vederla scomparire per sempre.
«Quindi la mamma non c’è più? Non si ricorda di me… non si ricorda di niente». Henry era sconvolto almeno quanto me e non era giusto. Era solo un ragazzino e se io faticavo a digerire la notizia, come poteva farlo lui? Senza pensarci due volte feci una delle cose che un pirata sa fare meglio: mentire.
«Henry, forse non è così». Posai la mia mano sulla sua cercando di calmarlo. «La situazione di Emma è completamente diversa da quella di August, l’ha detto anche Turchina. Sono certo che lei si ricorda di te, di tutti noi, e anche se magari adesso non è così, sono sicuro che non potrà mai dimenticarci. La faremo tornare, perché lei è ancora là e sono convinto che se potesse ci griderebbe a gran voce di aiutarla».
«Hook ha ragione», mi appoggiò August. «Non pensare a ciò che ho detto. Emma è molto più forte di me, è più forte di chiunque altro, non è la stessa situazione».
«Dobbiamo farla tornare», disse Henry stringendo il pugno sotto la mia mano. «Ho bisogno che la mamma torni quella di prima, al più presto».
«È anche per questo che siamo qui», continuai, approfittando di ciò che aveva appena detto Henry. «Devi aiutarci August, non te lo chiederei se non fossi davvero disperato». Ed era la pura verità. Anche se non avevo nessun dubbio sui sentimenti di Emma, lui rimaneva comunque una sorta di rivale; era più forte di me anche se sapevo che era un idea del tutto infondata.
«Se c’è qualcuno che può trovare una soluzione a questa storia», proseguii, «quel qualcuno sei tu».
«Chi meglio di te può aiutarci a far tornare la mamma come prima?», mi appoggiò Henry. «Tu eri un uomo e sei tornato bambino per poi ridiventare uomo. Anche se non è la stessa situazione, sei l’unica persona che conosciamo che ha vissuto un’esperienza in qualche modo simile».
«Beh io non saprei da che parte cominciare», ci rispose August.
«Neanche noi», affermai. «Possiamo iniziare a capirlo insieme. Che ne dici?». August rifletté sulle mie parole, cercando forse di afferrare in cosa potesse esserci utile. In realtà non lo sapevo neanche io, ma avevo la netta sensazione che sarebbe stato un elemento fondamentale. In fondo era meglio contare su tutto l’aiuto possibile e lui conosceva molte cose sui sortilegi e sulla magia, molto più di quanto tendesse a far credere. Sentivo che lui doveva essere parte integrante dei nostri piani per riuscire a salvare la mia Emma, anche se la cosa non mi rendeva esattamente felice.
«Va bene», acconsentì alla fine. «Non posso certo lasciarvi da soli ad affrontare questa situazione. Anch’io voglio che la nostra Emma torni tra noi». Cercai di non pensare molto a quel “nostra” e allungai la mano verso di lui.
«Siamo d’accordo allora?».
Strinse la mia mano con una presa ben salda. «Siamo d’accordo».
«Grazie», sussurrai in un tono che non ero certo potesse sentire. Il sorriso appena accennato che si disegnò sulle sue labbra, però, mi confermò che al contrario il mio ringraziamento era giunto chiaro all’orecchio del destinatario.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti! Sono nettamente in ritardo rispetto al solito, ma ce l’ho fatta per il rotto della cuffia.
Comunque ecco qua un altro passo avanti: da una parte il crollo emotivo di Emma – c’era da capirla nonostante non sia proprio il suo carattere – dall’altra nuove/vecchie alleanze. L’idea di aggiungere August alla storia e stata improvvisa, scrivendo mi è venuto naturale.
GRAZIE (ancora una volta) di leggere la mia storia e di recensire. Come sempre sono curiosa di sentire le vostre opinioni!
Un bacio e alla prossima settimana.
Sara  
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: gattina04