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Autore: Koa__    08/03/2017    10 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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I pirati de la Norbury
 



Di persone meravigliosamente fuori dall’ordinario, John Watson ne aveva conosciute diverse. Uno di questi era senz’altro il maggiore Sholto, suo superiore ai tempi dell’esercito. Eccezionale combattente, militare dalla fine abilità tattica ma anche uomo buono e generoso, che credeva fortemente in ciò che faceva. Se gli avessero chiesto chi fosse la persona più sorprendente mai incontrata, John avrebbe senz’altro detto che il maggiore Sholto era quella persona. Anche se doveva ammettere che, specie di recente, in quell’elenco aveva iniziato ad annoverare ben altri individui. Come il vecchio Joe, per esempio, di cui avrebbe sempre serbato un caro ricordo. Soltanto dopo esser venuto a sapere dell’esistenza di quel certo Sherlock Holmes, di cui in molti parlavano, John aveva davvero cominciato a capire che cosa significasse esser straordinari. Tutto in quel pirata era eccentrico e particolare. Non si poteva negare che fosse attraente o che avesse un personale che catalizzava prepotentemente l’attenzione su di sé, ma aveva anche un qualcosa in più nello sguardo o magari nell’atteggiamento, non ne era sicuro, che pareva renderlo capace di affascinare chiunque. Quell’aura di mistero e potere per la quale John avrebbe pagato, e solamente per possederne un pizzico, era ciò che di lui lo aveva maggiormente colpito. Ma non era soltanto un individuo dal notevole aspetto o dallo straordinario carisma, spiccava anche e soprattutto per acume. Era estremamente intelligente: chissà come, era stato in grado carpire dettagli dell’intimità e del passato di John, ne aveva notati tanti che sembrava avesse letto un libro intitolato: “Di Watson e di come metterlo a nudo”. A stento conosceva il suo nome, eppure aveva capito tutto di sua sorella Harrieth, di ciò che lo aveva spinto ad Antigua e che lì ve lo bloccava. Sì, Sherlock era intelligente e senza ombra di dubbio le sue imprese erano leggendarie, ma John non avrebbe mai creduto di vederlo arrivare a tanto. Il piano per la fuga era stato pensato appositamente per evitare di diffondere sospetti tra gli abitanti, aiutati dal favore delle tenebre e dalla folla di gentaglia che popolava Antigua durante notte e che solitamente si disinteressava a qualsiasi cosa che non fosse una donna o una bottiglia di rum, sarebbero scivolati indisturbati lungo quel dedalo di strade intrecciate una all’altra. L’idea aveva in sé un qualcosa di eccezionale e tanto che, svariati minuti più tardi, il solo scorgere quel mascheramento lo lasciava incredulo e a bocca aperta.

Fu proprio Sherlock il primo a oltrepassare la porta, lo fece già falsamente claudicante e con quella postura ricurva in avanti che avrebbe ingannato il più attento e osservatore tra gli uomini. Il ghigno, che fino a qualche istante prima gli aveva visto stirarsi di furbizia, si era forzatamente smorzato come se stesse attuando una sorta di controllo su di sé. A ben guardarlo, soltanto un velo di luccicare sagace negli occhi, resisteva e nemmeno sembrava aver perso d’intensità. Al contrario si aveva come l’impressione che si fosse accentuato, quasi si stesse in qualche modo divertendo. Il buon senso suggeriva a John che era impossibile; chi poteva nutrire sentimenti del genere, alimentando il piacere invece che smorzarlo? Non molti sulla terra erano dei folli insani di mente in perenne cerca di pericolo, non tutti in una situazione simile avrebbero sentito una stretta allo stomaco o una vaga eccitazione pompare il sangue. Un civile gentiluomo avrebbe avuto paura, ma non sarebbe stato emozionato. E lì e in quel momento, John non poteva proprio negare che l’idea di star rischiando la vita gli faceva tremare il cuore. Però era ben certo del fatto che nessun altro sarebbe stato tanto incosciente da divertirsi. Nemmeno un pirata. Eppure, quell’Holmes sorrideva e lo sguardo luccicava di gioia. Che in questo potessero somigliarsi? Avrebbe voluto chiederglielo, ma per un’ennesima volta quel giorno dovette forzare se stesso a rimanere zitto. Aveva ben altro a cui badare in quel momento. Scacciare la tentazione di restare immobile sulla soglia di casa, fu decisamente complicato e catalizzò ogni sua attenzione. Dovette ringraziare lo spirito di avventura, ancora forte, che lo aiutò a metter piede al di fuori dalla sua piccola casa di Antigua. Valicò la porta senza neanche rendersi conto del fatto non sarebbe più tornato, probabilmente il John Watson di qualche tempo prima si sarebbe concesso qualche istante in più. Non lo fece. E non perché non desse importanza a quell’ultima volta, né perché non desiderasse dire addio a quella che era stata casa sua per un certo periodo di tempo. In verità non pensò a nulla, le sue attenzioni, i suoi sensi, il suo corpo era troppo impegnato a stringer le dita di entrambe mani attorno al manico della pesante borsa da medico che avrebbe dovuto portar con sé. Fu quel gesto, insignificante in apparenza, a tenerlo aggrappato alla realtà e ad aiutarlo a mettere un piedi avanti all’altro, dandogli modo di proseguire fin sulla strada. Senza pensare al suo star rischiando la vita per inseguire un pirata ricercato in tutte le isole caraibiche, John prese a camminare. A passo lento e studiato, cadenzato dal peso eccessivo di quella piccola valigia, seguì Sherlock Holmes e lo fece a pensieri svuotati. E sebbene fosse da incoscienti, si disse per un’ultima volta concedendosi qualche vaneggiamento in più, non si era mai sentito così vivo.
 
Sgattaiolarono senza urgenza nei gesti e parole da spendere, inutili in quei frangenti, districandosi nel labirinto di strade e viottoli con quell’incedere tipico di chi non ha alcun desiderio di farsi notare. Già la mezzanotte era scoccata, realizzò in un frangente. Aveva riconosciuto il tocco della campana della piccola chiesa cattolica, risuonata in dodici battiti appena qualche minuto prima. Il silenzio a tratti fastidioso era fortunatamente interrotto dal confuso vociare che si alzava dal bordello, a cui erano da poco passati accanto e dal quale uscivano musica e grida divertite. Il buio, nero e intenso, era rotto da un qualche lume ancora acceso in una o due case, la cui luce filtrava attraverso le finestre non serrate e che rischiarava di poco il cammino. Certe vie avevano una sorta di illuminazione, sebbene non tutte e certamente non quelle che il pirata gli stava facendo percorrere onde evitare sguardi indiscreti. Pertanto si affidavano alla luna, grande quanto il cielo stesso e brillante dell’argento più vivo che ci fosse. Per loro fortuna non in molti erano soliti girare a quell’ora della notte, perlopiù avevano incontrato uomini, ma tutti troppo ubriachi anche solo per riuscire a riconoscersi di fronte a uno specchio. Oltre a loro, un qualche tale che si nascondeva in una qualche casa con la prostituta di turno. Non c’era traccia dei soldati, aveva notato a un certo punto prima di sollevare il mento e perdere lo sguardo fin sul fortino. In cima alla collina, la fortezza militare sembrava essere serena e tranquilla. Si riuscivano a vedere le luci mentre il portone era chiuso, pareva che nulla fosse successo quel giorno ed era strano perché avrebbe dovuto esserci ancora del fermento, probabilmente nessuno aveva intenzione di avventurarsi nella foresta per cercare un pirata a quell’ora della notte. Fu allora che John concesse a se stesso di osservare Sherlock e fu proprio su di lui che i suoi pensieri tornarono a posarsi, leggeri e curiosi al pari di quello stesso sguardo che con insistenza ne cercava la figura. Era dannatamente bravo a mentire, si disse. Così ridotto avrebbe ingannato la sua stessa madre! Di certo Moriarty non sarebbe riuscito a riconoscerlo, né un qualsiasi soldato avrebbe intuito l’identità di quel vecchio incappucciato. Come da programma, procedeva a passo lento trascinandosi in un finto zoppicare che sembrava decisamente reale, teneva la schiena molto incurvata in avanti e al punto che nessuno sarebbe stato in grado di affermare quanto in realtà fosse alto. Le mani strette ai due lembi della mantella e che teneva uniti per nascondere gli abiti che ne avrebbero tradito la ben più giovane età, oltre che il ceto sociale elevato, tremavano vistosamente e con così tanta convinzione, che John stesso avrebbe detto fosse malato. Gli occhi di poco aperti e lo sguardo basso, rivolto a terra, quasi cercasse di celare quelle iridi meravigliose da attenzioni indiscrete. La bocca era invece serrata e dalle labbra premute una sull’altra usciva una cantilena appena percettibile, accennata a voce roca, bassa e sporcata di poco.
«His eyes was red and his nose was green and his cheeks was a prussian blue» mormorò, intonando quella che era una ballata ritmata e vivace. Una cantata che si affievolì fino a cessare del tutto nell’attimo stesso in cui il pirata prese a parlare: «Afferra il mio braccio, John» aggiunse con un severo fare di rimprovero che egli riusciva a mantener tale nonostante la condizione in cui si mostrava. Come poteva sembrare inquietante e ad apparire inflessibile, anche così ridotto? Non poteva dire di saperlo, ma più aveva a che fare con quell’Holmes e più si domandava che cosa di lui continuasse a sfuggirgli. A tratti pareva timido e imbarazzato, certe altre volte invece era distaccato e severo. I suoi occhi erano freddi e lapidaria l’intonazione della voce, eppure aveva notato quelle stesse iridi accendersi di passione e divertimento e il tono variare sino a un cantare delicato. Quante anime giacevano in Sherlock Holmes e come poteva tutto quello esser contenuto in un singolo essere umano?
«Stringi il mio braccio come se volessi sorreggermi» riprese il pirata «e smettila di esser così rigido.»
«Non sono rigido» si difese timidamente, pur tuttavia obbedendo a quell’ordine impartito con durezza. La verità, si disse mentre lo afferrava anche se con una certa titubanza, era che Sherlock aveva ragione. Era nevoso e se non avesse recitato con convinzione, qualcuno avrebbe anche potuto insospettirsi e pretendere che il vecchio (o presunto tale) mostrasse il viso, a quel punto sarebbe stato impossibile il non venir riconosciuto. Doveva farcela a tutti i costi, ne dipendeva la vita di tutti loro. Prese un profondo respiro, cercando di placarsi mentre trovava la maniera migliore per distendere i pensieri. Il fatto era che non era mai stato bravo con le bugie e neanche amava il doverle raccontare. Certe verità preferiva di gran lunga ometterle e in passato lo aveva anche fatto, con Harrieth e suo marito. Per mesi aveva evitato di esprimere i veri sentimenti che nutriva o i pensieri che faceva riguardo a quel matrimonio fasullo e senza amore. Aveva evitato di esprimere i propri dubbi con Harry solamente per spirito della pace. Fondamentalmente, però, John era un romantico e Sherlock lo aveva ben capito, appellandolo al pari dell’idiota che era. Per quanto quella società avallasse e tollerasse le unioni per convenienza, lui non riusciva ad accettare di doversi sposare per forza o di vivere l’intera sua esistenza a fianco di un qualcuno che non amava. Comprendeva Harrieth e le ragioni della sua scelta, perché un qualsiasi matrimonio con un ricco annoiato era sempre meglio di una vita in convento, ma era un compromesso che John non era certo di riuscire a tollerare. Pertanto era rimasto a tacere, per mesi aveva finto d’esser felice per lei e di star cercando una moglie adatta. Fino a che non era fuggito lontano e, beh, da allora aveva smesso di mentire. Ora come ora si ritrovava di nuovo in una situazione spinosa, scomoda per la sua dannata coscienza. Anche se, in effetti, ciò che stava facendo adesso non era minimamente paragonabile al dire bugie a Harry. Il pirata aveva ragione: si sentiva a disagio e teso, il che rendeva innaturale addirittura la postura del corpo e quasi sicuramente aveva scritto in faccia ciò che stava pensando.
«Andrà bene» aggiunse, forse in un tentativo di correre in suo aiuto.
«La fai facile tu, io non sono abituato a fare cose simili» sbottò John, tentando di mantenere la voce bassa e non urlare, accentuando al contempo la stretta sul braccio, che venne letteralmente strizzato. «Sembra che tu e i tuoi compari invece ve la caviate alla grande con queste messinscene. Beh, non mi stupisce dato che siete pirati senza scrupoli e morale.»
«Oh, sì, siamo dei feroci pirati» sussurrò Sherlock, mellifluo e ridendo appena «eppure eccoti qua.»

A quella provocazione John non rispose. Lo aveva fregato. Lui e la sua dialettica che non lasciava scampo, erano riusciti a imbrogliarlo e a lasciarlo a boccheggiare come un idiota. Di nuovo, sapeva che aveva ragione e che non c’era niente da aggiungere o un argomento con cui potesse ribattere. Avrebbe potuto vivere tutta la vita da solo o magari trovarsi una brava donna di cui avere fiducia, eppure non ci aveva mai neanche provato, anzi, alla prima occasione si era messo nelle mani di un filibustiere. Quindi si morse le labbra, smorzando una risata inopportuna e ricacciò giù in gola improperi che non era il caso di lanciargli contro. Avevano ancora un bel pezzo di strada da fare, prima di immergersi nelle acque scure della baia e raggiungere una barca a remi ormeggiata chissà dove; non era il caso di farsi scoprire per quella sciocchezza. Rimase silente, benedicendo la buona stella che lo aveva condotto sino a lì sano e salvo. Dei soldati ancora non se ne vedeva l’ombra.
Raggiunsero il punto ideale in cui immergersi in una decina di minuti. Lì, in quella zona della spiaggia, al di là delle barcacce attraccate al molo, ben passato il borgo e i caseggiati, il buio era relativamente più intenso. La notte era poco stellata, ma il cielo terso faceva sì che la luna fosse sufficiente a rischiarare il profilo dei loro volti, oltre che i contorni delle increspature delle onde e degli scogli in lontananza. A esser sinceri non fece troppo caso al paesaggio o a quel che aveva da fare, in quegli istanti le sue attenzioni erano tutte per Sherlock. Al suo fianco, infatti, Holmes si preparava a raggiungere il largo a nuoto. Pochi semplici gesti, banali per dirla tutta, come arrotolarsi i calzoni sino al polpaccio o fare fagotto di abiti e mantella di modo che si bagnassero il meno possibile, non erano nulla di straordinario. Eppure ne era ugualmente rapito, profondamente incantato nel notare la cura con cui ripiegava gli abiti e gli spicci movimenti che si concedeva. L’esposizione alla luce lunare faceva sì che la pelle del viso sembrasse ancor più pallida, del colore stesso della porcellana, aveva constatato dopo una minuziosa osservazione. * I capelli, sciolti dal giogo della bandana, erano uno svolazzare di ricci indomiti e alcuni di loro concedevano la grazia di ricadere fin sulla fronte, distraendo lo sguardo di John Watson molto più del necessario. Se non fosse stato per le acque della baia che gli bagnavano le punte dei piedi, tenendolo aggrappato alla realtà, sarebbe rimasto ad ammirarlo per delle ore. Pareva sciocco, ma in quei frangenti, quella era la sola cosa su cui non aveva dubbi. Il che era decisamente sconveniente, perché invece che alimentare la sua infatuazione per una leggenda, avrebbe dovuto concentrarsi sulla mappa, sul come fare per cancellarla dal suo petto e sul recuperare o meno il tesoro di cui il vecchio Joe a lungo gli aveva raccontato.
«Laggiù.» Fu ovviamente Sherlock a spezzare il fruire pazzo dei suoi pensieri mentre John tentava di mostrarsi interessato e attento, sforzandosi di tener d’occhio il punto che indicava. Sembrava volesse mostragli un gruppetto di rocce situate non molto lontane dalla riva, la cui altezza notevole impediva di vedere oltre.
«William ci starà già aspettando» aggiunse mentre si immergeva. «Le acque non sono molto profonde per i primi metri, ma poi dovrai nuotare. Spero tu lo sappia fare.»
«Sono capace» annuì, seguendolo e mettendo una volta per tutte a tacere la propria idiozia. Ciò detto, nessuno dei due più parlò, anche se aveva fin troppe domande per la testa, dubbi che vorticavano fastidiosamente e che non lo lasciavano quieto. Ora i suoi tormenti poco c’entravano con la bellezza sfacciata di un divino e giovane uomo, ma riguardavano il dove stessero andando o come avrebbero fatto a raggiungere una nave ancorata chissà dove. Ciononostante, non si preoccupò di chiedere chi fosse quel certo William a cui aveva accennato, né da quanto tempo li stesse aspettando. Certamente era uno della ciurma del pirata bianco, il che era ovvio, ma come si fossero accordati questo era impossibile da dire. Come poteva quel William sapere che Sherlock sarebbe scampato alla morte e che lui e i suoi due compari sarebbero riusciti in quella folle impresa? In nessuna maniera poteva sapere di John e dell’imprevisto in cui i tre erano incappati, quindi era impossibile che quel tale fosse certo che alla mezzanotte sarebbe stato raggiunto a nuoto dal suo capitano. Tante, troppe domande e nessuna risposta che fosse in grado di darsi e che giunsero, sebbene soltanto in parte, una volta che ebbero raggiunto gli scogli. Fu allora che capì almeno parte di quelle ragioni e del motivo per cui stessero nuotando. Non aveva idea come avesse fatto a sopravvivere all’impiccagione o se tutto quello facesse parte di un piano, anche se dubitava perché prevedere certe cose era impossibile. Ma non poteva negare che dietro gli scogli v’era una barca e che sopra di essa ci stava un uomo, con una lanterna a tenergli compagnia. Dovevano aver scelto con cura persino il punto esatto in cui incontrarsi, contando sul fatto che da quella posizione chiunque ne sarebbe stato nascosto, data l’altezza di quell’atollo roccioso. Anche in questo, dunque, Holmes era stato brillante. Diavolo di un brigante! La sua genialità iniziava a diventar fastidiosa, lo maledisse John, seppur con un sorriso stampato in volto.

La scialuppa era di piccole dimensioni, comoda per un gruppo di poche persone. Aveva due remi, uno per lato e a bordo c’era un magrolino uomo biondiccio con un velo di barba in viso. Pareva giovane, più degli altri pirati che aveva incontrato e adesso fissava entrambi con grandi occhi sgranati. Il fisico scarno e minuto era rischiarato dalla luce della lampada, la quale faceva sì che le due lunghe gambe nodose sembrassero ancor più rannicchiate con forza sotto alla seduta. Lo stupore nelle sue espressioni appena vide il capitano arrivare senza Lestrade e Victor, e con uno sconosciuto a seguito, mutarono in un’evidente preoccupazione che ne deformò con prepotenza i tratti. Ciononostante non fece domande, forse non era abituato a porne o magari non ne aveva bisogno. Tacque e sebbene dal suo sguardo fosse ben chiaro che volesse saperne di più. Senza dir nulla, il giovane si limitò ad aiutare il capitano a salire a bordo, prima di fare la stessa cosa per John, il quale issò se stesso e la borsa, non senza difficoltà.
«William, lui è John Watson. John, William Wiggins» disse indicando il giovane marinaio. «John sarà nostro gradito ospite.»
«Sì, capitano» annuì questi, con più convinzione e forse anche rincuorato. «Chiamami Bill» aggiunse, concedendogli un sorriso generoso e una calorosa stretta di mano. Poi, ogni parola venne messa da parte e nell’attimo stesso in cui si ritrovò a distendere le membra e a serrare le palpebre, in un tentativo di riprender fiato, il silenzio scese.

Occorse una buona mezzora prima che in lontananza riuscissero a scorgere le sagome del prete e di Lestrade, nuotare in loro direzione e altrettanto tempo servì loro per raggiungere la nave che Sherlock aveva ormeggiato tra degli scogli all’altro lato dell’isola. Nel frattempo, il giovane Bill era stato informato su quanto avvenuto al patibolo, seppur scarsamente e tanto che qualunque testimone avrebbe giudicato quel racconto impreciso e poco veritiero. Nonostante la fallacità delle informazioni concesse, pareva che il ragazzo non avesse bisogno che di una qualche parola di rassicurazione, era chiaro che si fidava ciecamente del proprio capitano e che avrebbe creduto a qualsiasi ciarla. John si domandò se anche sugli altri pirati che aveva a servizio, egli suscitava la medesima e prepotente fascinazione. Probabilmente era così perché sia Victor che Greg sembravano profondamente rispettosi della parola di capitan Holmes. Il loro era un timore misto a venerazione, un amore profondo mescolato a un pizzico di paura. Erano senz’altro sentimenti complessi, tanto che forse qualcuno sfuggiva all’attenta opera di osservazione e studio che stava portando avanti oramai da tutto il giorno. Quello di cui era certo era che la stima sincera per il pirata bianco era presente nello sguardo e nelle intenzioni di William Wiggins, con la stessa intensità con cui l’aveva vista quel pomeriggio in Victor Trevor. Era stupefacente come riuscisse a farsi amare e rispettare, a scatenare così profonde e vere emozioni in coloro che non avrebbero dovuto essere che dei meri prati. Ciò che John Watson non sapeva, era che lui stesso già era preda di quei sentimenti e che il mistero e il fascino che il pirata Sherlock Holmes scatenava in lui, mai più se ne sarebbero andati.

Tempo più tardi, quella stessa notte, la piccola barca a remi sulla quale procedevano, raggiunse la grande nave. Stupefacente a vedersi, meravigliosa come un qualsiasi imponente veliero. Tuttavia quello che gli apparve davanti agli occhi aveva in sé molte caratteristiche che ne aumentavano la magnificenza, dando al tutto una qual certa imperiosità. John non aveva mai visto una nave dei pirati, ma buon cielo non se la immaginava che così. Non si poteva ritenere un esperto di marina, ma si trattava quasi certamente di un galeone spagnolo, giunto tra le mani di Sherlock Holmes chissà come o perché. Diversamente da quelli che aveva visto in passato, questo aveva inquietanti vele nere e una bandiera con un teschio e due spade incrociate che era stata issata sul pennone più alto. Infine v’era la polena, un affascinante volto di donna il cui corpo era del tutto simile a quello d’un pesce. Una meravigliosa sirena dallo sguardo intenso, stupenda nelle fattezze del viso e nei capelli che, morbidi, le ricadevano sul davanti. Al contempo, però, suscitava un certo timore che John scacciò subito.
«Capitan Holmes!» gridò una voce lontana e proveniente dalla nave, prima che una campana venisse suonata e altri uomini raggiungessero il fianco sinistro prendendo a guardar di sotto.
«Il capitano! Laggiù, dritto di prora.» Di nuovo quell’urlo, seguito da grida festanti e inni di gioia. John sollevò il viso, portando lo sguardo in cima. Erano tutti su, protesi in avanti e tenevano lo sguardo puntato su di loro. Li vide allora, e per la prima volta, i pirati di Sherlock Holmes se ne stavano uno a fianco all’altro, in fila a cantare e a urlare di felicità, grati del ritorno del pirata bianco. Tra di loro sembrava quasi di scorgere la sagoma di un bambino che agitava le braccia e rideva festante, o quella di un uomo pacioso e dall’aspetto sedentario. Volti che nessuno avrebbe annoverato alla stregua di filibustieri.
«John Watson» se ne uscì Sherlock a un certo momento, già in piedi nella piccola barca. Aveva assunto una posa imperiosa e statuaria, che sembrava renderlo ancor più alto.
«Questa è la mia nave: la Norbury ** e loro sono i suoi pirati.» Ciò detto, capitan Holmes sollevò un braccio in un gesto di vittoria. Poi si tuffò nelle acque nere del mar dei Caraibi. L’ultima cosa che John vide prima che un urlo di eccitazione gli uscisse dalla bocca, fu la sagoma di Sherlock che s’arrampicava a mani nude su per il fianco della nave. Era la leggenda dei sette mari, il terrore delle Antille, e Dio se gli piaceva.
 
 


Continua
 



*La porcellana arrivò in Europa nel XIII secolo, dall’oriente e specialmente dalla Cina.
**So che “Norbury” di recente ha un altro significato nel fandom, ma quello a cui mi riferisco io è invece un qualcosa di legato unicamente alla serie. I motivi per cui la nave ha questo nome verranno spiegati più avanti.

Il brano che canticchia Sherlock: His eyes was red and his nose was green and his cheeks was a prussian blue è da “The Good Ship Calabar”. Questa ed altre canzoni, citate nei capitoli a venire, saranno tutte raccolte in una playlist che ho appositamente aperto su Youtube. 

Playlist

Ringrazio tutti coloro che stanno seguendo la storia e che recensiscono.
   
 
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