Ciao a tutti!
Vorrei ringraziare sentitamente chiunque abbia aperto questa storia anche solo per una lettura veloce.
Audrey e Lèonard sono con me da lungo tempo, come lo è l'idea per questa storia... spero la apprezzerete :)
Grazie ancora!
Burning
Sins
1. Lo Stregato Parigino
Era
notte fonda, quando una giovane imboccò uno squallido vicolo alla
periferia di Parigi. Era una ragazza alta, dalla corporatura robusta, con una
folta chioma di capelli ramati a cingerle la vita. Indossava abiti succinti, decisamente
poco adatti a una signora, i quali
avrebbero immediatamente chiarito, anche al più sbadato degli osservatori,
in che modo si guadagnasse il pane. La donna procedeva rapida e sicura tra le
vie deserte della città,
illuminata dalla debole luce dei lampioni.
Lo
scenario nel quale avanzava non era di certo tra i più felici: barboni e ubriaconi
tentavano di avvicinarla, ma la donna avanzava tra di loro senza scomporsi,
come se ci fosse abituata. Ne salutò addirittura qualcuno,
sorridendo allegramente, come se questi fosse un vecchio amico.
Prima
di svoltare nell’ ennesimo vicolo buio lanciò un duro pezzo di pane ad
uno degli uomini seduti sul ciglio della strada, gli fece un cenno e sparì nell’oscurità: la via nella quale sbucò era illuminata dalla sola
flebile luce della luna. Fu infatti obbligata a procedere lentamente e a
cercare a tentoni la porta della casa. Bisbigliò qualcosa, probabilmente un’imprecazione, imprecazione
che rimase sospesa nella notte.
Fu
un attimo.
Le
sue mani trovarono finalmente la grezza superficie di legno tanto agognata
quando una forza così potente da scaraventarla
contro il muro della casa di fronte la colpì al petto, lasciandola
semisvenuta per terra.
Due
figure maschili emersero dall’oscurità, una di esse si chinò sulla ragazza, il viso
irriconoscibile alla flebile luce della luna. Passarono pochi secondi che
parvero dilatarsi fino a diventare ore nel silenzio impenetrabile di quell vicolo
buio. Lo sconosciuto mormorò qualcosa
all’orecchio della ragazza; lei
riaprì di scatto gli occhi,
innaturalmente vitrei, mentre l’ uomo
si rialzava, sovrastandola.
«Non credo sia ciò che cerchiamo» Proferì l’altro, alzando gli occhi al
cielo e passandosi distrattamente una mano tra i capelli. Prima che il suo
compagno potesse replicare, però,
la donna parlò, inginocchiandosi al
cospetto dei due uomini.
«Mi chiamo Julienne, sono nata
a Marsiglia vent’anni fa e rimasta orfana al
secondo anno di vita. Nell’orfanotrofio
in cui vivevo…» Le sue parole furono
soffocate dallo stesso uomo che l’ aveva
risvegliata dal precedente stato di incoscienza.
«Tax!» Esclamò, portandole una mano
dinnanzi al viso: la giovane svenne nuovamente, sbattendo con violenza la testa
al suolo.
«Dio, Lèonard! Presta un po’ più di attenzione, avrebbe
potuto farsi male sul serio.» Si
lamentò l’altro, chinandosi sulla
donna per assicurarsi che stesse bene.
«Non ha nulla. Si riprenderà e se ne tornerà in casa, come se niente
fosse successo. Peccato che non sia una di loro, mi diverto di più quando per vivere fanno le
puttane, credo che renda ancora meglio l’ idea di flagello di Dio. Dopotutto, è questo che sono, vero Rafael?» Sibilò con cattiveria Lèonard, scostandosi dalla
fronte i capelli neri come l’ ebano
e lanciando uno sguardo gelido in direzione dell’uomo che gli stava accanto.
«Sì, credo… credo di sì.» Mormorò questi, stando ben attento
a non incrociare lo sguardo dell’altro.
Lèonard non ebbe il tempo di
replicare come avrebbe voluto, poiché un gemito interruppe quella
conversazione dai toni ostili: la donna, Julienne, si era svegliata e li
osservava con sguardo confuso e spaventato, tastandosi il taglio sulla fronte.
«Che… che è successo?» Balbettò.
«Siete caduta, signorina.
Lasciate che vi aiuti ad alzarvi: ci stavamo giusto chiedendo se non fosse
necessario trasportarvi fino all’ ospedale
più vicino. Come vi sentite?» Lèonard si era avvicinato alla
ragazza e l’aveva aiutata a rimettersi
in piedi, la furia e la crudeltà
di poco prima erano scomparse.
«No, non è necessario. Mi sento bene,
credo che me ne andrò subito a letto.» Borbottò la donna, estraendo un
mazzo di chiavi e raggiungendo la porta di casa, infilò la chiave nella toppa e,
lanciato un ultimo sguardo di sospetto ai due uomini, si richiuse l’anta alle spalle.
«Stavo
dicendo: non ti fai un po’ schifo,
Rafael? Segui ideali che non condividi e per questi hai anche ucciso e tutto ciò lo fai per pura codardia…» Lèonard aveva recuperato l’ intenzione di provocare il
compagno e con essa anche il tono tagliente e cattivo che amava utilizzare con
coloro che non avrebbero potuto ribellarsi o rispondergli per le rime.
Rafael
non replicò, gli diede le spalle e si
avviò verso il fondo del vicolo,
fermandosi dinnanzi al muro di mattoni nel quale esso terminava. Mormorò una formula sconosciuta
alle orecchie di Lèonard, che faticava a
riconoscere la bravura di Rafael nelle arti,
e, come se fosse sempre stato lì,
un buco abbastanza largo da lasciarli passare entrambi prese il posto di una
buona porzione di muro.
Lo
oltrepassarono velocemente, guardandosi intorno furtivi, per poi scomparire nel
nero abbraccio della notte.
I
primi raggi di sole illuminavano il viso pallido e assonnato di una ragazza dai
lineamenti delicati. Seduta sullo sgabello scomodo posizionato davanti al pianoforte
lasciava scivolare le dita sopra i bianchi tasti d’ avorio: una melodia stonata
risuonava nell’ampia sala, svuotata di ogni
mobilio, se non per qualche strumento musicale lasciato lì a marcire.
«Termina questo lamento
straziante e vieni in sala da pranzo, mamma dice che hai bisogno di mangiare
qualcosa.» Una figura minuta era
comparsa sulla soglia della porta, i capelli biondi imprigionati in un ordinato
chignon e uno svolazzante abito di velluto rosso in perfetto contrasto con la
pelle chiara.
Audrey
non capiva perché Guinevre mettesse tanto
impegno nel curare il proprio aspetto: nessuno, lì dentro, avrebbe fatto caso
al suo abbigliamento. Tuttavia, la sorella insisteva nel continuare quella
stramba recita, come se fingere che la vita stesse continuando a scorrere con
ordinaria normalità potesse effettivamente
riportarle indietro, fino a raggiungere quell’esistenza spensierata che
Audrey ricordava a malapena.
«Se dessimo ascolto ai
consigli di mamma sul cibo credo che saremmo entrambe grasse come balene!» Replicò Audrey, sorridendo alla
sorella e abbandonando lo sgabello sul quale era seduta per raggiungerla.
«Per
Dio, no! Non potrei mai più
indossare abiti come questo, dovrei buttarli via tutti e chiudermi a chiave in
camera mia.» L’espressione di Guinevre era
terrorizzata: una tale prospettiva, per lei, non era nemmeno contemplabile.
Audrey
affiancò la sorella e con un sospiro
rassegnato si arrese a seguirla fino in cucina. Le due ragazze percorsero a
passo spedito numerosi corridoi, superando porte che nascondevano sale eleganti
e mobili di legno pregiato ormai seppelliti dalla polvere.
Quella
casa, in un tempo non troppo lontano, era stata la residenza di una nobile
famiglia inglese, amante dello sfarzo e delle feste. Tuttavia, da una
quindicina di anni a quella parte, i nobili padroni della tenuta avevano perso
interesse per quel luogo in cui in passato la loro famiglia aveva trascorso
anni piacevoli e l’avevano abbandonata a se
stessa.
Le
due ragazze raggiunsero la cucina, ma i sussurri concitati che udirono provenire
dall’ interno le costrinsero a
fermarsi: Guinevre si guadagnò
a suon di spinte il diritto di spiare dal buco della serratura e Audrey dovette
accontentarsi di premere l’ orecchio
contro la fredda superficie della porta, nella speranza di scoprire di cosa
stessero discutendo le donne.
«Respira più piano!» Le intimò Guinevre con tono isterico,
mettendo una mano davanti alla bocca della sorella che, in risposta, le morse
prontamente il mignolo. La ragazza soffocò un urlo, lanciando uno
sguardo furioso in direzione di Audrey la quale, nel frattempo, era tornata a
concentrarsi sulla conversazione in quel momento in atto in cucina.
«Hai sentito cosa ha detto
Tuono. E’ stata una strage, non hanno
risparmiato nemmeno le bambine…» Le
due giovani si scambiarono un’occhiata
allarmata quando riconobbero la voce disperata della madre. Audrey abbassò quasi subito lo sguardo,
mentre i pensieri si rincorrevano veloci e la domanda che era ormai abituata a
porsi si faceva spazio nella sua mente: chi è morto questa volta?
Nella
sua breve vita Audrey aveva dovuto affrontare più lutti del dovuto, non si
stupì, quindi, quando avvertì una familiare morsa
aggredirle lo stomaco e un’ansia
ormai conosciuta opprimerle i sensi: chi piangeremo
oggi?
«Non riesco e non voglio
crederci!»
«Nove e sei anni…»
«La pagheranno cara!»»
Le
voci delle donne erano un miscuglio di rabbia, paura e dolore. Le stesse
emozioni che si agitavano nel petto di Audrey e che la ragazza ritrovò anche negli occhi della
sorella: entrambe erano rimaste immobili, il respiro affannato e il cuore che
batteva veloce.
Nove e sei anni.
Nella
stanza era calato il silenzio ed Audrey e Guinevre, ancora stordite da ciò che avevano udito, si
accorsero troppo tardi dei passi pesanti che si avvicinavano alla porta. Furono
sbilanciate all’indietro, quando questa si
aprì, e caddero, colpendo il
pavimento con la schiena. Una figura imponente le sovrastava e le due ragazze
scorsero un sorrisino familiare farsi spazio fra le labbra dell’ uomo.
Tuono
era il messaggero della tribù
di Licantropi che occupava la foresta adiacente alla proprietà in cui Audrey abitava
insieme alle altre donne della sua specie:
era il genere di uomo che avrebbe intimorito chiunque con un solo sguardo, ma
chi lo conosceva sapeva che era tutto il contrario di ciò che sembrava.
«Qualcosa non va, Tuono?» Chiese una voce che Audrey
associò immediatamente a Janette.
«No, va tutto benissimo.
Arrivederci signore!» Replicò lui, chiudendosi la porta alle
spalle e rivolgendo uno sguardo di rimprovero alle due ragazze, che nel
frattempo avevano tentato di ricomporsi e si erano alzate da terra.
«Filate, prima che mi venga voglia
di dire a vostra madre che razza di ficcanaso siano le sue figlie!» Sbottò l’ uomo, avviandosi verso la
porta d’ ingresso e scoccando un’ultima occhiata divertita ad
Audrey e a Guinevre. Poi, una volta che ebbe raggiunto l’ingresso, le sue spalle
possenti sparirono dalla vista delle ragazze che, non più in grado di trattenersi,
spalancarono la porta della cucina e si precipitarono all’ interno.
Lo
scenario che si presentò
loro davanti non era molto diverso da quello che avevano immaginato: le donne
erano sedute intorno al tavolo di legno logoro su cui, anni prima, la servitù della casa aveva consumato i
pasti un numero infinito di volte, e ognuna aveva lo sguardo fisso e vitreo
perso in diverse direzioni e l’espressione
sfinita di chi non ha dormito per più di qualche ora.
«Cosa è successo?» Domandò Audrey, l’ansia che le attanagliava lo
stomaco, impedendole quasi di respirare.
I nomi, vi prego, ditemi i
nomi!
Margot
rivolse uno sguardo carico di dolore alle figlie, desiderando ardentemente di
non dover pronunciare quelle parole, cosa che, purtroppo, era costretta a fare.
Avrebbe voluto proteggere Audrey e Guinevre da quella notizia terribile,
avrebbe voluto impedire che piangessero le ennesime perdite… eppure, mentre guardava le
sue figlie, si rese conto di essere totalmente impotente contro un destino che,
se avesse voluto, avrebbe potuto strappargliele via dalle braccia in un battito
di ciglia.
La
donna si portò stancamente una mano alla
fronte, chiudendo solo per un attimo gli occhi stanchi, nel tentativo di porre
fine al dolore acuto che le trafiggeva la testa da quando Tuono era giunto, all’alba, portando con sé quelle terribili novità.
«Le De La Rouge. Uccise.» E il dolore colpì, atteso, ma non meno
straziante.
L' autore della battuta fu
raggiunto da una serie di incoraggianti pacche sulle spalle, mentre le bocche
di tutti erano impegnate a sorseggiare il vino scuro offerto loro dal
proprietario del locale.
Lo Stregato Parigino non aveva più oppositori. Loretta De La
Rouge era stata uccisa e le ribelli superstiti sarebbero presto cadute,
esattamente come la loro regina.
Un
ragazzo dai capelli corvini era rimasto peró in disparte da tutto quel
fracasso, ponendo mezza tavolata di distanza tra lui e gli uomini brilli e
festanti che lui stesso aveva guidato in missione poche ore prima. Non sembrava
avere alcuna voglia di unirsi ai festeggiamenti: quel giorno era stato un
momento storico, certo, ma Lèonard
non riusciva a godersi pienamente quel successo. Il motivo? Il motivo era la
sua insulsa umanitá, quella parte di sè che cercava con tutto se
stesso di nascondere... quella stessa parte che non sarebbe mai riuscito a
scacciare, o sopprimere, e a cui andava attribuita la colpa dell' immagine di
quei due piccoli cadaveri marchiata a fuoco nella sua mente. Un'immagine che
non sarebbe svanita... Non sarebbe svanita mai.
Con
uno scatto rabbioso, Lèonard
si alzò, attirando su di sè gli sguardi sorpresi dei
suoi commensali.
«Ve ne andate di già, Signore?» Domandò uno degli uomini. Si
trattava di Gregory Timmons, un inglese giunto a Parigi per garantire sostegno
al padre di Lèonard, l' uomo a capo dello
Stregato Parigino.
«Non è nel vostro interesse
conoscere i miei movimenti o le mie intenzioni, o sbaglio, Timmons?» Replicó freddamente. «Lascio a voi l'ingrato
compito di riaccompagnare gli ubriachi, sembra che fare la balia vi piaccia». Senza lasciare ad alcuno
il tempo di replicare, Lèonard
afferró il suo cappotto ed uscì dal locale.
Erano
i primi di febbraio e la gelida aria della sera gli fece correre un brivido
lungo la schiena; se non altro, il freddo gli avrebbe dato qualcos'altro a cui
pensare.
Non si toccano gli
innocenti, Lèon.
Ancora
quella voce, ancora lei: era forse una sorta di rivalsa della sua coscienza? Un
passo, due passi, tre passi... doveva concentrarsi su qualcosa, qualsiasi cosa.
Doveva tenere il dolore a distanza, allontanare il rimorso, soffocare le
emozioni, perchè solo cosí si sarebbe garantito la
sopravvivenza.
Quando arrivarono la porta
era aperta e una pozza di sangue, perfettamente circolare, faceva bella mostra
di sè nell'atrio; ma ció che lo colpí maggiormente fu il silenzio. In quella casa regnava un silenzio
innaturale, gelido, asfissiante.
Lèonard mosse qualche timido
passo, facendo cenno agli uomini che lo seguivano di imitarlo; sapeva che in
quel luogo era accaduto qualcosa di terribile. La morte li aveva preceduti.
Plic... Plic... Plic.
Gocce vermiglie colavano dal
soffitto e Lèonard capí cosa avrebbe visto ancora prima di alzare lo sguardo: una
donna, penzolava, oscillando lentamente, da una vecchia trave di sostegno. I
suoi polsi erano tagliati da due nette linee purpuree e il sangue ne sgorgava
sempre piú lentamente, andando a creare una melodia stonata, stanca.
«Beh,
ci ha risparmiato il lavoro!» Fu
il gelido commento di un uomo dall'aria delusa: non sembrava contento di aver
dovuto fare a meno di sporcarsi le mani.
Lèonard non replicó, lo sguardo incatenato come
da un filo invisibile a quella figura ciondolante. Ondeggiava in una maniera
quasi comica: il collo spezzato innaturalmente piegato verso destra, la bocca
spalancata in un grido muto e gli occhi ancora colmi del terrore che aveva
preceduto la morte.
Aveva scelto il proprio
destino, ma in quell'attimo, quell'istante tra la vita e la morte, si era
pentita.
«Signore,
vostro padre...lui aveva parlato anche di due bambine.»
«Trovatele.»
E le trovarono. Erano
nascoste in un armadio, i corpicini tremanti, lo sguardo terrorizzato.
Accadde in un attimo.
Prima ancora che Lèonard potesse dire
"ah": di loro non rimaneva nulla, se non due gusci vuoti, bagnati di
sangue innocente.
L'eco dei suoi passi risuonava con chiarezza nella via vuota e scarsamente illuminata, scandendo il suo ritorno a casa. Sapeva cosa l'attendeva: da quando aveva preso il comando delle battute di caccia, suo padre insisteva affinchè lo facesse. Era arrivato il momento per lui di eseguire fino in fondo i suoi doveri verso lo Stregato Parigino, dimostrando impegno e devozione.
Non era assassinio, era dovere, giustizia.
Erano queste le parole che Lèonard si ripeteva, come un mantra, dopo ogni battuta, per combattere i fantasmi che lo seguivano nella sua scia di morte.