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Autore: moni93    05/03/2017    0 recensioni
La morte di Oboro e Gennosuke è stata una tragedia che però, a differenza di Romeo e Giulietta, non verrà mai ricordata.
Il loro è un amore segreto, i loro pensieri più profondi non furono mai comunicati.
Almeno, finora.
In questa fanfic di tre capitoli, analizzerò gli ultimi istanti di vita dei due protagonisti. Un capitolo per ognuno di loro, per far sapere al mondo ciò che hanno provato, il dolore che hanno sofferto e la speranza che, in fondo, non li ha mai abbandonati. Perchè, come Hikoboshi e Orihime, sono legati dal filo rosso del destino che nessuno, uomini o dei, potrà mai spezzare.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Atto secondo: L’uomo che rimase sconfitto

 

I remember years ago someone told me

I should take caution when it comes to love, I did

And you were strong and I was not

My illusion, my mistake, I was careless

 

Falling out of love is hard, falling for betrayal is worst

Thinking all you need is there, building faith on love and words

And now when all is done there is nothing to say

You have gone and so effortlessly

You have won, you can go ahead tell them

 

Tell them all I know now, shout it from the roof tops

Write it on the sky line, all we had is gone now

Tell them I was happy and my heart is broken

All my scars are open

 

Tell them what I hoped would be impossible

 

 (James Arthur – Impossible)

 

 

Troppo tardi l'ho capito. Troppo tardi ho aperto i miei occhi.

Io, che mi ero persuaso di aver raggiunto la vista del terzo occhio e di riuscire a percepire il mondo in tutte le sue sfumature, non ero in grado di scrutare all'interno del mio stesso cuore. Mi era stato insegnato molto sul combattimento, sulle tattiche del nemico, su come depistarlo e infine colpirlo quando meno se lo sarebbe aspettato. I sentimenti non facevano parte della mia educazione. Tutto ciò che li riguardava, si limitava all’assoluta lealtà per il clan Koga. Ogni altra cosa era superflua, una mera distrazione. Qualcosa che, semplicemente, a un guerriero non serviva.

Con quale celerità tale insegnamento è andato completamente dimenticato, nell’istante in cui ti ho visto. In momento il mio cuore umano, che dormiva sopito sotto il peso della responsabilità, sussultò, come ridestato da un brusco fervore. E, in effetti, il tuo impacciato passo si era tramutato in rovinosa caduta. Una delle tue tante, rovinose cadute. Riusciti a conquistarmi proprio con questa tua ingenuità che, in un primo momento, mi era apparsa come provocatoria. Pensai seriamente che tu volessi prenderti gioco di me, rovesciandomi addosso il tè bollente che avresti dovuto servirmi; ma i tuoi occhi puri mi trasmisero tutto il tuo sconforto, oltre alla delusione per aver rovinato quel colloquio così importante e tanto atteso tra i nostri due clan.

Soltanto allora mi ricordai del tuo viso da bambina. Già all’epoca, sebbene non avessi più di otto anni, mi avevi sgridato con i tuoi profondi occhi di laguna, colmi d’innocenza e gentilezza. Da quell’incontro avevo appreso quanto fosse ingiusto odiare per il solo sentito dire.

Cosa potevo saperne di te, dei tuoi genitori, della tua gente? Cosa conoscevo di Iga? Né le montagne, né i fiumi, nemmeno il profumo della primavera o il colore del tramonto. Potevano essere diversi da quelli del mio villaggio e, allo stesso tempo, così simili?

Con gli anni avevo imparato ad apprezzare ognuno dei ninja che mi era vicino, ho amato i miei compagni come la mia stessa famiglia, proteggendoli e guidandoli al massimo delle mie capacità. Per questo motivo, quando mi fu proposto di sposare la nipote della nobile Ogen, la futura capoclan degli Iga, ho pensato che fosse mio dovere accettare. Per il bene del mio popolo mi sarei sacrificato, anche se questo significava unirmi in eterno con una donna che non amavo e che, con ogni probabilità, mi detestava. Non avrei potuto darle torto per questo, dato che io stesso perseguitavo a non vedere di buon occhio quel clan, nostro acerrimo rivale e spregevole nemico da tempo immemore. A mia insaputa, tuttavia, macchinò il destino.

Fu durante quella riunione prematrimoniale, avvenuta dieci anni dopo il nostro primo incontro, che rividi quegli occhi di rugiada e stelle, così scuri eppure brillanti. Non mi vergogno ad ammettere che mi innamorai di te a prima vista.

In fondo, che senso avrebbe mentire ulteriormente al cuore, adesso? A che scopo indossare la maschera del guerriero, quando non sono altro che un uomo ormai sconfitto?

Adesso tutto tace, dentro di me e intorno ai nostri due corpi, uniti in questo illusorio abbraccio. Ora il sole mi accarezza il volto con i suoi ultimi raggi, mentre il gelo dell’inverno abbraccia con insistenza il calare delle tenebre, nonostante i fiori incomincino già a sbocciare. Ogni illusione è caduta, persino la più insistente e maligna che mi aveva ghermito il cuore sinora. Tutto pare chetarsi e trovare un senso, o una risposta, dinnanzi all’ineluttabilità del tempo che, per me, è ormai trascorso.

Mentre carezzo il tuo viso, così inespressivo eppure bellissimo nonostante la morte, non posso fare a meno di pensare quanto a lungo avevo desiderato rivederlo.

C’erano due immagini di te, Oboro, che mi abbagliavano ogni giorno, ogni secondo, nonostante la cecità inflittami dal veleno del tuo clan. Una rappresentava la donna che avevo conosciuto ed amato, l’altra colei che credevo mi avesse ingannato e deriso alle spalle. Tu rappresentavi il demone di cui il mio anziano maestro e predecessore mi aveva messo in guardia, dal quale dovevo guardarmi: quel mostro chiamato amore.

Tu mi avevi insegnato a vivere, ricercando la verità con i miei occhi e il mio giudizio.

Tu mi avevi portato a sperare e poi a credere nella pace tra i nostri clan, anche se ardua e sofferta.

E sempre tu, mia adorata, mi avevi mostrato l’amore in ogni sua gioia.

Avevo costruito piano piano il mio mondo attorno ad una sola persona, anziché a un popolo, credendo fermamente alle tue parole. Tuttavia, eri anche colei che mi aveva messo dinnanzi alla desolazione, alla vista del proprio castello che cade a pezzi, senza poter fare nulla per impedirlo. Come un origami che, delicatamente, brucia, arso dalle fiamme del tradimento.

Forse era questo che tentai di fare, quando ricevetti la notizia che la tregua tra i Koga e gli Iga era stata spezzata: provai a imprimermi nel cuore l’odio per chi mi aveva ingannato, per colei che mi aveva sedotto e poi abbandonato. Per quella che, in realtà, si era rivelata essere la sua vera natura: una nemica da eliminare. Era così facile credere che fosse tutto un crudele tradimento, perchè così facendo avrei automaticamente dato ragione ai miei compagni... i miei compagni.

Per il clan ho sempre lottato. Per la mia discendenza, la mia gente sono cresciuto, mi sono allenato, ho sacrificato me stesso.

Eppure, che cosa resta di questo?

Una pergamena intrisa di sangue, nomi che un tempo erano persone... volti... una famiglia... e che ora sono niente. Nemmeno ricordi. Non più, ora che l'ultima Iga se ne va da questa terra.

Per quanto ti stringa a me, per quanto il mio cuore urli il tuo nome, non riaprirai mai più gli occhi. Ormai sei volata via, Oboro, lontana da questa guerra e dalla follia dell’uomo.

Non mi sarà più concesso di vedere quel cielo luminoso che, adornato di un sorriso bello come un fiore che sboccia, mi apparteneva.

Eppure, poco prima che tu te ne andassi, sono riuscito a leggere il messaggio impresso nel tuo sguardo. Nonostante mi avessi dichiarato il tuo amore a parole, sul tuo viso lessi una straziante domanda, che mi perseguiterà fino alla fine dei tempi.

«Gennosuke-sama, mi dica almeno questo... era l’odio tra i nostri due clan ad essere troppo forte o forse era il nostro amore ad essere troppo debole?»

Non ho saputo risponderti.

Tu dovevi essere la prima, nei miei piani. Nei miei pensieri da guerriero di Koga, saresti dovuta perire subito, dolce Oboro. Se non per mano mia, attraverso quella di un mio compagno. Non importava il mio dolore, il desiderio di rivederti nonostante tu avessi ferito il mio cuore. M’illudevo che, se fossi spirata senza che potessi rivederti, le mie sofferenze avrebbero avuto fine. Invece ho udito il mio petto lacerarsi fino a sanguinare, quando Kagero mi ha avvisato della tua presunta morte. A parole mi sono complimentato, ma il mio animo era in subbuglio. Era nero. Vuoto.

Quella era una menzogna, tuttavia. Sei giunta sin qui, dopo dieci aspre giornate di battaglie. Sei stata furba, pensavo. Hai fatto di tutto per ingannarmi, per ucciderci, sterminarci.

Così mi convincevo.

E, intanto, nel silenzio morivo. Ancora, ancora e ancora.

Perivo, lasciando che le mie azioni cancellassero i ricordi, il sole, il tuo sorriso. Ma, dentro di me, da qualche parte noi due vivevamo insieme, tenendoci per mano. E quando ho sentito la tua voce, dopo giorni infiniti cosparsi della tua assenza, bramavo unicamente di farti di nuovo mia, desideravo il tuo tocco leggero sulla mia pelle. Volevo prenderti ancora per mano, come facemmo quell'ultima sera nel bosco ai confini tra i nostri due villaggi, l'ultima notte in cui fummo liberi. Né Iga né Koga, nemmeno Oboro e Gennosuke. No. Eravamo soltanto una donna e un uomo che si amavano. Ed io, questo folle e miserabile essere che sono io, ieri notte volevo rapirti e fuggire con te. Oppure ti avrei abbracciata, abbandonandomi al profumo dei tuoi capelli, del tuo respiro e delle tue labbra; non lo so. Non so che avrei fatto, se Kagero non mi avesse ridestato dal mio torpore. Poiché, se il mio primo istinto fu quello di ucciderti e porre così fine alla guerra, il saperti accecata dalle tue stesse mani per non ferirmi, mi fece vacillare. Tesi la mano verso il vuoto, cercando la tua figura attraverso le tenebre che mi imprigionavano da sei lunghi giorni. Ero tornato ad essere l’uomo innamorato che piangeva dietro la maschera sporca di sangue del guerriero.

Ti avevo immaginata spesso, mia amata, durante questi giorni di lacrime e morte. Ti vedevo davanti a me, bella e letale. Uno sguardo ingannatore, pronto ad uccidermi non appena mi fossi avvicinato per baciarti. Eppure, per quanto realistica, tale figura mai mi ha persuaso. Mai ha vacillato il mio cuore, che accompagnava ogni secondo del mio viaggio con l’immagine di tuoi occhi, i tuoi veri occhi, dolci e buoni.

Ma poi c'erano i morti.

I caduti, i miei compagni ed amici.

Allora il peso del mio nome, del mio ruolo e del mio destino, mi schiacciavano, e perseguitarono a farlo sino all'ultimo. Fino a che non sentii la tua voce, di nuovo, in quello che fu il tuo estremo saluto a questo mondo. Poi il sigillo posto sui miei occhi si spezzò e ti vidi. Morta.

Avevi scelto di morire come donna, amandomi, piuttosto che vivere da ninja dopo avermi ucciso.

Tu, che mai hai conosciuto l'odio.

Tu, così sbadata da inciamparti ad ogni passo.

Tu, che ti accontentavi di vedere le nostre ombre vicine.

Tu, che ballavi per me, per noi, per il nostro amore.

Eri morta amandomi. Ed io non ho mai potuto dimostrarti quanto anch'io ti amassi. A questo non posso porvi rimedio in alcun modo. Sono sconfitto come uomo e come ninja.

Agli Iga va la vittoria, poiché io non sono mai stato un vero capo e, soprattutto, perché tu sei stata più coraggiosa e retta di tutti noi. Ho potuto solo rincorrerti, nella speranza che, un giorno, avrei afferrato ancora la tua mano. Come un bambino che rincorre la propria ombra. Mentre tu, come un vero guerriero, hai combattuto sino alla fine; contro i Koga, contro i tuoi cari, contro il destino e, persino, contro te stessa. Hai continuato a lottare, nonostante io ti avessi lasciato indietro, in silenzio.

Mi domando, nei tuoi ultimi istanti, che cosa devi aver visto?

Un nemico.

Non c’è altra risposta... questo è sicuramente il mio più grande rimpianto. L’averti lasciata sola, in un mondo di tenebre, pur sapendo quanto avessi bisogno della mia luce. Nonostante ti avessi promesso di donarti gioia e di proteggerti.

Mi viene in mente ciò che mi dicesti quando ancora potevamo amarci, quando il mondo ancora non si era fatto buio: io e te siamo un'unica anima. Forse è per questo che il mio cuore è in frantumi, la mia mente vuota e desolata. Mi hai messo in imbarazzo come credo tu mai ti sia sentita. Hai reso vani i miei sforzi, i miei tentativi di dominare il cuore tramite la ragione. Alla fine, quella più forte tra noi tutti eri tu, Oboro.

Adesso che sei finalmente libera, corri dal tuo popolo, dai tuoi amati Iga, e grida loro quanto sei stata coraggiosa e leale, quanto giusto e retto è stato il tuo cammino. Urla al mondo che straordinaria guerriera sei stata, una principessa che non volle tradire se stessa, né rinnegare la sua gente. Una donna che seppe mettere in ginocchio il più temibile dei ninja.

Non mi permetto nemmeno di versare lacrime. Non sono degno di piangerti, non ti ho mai meritata... non meritavo un amore così grande.

Sei stata magnifica, Oboro.

Vorrei che questa carezza sul tuo corpo morto, questo mio ultimo abbraccio ti raggiunga. Perchè tu non ti senta più sola. Spero che la morte non ti spaventi, che qualunque dio della morte abbia accolto la tua anima nell’alto dei cieli sia stato gentile con te. Infine... infine ho un’ultima preghiera.

Ti prego, permettimi di raggiungerti, ovunque tu sia, per dirti che ti amo. Non merito il tuo amore, eppure, non posso fare a meno di vivere al cospetto della tua luce. Poiché anche nella morte, ovunque essa mi conduca, sarò felice.

Sarà una bella giornata e ci sarà il sole, quel sole che “brilla brilla forte” come ad Iga. Perchè anche tu sarai lì, con me.

 

 

Fiume che scorri,

sii gentile,

accogli la mia preghiera.

 

Ascolta la voce di un uomo

che fu guerriero,

capo stimato,

amico ed allievo,

comandante e nemico.

 

Ascolta il mio canto,

dolce vento,

e conducilo a lei.

 

Fa che ella possa udirmi

e guidarmi

poiché io senza di lei

sono cieco

sono debole

sono nulla.

 

Fa che possa stringere

ancora la sua mano,

stavolta per sempre.

Poiché mai,

mai più vivrò

su questa terra

se ella non sarà con me.

 

La mia sposa è lì.

Mi attende.

Mi sorride.

Mi ama.

 

Ed io sono solo

un povero uomo.

Ed io posso solo seguire

questo filo

che a lei mi lega

in eterno.

 

Mia adorata,

nel silenzio io ti giuro

«Io ti amo.»

 

 

 

 

   
 
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