Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: gattina04    05/03/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
7. Vento di ricordi
 
POV Emma
«Che cosa c’è oltre questa porta?», domandai cercando di scrollarmi di dosso tutte le emozioni provate fino ad allora. Mi ero ripromessa che non sarei più stata debole e ciò comportava l’affrontare al meglio tutti i problemi futuri. «Perché non hai voluto dirmelo quando te l’ho chiesto prima?». Mi voltai verso Milah ed aspettai una sua risposta.
«Perché non lo so», ammise amaramente. «Nessuno di noi si è mai spinto così oltre».
«Cosa?», esclamai allibita. «Allora come sai che questa è la direzione giusta? Qualcuno ti avrà parlato di questo posto, almeno spero!».
«Beh sto andando a supposizioni», rispose sulla difensiva. «Al momento è l’unica cosa che abbiamo».
«Io direi di accantonare questi dilemmi esistenziali al momento», intervenne Robin. «Dobbiamo riprendere il cammino prima di attirare di nuovo l’attenzione»
«Tanto è inutile discutere», si intromise Charlie, «sapremo se stiamo andando nella giusta direzione solo una volta arrivati alla meta. Tanto vale mettersi in viaggio, potrebbe esserci parecchio da camminare».
Sia io che Milah sospirammo e senza più aggiungere nulla, seguimmo gli altri due attraverso quella gigantesca porta medievale. Al di là di essa scoprimmo esserci meno anime di quante avessimo immaginato. Dalla strada principale che proseguiva oltre la porta si diramavano di nuovo un’infinità di vicoli, ma la concentrazione di persone diminuiva via via che ci allontanavamo dalla piazza.
Questa volta camminammo tutti e quattro uniti, a poca distanza gli uni dagli altri: io e Robin dietro, e Milah e Charlie davanti. Io sapevo che non avrei più reagito nel modo spropositato di poco prima, ma evidentemente gli altri non volevano più correre alcun rischio. Tuttavia, formare quel gruppo compatto sarebbe servito a tenerci tutti d’occhio e ad impedire ad altre anime di avvicinarci.
«Stare qua», sussurrò all’improvviso Robin, puntando lo sguardo su di me, «sapendo chi hai lasciato a Storybrooke, ti fa impazzire alle volte».
«Già l’ho notato», ammisi amaramente.
«Non devi sorprenderti della tua reazione Emma», continuò. «Non vuol dire che tu sia debole».
«Lo so».
«È un po’ più facile se hai passato del tempo nell’Oltretomba», intervenne Charlie. «Solo un po’ però. È difficile per tutti».
«Ti ho detto», intervenne Milah, «che la tua anima non poteva andare persa, ma questo non toglie il fatto che tu non possa impazzire qua dentro. È umano».
«Già», sospirai non sapendo cos’altro aggiungere.
«Beh considerala così», disse Charlie, «ogni minuto che passa noi lottiamo per non essere annientati, tu devi fare altrettanto per mantenere la tua lucidità mentale».
«Tu la fai molto più facile di come sia realmente». Sorrisi e lo ringraziai mentalmente per aver tentato di alleggerire solo in parte l’atmosfera. Nel frattempo avevamo imboccato uno di quelle tante stradine e continuavamo a camminare, scansando le sempre più poche anime che tentavano di avvicinarsi.
«Cosa vi fa resistere?», domandai all’improvviso. «Voglio dire cosa vi da la forza di lottare, di non perdervi?».
«Beh credo che siano i ricordi», rispose Robin. «Il ricordo di Regina, di mio figlio, anzi dei miei figli. So che non potrò rivederli ma sto lottando per loro, perché, se un giorno riuscirò ad andare in un posto migliore, forse potrò ritrovarli quando anche loro arriveranno là. Ho davvero bisogno di credere che sarà così». Mi si spezzò il cuore sentendo le parole di Robin; il suo era stato un destino crudele, era ovvio che non si sarebbe arreso così facilmente.
«Per me non sono i ricordi», ribatté Milah. «Nel mio caso ciò che mi tiene ancorata alla realtà è la rabbia. Io sono terribilmente infuriata, sono furibonda».
«Con Tremotino?». Sarebbe stato più che comprensibile.
«Beh anche. Sono arrabbiata perché ero quasi arrivata al punto di svolta. Quello che mi avevi detto su Bealfire mi aveva fatto ritrovare un po’ di pace e sarei finalmente riuscita ad andare avanti. Invece sono stata così stupida da fidarmi nuovamente del mio ex-marito ed ora eccomi qui. Se c’è qualcosa che mi spinge a rimanere me stessa è la rabbia. Voglio uscire da questo posto e avere quello che mi spetta». Era strano vedere come due caratteri differenti reagissero diversamente di fronte alla stessa ingiustizia: Robin rimaneva attaccato ai ricordi e alla speranza, Milah si riempiva di rabbia. Avevo sempre pensato di essere più simile al carattere di Milah ed invece avevo scoperto, a mie e a loro spese, che reagivo in un modo ancora differente: piangevo.
«E tu Charlie?», domandai. «Cosa ti aiuta a mantenere la lucidità?».
«Avere qualcosa che appartenga al tuo passato aiuta», glissò la mia domanda. Cercai di studiare la sua espressione nonostante lui si trovasse davanti ed io dietro; aveva la mascella contratta e sembrava essersi irrigidito sentendosi chiamato in causa. Qualunque fosse la sua storia e la sua questione in sospeso era evidente che non ne volesse parlare.
«Charlie ha ragione», intervenne Robin, salvandolo così dalla mia curiosità. «Sei arrivata qua con i vestiti che avevi Storybrooke, non hai tenuto niente?».
«No». Non c’era niente che valesse la pena tenere.
«Non avevi niente di…». Milah non terminò la frase ma non ce n’era bisogno affinché io capissi.
«Quando siamo scesi nell’Oltretomba», continuò Robin, «avevi quell’anello, quello nella catena. Sembrava ti aiutasse...». Sapevo a cosa si riferiva: all’anello di Liam. Purtroppo da brava stupida, non l’avevo indossato quella sera. Era rimasto nella mia borsa: non me ne separavo mai e visto che mia madre aveva detto che non stava bene col vestito l’avevo riposto in un luogo dove l’avrei potuto comunque avere vicino. Solo che la mia borsa non mi aveva seguita nel mio viaggio.
«Non ce l’avevo al collo», risposi rattristandomi. Se l’avessi avuto avrei potuto sentire Killian più vicino, quello era ovvio. Le parole che mi aveva rivolto quando me l’aveva dato erano incise nella mia mente in maniera indelebile. Potevo sentirlo ancora nella mia testa, esattamente come se fosse stato allora.
“Stai calma Swan”, mi aveva detto, “non ti chiedo di sposarmi. Sai che sono un sopravvissuto, questo anello ne è la ragione; ce l’ho da molti anni, è il motivo per cui sono vivo o potrebbe esserlo, chi lo sa?”.
“Sai che non morirò oggi, sono immortale ora”.
“La Signora Oscura è immortale, Emma non lo è. Riportala da me e se non altro ti ricorderà che qui c’è un attraente pirata dallo sguardo penetrante che ti ama”.
Sbattei le palpebre cercando di sgombrare la mente da quel ricordo ed evitare così che nuove lacrime mi salissero agli occhi. Forse avere quell’anello con me sarebbe servito anche in quella situazione per indicarmi la strada per tornare da lui; o almeno per ricordarmi che lui era a Storybrooke e che avrebbe lottato per me fino all’ultimo respiro.
«Scusate», intervenne Charlie, cambiando prontamente argomento, «non vi sembra strana questa situazione?».
Gli fui di nuovo immensamente grata per quel cambio di scena e perciò colsi la palla al balzo. «In che senso strana?».
«Non c’è quasi più nessuno ed è tutto troppo tranquillo». In effetti se da una parte la presenza di centinaia di anime mi aveva messo i brividi, anche la totale assenza era un fatto altrettanto inquietante. Non avrebbe dovuto essere così facile.
«Già, l’ho notato anche io», rispose Milah, «e la cosa non mi piace affatto».
«Ormai è passato qualche minuto dall’ultima anima che abbiamo incontrato», ci fece notare Robin.
«Non è un buon segno», sussurrai, «sembra il silenzio prima della tempesta». Istintivamente ci stringemmo ancora di più, avvicinandoci gli uni agli altri. Ormai ci stavamo tutti sfiorando.
«Non è possibile che non ci sia più nessuno», continuò Robin, «anche alla periferia di questa strana città si incontrano comunque delle anime».
«E qua non siamo nemmeno così distanti dal centro», convenne Milah.
All’improvviso un vento gelido si sollevò dalle nostre spalle facendoci rabbrividire. I miei capelli cominciarono a svolazzare finendomi in bocca e scompigliandomi. Era come se senza nessun preavviso si fosse scatenato un tornado e ciò non faceva altro che peggiorare i nostri timori.
Senza commentare ulteriormente quell’assurda situazione proseguimmo imperterriti, prestando ancora più attenzione a ciò che ci circondava. Le strade che si erano poco prima restrinte si stavano di nuovo riallargando, lasciandoci ancora più perplessi. Ci aspettavamo un attacco da un momento all’altro. Eravamo pronti e in allerta, non sarebbe stato facile coglierci di sorpresa.
«Ma cosa diavolo c’è là?». Le parole di Charlie attirarono di nuovo la nostra attenzione. Si era fermato all’improvviso e si era portato una mano sopra gli occhi in modo tale da riuscire a vedere meglio in lontananza. All’inizio non scorsi nulla di così insolito rispetto a quello che già c’era, ma poi capii cosa aveva attratto la sua attenzione.
Di fronte a noi si scorgeva il proseguimento della città, ma non era quello a doverci preoccupare. Ad un centinaio di metri si poteva intravedere un immenso precipizio. Era come se la parte della città in cui stavamo tentando di andare fosse completamente staccata da quella in cui ci trovavamo. A separarle c’era un dirupo che a giudicare dalle dimensioni doveva essere incredibilmente profondo.
«Come diavolo è possibile una cosa del genere?», domandò Robin. «Tu lo sapevi?». Si voltò verso Milah, che a giudicare dall’espressione era sorpresa e spiazzata almeno quanto noi.
«Certo che no», rispose. «È come se ci fosse stato un enorme terremoto così potente da separare le due parti della città».
«Forse è per questo che qua non c’è nessuno», suggerii. Almeno un mistero era spiegato.
«Sì, ma come facciamo ad andare dall’altra parte?». Charlie aveva posto la domanda che nessuno aveva il coraggio di pronunciare.
«Lo so che non sai con precisione dove andiamo, ma sei sicura che dobbiamo proprio andare là?». C’era una possibilità che non dovessimo per forza superare un dirupo alto centinaia di metri?
«Purtroppo è così», sospirò Milah dopo alcuni secondi di riflessione. «Vedete laggiù? Mi sembra di scorgere i confini della città o sbaglio?». Aguzzai lo sguardo ed effettivamente dall’altra parte si scorgeva quella che doveva essere una foresta o qualcosa del genere, visto e considerato che comunque ci trovavamo in fondo a quello che doveva essere un fiume, anche se di anime perse.
«Sì, li vedo anch’io», confermò Charlie.
«Secondo la leggenda, la donna che stiamo cercando ha abbandonato la città per vivere al di fuori di essa. Mi dispiace dirlo ma è là che dobbiamo andare e per questo abbiamo un problema». Milah sospirò, ma non parve scoraggiata. Probabilmente era preparata a qualsiasi inconveniente.
«Proviamo ad avvicinarci», propose Robin, «magari da più vicino riusciremo a scorgere una qualche soluzione». Annuimmo e senza più indugiare ricominciammo a camminare.
Facemmo giusto due e tre passi prima che il vento aumentasse improvvisamente. Prima era abbastanza forte da scompigliarmi i capelli, la folata che invece ci colpì alle spalle fu in grado di alzarci di peso e di trascinarci dritti dritti verso il dirupo.
«Maledizione», gridai crollando al suolo e continuando ad essere trascinata per terra verso lo strapiombo. Era come se una forza invisibile stesse cercando di risucchiarci attirandoci nel precipizio senza nessuna possibilità di scampo.
Il mio primo istinto fu di usare la magia per oppormi a quella potente ondata di energia; subito dopo però mi ricordai di esserne momentaneamente sprovvista. Mi rigirai e tentai di artigliarmi, affondando le unghie nel terreno e cercando così di rallentare la mia corsa verso il dirupo. Vidi che anche gli altri avevano fatto altrettanto, cercando in qualche modo di non essere risucchiati da quella forza invisibile.
Il vento continuava a soffiare imperterrito con la stessa violenza e sembrava non avesse alcuna intenzione di placarsi. Era come se avessimo superato una sorta di confine, al di là del quale ogni cosa veniva inghiottita.
«Tenetevi, non lasciate ciò a cui vi state aggrappando per nessun motivo». La voce di Milah mi arrivò all’orecchio. Non c’era bisogno che me lo dicesse, ma alle sue parole affondai ancora di più le unghie nella terra riuscendo in qualche modo ad arrestare il mio movimento. Scorsi Robin alla mia destra che si era ancorato con una freccia al terreno e continuava a reggersi a quella. Dove diavolo aveva trovato una freccia?
Non feci a tempo a formulare quella domanda che la voce di Charlie mi fece voltare subito dall’altra parte. «Merda! Merda!».
Cercai di scorgerlo alla mia sinistra ma individuai soltanto Milah, nella mia stessa identica situazione. Mi voltai indietro verso il dirupo e quel che vidi mi fece istintivamente scattare. Charlie era quasi sull’orlo del precipizio e stava tentando in tutti i modi di aggrapparsi al terreno ma con scarsi risultati. Aveva di nuovo lo zaino in spalla e ciò conferiva un ulteriore ostacolo, visto che aumentava la superficie a disposizione del vento per poterlo trainare giù. Vederlo là in pericolo fece rinascere in me l’istinto della Salvatrice: sapevo esattamente cosa dovevo fare. Era una mossa avventata ma non avevo altra scelta se volevo salvarlo.
Allentai la presa che avevo sul terreno e lasciai che il vento mi rigirasse e mi trasportasse sul margine del baratro. Charlie stava tentando di attaccarsi alla parete del precipizio, ma ormai era quasi completamente sospeso nel vuoto.
«Afferra la mia mano», gridai ad un metro da lui. Riuscii a trovare un punto dove potermi tenere e allo stesso tempo allungare una mano verso di lui. Charlie mi guardò con occhi pieni di panico, sorpreso di trovarmi là e allo stesso tempo grato di non essere più solo. Gli ci volle semplicemente un istante per decidere di afferrare le mie dita proprio come gli avevo ordinato.
Se fossi stata una persona più prudente forse avrei considerato la possibilità che in quel modo non sarebbe caduto solo lui, ma entrambi. E se da una parte io ero ancora viva, probabilmente non lo sarei più stata dopo un volo di centinaia di metri. Charlie era completamente sospeso nel baratro e il vento stava tentando di spingere giù anche me. Ancorarmi con una mano e con i piedi non sembrava essere abbastanza e probabilmente presto non sarei più stata in grado di reggerlo, visto che sarei stata io nella sua stessa posizione.
«Lasciami andare». Charlie mi fissò negli occhi, ma se da una parte le sue parole mi chiedevano una cosa, dall’altra il suo sguardo mi diceva tutt’altro. Non voleva che lo lasciassi, e anche se me l’aveva chiesto a parole, mi implorava con lo sguardo di non dargli ascolto.
«No! Togliti lo zaino svelto». Lo zaino era soltanto un peso in più che non faceva altro che affaticarmi ulteriormente.
«Cosa…?», tentò di protestare.
«Sbrigati e fai come ti dico». Non c’era tempo da perdere, visto che stavo lottando con tutte le mie forze contro quel tifone infernale. Doveva obbedirmi senza protestare.
«Va bene». Si tolse lo zaino dal braccio che aveva libero e nel farlo oscillò pericolosamente, risultando ancora più pesante di quanto già non fosse. Subito dopo afferrò la mia mano con l’altro braccio e lasciò che lo zaino gli scivolasse giù dalla spalla.
L’istante dopo accaddero più cose contemporaneamente o comunque in rapida successione: lo zaino precipitò nel baratro, di cui mi accorsi solo in quell’istante non riuscivo a scorgere la fine; la mano di Charlie scivolò sulla mia visto che, avendo cambiato braccio, la presa non era più salda e le mie dita erano diventate sudate e scivolose. E poi il vento cessò inaspettatamente; così come era arrivato sparì di colpo, facendo sì che potessi smettere di lottare almeno contro di quello.
Fu quando mi rilassai per quell’improvviso cambiamento che le dita di Charlie scivolarono del tutto dalle mie, mollando completamente la presa.
«No! No!». Chiusi istintivamente gli occhi ma li riaprii subito, giusto in tempo per scorgere Robin accanto a me che aveva afferrato Charlie proprio per un soffio, impendendo così quella che sembrava una fine inevitabile.
Sospirai sollevata e aiutai Robin a riportarlo con i piedi per terra. Una volta che lui fu di nuovo sulla terra ferma, indietreggiai di qualche metro e mi accasciai al suolo completamente sfinita. Avevo usato tutte le forze che possedevo e per fortuna ne era valsa la pena.
«Grazie Emma». La voce di Charlie mi costrinse a riaprire gli occhi che avevo momentaneamente chiuso. Mi stava fissando con uno sguardo pieno di gratitudine. «Mi hai salvato».
«Non c’è di che», risposi ansimando. «Adesso siamo pari».
«Beh non credo, quello che hai fatto è stato…». Lasciò la frase in sospeso non sapendo come continuare.
«Enormemente stupido», finì Milah per lui, «ma grazie per averlo fatto». Voltai leggermente la testa per poterla osservare; anche lei mi stava guardando e anche i suoi occhi erano pieni di gratitudine. Non mi ci volle molto per capirne il perché: quelle persone non erano per lei semplicemente degli amici, erano diventati la sua famiglia. Ed in quel momento io avevo appena salvato un membro della sua famiglia.
«Scusate», intervenne Robin, «non vorrei mettervi fretta, ma direi che stare qua non è sicuro. Dobbiamo trovare il modo per attraversare questo precipizio prima che quel vento ricominci e ci spedisca tutti chissà dove in fondo al baratro». Aveva perfettamente ragione: non avevamo tempo da perdere e dovevamo arrivare dall’altra parte prima che qualsiasi altro pericolo avesse potuto mettere a repentaglio la nostra missione.
 
POV Killian
Erano passate esattamente trenta ore e cinquantasei minuti dall’ultima volta che avevo visto la piccola Emma. Trenta ore e cinquantasei minuti in cui ero riuscito a convincere August ad aiutarmi ed in cui avevamo iniziato le nostre ricerche, senza però ottenere alcun risultato. Non era mia intenzione contare il tempo in cui restavamo lontani – era assurdo visto che non era nemmeno la mia Emma – eppure era successo e in quel momento sapevo che erano passate esattamente trenta ore e cinquantasei minuti da quando avevo scelto di andarmene e di percorrere la strada che ritenevo più facile.
Potevo concentrarmi sul tempo che scorreva e che aumentava la nostra lontananza, oppure sul fatto che un giorno di ricerche non ci aveva praticamente portato a niente. Non che riponessi molta fiducia nei libri, non quanto Henry ed August, ma avevo sperato che almeno ci aprissero la strada verso qualche nuova possibile idea. Invece non avevamo niente: eravamo esattamente al punto di partenza, senza la minima idea di cosa fare. Era peggio che andare alla cieca perché non sapevamo nemmeno da che parte andare.
Chiusi un libro rumorosamente e sospirai; ciò non servì a deconcentrare i miei due alleati. Erano così presi nella lettura che avevano completamente dimenticato il mondo circostante. Erano certi che prima o poi la risposta sarebbe saltata fuori; io non ne ero altrettanto convinto, o almeno non pensavo che un libro avrebbe potuto aiutarci. Tuttavia che altre opzioni ci restavano?
Sentii il mio parlofono vibrare sul tavolo, dove l’avevo appoggiato poco prima, e osservai il nome sullo schermo: Mary Margaret. Lasciai che continuasse a vibrare senza nessuna intenzione di rispondere; la coppia Azzurra aveva provato più volte a contattarmi ma con scarsi risultati.
«Potresti almeno silenziare la chiamata». La voce di Regina mi fece voltare la testa verso di lei. Ah giusto: anche lei si era unita alla nostra allegra brigata di topi di biblioteca.
«Non potrai evitarli per sempre». E dove c’erano libri era ovvio che ci fosse anche Belle.
«Non sto evitando proprio nessuno», risposi posando il libro che avevo appena chiuso insieme ad altri già visionati, e anch’essi del tutto inutili. «Sono impegnato al momento».
«Saresti più produttivo come bambinaia che qui con noi», ribatté Regina. Feci una smorfia, perché quello era proprio il motivo per cui evitavo tutte le loro chiamate.
«Non credo che starle lontano ti aiuterà in qualche modo», intervenne Belle.
«Averla vicino non mi aiuterà di certo, e non farà bene neanche a lei. Per il momento lascio che il principino e la sua consorte abbiano la loro famigliola felice».
«Oh andiamo Hook!». Il tono di Regina era stato duro. «Non è questa la famiglia che vogliono, dovresti toglierti quell’espressione imbronciata dalla faccia e dovresti smetterla di pensare che loro due siano schierati contro di te. Tutti vogliamo la stessa cosa e la vogliamo tutti nella stessa identica maniera».
Non risposi e presi un altro libro dal mucchio, iniziandolo a sfogliare distrattamente. Regina aveva ragione, ma non volevo darle la soddisfazione di ammetterlo.
Lessi alcune pagine del tutto inutili e cercai in tutti i modi di concentrarmi; tuttavia la mia mente tornava ad Emma. Perché se erano passate trentuno ore da quando avevo lasciato la piccola, ormai erano più di quarantatre ore che non abbracciavo o anche solo vedevo la mia vera Emma. Mi sentivo svuotato e mi mancava da morire; avevo l’impressione che lei non fosse semplicemente ringiovanita, ma che fosse sparita del tutto. Era come se lei non si trovasse più a Storybrooke, anche se in realtà la baby Emma rimaneva comunque qua con noi. Era una sensazione contrastante e sconcertante, che non sapevo né volevo spiegare.
Il mio telefono vibrò di nuovo: questa volta apparve il nome di David sullo schermo. Lo ignorai come sempre e continuai a sfogliare le pagine.
«Bene, allora funziona». La sua voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. «Credevo che Emma ti avesse spiegato a cosa serve un cellulare: quando ti chiamano dovresti rispondere».
Mi voltai verso di lui, assumendo un’aria sprezzante. «Cosa diavolo vuoi David?».
«Non sarei qui se non fosse del tutto necessario», mi rispose in un tono altrettanto duro. «Per quanto mi costi ammetterlo, io e Mary Margaret abbiamo bisogno di te. Emma ha bisogno di te».
Stavo per ribattere che quella non era effettivamente la mia Emma, ma mi trattenni. Mi voltai di nuovo e ricominciai a sfogliare il libro che avevo davanti. «Sono impegnato al momento».
«Oh andiamo smettila di fare lo stupido». David mi si avvicinò in modo da poter di nuovo guardarmi in faccia.
«Non sto facendo lo stupido, sto cercando un modo per salvare Emma».
David chiuse il libro che avevo davanti agli occhi con un tonfo. «Pensavo che mia figlia valesse di più per te!».
Sentendo quelle parole mi alzai di scatto. «Non ti azzardare a mettere in dubbio quanto Emma sia importante per me». Lo afferrai per il bavero della giacca facendolo indietreggiare.
«Calmatevi tutti e due». Regina si alzò e con uno sguardo autoritario ci costrinse a dividerci.
«Ti cerca», sussurrò David tra i denti. «Mio malgrado ti cerca, continua a ripetere il tuo nome. È irrequieta, non dorme, non vuole mangiare e tutto ciò che continua a pronunciare è solo il tuo nome. Perciò o vieni con me con le buone o ci vieni con le cattive, perché in questo momento sto solo facendo il bene di mia figlia. E non me ne frega niente se per te è un problema stare con lei adesso, perché lei ora ha assoluto bisogno di vederti».
Lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi completamente annientato dalle sue parole. Il fatto che Emma mi cercasse riaccese una piccola speranza in fondo al mio cuore. Il suo bisogno di me era confortante, ma allo stesso tempo era spaventoso. Tuttavia dopo ciò che aveva detto David non potevo più restare indifferente, non potevo più restarle lontano: era troppo difficile sia per lei che per me.
Senza dire una parola afferrai il cellulare sul tavolo e prendendo la giacca che avevo attaccato alla sedia mi diressi verso l’uscita della biblioteca. David mi seguì altrettanto silenziosamente, mentre tutti gli altri tornarono a concentrarsi sui libri, probabilmente pensando che non ero una grande perdita per la loro squadra.
Attraversammo le vie di Storybrooke silenziosamente e arrivammo al loft senza dire neanche una parola. David aprì la porta e mi fece entrare; Mary Margaret era seduta con la piccola sulle gambe, lo sguardo rivolto verso la scatola magica. Sapevo esattamente cosa stavano guardando e ricordavo con altrettanta esattezza la prima volta che l’avevo visto con Emma, seduti su quello stesso divano, di fronte alla stessa scatola.
 
Emma si accomodò accanto a me, appoggiando sul tavolino di fronte a noi un’enorme ciotola di quello che aveva chiamato pop-corn. Istintivamente portai un braccio sulle sue spalle, avvicinandola di più al mio petto. Se dovevamo guardare quello strano aggeggio, nonostante fossimo miracolosamente soli, era meglio sfruttare tutti i vantaggi che potevo trarne.
«Voglio che tu sia preparato», mi disse Emma, prendendo la bacchetta magica di quell’arnese.
«Beh non credo che ci sia molto da prepararsi stiamo per guardare la tele…comesichiama».
«Televisione», mi corresse. «Comunque è un cartone animato e devi capire che non è proprio come potresti aspettarti».
«Oh andiamo Swan, me l’hai già detto. Si intitola “Le avventure di Peter Pan” no? Posso immaginare che non sia proprio come me l’aspetti».
«D’accordo», acconsentì, «volevo solo che capissi che prima di incontrarti, anch’io credevo che questa fosse la vera storia. Una volta vista la versione effettiva però ho scoperto che la realtà mi piace molto di più». Si avvicinò per darmi un bacio, ma quando si allontanò non glielo permisi.
«Sei sicura di voler vedere questa cosa?», le suggerii sfiorandole le labbra con le mie e portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Siamo soli adesso».
«Non correre Capitano». Mi baciò di nuovo per poi accucciarsi nuovamente al mio fianco. Sospirai e mi preparai a fare ciò che voleva lei. Scoprii fin da subito cosa intendesse dire con cartone animato e che la storia era proprio del tutto sbagliata. Peter Pan buono? Ma quando mai! Davvero in quel mondo credevano ad una cosa del genere?
Erano passati giusto cinque minuti quando percepii lo sguardo di Emma addosso. Mi voltai verso di lei e come avevo immaginato mi stava squadrando con i suoi meravigliosi occhi verdi.
«Non dovevamo guardare la scatola magica? So di essere irresistibile, ma perché mi stai fissando quando sei stata tu ad insistere per fare questa cosa?». Con la mano indicai noi due e l’aggeggio di fronte a noi.
«Beh ad essere sincera voglio solo vedere la tua reazione». Mi sorrise e mi accarezzò i capelli con la mano.
«Come diavolo dovrei reagire? È solo una finzione». Non capivo che razza di comportamento si aspettasse da me. In fondo quello che stavamo guardando non era niente di trascendentale: una storia del tutto inventata con personaggi reali, me compreso. In effetti, l’unica cosa che mi incuriosiva era vedere come mi avessero ben rappresentato.
«Aspetta e vedrai». Si morse il labbro e mi rivolse un altro meraviglioso sorriso. Lasciai perdere e tornai a guardare il cartone giusto in tempo per cogliere l’entrata in scena del mio personaggio. Quando finalmente Capitan Uncino comparve sullo schermo la mia espressione cambio di colpo. Mi sporsi in avanti e sbattei le palpebre cercando di assimilare ciò che stavo vedendo. Come diavolo avevano potuto immaginare che io fossi in quella maniera?
«Stai scherzando?». Mi voltai verso Emma con un’espressione sconcertata dipinta sul viso. Ero sia incredulo, sia in parte offeso e completamente disorientato. Certo adesso le parole di Emma avevano un senso.
«Te l’avevo detto di aspettare», rispose semplicemente.
«Come diavolo vi è venuto in mente? Dio come… è una cosa…». Ero così allibito che non riuscivo a trovare le parole per esprimermi.
«Sì lo so, questo mondo non ti ha reso giustizia».
«Non mi ha reso giustizia? Ma l’hai visto Swan?». Non riuscivo ad elaborare la cosa anche perché un conto era sbagliarsi sulla cattiveria di Peter Pan, un altro era dipingere un grande capitano come me in un modo così ridicolo. Se quella era la versione ufficiale di quel mondo, voleva dire che tutti là pensavano a Capitan Uncino come un vecchio decrepito e con uno stile decisamente opinabile.
«Aspetta un attimo». Un idea si fece largo nella mia mente lasciandomi ancora più sconcertato. «Tu prima di incontrarmi credevi che fossi così?». Indicai lo schermo con l’uncino e poi la fissai allibito.
«Beh sì, essendo cresciuta in questo mondo non conoscevo nessun’altra versione». Feci per ribattere ma le parole mi morirono sulle labbra. Strinsi le braccia al petto e assunsi un’espressione imbronciata; adesso che avevo scoperto la verità sicuramente non volevo più guardare quell’obbrobrio. Non sapevo neanche perché Emma avesse voluto mostrarmelo: cosa diavolo voleva dirmi?
«Killian», mi chiamò ridestandomi dal mio mutismo. Mi prese il viso tra le mani e mi fece incontrare il suo sguardo. «La stai prendendo un po’ troppo sul personale». Non dissi nulla e lasciai che la mia espressione parlasse da sé.
«Beh quando ti ho proposto di vedere questo cartone», continuò, «non avevo intenzione di offenderti o di farti arrabbiare. Questo non ha niente a che fare con te; l’hai detto tu prima, è solo una finzione. Sì è vero, io credevo che Capitan Uncino fosse un vecchio riccioluto e con i baffi e quando, nella Foresta Incantata, mi hai rivelato la tua identità ne sono rimasta sorpresa; piacevolmente sorpresa».
«Sì lo so ma…», feci per protestare, ma lei mi fermò posandomi un dito sulle labbra.
«Shh, fammi finire. Quello che voglio dire è che non conta come questo mondo ti rappresenta, ma come sei realmente. E a me piace tanto il vero Capitan Uncino». Sentendo le sue parole un sorriso mi si disegno sulle labbra e il mio cuore iniziò ad accelerare, cancellando qualsiasi altra sensazione. Era talmente raro sentirla parlare così che quando succedeva potevo benissimo scordarmi di tutto.
«Credo che ti bacerò adesso», le rivelai avvicinando il mio viso al suo. Le nostre labbra aderirono perfettamente, dando vita ad un bacio dolce ma pieno di passione. Lentamente mi portai sopra di lei facendola distendere sul divano, mentre con la mano iniziai ad esplorare ogni centimetro del suo corpo.
«D’accordo», sospirò quando la mia bocca si spostò sulla sua guancia e poi sul suo collo, lasciando una scia di baci. «Credo che potremo anche passare così il resto della serata». Ridacchiai e ripresi da dove ero rimasto.
 
«Questo è stato l’unico modo per tenerla buona», mi sussurrò David in un orecchio ridestandomi dai miei pensieri. Proprio nello stesso istante Mary Margaret si voltò per osservarci, in modo tale che anche la piccola potesse vederci. La reazione della baby Emma fu spropositata: appena si accorse della mia presenza i suoi occhi si spalancarono, iniziò a balbettare il mio nome e a tendere le braccia verso di me come se fossero passati dei secoli da quando l’avevo lasciata.
Sospirai e senza più esitare mi avvicinai a Biancaneve per poterla prendere in braccio. Lei si slanciò talmente tanto da rischiare di cadere, ma per fortuna la ripresi all’ultimo istante. Quando la strinsi al mio petto afferrò con il suo piccolo pugno la mia camicia e scoppiò a piangere. Tuttavia non era un pianto disperato, era di felicità come se il rivedermi, il solo fatto di essere lì, riuscisse a farla stare bene e a liberarla da tutta la sofferenza.
«Shh calma Swan, mi sei mancata anche tu». Le accarezzai la testa, cullandola tra le mie braccia, aspettando che si calmasse.
«Kill…», mormorò contro la mia spalla. «Esta co me». Sbattei le palpebre non aspettandomi che fosse in grado di pronunciare intere frasi e soprattutto quel tipo di frasi, come se sapesse effettivamente ciò che eravamo.
«Parlotta da quando Gold l’ha trasformata», mi spiegò Mary Margaret, notando il mio sguardo sorpreso.
«Lo sapresti se non te ne fossi andato senza voltarti l’altro giorno». David mi lanciò una frecciatina ma ci pensò sua moglie a tirargli una gomitata da parte mia.
«Diciamo», continuò lei, «che quelle che hai sentito tu l’altro giorno non erano le sue prime parole, lo erano solo per noi».
«Mi dispiace per essermene andato», mi ritrovai a sussurrare sorprendendo anche me stesso. Emma non disse più nulla ma adagiò la testa sulla mia spalla, assecondando il mio movimento.
«Guarda se riesci a farla mangiare», mi disse aspramente David. Capivo il perché fosse geloso, era ovvio: era lui suo padre ma era come se alla piccola Emma non importasse. Le importava solo di me e questo mi scaldava il cuore. Perché chi volevo prendere in giro? Che fosse o non fosse la mia Emma mi sarebbe sempre importato di lei, sempre e comunque. Non potevo allontanarmene senza distruggere me ed evidentemente distruggere anche lei.
Lasciai che David si sfogasse con me, anche solo a parole, e seguii Mary Margaret in cucina per dare da mangiare alla piccola. Fu un impresa più facile del previsto: seduta sul suo seggiolone Emma non aspettava altro che essere imboccata da me. Ero una bambinaia più brava di molti altri genitori. In un certo senso potevo considerarla una sorta di prova generale per quando fossimo stati io ed Emma a diventare dei veri e propri genitori. Ero stato così impaurito da quella eventualità, ma adesso non avevo più nessun timore. Perché se una cosa era certa era che avrei riavuto Emma e noi due ci saremo sposati e avremo formato la nostra famiglia. Non mi sarei arreso finché non ci fossimo riusciti.
Fu verso sera, dopo aver passato un po’ di tempo a giocherellare con la bambina, che la porta del loft si spalancò di colpo e sulla soglia comparvero Henry, Regina, August e Belle.
«Che succede?», chiedemmo contemporaneamente David, Mary Margaret ed io.
«Abbiamo scoperto qualcosa», annunciò Henry. Normalmente avrei gioito ad una notizia del genere, ma le loro espressioni spensero ogni tipo di entusiasmo. Di qualunque cosa si trattasse non lasciava presagire niente di buono.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti!
Non posso ancora credere che stasera/domani tornerà OUAT. Non vedo l’ora! Tuttavia per il momento dovrete accontentarvi di un mio capitolo.
Come da voi richiesto, ho aggiunto una serie di momenti fluff Capitain Swan. Perché è vero che per il momento sono divisi, ma mi mancano molto quei teneri istanti dei nostri due protagonisti. Spero che siate d’accordo con me.
Quindi da una parte il viaggio si sta rivelando pieno d’insidie, dall’altra Hook è tornato dalla baby Emma, ma le notizie che arrivano dal fronte di ricerca non sembrano essere delle più rosee.
Vi ringrazio come sempre. Grazie ai lettori, ai recensori, a tutti!
Un bacione e alla prossima settimana.
Sara
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: gattina04