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Autore: Liz    04/06/2009    15 recensioni
Per voi lui non ha tangibilità, è un’esistenza che si fa chiamare Maverick sui forum e nelle chat, e il cui detto è “Sono troppo vecchio per queste stronzate!”.
Vi siete conosciuti per caso, non ne conoscete né l’aspetto né il nome, ma ci parlate da mesi e solo con lui riuscite a sentirvi bene. Suvvia, quella sensazione di totale abbandono, di completa appartenenza e dipendenza… com’era la vita prima di Maverick? Neanche lo ricordate.

Reila odia Evan largamente ricambiata fin dal giorno in cui sono nati; le loro vite persistono così, in questo equilibrio stabile e bilanciato, ormai da anni.
Ma che fare quando si scopre che il proprio amante virtuale, alias “uomo dei sogni”, è proprio Evan?
Ci sono diverse scelte: buttarsi dal balcone, buttare lui già dal balcone, fare finta di nulla o cambiare radicalmente.
Evan sa cosa fare, ma per Reila ognuna di queste opzioni è sbagliata. Che sia il destino a scegliere ancora una volta, quel destino che li ha voluti anche vicini di casa…!
E forse, se ci si impegna, anche nel proprio nemico si può trovare un’occasione per crescere.
>>DAL CAPITOLO 19 [ULTIMO CAPITOLO] "Il cuore di Reila andò a fuoco nel sentire come l’aveva chiamata: “amore”. La bionda alzò il viso raggiante e gli diede un leggero bacio sulla bocca, alzandosi in punta di piedi quanto più poteva per raggiungerlo."
GRAZIE A TUTTI!!
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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S o u n d less

Destiny’s fault

Se solo avessi capito che la tua presenza era più indispensabile dell’ossigeno…

 

 

 

Capitolo 8- Il meglio di me

R

eila odiava gli ospedali.

Vi metteva piede e sentiva una scossa partirle dalla testa e scorrere lungo tutta la schiena; un avvertimento che le diceva di non andare oltre, di non riaprire quella porta.

E così era stato anche appena era entrata in quella camera bianca e spoglia, piena di letti azzurri e verdi, di macchinari rumorosi.

Una spirale di colori che diventò un buco nero: un mondo scuro, dove quei colori sterili e freddi erano stati inghiottiti nel buio lugubre.

Era tutto nei suoi occhi castani, spalancati e pieni di orrore; era tutto nella sua mente, come un liquido malsano… tutto come dieci anni prima.

Un letto bianco, vuoto; avvolto nella pace più silenziosa e nera. Reila vi si avvicinava e ad ogni passo realizzava sempre più che il letto non era vuoto come credeva: c’era qualcuno sotto la candidezza rilucente del lenzuolo.

Il sudore, freddo, le scorreva dalla fronte ai talloni, mentre tendeva una mano tremante verso quella luce innaturale e quasi sacra.

Prendeva delicatamente tra le dita la stoffa, assaporando coi polpastrelli quella sensazione ruvida ma morbida. Sporgeva gli occhi per vedere…

Un corpo, biancastro e disgustoso. Un fetore di sangue e ferro lancinante si spargeva attorno a Reila, mentre i suoi occhi venivano svuotati da quelli sbarrati e immobili del cadavere. Jack.

«Reila…»

Sentiva dei sussurri invocare il suo nome, come se fosse quell’organismo putrefatto a chiamarla e a cercarla.

«Reila…» no… non era il corpo «Reila…» non era il corpo di Jack che la chiamava.

Era Evan, con la sua voce profonda e la r leggermente arrotondata che le aveva sempre dato i brividi.

«Reila! Ti senti bene?»

La ragazza sobbalzò, ritornando nel mondo reale: in quella stanza azzurra e verde dove Evan e Erik la squadravano preoccupati e sorpresi.

Arrossì violentemente e si nascose il viso tra le mani prima di rispondere.

«S-sì… scusate… ho avuto… era un ricordo doloroso che mi è improvvisamente tornato alla mente» balbettò sconvolta.

«Sicura di stare bene? Siamo in un ospedale, se ti senti male…» insistette Erik, sinceramente impensierito dal colorito latteo della donna.

«Sì. Non preoccuparti, davvero. Sono venuta qui per conoscere Kaleb Williams e lo farò» disse lei, determinata, mentre avanzava nella stanza seguendo Evan.

Il signor Kaleb Williams era completamente diverso da come Reila se l’era sempre immaginato: pensava fosse un uomo di spessore, bello e forte, che nella vita aveva sbagliato ma non aveva mai avuto pentimenti.

Invece chi aveva davanti era un ometto sui cinquant’anni che ne dimostrava sessanta, con l’espressione segnata da una profonda noia mista ad insoddisfazione.

Aveva dei capelli neri uguali a quelli di Evan, però più spenti e diradati; gli occhi erano verde foglia, con sfumature arancioni e grigie, ed erano bellissimi: risaltavano come pietre preziose sulla pelle pallida e tirata, malata.

Reila si avvicinò con cautela all’uomo che la salutò con un sorriso sorpreso.

«Buongiorno! Sono Reila, un’amica di suo figlio Evan»

A quelle parole il volto di Kaleb si illuminò. Era stato grazie a questa donna che suo figlio aveva deciso di dargli un’altra possibilità!

Decise di non ringraziarla: sarebbe stato uno sminuire i suoi meriti. Semplicemente le sorrise e le strinse la mano «Kaleb Williams, molto piacere!»

Erik guardò il padre e Reila attentamente; poi prese per mano il fratello e lo trascinò via con sé. «Ti andiamo a prendere un tè, papà! Tu intanto fa conoscenza con Reila!» urlò gioioso, mentre Evan si dimenava e imprecava.

Kaleb rise divertito, sereno, e a Reila si scaldò il cuore: sentì una tenerezza quasi materna riempirle gli occhi, traboccare e arrivare all’uomo che quando se ne accorse arrossì imbarazzato.

«Sa… Evan è un ragazzo molto buono» disse lei all’improvviso, provocando confusione in Kaleb «Forse è un po’ timido e scontroso all’inizio… ma sono convinta che è una persona splendida»

Kaleb distolse lo sguardo dalla bionda, amareggiato «Certamente non è grazie a me che è così»

«Si sbaglia» negò lei, enfatizzando col capo «lui è così perché vuole raggiungerla. Evan è Evan perché non vuole deluderla»

«Deludermi? Non mi ha mai deluso!» esclamò lui, quasi indignato.

Reila sorrise comprensiva. «Allora glielo dica al più presto!»

Kaleb rimase in silenzio. Quella ragazza avevo un’espressione quasi angelica, talmente era buona; però c’era qualcosa che non lo convinceva. C’era una nota che stonava in quella composizione perfetta che si era creata attorno, anche se non capiva bene che nota era.

«Sei sicura di non essere la ragazza di mio figlio?»

Reila sobbalzò « UUEEEEEEEEEH??? No no io non potrei mai…!»

«Ecco il tuo tè, vecchio!» disse all’improvviso Evan, tornato scocciato dal sequestro del fratello.

«Oh grazie!» disse l’uomo prendendo in mano la tazza bollente.

Evan guardò divertito Reila, rossa come un peperone e ansimante. «Che le hai fatto?» chiese complice al padre.

«Una domanda inopportuna, credo.»

~

Evan e Reila attraversarono la porta scorrevole dell’ospedale fianco a fianco, immergendosi nella fredda aria dicembrina che portava con sé foglie secche e profumo di neve.

La ragazza si scaldò le mani vicino alla bocca, mentre vagava con lo sguardo nel cielo grigio e azzurro pallido, lontano, in cerca di una nuvola dalla forma strana.

«Manca poco a Natale eh?» disse all’improvviso Evan, che guardava davanti a sé la via piena di luminarie e di vetrine dai colori caldi.

«Ah… sì» rispose distratta Reila.

«C’è qualche regalo che vorresti in particolare?»

«Eh? Eeeeh? E perché… perché dovresti farmi un regalo?»

«Bè, è Natale» rispose il moro con ovvietà «E poi mi hai aiutato così tanto con mio padre… anche se non avresti dovuto ficcare il naso nelle mie faccende» continuò, leggermente imbarazzato.

Reila lo fissò in silenzio, assorta «Anche se non vuoi ammetterlo si vede che in fondo gli vuoi un gran bene» osservò sorridente, con le guance arrossate per il freddo e la felicità.

«Che? Ma che dici?! Io non…» Evan interruppe la frase a metà, concentrato a guardare il sorriso della ragazza accanto a lui.

Com’era bello quel sorriso: era ciò di più vero che finora aveva visto al mondo. Era così caldo, ma allo stesso così fragile: era come la fiamma di una piccola candela, da difendere e far vivere con la protezione delle proprie mani.

Si fermò, guardando serio Reila.

«Grazie Reila» disse tutto d’un fiato.

Reila si fermò poco più avanti di lui e si girò meravigliata verso il moro, il cui sguardo sicuro e schietto la fece arrossire: per fortuna era già rossa per il freddo, quindi non si notò.

«Grazie. Non te l’avevo ancora detto…»

Reila abbassò lo sguardo sulle sue scarpe e intreccio le mani dietro la schiena, come ogni volta che era imbarazzata «Non ho fatto nulla, Evan…»

Vide le all star nere di Evan arrivare vicinissime alle sue decolleté grigie e sentì il cuore cominciare a battere forte.

«Mi sorridi…» sussurrò lui impercettibilmente, tanto che nemmeno Reila, così vicina a lui, lo sentì.

Un tocco leggero sulla sua guancia costrinse la ragazza ad alzare il viso bollente, che lasciò andare un sospiro di emozione quando si accorse di quanto gli occhi di Evan fossero... belli.

Non riuscì a trovare un altro aggettivo: erano semplicemente belli.

Verdi come la primavera, con delle striature arancioni ruggine; talmente penetranti che la fecero sentire indifesa come fosse nuda.

Non si era mai accorta di questo…

«Guarda… vischio!» disse lui senza preavviso, indicando una vetrina decorata da disegni della pianta natalizia.

«Eh?»

Piegandosi con la schiena, Evan avvicinò il viso a quello di Reila e le baciò la piega della labbra, lentamente. Sentirono i propri respiri scontrarsi come tre mesi prima a quella festa, dove era cominciato tutto…

«Prendilo come un ringraziamento» concluse lui, sorridendole fin troppo sicuro.

«Eeeeeh??» esclamò Reila, che ormai si stava sciogliendo.

«Sai dire solo “eh?”?!» la prese in giro Evan, ricominciando a camminare.

Reila invece rimase ferma, osservandolo di schiena mentre si allontanava piano.

Per un attimo, un millesimo di secondo, aveva avuto il privilegio di vedere il lato tenero di Evan.

Mentre un leggero vento le scuoteva i capelli e il cappotto si portò una mano al cuore, a sigillare quel ricordo nel petto per sempre.

Le vennero in mente le parole che le disse una volta sua mamma, quando era piccola.

              Tutte le persone cercano una sola cosa: un’altra persona.
Qualcuno in grado di amarle per i loro difetti, e che riesca sempre a tirare fuori il meglio di loro…

«Ti muovi?» la riprese Evan, scocciato.

«Ah… sì!!» strillò la bionda, correndo verso di lui.

Grazie… nonostante i nostri passati sentimenti negativi, riesci a trovare il meglio di me quando mostro solo difetti. Riesci a farlo col sorriso sulle labbra…

 

 

 

No. Non è uno scherzo. Sono tornata con un nuovo capitolo, cosa non credevo sarebbe mai successa… eppure, eccomi qui.

Essendo ormai in vacanza e beandomi nel più assoluto e totale nulla qualche giorno fa ho preso a riscorrere le mie storie… e ho riletto soundless. Mi sono ricordata quanto di me c’è dentro reila, dentro questa storia e mi sono sentita morire al pensiero di averla sospesa. Ho provato l’impeto di scrivere ciò che pensavo, ciò che succede alla povera reila e a quel santo di evan. Volevo farli vivere, ancora.

Insomma, tutto per dire che sono tornata xd meno produttiva e i tempi saranno parecchio lunghi… ma spero che mi accoglierete di nuovo numerose com’eravate all’inizio del mio ammutinamento.

Grazie dei commenti di incoraggiamento :) siete davvero fantastiche… e non preoccupatevi, non sono triste/depressa xd forse riuscirò a scrivere qualcosa di fresco e divertente data la mia attuale condizione di felicità <3

… sperèm ^_^ buona lettura!! E commentate in molti *__*

 

 

 

 

 

   
 
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