Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Arydubhe    10/03/2017    3 recensioni
Levi non ha mai visto nulla più che una collega in Hanji, un individuo troppo singolare per poter rappresentare per lui alcunchè di più. Un tramonto, un titano e un aggettivo di troppo faranno sì che questa certezza crolli nella mente del Caporale.
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Dal testo:
“Giuro che credevo di averne viste di relazioni strambe in 40 anni della mia vita; ma due piccioncini che si scambiano titani come pegno d’amore …be’ credo che solo voi due potevate esserne capaci!”
Levi si girò a fulminare il proprietario di quella voce che conosceva benissimo. Erwin lo aveva raggiunto alle spalle, un ghigno sghembo sul viso, tipico di chi crede di saperla lunga.
“Deve farti ancora male la testa. Io le ho solo portato un titano. Fine. Non è successo altro” si limitò a replicare Levi indicando le bende che ancora avvolgevano la ferita sulla nuca di Erwin. Non aveva intenzione di cogliere le provocazioni dell’amico.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1:  DUE PERSONE SINGOLARI

Hanji Zoe era una persona singolare.
Chi l'avesse vista per la prima volta di certo avrebbe pensato fosse pazza, un'opinione che una conoscenza più approfondita non avrebbe fatto altro che confermare. Probabilmente, se non fosse vissuta all'interno di Wall Rose e se l'umanità non fosse stata troppo impegnata a sopravvivere ai giganti per costruire istituti psichiatrici, Hanji sarebbe stata rinchiusa già da un pezzo in uno di questi manicomi.
Di questo Levi era fottutamente sicuro da sempre.

C’erano tante maniera in cui Levi aveva provato nel corso dei giorni, dei mesi e degli anni, a trovare un termine giusto per definire correttamente il capitano Hanji.
Ci aveva riflettuto a lungo, spinto dalla necessità di trovare un insulto non solo bene azzeccato - di quelli che ti stroncano, mettendo a nudo le tue più profonde debolezze o che ti deridono per il tuo essere interiore, esteriore, anteriore e posteriore; ma di quelli supremi, che ti sedano in maniera definitiva, mortificandoti dall’animo alla punta del naso- che nel caso di Hanji spiccava pure con una certa importanza; per tentare, insomma una volta o l’altra di porre freno all’imperversare di quella donna che -alle volte, Levi lo ammetteva- avrebbe tanto voluto abbattere con una botta in testa mentre scorrazzava di qua e di là per la base come una gallina impazzita. Una padellata in testa e forse, magari, si sarebbe fermata una buona volta.
Ma alla fine Levi aveva rinunciato a questa idea dell’insulto personalizzato ad Hanji, realizzando che in primo luogo non sarebbe servito a niente - probabilmente l’avrebbe solo fomentata-; in secondo luogo, in effetti, non riusciva a trovare una definizione onnicomprensiva dell’improbabilità esistenziale della donna.
. Una scoperta difficile da accettare, che aveva lasciato Levi in disappunto nei confronti del proprio lessico, che ora, improvvisamente, scopriva carente proprio in quella disciplina che gli riusciva tanto bene -dopo lo sterminare giganti: l’insulto.
Del resto, non era facile trovare una parola che finisse per avere davvero una connotazione negativa quando il soggetto prendeva l’aggettivo "schizoide" come un complimento.
In definitiva, lasciar perdere era l’unica via quando ti rendevi conto che abbattere un titano era più facile che porre un freno a lei. Così anche la sua inventiva aveva capitolato e Hanji era diventata la "quattrocchi" per eccellenza. Niente di più, niente di meno. Che poi, quello della cecità, non era neppure il peggiore dei suoi difetti - di sicuro era quello che meno tormentava gli altri.


Avete presente quelle persone anonime, capaci di mimetizzarsi perfettamente nella folla? Ecco, Hanji non era assolutamente una di quelle.
Non era per via della sua altezza, sebbene il suo metro e 70 fosse abbastanza per far torcere nella sua direzione lo sguardo di più di qualche ammiratore delle gambe lunghe; non era il suo abbigliamento, visto che a memoria d'uomo -e donna- nessuno ricordava d'averla mai vista con indosso altro rispetto all'anonima divisa della legione esplorativa; non erano i suoi tratti un po' mascolini, che a più di qualcuno, in passato, avevano fatto sorgere qualche dubbio su cosa fosse Hanji Zoe, ancor prima che su chi.
Hanji Zoe aveva un’altra qualità che l'avrebbe fatta riconoscere tra mille persone, anche a un chilometro di distanza.

La voce.


Hanji non parlava con le persone: urlava. Era capace di gridolini talmente acuti da perforare i timpani. E ogni volta che succedeva qualcosa di interessante o divertente o piacevole  o sorprendente Hanji si abbandonava a questi inconsulte e moleste manifestazioni di gioia, senza pensarci due volte.
Ed era quello il punto: Hanji era sempre felice, anzi eccitata ed euforica. La si sarebbe facilmente creduta in preda a qualche farmaco adrenalinico o a qualche droga tagliata male; ma Hanji non aveva bisogno di sostanze chimiche, la sua mente produceva da sé sostanze psicotrope.
Genuinamente, spontaneamente.
Era stupefatta così, Hanji, dalla vita.

Per Hanji era tutto bello e divertente, tutto le strappava un sorriso, una risata. Di quelle roboanti tipiche del suo tono da banditore o da pescivendola del mercato. Probabilmente in una vita passata Hanji doveva averle ricoperte davvero, quelle professioni – aveva concluso un giorno Levi; altrimenti non si sarebbe spiegata l'inveterata costanza con la quale era sempre capace di rompere così tanto col suo fastidiosissimo tono di voce.

Perché fatti due conti non erano solo i gridolini ad essere fastidiosi, ma in generale ogni secondo in cui apriva la bocca era lo strazio per la gente attorno a lei. Hanji era una persona estremamente gioviale, fin troppo, tanto da scadere sovente, quasi costantemente, nell'inopportuno ogniqualvolta si intrometteva in discussioni alle quali nessuno l'aveva invitata. E Hanji un po' perché aveva le orecchie lunghe, un po' perché aveva un tempismo formidabile, riusciva sempre a capitare a tiro quando meno la si sarebbe voluta attorno.

Non solo tendeva a distribuire consigli senza che nessuno l'avesse interpellata al riguardo, ma aveva pure l'irritante propensione a rendere noto a tutti il suo punto di vista, anche quando palesemente alla gente attorno a lei non avrebbe potuto importare di meno. Certe sue affermazioni, poi, avevano un che di memorabile …
Impicciona, ma non per cattiveria, le sue uscite erano forse per talento così spesso fuori luogo. Perchè era capace di sdrammatizzare tutto, Hanji, di trovare un lato positivo di qualunque cosa; per lei la vita non era una questione di “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”, a Hanji bastava pensare al bicchiere stesso per sentirsi appagata. Il problema era che spesso pretendeva che anche gli altri, le persone normali, facessero lo stesso.

Anche se, e qui lo si doveva ammettere, spesso Hanji con quei consigli ci azzeccava; perchè tutto si poteva dire di lei ma non che non sapesse usare bene quel cervello quando si trattava di ragionare con senso compiuto.
Solo che spesso, nel suo marsma esistenziale, il limite tra l'essere un proiettile sparato alla cieca e una freccia capace di arrivare al centro del bersaglio si faceva in lei davvero troppo labile. Probabilmente, davvero, in tutto il mondo non era esistito mai un animale sociale come lei, così desideroso di dialogo eppure così inadatto ad esso.


Intavolare un confronto verbale con Hanji era impossibile. Perché semplicemente a parlare era solo Hanji, punto e basta. Dirle “Ciao” equivaleva guadagnarsi un biglietto di sola andata per una sinossi della sua intera vita – o, peggio ancora, delle sue ultime ricerche. Voleva dire spalancare le chiuse della diga di fronte a un fiume in piena, autorizzare una valanga a travolgerti senza avere un riparo, farsi rapire dagli alieni con la consapevolezza di ritornare sulla terra con qualche anno di vita in meno. Nessuno la fermava più.

Hanji non era logorroica: era il non-plus-ultra dell’inarrestabilità linguistica. Lei non chiacchierava, teneva conferenze. E in tutto ciò l’unica cosa che ti poteva venir voglia di fare era morire lì, all’istante, perché sarebbe stato sicuramente meno tediante e più indolore spernersi di colpo, come un aggeggio che si guasta per sovraccarico elettrico. Se Hanji decideva che voleva parlarti c’era una sola cosa che potevi fare: scappare. E alla svelta, inventando qualche scusa -ma verosimile, o se ne sarebbe accorta e ti avrebbe trascinato via con lei lo stesso. Levi se lo era chiesto se bene o male non ci fosse una maniera per usare Hanji stessa come arma di distruzione di massa per i titani, perché sicuramente con gli umani la sua presenza costituiva un fantastico esempio di annichilimento delle personalità altrui. Poi l'aveva vista parlare sul serio con i giganti e a quel punto non aveva più avuto dubbi sul fatto che la donna dovesse avere sul serio qualche rotella fuori posto. Sotto sotto, ancora pensava che Sawney e il suo compare titano che un giorno avevano catturato si sarebbero dati al suicidio durante le sperimentazioni che Hanji aveva predisposto per loro, se solo non fossero stati cautelativamente legati come salami e avessero avuto la possibilità di farlo. Anche perchè farla fuori non era così semplice...era agile, Hanji, agilissima. Il che peraltro era la ragione per cui nemmeno lui ancora era riuscita a darle il benservito una volta per tutte.

Quello che diceva Hanji era interessante, per la carità, ma aveva sempre così tanto da dire…che dopo i primi 10 minuti il tuo cervello disconnetteva e partiva per un viaggio d’esilio per Blablalandia.

Che poi, non era solo un problema di modi, ma anche di contenuti. Praticamente nessuno era in grado di seguire davvero Hanji nei suoi discorsi.

A nemmeno 35 anni Hanji era tutto: ricercatrice, scienziata, combattente e ufficiale della legione esplorativa.
Un prodigio. Una rarità. La persona più intelligente di cui l’umanità poteva fregiarsi almeno quanto Levi era il più forte - sebbene Levi odiasse quel titolo che si era trovato tra capo e collo da un giorno all'altro; ma che quella fosse la cifra dell'eccezionalità di Hanji era semplicemente obbiettivo.
Hanji era sicuramente una di quelle persone situate a cavallo tra il genio e la follia - anche se, secondo Levi, il limite della follia Hanji doveva averlo abbondantemente superato da un pezzo.
Le sue invenzioni tuttavia avevano salvato la pelle a talmente tanti di loro, che, in effetti, a quei suoi neuroni bruciati e completamente svalvolati, prima o poi qualcuno avrebbe dovuto erigere un monumento o quantomeno garantirle un encomio.

Sempre troppo impegnata anche solo per lavarsi, troppo indaffarata per guardare davvero dove metteva i piedi, troppo presa dalle sue ricerche per accorgersi dei suoi commenti inopportuni, troppo incosciente per pensare davvero alla sua incolumità e a volte anche a quella delle persone attorno a lei, troppo desiderosa di essere utile per rendersi conto che, dopo 78 ore sveglia a trangugiare caffè e avere visioni che potevano - forse- salvare il mondo, un po’ di sonno te lo puoi concedere. Hanji, insomma, viveva e pensava in un’altra dimensione, con altri ritmi ed altre esigenze e solo ogni tanto sembrava concedersi di comportarsi da essere umano anche lei.

Hanji era troppo anche nell’essere eccessiva.

Di una cosa, perciò, in buona sostanza, Levi poteva essere sicuro dopo tutti quegli anni passati al suo fianco: non avrebbe mai capito fino in fondo quella donna. Anche se questo non voleva dire che col tempo non avesse imparato a tollerarla...persino apprezzarla. Hanji era certo una persona tutta particolare, ma sicuramente era una delle migliori che avesse incontrato in quello sgangheratissimo esercito. Se c'era qualcuno capace di incarnare il concetto di libertà e tutti quei bei parolini di cui Erwin amava infarcire i suoi discorsi motivazionali sui valori della Legione Esplorativa...quella era Hanji. Lavorare, sfiancarsi per il bene del'umanità. Lei lo faceva, lei ci credeva davvero. Forse per questo riusciva sempre a guardare avanti, piena di ottimismo e vglia di fare, chissà.

Anche in quel momento Levi la stava guardando mentre correva agitata per la base canticchiando e urlando “Titani! Titani!” come avrebbe potuto fare un bambino di fronte alla merenda. La stessa vogliosa eccitazione in viso, gli occhi un luccichio avido, la bocca quasi incurvata dal piacere.

Dietro di lei uno stuolo di sottoposti, Moblit in prima fila, portava oggetti, i più vari e strani, che sicuramente la donna avrebbe utilizzato per i suoi esperimenti. Levi tra sé e sé esclamò “Dio, perché?”  quando ne riconobbe alcuni che la sua mente non poteva che definire inconsulti.

Poco ma sicuro, stava andando a dissezionare l’esemplare che lui stesso aveva portato dentro le mura qualche ora prima.
Vivo. Era stata una faticaccia, ma per fortuna l’operazione era stata ben studiata e addirittura nessuno dei suoi era morto. Strano ma vero, la fortuna ogni tanto arrideva anche alla Legione Esplorativa. Faceva piacere, ogniqualvolta gli capitava l’occasione, poter smentire la nomea di “Legione Suicida”. Faceva piangere, a dirla tutta, e per una volta non di tristezza, ma di gioiosa commozione.

Hanji intanto si era risvegliata come da una specie di trance vedendo il Caporale: lo aveva riconosciuto appoggiato a uno stipite, le braccia conserte, mentre scrutava tutto e tutti dal suo angolo di silenzio e meditazione pacata. In realtà la prima cosa che Hanji aveva notato dell’amico erano stati il suo sguardo truce circondato dalle solite paurose occhiaie infossate e la sua frangia di capelli corvini aperte a finestrella sulla fronte. Di tanto in tanto si divertiva a piazzare una pacca su quella fronte esposta i quattro venti, facendo andare il Caporale su tutte le furie; ma quel giorno la donna aveva intenzione di trattenersi dal metterlo in ridicolo.
Hanji gli aveva sorriso mettendo in mostra tutti i denti, uno sguardo inquietante quanto quello di un titano famelico; aveva poggiato su un tavolo una pila di pergamene e scartoffie e gli si era diretta contro, sempre sorridendo.
Levi per un attimo si era chiesto se non gli convenisse scappare, visto che il volto di lei era illuminato da un’espressione anche più allucinato del solito. Ma si trattenne... Vagamente, aveva idea di cosa stava per dire Hanji…

“Levi, è stata la tua squadra a procurarmi il titano?” C’era entusiasmo nella sua voce.

“E quale sennò? Cosa ti aspettavi, che avessero fatto qualcosa quegli smidollati della Polizia o quegli ubriaconi della Gendarmeria? HA!” Soffiò Levi con noncuranza e malcelato disprezzo verso il mondo di inetti che lo circondava -E’ stato un gioco da matricole per noi della Legione esploratrice!- il che tecnicamente era pure vero, visto che alla spedizione avevano partecipato le nuove reclute e soprattutto il gruppo di Yeger e i suoi amici fricchettoni. E poi non era mai male insultare Gendarmeria e soprattutto Polizia.

Le braccia della donna gli furono addosso prima che potesse aggiungere altro.

“Grazie, Caporale!”

Levi era trasalito, ancora intento com'era per la prontezza con la quale era riuscito a insultare due corpi di guardia in una frase sola. “HANJI, LEVA SUBITO QUELLE LURIDE BRACCIA DAL MIO COLLO O TE LE TAGLIO! E poi PUZZI! Da quant’è che non ti fai una doccia, si può sapere?”

“Ho perso il conto…- fece quella alzando gli occhi al cielo e aggiustandosi gli occhiali, arricciando il naso con fare pensoso, effettivamente chiedendosi da quanto non si lavava, prima di limitarsi a una scrollata di spalle - Oh, be’ poco male! Ai Titani non dà fastidio, l’ho già scoperto la volta scorsa -anzi aiuta persino a mimetizzarsi, sai?” Rispose di tutto punto quella, senza scostarsi di un millimetro, un enorme sorriso stampato in viso. "Se vuoi poso raccontarti..."

“Hanji tu vivi tra le persone prima che tra i titani….E SPOSTA QUELLE BRACCIA O TI MANDO IN CONGEDO PER INSUBORDINAZIONE!”

Sbuffando, Hanji si decise a lasciare andare Levi: “E da quando saresti un mio superiore…collega?- lo canzonò, alzandosi in tutta la sua torreggiante statura per svettare sul giovane uomo davanti a lei –“Anche ad altezza…mi pare che qui siamo sempre gli stessi tappi, nano…” insinuò quella muovendo le mani come a misurare i centimetri di differenza tra loro due, prima di mollargli un piccolo ceffone sulla fronte, là dove la frangia si apriva. Si era ripromessa di non farlo…ma la solita indisponenza di Levi non l’aveva certo aiutata a evitare la tentazione...

“Quattrocchi insolente, torna qui e ti ammazzo!”

Ma Hanji non diede a Levi il tempo di replicare oltre, picchiarla o ucciderla all’istante; sgusciò via dalla sua portata velocemente, le braccia nascoste dietro alla schiena, i palmi uniti in una posa innocente, guadagnando una decente distanza di sicurezza.

“Non credevo che avresti mantenuto la promessa. Ti meriti un rapporto coi fiocchi sulle sperimentazioni che condurrò sul nostro titano” promise all’uomo davanti a lei, facendo l’occhiolino.

Poi fuggì via, gridando ancora un “Grazie, Levi!” che risuonò per tutto il quartier generale, sotto lo sguardo un po’ frastornato di tutti, decisamente confusi da quanto era accaduto e da quanto avevano potuto carpire dalla loro conversazione. Hanji sembrava essere l'unica capace di rompere quell'aurea compostezza di cui il caporale si circondava.

Levi, intanto, sistemandosi il cravattino che quella sconsiderata gli aveva tutto scomposto, non distolse lo sguardo un secondo da Hanji, sperando davvero di poterla incenerire con lo sguardo mentre scompariva. Prima o poi l’avrebbe gettata in una vasca e con la scusa di levarle l’unto di dosso la avrebbe affogata. Lo giurava a sé stesso. Si strinse ancora di più nelle spalle, la contrarietà chiaramente leggibile nel suo labbro incurvato e lo sgardo torvo. Non c’era decisamenteniente che andava in lei, né nel suo modo di agire né di parlare.

“Il nostro titano”…quanto suonava male quella frase?…specie visto che lei era solita chiamare i suoi giganti da sperimentazione “i miei bambini

Si sforzò in tutti i modi di non arrossire di rabbia e imbarazzo. Era inutile sperare che nessuno avesse sentito quelle frasi equivoche.

 “E comunque dovrebbe chiamarmi “Signor Caporale” sempre. Vorrei sapere quando le ho dato il permesso di chiamarmi per nome…” mugugnò tra sé, tra offesa e disappunto.

“Giuro che credevo di averne viste di relazioni strambe in 40 anni della mia vita; ma due piccioncini che si scambiano titani come pegno d’amore …be’ credo che solo voi due potevate esserne capaci!”

Levi si girò a fulminare il proprietario di quella voce che conosceva benissimo. Erwin lo aveva raggiunto alle spalle, un ghigno sghembo sul viso tipico di chi crede di saperla lunga.

“Deve farti ancora male la testa. Io ho solo portato un titano. Fine. Non è successo altro” si limitò a replicare Levi indicando le bende che ancora avvolgevano la ferita sulla nuca di Erwin. Non aveva intenzione di cogliere le provocazioni dell’amico.

“Be’ nessuno ti aveva chiesto di catturarne uno…ma, come dicevo, probabilmente per due persone particolari come voi i fiori sono troppo banali”

“E' semplicemente capitato! Credi davvero che sarei sconsiderato da rischiare la vita mia e dei miei sottoposti per portarle un Titano vivo?”
“In pratica…”

Levi gli gettò un’occhiata adirata. Perché si sentiva colto in fallo?

“Senti… per quanto odi ammetterlo, quella quattrocchi malata di mente sta facendo grandi cose coi suoi esperimenti… a lei serviva un titano…quindi ho pensato che se potevamo riprenderne uno in breve tempo sarebbe stata cosa buona e visto che avevamo una missione già pianificata che poteva essere utile allo scopo…non vedo cosa ci sia da insinuare…fa parte del mio lavoro.”

“Oh be’ io non insinuo nulla. Mi limito, ecco, a puntualizzare. Levi.” Mise particolare enfasi sul nome del Caporale; questi, avrebbe potuto giurare che Erwin avesse aggiunto una nota più alta del normale per imitare la voce di Hanji.

“Le ho detto mille volte di non chiamarmi così – sbottò infine spazientito Levi -ma cosa pretendi da una che dimentica di lavarsi? Che ricordi l’educazione?”

“Alquanto stupido, in effetti. Più o meno come pretendere onestà verso i propri sentimenti da parte di un nano scorbutico e misantropo” concordò quello in tono di finta accondiscendenza prima di lanciare la stoccata finale.

Levi si sentì improvvisamente privato di ogni valida argomentazione con cui controbattere; piuttosto, al posto suo l’aria tutt’attorno sembrò pronunciare all’unisono distintamente la parola “touché”. Rimase perciò lì imbambolato a guardare Erwin, sbattendo le palpebre ritmicamente

Erwin, dal canto suo, fece per andarsene così come era venuto, un ghigno ancora stampato in viso, se possibile ancora più pronunciato di prima.
Esattamente come aveva fatto Hanji.
Levi era furibondo. Perché la gente si divertiva a venirlo a prendere per il culo per poi lasciarlo lì come un pirla ad aspettare il prossimo stronzo che intendesse divertirsi con lui?

Ma Erwin esitò ancora un secondo prima di andarsene e aggiunse “Devo ammettere tuttavia che per quanto tu sia assolutamente incapace di relazionarti col gentil sesso, hai trovato un regalo davvero azzeccato per Hanji. Certo lo apprezzerà più di qualunque comunissimo fiore, che potrebbe anche non piacerle. Senza contare che non si rischia la vita per cogliere una rosa...fiabe a parte.”

“Era per lavoro!” esclamò in tono esasperato Levi, mettendosi a seguire il Comandante, che intanto aveva preso ad avviarsi per il corridoio; stavolta Levi era intenzionato ad avere l’ultima parola. “Non puoi accusarmi di aver agito da sconsiderato. Non lo accetto. Il piano era ben studiato infatti non ci ha rimesso le penne nessuno. E soprattutto aveva uno scopo utile! Non puoi pensare che abbia fatto tutto questo per…Hanji…cioè l’ho fatto per i suoi esperimenti, ma non per farle un piacere…Nel senso sì, le ho fatto un piacere, è che glielo avevo promesso perché sapevo che ne aveva bisogno…Siamo compagni di squadra, no? E finisce lì! Ti pare che io possa…provare per …Hanji...oh, per piacere! Solo una persona malata di mente potrebbe…innamorar…PROVARE qualcosa per una persona…diciamo, singolare come lei...solo uno fuori di testa quanto lei, per non dire pazzo! Spiegami, forza, cosa avremmo in comune noi due a parte il nostro titano???”

Levi realizzò che il suicidio non era una prospettiva così brutta, appena si rese conto di avere usato le stesse esatte parole di Hanji.
 “Il vostro titano?” Il tono di Erwin era estremamente carico di ironia, mentre pescava con cura dalle parole appena usate da Levi. “Cioè ma ti sei sentito? In pratica tu hai seriamente promesso un titano ad Hanji? - Gli mise una mano sulla spalla, mentre Levi cercava, invano, un modo per non sprondare dalla vergogna - Ti do ufficialmente il benvenuto tra i pazzi, Levi...o come li hai definiti? AH, SÌ. I singolari...”.



-----------Author's corner-------------------
Ciao a tutti! Spero che questo primo capitolo vi abbia incuriosito. Non ci saranno molti altri capitoli, ma prometto che succederanno cose ahha.
Trovo la coppia HanjixLevi perfetta; sono due personaggi così diversi che immaginarli interagire tra di loro permette di spaziare in mille e più variabili del disagio. Erwin, se non si fosse capito, in questa ff li shippa di brutto!
Personalmente mi sono divertita molto a scrivere questa cosuccia. Spero sia valso un po' del vostro tempo.
Leggete e , se potete, commentate :D
Ci vediamo nel prossimo capitolo dove Levi ci rivela come...be' lo leggerete nella prossima pubblicazione. Intanto vi lascio il titolo: LA PROMESSA. Del resto questa parola ha aleggiato per tutta la ff...vi meritate la spiegazione di come Levi sia rimasto...incastrato :D
  
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