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Autore: AnyaTheThief    28/02/2017    1 recensioni
Si conclude con quest'ultima parte la saga di Crossed Lives. Finalmente potrete dare risposta alle domande che ancora erano rimaste aperte dai capitoli precedenti. In un viaggio tra vite passati e presenti, ecco l'ultimo moschettiere affrontare i fantasmi del XVII secolo in un mondo totalmente nuovo. Il suo primo incontro con la vita passata sarà qualcosa di inaspettato.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athos, Porthos, Queen Anne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era furente. Avrebbe gridato e pestato i piedi se non fosse stato per il fatto che doveva far finta di nulla: Manuel non sapeva niente di tutta quella storia, soltanto qualche pezzo qua e là, tipo che quello era il circo in cui andava sempre da bambina e che una signora che conosceva era morta nell’incidente della ruota panoramica.

Non poteva dirglielo, non poteva confessargli che fino a pochi anni prima che lo conoscesse era del tutto ossessionata da un altro uomo, e non un uomo qualunque. Lui era Jad, era Porthos, era stato il suo migliore amico e potenzialmente poteva ancora esserlo. Ma non poteva succedere, lei non avrebbe permesso che i due si incontrassero: sarebbe finita in una posizione di merda, non c’era altro modo per descrivere il disagio che avrebbe provato se i due si fossero incontrati.

Lo aveva fatto sembrare un caso. Aveva fatto deviare Manuel sulla via di casa con la scusa di voler vedere se il circo fosse arrivato in città, ma lo sapeva benissimo: Inga aveva adempiuto al suo compito e l’aveva avvertita immediatamente quando aveva scorto la figura di Jad tra la folla.

Tornare in quel posto era diventato troppo doloroso per lei. Dopo anni di inutili visite, domande senza risposta e indagini che non l’avevano portata a nulla, ci aveva rinunciato. Era sparito. L’aveva abbandonata senza una parola e nessuno sapeva dove fosse.

Schiumava di rabbia. Squadrava ogni volto con un broncio irritato, mentre camminava a passo veloce davanti al banco dello zucchero filato.

“E’ qui che venivi sempre da piccola, quindi?” domandò Manuel, cercando di stare al passo.

“Sì!” replicò lei, sfoderando il suo migliore sorriso, come se non volesse prendere a calci chiunque le tagliasse la strada in quel momento.

“Ehi.” la richiamò d’un tratto, prendendole la mano. Lei si fermò, lo guardò negli occhi per un attimo, ma poi si distrasse di nuovo. “Tutto bene?”

“Mh.” annuì lei, sforzando un sorrisino. “Sì, scusami, credo che… quando penso a quello che è successo a Tabatha...” buttò lì la scusa, con aria convincente e mezza affranta. Sapeva che lui se la sarebbe bevuta e si sentì terribilmente in colpa per stargli mentendo in quel modo. Non riuscì nemmeno a finire il discorso, perché la sua attenzione fu attirata da qualcosa alle spalle di Manuel. Un chiaro segnale.

“Forse dovremmo andar--” iniziò a dire, ma lei lo interruppe subito.

“No!” esclamò Iris, forse con troppa veemenza. “Credo che… debba affrontarla questa cosa, prima o poi. Andiamo alla ruota.” e riprese a camminare, trascinandoselo dietro.

Non appena gli diede le spalle, il viso le si rabbuiò. Cosa diavolo aveva in mente quel cretino di Jad?

Passarono in mezzo a due file di palloncini blu, legati attorno ai paletti di una staccionata in un percorso che voleva chiaramente indirizzarla verso la ruota panoramica.

“Iris, sei sicura che...”

“Devo farlo.” spiegò, determinata, continuando a camminare. Un palloncino blu era legato anche sopra il chiosco dei biglietti ed un altro alla cabina che girando si era appena piazzata davanti ad esso. “Ovviamente...” ringhiò ironica, facendo schioccare la lingua. Tutto ciò non faceva che renderla più nervosa: cosa si aspettava? Che gli sarebbe corsa incontro a braccia aperte solo perché aveva piazzato qualche palloncino qua e là? Le mani le prudevano: non vedeva l’ora di mettergliele addosso, ma non nel modo in cui lo avrebbe fatto cinque, forse anche tre anni prima.

“Due biglietti.” chiese al cassiere.

“Mi dispiace, signorina. E’ rimasto solo un posto nella cabina.” rispose l’uomo, chiaramente non un grande bugiardo, dato che si tratteneva a malapena dallo sghignazzarle in faccia. Iris diede un’occhiata alla cabina dai vetri scuri.

“Ma se si è appena fermata… Come può ess--” fece per replicare Manuel, ma fu di nuovo stroncato.

“Non fa niente. Forse è destino che lo faccia da sola.” gli sorrise di nuovo, falsamente, e gli schioccò un bacio sulle labbra. “A dopo.”

“Ma, Iris… sei...” balbettò, spiazzato.

“A dopo!” ripeté con fermezza, prendendo il biglietto e riconsegnandolo all’uomo davanti alla cabina. Quando le aprì la porta, prese un grande respiro, ma non appena varcò la soglia, tutta l’aria che tratteneva in bocca le uscì in un singhiozzo rotto.

Uno schiaffo risuonò all’interno della cabina, poi un altro. Gli si avventò contro dandogli calci e pugni, e per quanto fosse piccola ed esile, facevano male. Gli facevano male al cuore, gli ferivano l’anima come sferzate secche, ma sopportava in silenzio, incassando ogni colpo con le lacrime agli occhi.

“Schifoso… Maiale…” ringhiava lei tra i singulti, il viso già madido ed arrossato. Esplose in un urlo frustrato, rannicchiandosi poi sul pavimento, le mani tra i capelli. Sembrava completamente pazza, ma agli occhi di Jad quella era una reazione perfettamente plausibile. Lui avrebbe fatto di peggio, forse.

“Iris...” iniziò a dire. Parve che la sua voce la ferisse come se frammenti di vetro le fossero appena esplosi addosso.

“Stai zitto!” gridò.

E Jad tacque. La lasciò piangere per un po’, finché poi non la vide rialzarsi e pararglisi davanti. Era minuscola in confronto a lui, ma si ritrovò a tremare, impaurito come un bambino davanti ai rimproveri della madre.

“Cinque anni… Cinque anni, Jad. Mi hai scopata come la puttana all’angolo...” Jad strabuzzò gli occhi: se c’era una cosa che non aveva previsto era proprio quella scelta di parole. “… mi hai lasciata sul ciglio della strada dicendomi che mi avresti richiamata… E sei sparito per cinque fottuti anni! Tua madre è morta e… Oh, non solo non hai pensato di dirmelo… Non ti sei nemmeno presentato al suo funerale! Di tua madre! E adesso? Adesso che cazzo vuoi da me, Jad? Cosa sono tutti questi… palloncini, e...”

Non poté finire il suo sfogo. Non appena si fermò per prendere fiato, lui la avvolse con le sue braccia forti in un caldo abbraccio. Lei era fredda, immobile, ma non tentava nemmeno di divincolarsi.

“Mi dispiace. Ma c’è qualcosa di più grande di noi due in ballo.” le mormorò all’orecchio. Fu allora che lei lo spinse via.

“Noi due?” replicò esterrefatta. “Non esiste più un ‘noi due’, Jad. Io...”

“Manuel. Ben. Aramis. Lo so.” tagliò corto lui. Lei spalancò bocca e occhi. “Non desidero altro che il meglio per voi due. E spero che un giorno tu possa perdonarmi per ciò che ho fatto, ma ora devi ascoltarmi.” le disse, deciso, sfiorando appena il ciondolo a forma di funambolo.

“Come fai a…? E quello è…?” balbettò interdetta.

“Iris.” la richiamò, determinato. “D’Artagnan e Constance.” bastarono quelle due parole per farle quasi dimenticare che era stato uno stronzo.

“Dove sono?” chiese subito, andando a sfiorarsi di riflesso la voglia sulla tempia, nascosta dai capelli che le ricadevano sciolti sulle spalle.

“Sono in pericolo. Ma… Io non posso occuparmene, devi essere tu.” le allungò un biglietto, sul quale c’era scritto un indirizzo. Lei lo lesse attentamente.

“Ma è in Italia! Come pensi che ci possa arrivare in Italia senza dire niente a Manuel?”

“Racconta a Manuel quello che vuoi. E’ la tua anima gemella o no? Rimarrebbe con te anche se gli dicessi di essere una criminale.”

Iris fece una risatina nervosa. Ma sapeva che aveva ragione: prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’argomento con lui, ed era sicura che sarebbe andato tutto bene. Era soltanto estremamente imbarazzante dovergli raccontare tutto.

“Devi essere lì tra una settimana. Appena arrivi, chiama la polizia e speriamo per il meglio.”

Iris fissò ancora l’indirizzo, pensierosa. Poi scosse il capo. “Un attimo, cosa devi fare di così importante tu per non poterci andare di persona?”

Jad sospirò. “Devo andare a Londra… Iris, lo so che per te non ha senso, ma… Mia madre sapeva.” concluse, con aria affranta.

“Sapeva cosa?” domandò lei con un fil di voce.

“Sapeva di te e Manuel.” affermò. Lei scosse il capo, in fase di diniego. “Sapeva… della sua morte.” sentiva le lacrime pizzicargli gli occhi, ma doveva dirle tutto.

Iris arretrò di un passo, sconvolta. “Non può essere...”

“Ha voluto tenerci lontani per il nostro bene. Sapeva che quando sarebbe arrivato Manuel, sarebbe stato difficile per me… e per te… Sapeva che sarebbe morta quel giorno, ma non poteva fare nulla per cambiare le cose, se non scrivermi le sue ultime parole e lasciarmi...”

Jad andò a toccare di nuovo il ciondolo che portava al collo e sorrise.

“Ti ha lasciato… Ecco perché sai tutte queste cose… Io non… non avevo idea...” mormorò piuttosto sconvolta, andando a sedersi.

“Iris. Io… ti ho sempre amata.” confessò d’un fiato, strappandosi quel doloroso cerotto d’un colpo.

Lei non lo guardò in faccia. Il suo sguardo era perso nel vuoto.

“Anche io ti ho amato.” mormorarono le sue labbra, mentre ogni altro muscolo del suo corpo era pietrificato. Jad sentì un’antica passione risvegliarsi in lui, un fuoco che gli montò in petto; ma quando stava quasi per bruciargli ogni nervo cerebrale, lei aggiunse: “ma ora non più. Tabatha aveva ragione. Doveva andare così... E forse hai fatto la cosa più giusta per entrambi, andandotene. E io… Oh, che idiota!” scattò in piedi e gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte in un abbraccio e bagnandogli la felpa di lacrime.

Con uno sforzo di volontà incredibile, Jad spense quella passione animalesca una volta per tutte. E finalmente, poté mettersi il cuore in pace. Era andato tutto esattamente come sua madre aveva previsto, e non c’era modo di cambiarlo, ma c’erano altre cose che poteva fare, che doveva fare, per potersi redimere completamente.

La ruota aveva quasi concluso il suo giro, ormai. Jad le posò un bacio sulla testa.

“Salutami Aramis, se mai dovessi dirgli la verità. Digli che mi dispiace. E se un giorno sarete pronti, mi ritroverete sempre qui. Il mio numero è sul retro del biglietto.”

La cabina ebbe una leggera scossa quando si bloccò davanti all’ingresso. Iris si asciugò le lacrime, annuì e sorrise. Non poteva credere che fino a qualche minuto fa, in quello stesso punto, lo stava assalendo a pugni e parole, ed ora… Non avrebbe mai voluto lasciarlo andare.

“Sono sicura che ci rivedremo presto.”

Lui annuì. “Salva Tommaso e Beatrice.” disse poi, prendendole le mani ed avvolgendole attorno al biglietto con l’indirizzo.

“A presto.” lo salutò lei, fissandolo profondamente negli occhi, come se volesse imprimersi la sua immagine nella memoria prima che fuggisse via di nuovo.

Lui fece un inchino teatrale. “Vostra Maestà.”

“Scemo.” ridacchiò Iris, aprendo la porta della cabina.

“A proposito, congratulazioni.” aggiunse lui, in tono quasi giocoso.

“Per cos--?” fece per chiedere, quando la voce di Manuel la richiamò.

“Iris!” lei si voltò e lo vide agitare la mano, gioviale. Si accorse che da quell’angolazione forse poteva riuscire a vedere l’interno della cabina, e richiuse la porta velocemente. Lo salutò a sua volta con un sorriso.

Stranamente, non appena mise piede a terra si sentì strana: le girava la testa e lo stomaco le si strinse. Probabilmente era stata colpa dell’altezza… A meno che…

Iris impallidì. Guardò Manuel. Si voltò a guardare la cabina dalla quale era uscita, ma era già ripartita. Si portò una mano al ventre e sgranò gli occhi.

“Bastardo...” sibilò tra i denti, divertita.  

  
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