Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Koa__    01/03/2017    12 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Preparativi di una messinscena
 



Pazientemente, i pirati de la Norbury attesero il calare della sera. Nascosti nella piccola stanzetta laddove John Watson viveva, lì ad Antigua, si armarono di buon cuore e con accese speranze, aspettarono il risalire delle ombre. Il primo fu il tramonto, a venire: scese lieve nel suo stupefacente gioco di colori. A un certo momento il cielo divenne rosa, quindi arancio e infine il viola toccò punte di nuvole a destra e a sinistra, lasciando incantato il suo più devoto degli spettatori. John sospirò mentre contemplava con un accenno di malinconia, il sole scendere sul mare. Avrebbe visto quel tramonto per l’ultima volta e stentava a credere a quel che gli stava capitando, la sua vita era radicalmente cambiata in meno di un giorno e la prospettiva, per quanto allettante, rimaneva terrificante. Da un lato desiderava davvero imbarcarsi e fuggire alla ricerca di un’isola, voleva oro e pietre preziose e salpare all’avventura. Una parte di sé, però, probabilmente la più vigliaccamente sedentaria, avrebbe voluto rimanere lì per sempre, in pace. Non avrebbe mai potuto, e lo sapeva perché troppi erano i demoni che lo tormentavano e la speranza che quel viaggio verso l’ignoto non lo rendesse più schiavo di se stesso, gli riscaldava l’animo di buoni sentimenti. John era certo del fatto che non ci sarebbe mai riuscito da solo, era un sogno impossibile far sparire la mappa del tesoro e un opprimente senso di colpa. Per questo doveva assecondare il brivido che l’idea di quel viaggio gli faceva nascere, doveva alimentare il fuoco che il pirata bianco aveva riacceso in lui. Aveva sempre avuto un’inestinguibile sete di pericolo e per troppo tempo l’aveva tenuta sopita, ma era un qualcosa che amava proprio malgrado. Sensazioni di un tipo che non avrebbe potuto ripagare neanche con tutto l’oro del mondo. Magari gli sarebbe mancata, la sua piccola finestrella di Antigua affacciata sul mare cristallino delle Indie e dalla quale ogni sera ammirava il sole calare, ma altre meraviglie erano all’orizzonte, altri tramonti e una storia a cui, probabilmente, John non avrebbe mai potuto credere potesse capitargli. Fu proprio allora, mentre la misteriosa palla di fuoco veniva inghiottita dalle acque dal mare calmo della sera, che si ritrovò a sospirare e per un’ennesima volta a cedere a un’amarezza paradossalmente serena. Ancora preda di un’apatica malinconia che si rifiutava di lasciarlo andare, John sorrise. Era un patetico sciocco o, meglio, un idiota sentimentale come aveva detto Holmes ormai ore prima. Tuttavia, e per quanto stupido si sentisse, non ebbe modo di commiserare se stesso a lungo e fu proprio il pirata bianco a non dargliene il tempo. Lo stesso Sherlock che per tutto il giorno altro non aveva fatto che restar accucciato nella penombra e che mai gli aveva levato gli occhi di dosso. Anche adesso, egli lo spiava dalla stanza attigua osservando con precisa attenzione ogni ruga della fronte o espressione che compariva sul viso di John. Questa volta un tremito lo scosse, scivolandogli giù lungo la schiena mentre un lieve sorriso fuggiva al suo misero controllo, accendendolo di un sentimento dai tratti decisamente assurdi. Si sentiva stranamente bene, perfino con lo sguardo di Sherlock su di sé e anche se per tutto il pomeriggio non aveva fatto altro che domandarsi che cosa ci fosse in lui di così interessante, aveva preferito evitare di rivolgersi al diretto interessato. In effetti era stato occupato, anche se non così tanto da non trovare un attimo per chiedergli cos’avesse da guardare tanto. Aveva trascorso la giornata indaffarato a metter insieme le proprie cose, ma l’operazione si era rivelata decisamente complessa. Non era stato facile decidere che cosa potesse essere necessario a bordo di una nave pirata e che cosa invece no, specialmente quando tutti i suoi averi erano già ridotti allo stretto indispensabile. Scelse il pugnale e la bussola di Joe e non soltanto perché li considerava come un caro ricordo, ma perché sarebbero potuti tornare utili. Tutti i suoi abiti stavano in una bisaccia e non occupavano troppo spazio, avrebbe portato il diario (anche se dubitava ci avrebbe mai scritto qualcosa) e gli attrezzi da medico che comprendevano una valigetta di cianfrusaglie e barattoli di erbe medicinali, che aveva faticosamente raccolto dalla foresta e dai quali non aveva intenzione di separarsi. Proprio non sapeva come avrebbero fatto per trasportare tutta quella roba a bordo di una nave ormeggiata chissà dove e senza dare nell’occhio, ma forse Sherlock aveva un piano. Anche se non aveva avuto ancora il buon gusto di rivelarlo a nessuno, ma a quanto pareva per il leggendario pirata, informare i propri uomini di un qualcosa era una futile perdita di tempo. Sì, anche questo, John era stato sul punto di domandare, una volta o due, ma aveva sempre rinunciato ricacciandosi le parole in gola. Non voleva fare la figura dell’idiota e poi Lestrade e il prete non sembravano nervosi o preoccupati, avrebbe dovuto imparare a fidarsi tanto quanto facevano loro? Probabilmente sì, ma se anche quello fosse stato un imbroglio? D’altronde aveva finto la propria morte, non poteva non pensare che lo stessero mettendo alla prova. Doveva essere ciò che stava succedendo, una sorta di verifica con chissà quali scogli da superare. Se era così, stava vincendo o perdendo? Stava mostrando fiducia nei confronti di Sherlock o una ben più umana insicurezza? Certo, se gliel’avessero detto anche soltanto quello stesso mattino, John avrebbe riso e dato del matto a chiunque si fosse preso la briga di formulare quell’assurda teoria. Lui che aveva fede in un filibustiere? Ridicolo. Eppure era rimasto zitto, occhieggiando di tanto in tanto quegli ospiti che gli gironzolavano per casa mentre cercava di capire un qualcosa dal loro stato d’animo. Victor Trevor, dei tre, era decisamente il più irrequieto, difficilmente restava fermo in un punto per un lungo periodo di tempo, al contrario scalpitava e fremeva come se non desiderasse altro che partire al galoppo. Perlomeno e per fortuna di tutti, il prete aveva placato il fiume di domande che gli erano uscite dalla bocca una volta che Sherlock aveva ammesso di fidarsi e di farlo quel tanto, da portarlo addirittura a bordo della loro nave, esponendo il resto della ciurma al pericolo di un possibile traditore.

«Ti fidi di John Watson?» aveva chiesto ormai molte ore prima. John ricordava di aver tremato perché avevano tutte le ragioni di dubitare di lui, qualunque uomo sano di mente, specie se pirata, avrebbe tentennato nel dargli incondizionato credito. Perché lui non era nessuno se non uno sconosciuto sbucato d’improvviso. Perciò aveva avuto paura ed era stato un timore sincero e profondo. Un’emozione violenta, stupendamente terribile. In quegli istanti, con lo sguardo fisso su Sherlock Holmes e sulle sue cupe espressioni, John aveva capito che altro non erano se non alla resa dei conti. Per assurdo, il pirata bianco aveva sputato fuori quella sentenza con una punta di disperazione e rabbia, con una fermezza quasi cattiva nella maniera di palare, che aveva fatto indietreggiare perfino lo spavaldo prete. Parole appena sussurrate, flebili e mormorate a meno di un pollice di distanza dalle labbra di Victor. Era incredibile a pensarci. Non gli era servito alzare la voce o sbraitare, era bastato l’atteggiamento e quella carica di potere e forza che, in maniera del tutto assurda, il corpo magro e diafano di Sherlock riusciva a emanare.
«Sì, mi fido» aveva detto. Questo e nient’altro. Questo e senza aver avuto bisogno di aggiungere ulteriori spiegazioni, come se esse stesse avessero rovinato un concetto assolutamente definito. Sì, questo aveva mormorato Sherlock Holmes. Dopo, il bianco pirata si era ritirato in un religioso silenzio e i suoi compagni avevano fatto lo stesso.
 


 
oOoOo


 
Quei filibustieri erano ben strani, pensò John in un non ben precisato momento quando, sul fare della sera, si stava dichiarando pronto a partire. Era stato allora che nel vagare errabondo dei pensieri, si era ritrovato a riflettere su quanto insoliti fossero Sherlock Holmes e i suoi pirati. Innanzitutto erano molto diversi da quello che di loro aveva sempre creduto e non soltanto nell’atteggiamento, ma anche e soprattutto per aspetto fisico. I bucanieri o i corsari che la notte frequentavano le taverne di isole come Antigua, erano assai differenti da quei tre giovani uomini che gli occupavano il soggiorno. Tutti, persino il prete, erano ben educati e parlavano se e quando necessario. Avevano aspetto curato, fisico prestante ed erano ben allenati, il che era evidente anche dalla postura severa e nobile. Non erano rozzi e ignoranti, ma colti e istruiti. E sebbene Victor Trevor non disdegnasse di lasciarsi andare a questo o a quel licenzioso racconto riguardante il proprio movimentato passato di amatore, nulla di osceno solitamente usciva mai dalle loro bocche. Non avevano chiesto da bere, nonostante di certo amassero farlo (aveva intuito che non disdegnassero del rum di tanto in tanto, come qualsiasi buon cristiano) e nemmeno da mangiare, sebbene dovessero esser a digiuni da ore. Su tutti, per eleganza e bellezza, spiccava senz’altro il pirata bianco. Aveva maniere gentili nel parlare e un linguaggio forbito che aveva già avuto modo di notare quel giorno stesso, al patibolo. Portava abiti sporchi e logori, ma stando alle leggende che su di lui circolavano e di cui aveva ottima memoria, era sicuro che vestisse ben più elegantemente di così. Le parole ammodo che gli rivolgeva erano intervallate da lunghi silenzi, durante i quali sembrava fosse profondamente addormentato. Non lo era, John lo aveva constatato e spesso, tra l’altro e quasi sempre dopo avergli concesso una buona dose di studio. Tante volte si era ritrovato a spiarlo, addirittura mentre era intento a far altro come affaccendarsi a radunare questo o quello. Era stato durante una di quelle minuziose opere di indagine che la verità lo aveva raggiunto, Sherlock non gli toglieva gli occhi di dosso. Mai. Lo guadava con così tanta insistenza che a una certa ora di quel pomeriggio, John iniziò a dare per scontata la vita vissuta a quel modo. Come aveva fatto sino ad allora senza quegli occhi addosso? A uno scricchiolio delle assi del pavimento, Holmes il pirata reagiva drizzandosi a sedere o inarcando un sopracciglio mentre talvolta, sebbene più raramente, voltando il viso di sbieco. Non si era lasciato andare a un qualche discorso, né perso in domande od offertosi di aiutarlo in qualcosa. Era semplicemente rimasto seduto nella penombra, come una belva acquattata e in attesa di poter scattare in un balzo. Raggomitolato su se stesso. Distratto all’apparenza, ma vigile e ben sveglio. Nonostante quel curioso modo di comportarsi, John dovette ammettere che fra tutti, Sherlock non fu di certo il più sorprendente. Quel primato spettava senz’altro al terzo della combriccola, il falso boia di nome Lestrade. Un uomo prestante, forte anche se non massiccio. Portava un velo di barba su tutto il viso, aveva corti capelli ingrigiti e un paio di occhi nocciola dal taglio infinitamente dolce. Il primo ufficiale si era mostrato come un qualcuno di affabile e generoso, un galantuomo insomma. Uno che era andato a finire, chissà perché, lontano da dove avrebbe potuto trovar qualcuno per cui valesse la pena di essere galante. Anzitutto era il più sinceramente interessato all’esistenza del povero Watson e a un punto così reale, che si offrì persino di aiutarlo. Accadde d’improvviso e senza che ci fossero delle evidenti ragioni dietro un gesto del genere.
«Hai molto da portare con te?» gli chiese, allargando un sorriso gioviale che lasciò John onestamente inebetito mentre si azzardava ad aiutarlo a radunare barattoli d’erbe mediche. Aveva un che di affabile nelle maniere. A una superficiale conoscenza si poteva credere che tanta gentilezza risiedesse unicamente nello sguardo e che quindi fosse ingannevole apparenza, ma a osservarlo per bene ci si poteva render conto che c’era molto di più in quell’uomo di quanto un primo incontro non permettesse di vedere. Greg, come era quasi certo si chiamasse, aveva un’aria scanzonata e maliziosa, visibile in un velo leggero sulle labbra stirate a ghigno. Le volte in cui sorrideva, il viso tutto gli s’illuminava accendendosi di delicatezza. Gli occhi erano sereni, trasmettevano un’insana tranquillità e pace dei sensi, ma al tempo stesso aloni impalpabili di patimento e determinazione risiedevano in essi. Sentimenti che John si era probabilmente immaginato, ma sui quali rimuginò profondamente e che gli tennero impegnato gran parte del pomeriggio. Quel che era certo, si disse per concludere, era che non si sarebbe aspettato nulla di simile da un feroce pirata.
«Di abiti ne ho pochi» rispose, spezzando gli imbarazzi con qualche colpo di tosse «dall’Inghilterra non ho portato molto, molto di quello che avevo è rimasto là. A ingombrare spazio sono le mie erbe.»
«Non preoccuparti, il capitano ha un piano» annuì, ammiccando appena, ma senza malizia e con divertimento. «Per ovvie ragioni le nostre iniziali intenzioni erano altre, la tua presenza non era preventivata, ma credo che lui stia pensando a qualcosa. Anzi, ne sono più che sicuro.»
«Oh, è per questo che è tanto silenzioso? Perché sta pensando?» si azzardò a domandare John e ben sapendo che non avrebbe dovuto osare troppo con certe questioni. Lasciare in pace il pirata bianco era certo la migliore delle idee che potessero venirgli, così come il non aizzare i suoi uomini. Al tempo stesso, però, tenere a freno la curiosità era assai difficile. Impossibile, quasi.
«No, no! Quello è il suo atteggiamento naturale» rise Greg, e questa volta persino Trevor accennò di star seguendo il discorso. Proprio l’irrequieto Victor che di nuovo stava occupando il solo letto presente in tutta la casa. Giaceva su di esso a occhi chiusi e con un unico agitarsi di mani e piedi, a segno che fosse vivo. Le labbra, ora stirate in un ghigno divertito, e gli occhi appena un poco più aperti.
«Credo abbia interagito con altri esseri umani anche troppo per oggi» proseguì Lestrade con tono tanto serio, che John credette veramente che non fosse uno scherzo. C’era stato un attimo in cui si era convinto che fosse un gioco o una presa in giro, perché chi poteva rifuggire l’umanità? E per propria volontà, per giunta. A quanto pareva, però, era la verità. Evidentemente, Sherlock non amava i contatti con le persone e se ne chiese le ragioni. Anche lui evitava la gente, ma per ben altre motivazioni.
«Ti sarà difficile comprendere fino a che punto la sua natura lo spinga a star solo, ma ti posso assicurare che il capitano evita la compagnia di chiunque. Tutti noi sulla nave lo amiamo e rispettiamo, siamo la sua famiglia, ci saremo sempre per lui e lui ci sarà sempre per noi. È un giuramento che tutti quanti abbiamo fatto, proteggere Sherlock e la nave è la nostra vita e ce la siamo scelta, perché amiamo Sherlock più di chiunque. Tuttavia, ecco, è un uomo solitario. Accidenti, è tanto complicato fartelo capire…»
«Se ne renderà conto da sé, Grigio» intervenne Victor, pacifico e con quel fare tipicamente saccente di chi è certo di saperla lunga.
«Sì, ma almeno che sia preparato a ciò che troverà a bordo» ribatté prontamente Lestrade, portando quindi lo sguardo su John. «Considero Sherlock un amico, ma non posso dire di conoscerlo profondamente. Di noi, probabilmente solo Victor ha il privilegio di essergli intimo. Il mio consiglio è di non andarlo a cercare in cabina, a meno che non sia lui ad averti fatto chiamare. Potrebbe reagire malissimo a un tentativo di approccio, anche innocente come delle chiacchiere.»
«Grazie e non tema, saprò stare al mio posto. D’altronde sono stato un soldato, ma apprezzo il suo aiuto, signor Lestrade» annuì John, con un sorriso mentre si dava da fare a far stare tutti i barattoli in una medesima borsa.
«Sono Gregory, ma puoi chiamarmi Greg e ti prego niente formalismi. Quell’idiota di un prete mi chiama “il Grigio” ma tu non dargli retta. Solo Greg, va più che bene.»
«Non temere, dolcezza, d’ora in avanti mi rivolgerò a te chiamandoti soltanto “signor Lestrade” invece che Grigio e che tu sia benedetto, John Watson, per aver ideato un nomignolo tanto bello a sentirsi.» A quello, però nessuno non rispose. Tutto ciò che si permise John fu di scoccare un’occhiata a Victor forse con l’intento di capire quale sentimento lo stesse divorando, il prete sorrideva ben più maliziosamente di prima e lo sguardo si era fatto vispo e allegro di scherzo. Tuttavia, e anche se avrebbe avuto tante altre domande da porre, John preferì tacere e tornare alle proprie faccende.
 


 
oOoOo


 
La situazione parve smuoversi verso la mezzanotte quando già dormiva profondamente. Se lo avessero costretto a confessare avrebbe senz’altro ammesso d’essersi addormentato con la testa appoggiata alle proprie braccia incrociate, ma quasi finse di non esser stordito dal sonno o di non essersi spaventato nel sentire una mano sconosciuta tentare di svegliarlo. Si levò da dove stava con uno scatto e subito guardandosi attorno, confuso. Lestrade gli sorrideva bonario mentre a pochi passi una candela illuminava a stento i contorni dei mobili e i lineamenti dei loro volti. Era notte fonda, constatò notando la luce della luna entrare di prepotenza dalla finestra sul retro, ancora spalancata.
«Siamo pronti» lo informò Greg. «È bene che tu sappia che viaggeremo separatamente. Tu e il capitano sarete i primi a uscire mentre io e Victor ci arrangeremo in altro modo.»
«Coraggio, John, non abbiamo tutta la notte» gli disse un irriconoscibile Sherlock che, già sulla porta, lo attendeva con impazienza. Soltanto allora ebbe modo di notarlo. Lì dove stava, il chiarore della fiamma della candela arrivava a fatica, ma tanto bastava affinché se ne intuisse la postura ricurva e china, torta come quella d’un vecchio. A render ancora più strana quell’immagine c’era la gobba, evidentemente finta, che sulla schiena era stata coperta grazie a una mantella tirata su fin sopra la testa e che John riconobbe essere come propria. A fatica scorgeva i ricci dei capelli, appiattiti da un brandello di stoffa che celava la loro vera natura indomita. Doveva esser un mascheramento pensato appositamente per non farsi riconoscere? Che i soldati di Moriarty fossero ancora in giro a pattugliare Antigua? John a dire il vero non ci aveva nemmeno pensato, ma effettivamente c’era la possibilità d’incontrare un gruppo di uomini in divisa ancora intenti a cercare Holmes. Per fortuna dovevano aver considerato l’eventualità ed era corso ai ripari. A quel punto era chiaro che Sherlock per tutto il giorno non lo aveva soltanto guadato.
«Come?» balbettò, stordito «ch-che cosa?»
«Stai ben attento, John, perché te lo dirò una volta soltanto e bada che io non amo ripetermi. Nella gobba c’è la sacca con i tuoi abiti. In questo modo nessuno si accorgerà che stai portando via tutti i tuoi vestiti e io avrò un mascheramento efficiente. Tu porterai a mano la borsa medica e se qualcuno dovesse fermaci, dirai che ti devi occupare del vecchio molto malato (che poi sarei io). Raggiungeremo una barca che abbiamo ormeggiato preventivamente oltre gli scogli, fuori dalla vista di tutti e lo faremo a nuoto. Mi spiace, ma temo proprio che i tuoi abiti si bagneranno.»
«N-non importa» rispose invece John, venendo tuttavia ignorato. Sherlock era già con la mano stretta attorno alla maniglia, ingobbito e pronto per uscire. Non lo fece e in uno scatto, si roteò su se stesso prendendo a fissare Victor e Lestrade con particolare severità. Di nuovo, quello era lo sguardo del capitano severo e implacabile. Occhi stretti in due fessure e labbra corrucciate in una piega di nervosa irritazione.
«Vedete di non esser così idioti da farvi catturare e di non litigare per delle sciocchezze; per una volta da quando vi conoscete siete in grado di farlo? Victor, ricorda che è Lestrade in comando.» Al contrario di quanto ci si sarebbe aspettato, il prete non rispose e mentre Greg sorrideva vittorioso, questi incrociò le braccia sbuffando sonoramente. «E tu, Lestrade, non istigarlo.»
«Ah, io lo istigherei? Io? Questa è proprio bella, capitano, davvero davvero bella. Ah, guarda» aggiunse, alzando le mani in segno di resa. «Andate che è meglio.» John fu quasi certo di aver scorto un sorriso sul volto del pirata bianco, ma a fatica riuscì a catturare la natura giocosa e divertita. Subito dopo, il suo falsamente zoppicante passo, già aveva oltrepassato la porta. Il gioco, a quanto pareva, aveva inizio.
 


 
Continua
   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Koa__