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Autore: marea_lunare    05/03/2017    3 recensioni
Saresti disposto a farti colpire da una pallottola pur di salvare la vita di Sherlock Holmes? John Watson sì.
Watson sentì una lacrima cadergli sulla guancia e rivolse gli occhi pesanti verso il volto di Sherlock, ormai invaso dalle lacrime. Gli sorrise con sforzo cercando di tranquillizzarlo. "Sherlock.." lo chiamò. Il consulente investigativo incrociò gli occhi rossi e umidi con i suoi, giurando di potersi perdere in un colore tanto bello. "Sherlock.. va tutto bene, passerà presto" disse, alzando una mano e appoggiandola sulla guancia di lui, raccogliendo qualche lacrima con il pollice.
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UNA PALLOTTOLA NEL CUORE

Sherlock!" gridò John, gettandosi sopra di lui.                       

Sherlock si ritrovò a cadere di lato, mentre il soldato si accasciava nel punto in cui si trovavano prima. La pallottola lo aveva colpito proprio nel mezzo del petto e una macchia scura si stava espandendo vicino al buco. "JOHN!" gridò il detective, sbarrando gli occhi e contraendo il volto in un'espressione di profonda disperazione. Corse da lui per soccorrerlo, ma aveva paura, non sapeva cosa avrebbe potuto fare.                       

"John.. John, mi senti?" chiese sommessamente, accarezzandogli la guancia con piccoli movimenti circolari del pollice. Lentamente Watson aprì gli occhi, facendo illuminare lo sguardo di Sherlock. "Oh John.. Credevo di averti perso" sorrise Sherlock, mentre le labbra gli iniziavano a tremare.                       
"Non ti sbarazzerai di me così facilmente.." rispose Watson con un soffio di voce.
 "Adesso chiamo un'ambulanza e vedrai che andrà tutto bene."                       
 John annuì e Sherlock prese il telefono per chiamare Lestrade e il 911/il pronto soccorso.

"Sherlock, non ti vedo più.." sussurrò John, con un tono di voce spaventato. Sherlock si pietrificò. Aveva provato a tenere premuta la ferita e bloccare il flusso di sangue, ma con scarso successo. "No, no, no!" gridò il detective, sentendo il corpo di John rilassarsi, così lo sorresse con le braccia. "John, guardami.. Ti prego, guardami!" insistette, con il tono di voce che si stava alzando ed inclinando per il pianto in arrivo. "John, ti scongiuro non mi lasciare."                       

Watson sentì una lacrima cadergli sulla guancia e rivolse gli occhi pesanti verso il volto di Sherlock, ormai invaso dalle lacrime. Gli sorrise con sforzo cercando di tranquillizzarlo. "Sherlock.." lo chiamò. Il consulente investigativo incrociò gli occhi rossi e umidi con i suoi, giurando di potersi perdere in un colore tanto bello. "Sherlock.. va tutto bene, passerà presto" disse, alzando una mano e appoggiandola sulla guancia di lui, raccogliendo qualche lacrima con il pollice.                       
"Non te ne andrai, vero?" gli chiese Sherlock, fissandolo con quegli occhi che Watson aveva sempre voluto guardare da una distanza così ravvicinata. "Non potrei mai lasciarti da solo.. Dopo chi ci sarebbe a tirarti fuori dai guai?" rise John, aggiungendo qualche colpo di tosse e un piccolo rivolo di sangue gli scese lungo un angolo della bocca, un riflesso incodizionato di cui il dottore non si sarebbe certamente dimenticato. "Ei, ei, respira.." sussurrò Sherlock accarezzandogli il volto e lasciandogli un piccolo bacio sfiorato sulla bocca. John fece dei respiri profondi, cercando di fermare le convulsioni provocate dalla tosse.                       
Vedendo una lacrima che faceva capolino dall'occhio destro del soldato, il cuore di Sherlock si spezzò. In quel momento arrivarono Lestrade e l'ambulanza, che li caricarono entrambi per andare in ospedale. Durante tutto il tragitto, Watson gli strinse la mano, respirando a fatica. Sherlock avrebbe voluto essere al suo posto. Gli si era gettato addosso solo per salvargli la vita, per salvarla a lui che non aveva un cuore, che non era mai stato capace di amare, o almeno così aveva creduto fino a quel giorno.                       

Arrivati in ospedale, Sherlock seguì finché poté la barella su cui avevano caricato John, zuppo di sangue e privo di sensi. Fu poi obbligato a sedersi in sala d'aspetto, dove iniziò a camminare avanti e indietro, tentando di dimostrare il minimo nervosismo. Lestrade tentava di tranquillizzarlo, ma l'unica cosa che ottenne fu di essere mandato al diavolo. Quando l'ispettore se ne fu andato, Sherlock rimase solo a pensare, con i pollici a sostenere il mento e gli indici a toccare la bocca, come faceva quando si concentrava.                       
Cercò di calmare il battito cardiaco, respirando a fondo e pensando a John. Pensando a lui e a ciò che aveva fatto poche ore prima, provò qualcosa di completamente nuovo, un mix di tristezza e calore nel petto che distruggevano tutti gli schemi mentali che con il passare degli anni si era costruito con tanta fatica. John Watson gli aveva pian piano fatto riscoprire una nuova parte di sé: quella umana. La parte che aveva ormai dimenticato di avere e che nessuno aveva mai tentato di far rinascere. Ma John Watson non si era arreso e aveva continuato imperterrito a dimostrargli tutto il suo affetto, facendo incrinare le certezze e il cuore duro di Sherlock. Era stato l'unico a vedere in lui qualcosa di nuovo e buono. E non avrebbe mai saputo come ringraziarlo.                       

Quando finalmente il dottore andò incontro a Sherlock per dargli notizie, il detective sentiva i piedi di piombo e il cuore a pezzi. Il dottore lo guardò negli occhi e Sherlock si sentì sprofondare. "Signor Holmes.. Purtroppo non è stato possibile rimuovere il proiettile. Ritenteremo domani con un'altra operazione, non appena il dottor Watson avrà recuperato le forze necessarie. "Posso vederlo?" domandò Sherlock con un fil di voce. "No signor Holmes. Deve aspettare qualche giorno per dare modo al paziente di riposare e a noi di accertarci della sua salute. E sarebbe meglio se il signor Watson non venisse sottoposto a forti scosse emotive." "Va bene.. Grazie dottore".                       
Prima di andarsene passò davanti alla stanza in cui avevano lasciato John, il proiettile ancora conficcato in quel petto fragile che avrebbe sempre voluto abbracciare, cosa che lui stesso non si era mai concesso. Non era certo se Watson provasse quello che Sherlock sapeva di provare da tempo, ma non aveva mai accettato. Se ne tornò a casa, trovando sul tavolo la cena che la sig.ra Hudson aveva preparato per entrambi, ormai fredda. Erano le tre del mattino. Si accasciò su una sedia, osservando la poltrona vuota di Watson con il cuore sanguinante. Sarebbe rimasta vuota per sempre? John sarebbe mai tornato da lui?

Passò le seguenti due settimane seduto su quella sedia, senza toccare cibo o dedicarsi a qualche caso.
Bevve del tè solo per evitare che la glicemia si abbassasse troppo e con conseguente probabilità di svenimento. Da quando John se ne era andato la casa sembrava vuota. Non sentirlo lamentarsi o lavorare a qualche caso, semplicemente parlare con lui.. Erano cose a cui era talmente abituato tanto da darle per scontato. E ora era sul punto di perderlo per sempre. Una mattina, dopo quasi tre settimane chiuso nell'appartamento, il suo cellulare squillò, ma Sherlock non gli diede peso.                        
Squillò per cinque minuti buoni, così fu costretto a rispondere. "Pronto?" chiese con tono irritato. Nessuna risposta. "Pronto?" ripeté alzando la voce. "Ciao Sherlock.." disse la voce dall'altro capo del telefono. Il suo cuore si fermò. "John.." sussurrò, come se fosse un fragile sogno pronto a dissolversi.                       

                                                                                         *******************************

Sherlock stava correndo. Ma non una corsa leggera, no. Sherlock aveva i polmoni in fiamme e stava correndo il più velocemente possibile, superando ogni suo limite. Non aveva più fiato, ma non gli importava. John ce l'aveva fatta. Era uscito in pigiama, con la sua vestaglia azzurra, percorrendo mezza Londra di corsa, con la barba incolta di tre settimane e gli occhi stanchi. Ma nulla gli importava più di John. Entrò in ospedale con il fiatone e il viso accaldato dalla corsa. Nemmeno il caso più importante della sua vita lo avrebbe fatto correre così, ma John Watson sì. Per lui avrebbe percorso a piedi nudi un intero paese coperto di neve, un'intera città in pigiama.

Quando arrivò davanti alla stanza di John, la trovò vuota. Guardò all'interno, spaesato, dando le spalle alla porta. Cercando di calmare il battito cardiaco che gli risuonava nelle orecchie, prese qualche bel respiro profondo. Ma uno di essi gli morì in gola.
 Si sentì chiamare da una voce che non ascoltava da fin troppo tempo. Non aveva il coraggio di girarsi. E se quello fosse stato solo un inganno della sua mente, se fosse diventato pazzo per il dolore?
"Sherlock." insistette la voce. Il consulente investigativo si girò, ma con gli occhi chiusi. Sentì risuonargli nelle orecchie la risata dolce, flebile e intenerita del suo amato Watson, ma non riuscì a fidarsi. Aveva paura che i suoi sensi si fossero involontariamente alterati e non avrebbe potuto sopportare un colpo del genere. Fu allora che sentì qualcosa sulla guancia.                       
Un calore nuovo, ma non completamente estraneo. John gli stava accarezzando il viso. Quando sentì che si era avvicinato di un passo, Sherlock sentì le labbra tremare e si gettò in avanti, dove John lo strinse accogliendolo tra le sue braccia. Allora Sherlock aprì gli occhi, voltò leggermente lo sguardo verso sinistra e riconobbe i capelli biondi di John. "Te lo avevo detto che non ti saresti sbarazzato così facilmente di me" disse John, in mezzo ai suoi capelli corvini.

Per la prima volta nella sua vita, Sherlock scoppiò a piangere. Lacrime calde gli percorrevano il volto fino alla barba incolta. Lo strinse più forte di quando non avesse mai fatto, fino a che John non gli disse di fare piano, a causa della cicatrice. Sherlock allentò un po' la presa, ma non lo lasciò. "Ho paura che tu svanisca" gli disse. "No Sherlock, non lo farò. Sono sopravvissuto ad una pallottola, solo per te. Coraggio, guardami." rispose John, continuando ad abbracciarlo e nascondendo il suo volto nella spalla sinistra si Sherlock.
Allora il consulente investigativo prese coraggio e si staccò, incrociando finalmente gli occhi azzurri di Watson. Sembrava passata un'eternità.
Quando John sorrise, Sherlock sentì nuove lacrime scendergli lungo le guance e John, come tre settimane prima, le raccolse con il pollice. "Questo è il tuo modo per dirmi che ti sono mancato?" sogghignò Watson, incrociando il suo sguardo e perdendosi dentro quegli occhi che avevano il colore di un oceano dopo la tempesta. Sherlock annuì, tirando su col naso. "Non.. non sono abituato a tutte queste 'emozioni' come le chiami tu" disse sorridendo e strizzando gli occhi arrossati. "Mi sei mancato anche tu Sherlock" rispose John, abbracciandolo ancora. Sherlock gli diede un bacio leggero sulla fronte. "Sai Sherlock.." disse Watson "Ho pochi ricordi di quella sera in cui mi hanno sparato, ma.." Holmes lo guardò interrogativo, "Ma io ho sentito quel leggero bacio che mi hai dato, prima che io perdessi i sensi" concluse.                       

Sherlock sbiancò, arretrando di un paio di passi. "John, mi dispiace, io non.." disse, mettendosi le mani nei capelli. Il castello mentale era distrutto, la sua scorza dura, il suo cuore di pietra. Tutto in polvere, per colpa di John Watson. "Ei Sherlock, calmati" disse Watson avvicinandosi. Sherlock si sedette con le spalle al muro e il volto tra le mani.                       
"Non so cosa mi succede, John! Il mio castello mentale è completamente sparito. Da quando sei in ospedale, non riesco più a pensare lucidamente. Vedo solamente te sdraiato sull'asfalto e coperto di sangue, mentre io osservo impotente. Non mi sento più me stesso!" urlò disperato, alzando il volto al cielo per evitare che ulteriori lacrime gli scendessero lungo il volto. Stava scaricando tutte le minuscole quantità di dolore che aveva assimilato durante la sua vita e il rischio di perdere John era stata la goccia a far traboccare il vaso.                       

"E poi tutti questi sentimenti che sento dentro, tutto questo tumulto che ho nella testa, che non sta un attimo zitto, che mi confonde e non mi permette più di pensare lucidamente! AL DIAVOLO!" sbraitò, dando un pugno al muro e ferendosi le nocche. "Sherlock, smettila!" disse John, bloccandolo per il polso della mano ferita. "Io ti amo John Watson! È colpa tua se sono così fuori di testa! Dovunque guardo, vedo il tuo dolce sorriso e sento la mancanza di tutte le premure che hai per me, nonostante io ti tratti da schifo! Hai un cuore così buono che sei riuscito a contagiare anche me con queste melensaggini e hai incrinato ogni certezza, perché quando so che tu sei al sicuro non solo me ne frego del mondo, ma anche di me stesso!" Tutte quelle parole gli uscirono come un fiume inarrestabile, mentre gesticolava, si allontanava e si avvicinava a John. Aveva paura.

John gli prese il volto tra le mani. "Dannato sociopatico iperattivo, vuoi guardarmi!?" gridò "Cosa vedi?!" Sherlock lo fissò dalla testa ai piedi: guance rosse, occhi umidi (probabilmente in procinto di piangere), tremore della voce e delle mani mentre trattenevano il viso del detective. "John.." spirò Sherlock.

 "Già.." fece Watson lasciandolo andare "Vado a prendere un paio di garze per curarti la ferita, tu siediti e non fare ulteriore casino, per favore." Quando John uscì dalla stanza e Sherlock fece capolino con la testa, vide la gente che si era accumulata fuori per vedere cosa stava succedendo. Watson tornò poco dopo e, con la delicatezza che lo aveva sempre distinto, curò la ferita e fermò le garze.
"Grazie.." sussurrò Sherlock intimidito "E.. Mi dispiace.." aggiunse. John gli poggiò di nuovo la mano sulla guancia, per calmarlo del tutto. Sherlock inclinò la testa verso destra, appoggiandosi a quel calore umano e poggiando la sua mano sopra quella dell'altro. Watson lo guardò dolcemente, Holmes aprì gli occhi fino a quel momento chiusi e si specchiò nelle iridi di John, il suo John.
 
 "John Amish Watson.. Sei incredibile" sussurrò. Con le mani ancora giunte sopra la sua guancia, Sherlock gli si avvicinò e poggiò leggermente le labbra su quelle dell'altro. Entrambi chiusero gli occhi, lasciandosi finalmente andare. Un'altra piccola lacrima sbucò da un occhio di Sherlock e scese lungo la guancia. Quando si staccarono, Watson lo guardò intensamente e gli sussurrò: "Ti giuro, William Sherlock Scott Holmes, che questa sarà l'ultima lacrima che verserai. E se mai qualcuno tenterà di farti del male, io ti proteggerò ancora e ancora. Senza mai pentirmene una volta". Sherlock lo strinse a sé ancora una volta e si alzò. "Andiamo a casa, John" disse, intrecciando la mano con la sua. "Ho proprio bisogno di un tè bollente". "E non dimenticare di farti la barba" aggiunse John sghignazzando.
"Perché? Non mi dà un tocco di fascino?". Uscirono dall'ospedale ridendo e scherzando, tenendosi per mano e, soprattutto, INSIEME.

 



Angolo dell'autrice: Salve a tutti! Sono una novellina di questo sito e finalmente oggi ho trovato il coraggio di pubblicare questo mio primo scritto. Ringrazio in anticipo tutti coloro che mi hanno fatto il regalo di leggere fino alla fine la fanfiction, betata e scritta con cura sotto la supervisione della mia fidata Beta Reader nonché amica Alice, che ringrazio di tutto cuore :3 
Ho già altre due fanfiction concluse e (quasi) pronte alla pubblicazione, perciò il mio povero cuoricino ha i battiti molto accelerati. 
Le critiche costruttive, i consigli su come migliorare il mio stile e le recensioni sono ben accette da chiunque! 
Buona domenica a tutti quanti <3 
   
 
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