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Autore: ___Page    03/03/2017    1 recensioni
-So che è difficile ma Usopp ha preso la decisione che lui ha reputato migliore per se stesso. È giusto e normale che ti manchi ma devi anche essere felice per lui. Ha deciso di intraprendere una strada diversa dalla nostra e noi dobbiamo credere in lui e forse un giorno lo incontreremo di nuovo- spiegò, sorridendo materna.
Chopper tirò su con il naso.
-E se non dovessimo vederlo mai più-
-In quel caso avrai sempre il suo ricordo nel tuo cuore-
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Usop
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nella maggior parte dei casi, Nami era felice di rivedere Rufy perché, quando non poteva tenerlo d’occhio, era terrorizzata dai danni che il Capitano avrebbe potuto provocare.
In più rare occasioni, la sua felicità era stata dettata da un reale senso di nostalgia a causa di una separazione più o meno prolungata, come a Sabaody, dove il suo cuore era tornato integro poco per volta, man mano che aveva potuto riabbracciare tutti i suoi nakama.
E solo ad Arlong Park era stato autentico sollievo, limpida speranza, pura consapevolezza che ora che Rufy era lì tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Solo ad Arlong Park almeno fino a quel momento. Anche se la limpida speranza e la pura consapevolezza che ora che Rufy era lì tutto sarebbe andato per il verso giusto mancavano, Nami non poteva negare di sentirsi autenticamente sollevata di aver ritrovato il Capitano, foss’anche solo perché non era più sola, nel bel mezzo di una foresta labirinto, dove persino il suo senso dell’orientamento era utile più o meno come il naso di Franky in battaglia.
Che fine avessero fatto gli altri restava un mistero e Nami si augurò vivamente che Zoro non fosse scivolato in qualche pozzo sotterraneo o roba del genere. Così come restava un mistero cosa o chi avesse provocato quel fruscio che li aveva fatti scattare.
Rufy le era andato incontro scarmigliato e imbronciato, annunciando che Usopp non si vedeva da nessuna parte e che aveva fame, cosa che, tra l’altro, si stava premurando di ricordarle a intervalli regolari.
-Nami!-
Un vena prese a pulsare sulla fronte della navigatrice, che chiuse gli occhi e si affrettò a ripetersi mentalmente tutti i motivi per cui doveva astenersi dall’ucciderlo. -Hai fame! Sì Rufy, lo so!- lo precedette, esasperata.
-No! Cioè sì, ho fame ma ho anche sete e questo sembra rumore di acqua!-
Nami si immobilizzò, mettendosi in ascolto. Era vero, giungeva ovattato dalla folta vegetazione che avevano intorno ma quello era innegabilmente uno scroscio d’acqua, anche bello potente e neanche tanto lontano. E ora che ci faceva caso si sentiva assetata anche lei e avrebbe bevuto volentieri una rigenerante sorsata.
-Andiamo Rufy.- gli disse, deviando dalla traiettoria che aveva approssimativamente individuato, sperando vivamente che la foresta non facesse scherzi e cambiasse ancora morfologia mentre loro si concedevano quel breve intervallo.
Fu solo in quel momento, mentre camminava guidata dallo sciabordio, che Nami si rese conto che qualcosa non tornava. Era vero, e Lilith li aveva messi ben in guardia, che i pensieri ostili spingevano la foresta a far perdere nei propri meandri i viaggiatori. Ma Lilith aveva anche detto che le intenzioni nobili spingevano la foresta a semplificare la strada e mostrare il cammino. Eppure da quando vi si erano addentrati, con in testa il solo pensiero di ritrovare Usopp, la foresta non aveva collaborato per niente, anzi aveva solo complicato le cose.
Inizialmente, Nami aveva dato la colpa a se stessa, a causa del rancore che provava nei confronti di Lilith, ma già da un pezzo ormai il suo chiodo fisso era tornato solo e soltanto Usopp e il suo ritrovamento a cui ora si aggiungeva un ardente e, stranamente per lei, disinteressato desiderio di recuperare anche tutti gli altri suoi nakama, sparpagliati in giro per l’isola.
Quindi perché la foresta si stava dimostrando così ostile verso di loro? Cosa stava succedendo?
Smise di pensarci quando lo scroscio si fece più intenso e vicino, il bisogno di bere più impellente di qualsiasi altra cosa. Scostò una grossa foglia sul cammino e una piccola oasi si parò davanti ai suoi grandi occhi caramello. Nami rimase imbambolata, colpita dalla bellezza del luogo, che aveva un che di magico, quasi sacro avrebbe osato dire.
Una struttura rocciosa su tre piani, erosa dall’acqua e dal tempo, affondava le proprie fondamenta nell’ampio e limpido bacino che occupava quasi tutta la radura, costantemente rigenerata dalla scrosciante che cascata che si riversava viva e potente, serpeggiando in polle e ruscelli più piccoli tra le insenature della pietra marrone, rendendola rigogliosa qua e là con qualche cespuglio verde e brillante. Alberi esotici crescevano vicino alla riva, a un soffio dal trasparente specchio liquido, creando zone d’ombra dove potersi riparare dal sole cocente del primo pomeriggio senza rinunciare a un fresco bagno.
Sembrava un piccolo paradiso in terra.
-È stupendo.- mormorò la navigatrice.
-Tu trovi?-
Nami si girò di scatto verso Rufy, indignata e già pronta a rimproverarlo per la sua poca sensibilità estetica, ma le bastò un’occhiata per notare che Rufy non stava osservando il panorama in generale, bensì un ben preciso punto di fronte a sé e proprio in quel momento una eco trasportata dall’acqua e dal vento raggiunse le loro orecchie. Nami tornò a voltarsi verso l’oasi e sgranò gli occhi perplessi mentre, simultaneamente, si accovacciava tra le grandi foglie e obbligava Rufy a fare altrettanto, guidata dall’istinto. Osservò la figura saltellante in mezzo alla sorgente, carnagione scura, una massa di capelli mori, incolti e gonfi, il viso dipinto e una tunica rosso sangue con il bordo fradicio. In mano teneva un bastone e pareva impazzito nel suo ballonzolare senza sosta, che, insieme ai versi assurdi che emetteva, lo rendeva molto simile a un babbuino. Spruzzi d’acqua si sollevavano violenti a ogni suo rimbalzo, tanto che Nami non riusciva a spiegarsi come avesse potuto non notarlo immediatamente.
-Non mi riferivo a lui chiaramente.- sentì il bisogno di precisare, nonostante si trovasse con Rufy, che sicuramente si era già dimenticata del suo commento di poco prima.
C’era qualcosa di strano in quel tizio, considerò Nami, al di là della strana danza in cui si stava esibendo e degli urletti che lanciava. Socchiuse gli occhi indagatrice e lo stomaco le fece una capriola prima che il cervello le ricordasse che non era una mutazione genetica di alcun tipo il fatto che quella specie di santone avesse due avambracci in più.
-È un braccialunghe…- mormorò la rossa, non sapeva nemmeno lei per il beneficio di chi.
Rufy, manco a dirlo e per lo stupore di nessuno, non la stava assolutamente ascoltando ma fissava contrariato lo strano soggetto, più vicino a un primate che a un uomo, con i pugni stretti e il corpo scosso da lievi tremiti.
-Rufy che ti prende?- domandò preoccupata la cartografa.
-Sta facendo qualcosa alla fonte.- sussurrò il moro, non perché si stesse preoccupando di non farsi scoprire ma semplicemente perché la rabbia gli aveva ridotto la voce a un sibilo.
Perplessa, Nami si voltò di nuovo e per la seconda volta rimase colpita dalla capacità di osservazione che a volte il Capitano dimostrava. Al centro dell’immaginario cerchio intorno a cui il braccialunghe stava saltellando aveva cominciato a sollevarsi una sottile foschia, come se l’acqua stesse evaporando, formando una sottile coltre incrostata di gocce di rugiada, che in breve tempo si sollevò e cominciò a compattarsi fino a tornare liquida e trasparente, fluttuando a mezz’aria senza una forma ben definita. Con orrore, Nami si rese conto che più l’irregolare sfera s’ingrossava più la potenza della cascata diminuiva e che gli alberi alle loro spalle avevano preso ad agitarsi, provocando fruscii identici a quello che li aveva fatti scattare.
Rufy aveva ragione, quel tizio stava facendo qualcosa alla fonte. E quale che fosse il suo obbiettivo, non era niente di rassicurante e non sembrava affatto qualcosa che facesse bene all’isola o con cui l’isola fosse d’accordo a giudicare dal gran fracasso che ora la foresta stava emettendo. Sembrava che si fosse scatenato un forte vento e Nami rabbrividì di stupore e una punta di inquietudine quando notò che quel rumore ricordava un miscuglio di voci in protesta.
Nami sentì la rabbia crescere in sé proprio come in Rufy. Dovevano fare qualcosa, salvare la foresta e l’isola, fermare quello strano soggetto, decise con determinazione. Ovviamente con prudenza e correndo il minor numero di rischi possibile.
-Ehi tu!-
Nami strabuzzò gli occhi quando vide Rufy due metri fuori dalla foresta, le gambe divaricate, le mani sui fianchi e, lo sapeva dal tono che aveva usato, il fuoco negli occhi. -Rufy!- lo richiamò agitata e sottovoce. -Che fai? Non abbiamo nemmeno un piano!- 
Ma ormai era troppo tardi, il braccialunghe si era immobilizzato e guardava in direzione di Rufy, perplesso.
-Cosa stai facendo alla fonte?-
Il braccialunghe piegò il capo di lato e schiuse le labbra in un sorriso ben poco rassicurante, rivelando parecchi denti mancanti. Nami trattene a stento un gemito e si insultò mentalmente.
Avrebbe dovuto saperlo che solo un’imbecille si sarebbe sentita sollevata per aver ritrovato Rufy in una situazione del genere.
 

***

 
-Ciao sorellina.-
La foschia in cui il suo cervello era stato avvolto fino a quel momento si diradò all’istante. Non stava sognando né stava avendo un’allucinazione causata dalla botta in testa. Quella era davvero Rhea ed era davvero lì, di fronte a lei. E questo spiegava fin troppo bene perché fosse legata come un salame.  
Ma le ragioni addotte da sua sorella per giustificare l’assenza di Dex non le suonavano per niente credibile. Rhea era sadica e Lilith l’aveva vista all’opera più volte di quanto le sarebbe piaciuto ammettere, sin dall’infanzia. Sapeva come lavorava la sua testa, conosceva bene le sue tecniche e aveva paura che Rhea stesse giocando come un gatto con la propria preda, prima di darle il colpo di grazia mostrandole il corpo inerme di Dex, pestato a sangue fino a ridurlo in fin di vita.
Il panico le attanagliò lo stomaco e si fece largo sul suo volto, cancellando lo shock dai suoi occhi e dalle sue labbra.
La bocca di Rhea si stirò ancora di più, con tangibile soddisfazione. -Cosa succede piccola Lil?! Ti senti spaventata?! Abbandonata?!- domandò con finta dolcezza.   
Erano bastati quei pochi secondi e riattivarle il cervello e ritrovare l’istinto di conservazione. Era una brava osservatrice, Lilith, nonché empatica. E conosceva bene sua sorella che si era appena tirata la zappa sui piedi con quell’unica, innocente parola.
Abbandonata.
Voleva che si sentisse abbandonata.
Non garantiva che Dex fosse in salvo ma era più facile aggrapparsi alla speranza che Rhea lo avesse solo fatto portare via per isolarla. La morsa si allentò un po’ senza che Lilith lo desse a vedere. Se voleva volgere la situazione a proprio favore, almeno provarci, doveva innanzitutto stare al suo gioco. Continuò a guardarsi attorno, con meno frenesia per captare più dettagli, continuò a respirare grosso, attenta a non sprecare però prezioso ossigeno, si aggrappò alle funi che le legavano i polsi, simulando tensione ma con il reale intento di diminuire la pressione sulle spalle e salvaguardare la propria forma fisica per quanto possibile, in vista di un eventuale scontro.
E di certo non avrebbe rinunciato a capire. -Cosa fai qui? Cosa vuoi?-
Rhea, che si era rimessa dritta e stava camminando avanti e indietro di fronte a lei, come una leonessa davanti a una gazzella ferita, si immobilizzò, guardandola con occhi socchiusi. -Lo sai benissimo.-  
-Intendo dire a Nirvana!- precisò, fingendosi agitata. -Perdi il tuo tempo! Non l’ho con me e non è sull’isola! Non ci vorrà molto perché ci trovino e ti catturino Rhea!-
Rhea sgranò gli occhi e portò una mano al petto con commozione. -Ti preoccupi per me? Oh Lil, sei una sorella così dolce. È un vero peccato che io non possa fare a meno di odiarti.- commentò con tono svenevole e drammatico prima di tornare a sorridere. -Ma puoi stare tranquilla. Non verrà nessuno, ci ha pensato Drest.-  
Lilith sgranò gli occhi, gesto di panico che ora la giovane nirvaniana provava di nuovo senza sconti mentre lentamente i pezzi andavano al loro posto nella sua testa. -Siete stati voi a colpire la Fenix!-
-Centro!- applaudì Rhea, facendo ridacchiare rochi gli uomini che erano con lei. -È stato così divertente dare fuoco a quella vecchia bagnarola!-
In un moto di rabbia, Lilith strattonò le funi in un assurdo e vano tentativo di spezzarle. -Perché?!?-
-Perché?- Rhea finse di pensarci, posando il polpastrello dell’indice sul mento. -Perché abbiamo visto che vi trainava un’altra nave e quindi eravamo certi che avreste comunque raggiunto Nirvana e assistito al totale devasto del villaggio perciò perché rinunciare a torturarvi un altro po’?-
La presa di Lilith sulla fune aumentò al punto che la corda penetrò nella carne del suo palmo, abradendolo. -Li hai sterminati?- domandò in un soffio che suonò molto più disperato di quel che avrebbe voluto. In realtà la domanda in sé suonava disperata ma Lilith non poteva farci niente. Doveva sapere.
Rhea fece schioccare la lingua. -Nah. Sarebbe stato troppo semplice, troppo banale, troppo noioso. E se fossero già tutti morti, cosa potrei usare per farti impazzire? E, soprattutto, chi mi dice che io non possa minacciare di uccidere te per estorcere a uno di loro ciò che tanto disperatamente voglio sapere?-
Lilith serrò le labbra, atterrita all’idea di dove assistere alla morte di qualcuno dei suoi cari o all’idea che Rhea venisse a conoscenza dell’ubicazione del medaglione. -Te l’ho già detto, perdi il tuo tempo. Non è più qui e nessuno ti dirà dove si trova.-
Rhea camminò verso di lei e si accovacciò di nuovo alla sua altezza. -Sei sicura? Neppure uno dei tuoi compagni non nirvaniani?-
Il cuore di Lilith le sprofondò nello stomaco a quelle parole. Neena e Saku così come qualsiasi altro nirvaniano conoscevano l’importanza e la sacralità del medaglione e anche loro sarebbero morti pur di proteggerlo. Ma se si parlava di Dex e Pascal, il discorso era diverso. Erano estranei alla cultura dell’isola, conosciuta solo a spizzichi e bocconi e, come Capitano, l’idea di far assistere i suoi uomini alla sua tortura e morte in nome di qualcosa che per loro non aveva alcun significato era per Lilith una tortura di per sé.
-Ehi calma! Non ti agitare. Questa è soltanto l’ultima delle mie opzioni.- la rassicurò con tono materno Rhea. -Ho intenzione di uccidere tutti gli altri e bruciare ogni singolo albero dell’isola prima di passare alle maniere forti.-
-La foresta non te lo permetterà!- le urlò in faccia Lilith, incapace di contenersi oltre.
-La foresta non è riuscita a impedirci di trovare il villaggio.-
-Ma non verrà mai meno al suo dovere di proteggere e preservare la vita di coloro che vivono in simbiosi con lei e la amano!-
Rhea sbuffò una risata. -Quando Makumba avrà finito di estrarre l’anima dell’isola dalla Sorgente, non ci sarà più niente che queste stupide piante potranno fare.-
Una scarica attraversò Lilith e per un attimo tutto vorticò intorno a lei. Non era possibile, non poteva essere vero. Stava bluffando, era per forza così, era…
Un lamento lontano, come se un potente vento stesse scuotendo le chiome degli alberi in un’altra porzione dell’isola, interruppe il flusso caotico dei suoi pensieri. I suoi occhi si fecero grandi come fondi di bottiglia e sentì la speranza affievolirsi, per lasciare il posto a una furiosa disperazione.
La foresta era agitata, stava protestando, stava chiamando aiuto. Qualcuno stava davvero rubando l’anima dalla Sorgente e la giovane nirvaniana perse il lume della ragione. -TU! MALEDETTA PUTTANA!-
Uno schiocco risuonò nella radura e per un attimo Lilith pensò si fosse trattato del proprio collo, che le doleva per l’improvviso e forzato cambio di posizione. Poi un calore si irradiò su tutta la sua guancia sinistra e la sua lingua assaggiò il sapore del sangue, il suo sangue che sgorgava da un taglio al labbro inferiore, tanto era stato forte lo schiaffo che Rhea le aveva dato, con la mano carica di anelli per ferire di più. Non fece in tempo a realizzarlo che subito le mani di sua sorella le circondarono il viso minuto, obbligandola con delicatezza a riportarlo dritto.
Provò inutilmente a sottrarsi al suo tocco quando Rhea le riavviò i capelli che le erano ricaduti davanti al viso con una mano mentre con l’altra le asciugava il rivolo di sangue che le stava colando sul mento. -Shhh, shhh. Tranquilla.- mormorò continuando ad accarezzarla, nonostante i tentativi di Lilith di divincolarsi da lei. -Mi spiace, ho dovuto colpirti. Ma se starai buona non accadrà più, davvero.- continuò Rhea, imperterrita. La rabbia montò dentro a Lilith come le lacrime nei suoi occhi.
-Lasciami.- vibrò a denti stretti, frustrata e impotente.
-Te lo prometto. Non ho alcun interesse a colpirti.- continuò a passare i polpastrelli sulle sue guance. -Voglio che tu sia perfetta quando comincerò la mia opera di distruzione. Voglio che ti vedano trasformarti lentamente in una maschera di dolore e carne maciullata. Vogl…-   
Un fischio e un tonfo ravvicinati spezzarono il sadico discorso di Rhea che si portò una mano alla nuca quando qualcosa la colpì. Scattò in piedi e si voltò e proprio in quel momento un secondo fischio tagliò l’aria e qualcosa passò a un soffio dal suo viso. Con crescente incredulità, Rhea osservò la fune che teneva Lilith legata all’albero spezzarsi, come se qualcosa l’avesse recisa di netto e ci mise tre secondi di troppo a realizzare che non le aveva tolto la frusta. Quando si gettò verso di lei per disarmarla, una sferzata di pelle la raggiunse in pieno viso, aprendole un taglio sulla guancia e facendola indietreggiare. Nonostante le mani ancora legate insieme, la precisione e la forza che Lilith riusciva a imprimere alla propria arma erano, come sempre, magistrali.
Ma le sarebbe servito a poco in uno scontro impari come quello.
-Come ti sei permessa?- sibilò indignata Rhea, avanzando, mentre gli uomini che erano con lei cominciavano a impugnare le proprie armi e ad avvicinarsi. Lilith sollevò la frusta, pronta a colpire di nuovo. -MI HAI SFREGIATA, LURIDA…-
Un terzo fischio e un secondo taglio si aprì sulla guancia di Rhea, poco sopra a quello che le aveva appena procurato Lilith.
-Se l’avessi lasciata andare quando te l’ha chiesto…- una voce si levò dalla sommità di uno degli alberi, impossibile dire quale e Lilith trattenne il fiato, incredula. -…Non sarebbe successo.-
Un tonfo alle proprie spalle e Lilith si girò di scatto, pur sapendo già ciò che avrebbe visto. Non per questo il cuore le si scaldò meno.
-Usopp…- mormorò, un soffio inudibile e pieno di gioia e sollievo e gratitudine.
Gambe divaricate in posa trionfale, una mano sul fianco, l’altra a stringere la sua kabuto e un sorriso insolente sul volto. Lilith non lo aveva mai visto così imponente e rassicurante. Ma sicuramente doveva essere per la situazione un po’ balorda in cui si trovava senza contare che il tremito alle gambe rovinava l’insieme.
Poi un pensiero l’attraversò e Lilith tornò di nuovo pienamente in sé, sgranando gli occhi con urgenza. -Devi andartene subito!- gli disse, ricordando le parole di Rhea. Se sua sorella avesse capito che teneva a quel ragazzo non avrebbe perso tempo a usarlo come prima cavia per estorcerle dove si trovava il medaglione. Sperare che torturasse lei e provasse a scoprirlo da Usopp era un’utopia.
Non sapeva chi fosse Usopp e non avrebbe rischiato di ucciderla senza la certezza di avere di fronte qualcuno che conoscesse tutto ciò che le interessava. Ma, a differenza di quel che si sarebbe aspettata, Usopp non rispose “come vuoi” per poi darsela a gambe, a posto con la propria coscienza per averla quanto meno liberata. Contro ogni pronostico, Usopp sollevò un sopracciglio e storse le labbra in un’espressione quasi scocciata. -Tu mi hai cacciato dalla ciurma.- le disse, prendendola in contropiede.
-Cosa…- fece per chiedere Lilith.
-Chi ti credi di essere per dare ordini al g-grande Capitano Usopp?-
Il sollievo la innaffiò come una doccia calda dopo una lunga giornata al freddo. Usopp non l’avrebbe lasciata sola e, per quanto fosse in pensiero per l’incolumità di entrambi, doveva ammettere che così Rhea e i suoi uomini facevano meno paura. Anche se, certo, non è che essere in due fosse poi tutto questo vantaggio.
-Beh questo è la classica situazione in cui si può affermare di aver preso due piccioni con una fava.- una nuova voce ancora risuonò nella piccola radura e tutti si voltarono verso il lato opposto rispetto a dove si trovavano Lilith e Usopp. Sorpresi, i due ragazzi osservarono tre figure famigliari emergere dalla folta vegetazione, una con l’inferno negli occhi, una che fumava come se niente fosse e una che sorrideva eterea. -A quanto pare abbiamo trovato sia Lilith che Usopp, Sanji-kun.-
  
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