PARTE 3
LO
PROMETTO
Il mio cuore era nero. Nero di
rabbia, di odio, di
disperazione. Mi girai verso il mio esercito che aspettava un mio
segnale.
- Compagni! -
urlai.
Erano silenziosi e ascoltavano le mie parole – E’
facile dirvi di essere
coraggiosi, di non temere la morte, di combattere per la patria.
Cavalcavo lungo la fila di
guerrieri e vidi che il mio avversario non faceva lo
stesso. Stava fermo
sul ciglio della collina a fissarci, mentre i suoi generali di
districavano
minacciosi tra le sue fila. Ripresi fiato e continuai.
- Io vi chiedo di guardare il vostro
nemico. - molti
chinarono il capo - Di guardare chi vi ha tolto la vostra casa e la
vostra
famiglia, chi ha cambiato la nostra vita. Io vi autorizzo ad odiarli. E
ora vi
dico che se vinceremo, questo dolore che proviamo, lenirà. E
avrete vendetta. E
avrete il loro sangue. E i vostri nipoti, i vostri figli, e i vostri discendenti parleranno di
voi…e, lo prometto,
verrete ricordati per sempre. Immortali…come il ricordo dei
vostri cari.
Il silenzio si fece più
pungente.
- Volete
l’immortalità? Volete la libertà?
Volete la
vendetta?
Respirai
profondamente…l’odore dell’erba mi
entrò dentro
fresca…nella mia mente un immagine candida.
La mia piccola Bra. Niente di
più discordante di mia figlia.
Era autunno
e la
pioggia non accennava a smettere di cadere. Tornavo da una battaglia
con un
villaggio vicino. Allora ero appena stato promosso capitano di un piccolo gruppo di
guerrieri. Molti più vecchi
di me.
Passammo di
fianco al
fiume e la vidi sul promontorio. Mi stava aspettando. Piccola, appena 4 anni. Guardava dalla
parte sbagliata, come
al solito. Mi staccai dal gruppo e
salii
sul promontorio cercando di non fare rumore. La pioggia mi
aiutò. Da dietro era
la madre in miniatura. A gambe incrociate , i capelli
turchini…da me aveva
preso la postura un po’ ricurva. Mi chinai dietro di lei e
urlai:
- Chi
aspetti?
Lanciò
un urlo
agghiacciante e poi si girò. Ci ritrovammo naso a naso, i
suoi occhioni blu che
inghiottivano i miei piccoli neri.
Poi il suo
viso si
illuminò e le pupille le si dilatarono.
-Papà!-
mi saltò al
collo e,
dimostrando la sua forza, mi
gettò sull’erba bagnata.
Affondo il
viso nella
mia spalla e sentii delle lacrime calde scendere sulla mia schiena,
confondersi
con la pioggia freddissima. Mi sollevai e mi misi in piedi tenendola
stretta a
me. Non accennava ne a staccarsi ne a smettere di piangere. Era sempre
incomprensibile per me quando manifestava le sue emozioni. Piangeva
spesso e
silenziosamente, oppure si arrabbiata furiosamente tanto che bisognava portarla via dalle
risse, anche con
maschi più grandi di lei. Presi a scendere dal promontorio
per avviarmi verso
il villaggio. Ormai il corteo era lontano. Dopo poco smise di lacrimare
e si
decise a parlare.
-Dove sei
stato?- la solita
domanda
- Via- la solita risposta
-
Perché?
-
Perché dovevo
combattere.
Di solito la
discussione si interrompeva qui e lei prendeva a raccontarmi di
ciò che era
successo mentre ero via. Ma quella volta fu diverso.
-
Perché combatti?
-Per vincere
le
guerre.
Silenzio un
attimo,
rifletté e poi rispose.
-
Cos’e la guerra?
Rimasi
sorpreso dalla
domanda. Come potevo spiegarlo?
- La guerra
è quando
delle persone litigano per
qualcosa.
Qualcosa di bello o giusto, ma soprattutto qualcosa in cui credono
ciecamente.
E quindi combattono.
- Tu in cosa
credi?
Sorrisi…in
effetti era
una domanda difficile anche per me.
- Nella
libertà…nella
giustizia…e in voi.
-Tu credi in
me papà?
– chiese quasi onorata.
-Certo…credo
che sia
mia dovere difenderti.
- Tu
combatti per me?
Deglutii…la
pioggia le
aveva inzuppato i capelli…era buffa, e visibilmente stanca.
- Si
anche….
- E uccidi per me?
-
Si…ma non è colpa
tua!- mi affrettai a dire- E’ il mio dovere.
Silenzio. Si
appoggio
alla mia spalle, quasi come per dormire.
-
Papà?
-Dimmi…
-Potresti
smettere di
combattere se io te lo chiedessi?
Sorrisi..
spesso anche
Bulma sembrava voler abbozzare quella domanda. Ma sapeva che non sarei
stato nulla
senza . Non sapevo fare altro.
- No. Devo
farlo…un
giorno capirai.
Non
rispose…la sentii
sbuffare. Poi riprese a parlare.
-
Però allora prometti
che tornerai sempre per proteggermi?
Sorrisi,
stringendola
con una tale forza, che nemmeno il tempo avrebbe potuto strapparmela di
dosso.
-Lo prometto.
Lo sguainare delle spade mi
riportò sul campo di battaglia.
I miei occhi erano velati di lacrime.
Qualcosa in cui credevo…in quel momento credevo
solo in una cosa.
-Volete Vendetta?!
Un boato si alzò
dall’esercito.
- Prendetevela!
Urlando incitai il mio cavallo a
galoppare contro l’esercito
di romani. Dietro di me correvano i guerrieri bretoni come spiriti
arrabbiati,
volavano sull’erba più
veloci del vento
e sopra di noi il falco di Kiok strideva sempre più forte.
Poi partirono. In formazione,
compatti, l’esercito di
Kakaroth ci venne in contro come
un’unica armatura priva di corpo e di anima. Sguainai le asce
e le feci
roteare intorno a
me, frustando
rumorosamente l’aria. Lo sguardo era fisso su di lui. Fermo
,che troneggiava
sulla valle mentre i suoi uomini gli correva intorto gridando ala
massacro.
Ne vidi uno davanti a me. Un uomo
maturo, a cavallo, con gli
occhi neri macchiati di mille battaglie. Alzai l’ascia e
fummo ad un passo. La
mia lama rimbalzo sul suo scudo mentre lo sorpassavo. Si girò mentre preparavo ad
affondare l’altra nella
sua schiena. Lo scudo non lo salvò di nuovo. Gli
scappò dalle mani per via
dell’impatto e la mia ascia gli si conficco nel fianco. Poi
con uno strattono
si stacco e il suo corpo cadde per terra finito. Davanti a me orami
c’è n’erano
decine. Impugnai saldamente le asce e le
feci roteare all’altezza delle mie spalle
tagliando la gola a quelli che
mi avevano circondato.
Il mio esercito usava
un’altra strategia. Non avendo
cavalli, delle lunghe lance venivano lanciate verso le prime fila a
colpire i
destrieri. Poi la fanteria completava il lavoro. Io e il vecchio
avevamo ideato
quella strategia. Guardai più in alto, e di Trunks nemmeno
l’ombra. Ormai tutti
e due gli eserciti erano riversati nella valle. Il piano doveva ancora
iniziare. Eravamo in anticipo.
Sentivo le urla lontane come se non
fossero nelle mie
orecchie. Il sangue mi schizzava caldo sulle braccia. Un soldato si
aggrappo al
mio cavallo e mi fu di fronte. Era giovane, gasato dalla battaglia.
Aveva gli
occhi blu grandi e profondi. Le nostre nuche si scontrarono. Sentii il
suo
sangue giovane e le sue ossa ancora fragili spazzarsi e inondarmi il
viso. Con
una spallata lo gettai giù e proseguii in quel mare.
Un soldato affondo la spada a un
centimetro dalla mia
pancia. Senza voltarmi con una gomitata in pieno volto lo disarcionai e
la sua
spada cadde a terra. Mi voltai a sinistra.
Malakina era a cavallo, alle spalle di un soldato e gli
stava
conficcando un coltello nella schiena. Stava dando le spalle alla
battaglia. Si
riprese subito girandosi agilmente e saltò addosso ad una
altro soldato
uccidendolo mentre cadeva da cavallo. Poi non la vidi più.
Conficcai la mia
arma nel ventre di un soldato di fronte a me e proseguii.
Alzai gli occhi al cielo. Una pioggia
di frecce stava
colpendo il campo.
Ma
non era Trunks.
Schivai quelle che tentarono di
colpirmi e mi feci strada
ancora. Intorno a
me c’erano ancora
guerrieri del mio esercito. Davanti
a me
Lorysh stava spezzando il collo ad un soldato. Le sue mani erano
sporche del
sangue nero che usciva dal collo del soldato.
Lorysh era mio nipote. Era figlio di
una delle sorelle di
Bulma. Catama. Era bella quasi quanto lei. Era più alta con
i capelli viola,
lunghissimi e dei lineamenti sottili. Bulma diceva di guardare lei per
immaginarsi suo padre. In effetti a me ricordava anche il vecchio
saggio.
Lorysh saltò su un cavallo
disarcionò il soldato e tirò
fuori la sua spada. Corta e forata, lucente. Era da tempo che non
vedevo quella
spada.
La nebbia
aleggiava
quel giorno. I nostri nemici, degli stranieri venuti
dall’entroterra erano
arrivati alla ritirata. Camminavo
per il
campo di battaglia ansioso di tornare a casa. Bulma era in cinta di Bra
in quel
periodo. Riuscivo a malapena a vedere ad un palmo dal mio naso .Mi
chinai
tentando di vedere qualcuno di familiare tra i caduti.
Girai un
corpo con i
capelli corti verde acqua. Mi smorzò il respiro. Takele,
padre di due bambine
ancora piccole. La sua casa era
dietro la nostra, nel villaggio. Continua accucciato tra le vittime.
Facce
conosciute, ma nessuno a cui tenessi. Molti nemici. Molti
più dei nostri. Poi
inciampai e caddi sopra il cadavere un nemico. Mi voltai e sul mio
stivale
erano impigliati dei lunghi capelli viola. Risalendo la vidi.
Bellissima,
sembrava addormentata. Catama riposava morta con una spada conficcata
nell’addome. Un rigolo di sangue le scendeva dalla bocca. Una
grande guerriera.
Stringeva ancora la sua spada corta in mano.
Il labbro mi
tremò. Le
tolsi la spada dall’addome e la sollevai. La sua cadde a
terra. Con un fischio
richiamai il mio cavallo. Ve la adagiai sopra e vicino a lei posai
Takele.
Diedi un colpo al cavallo che partì spedito verso il
margine. Lontano un pianto
scoppiò. Nella nebbia vidi un gigante afflosciarsi. Era
Mello. Tra i pochi guerriero
che mi superava in potenza. Alto circa 2 metri sembrava un leone
affamato
quando combatteva. Mi avvicinai e sentii le sue urla più
distinte. I suoi
capelli rossicci intrecciati e la sua
barba, non splendevano più come la criniera del
re della foresta. Era
afflosciati e si scuotevano con i suoi urli.
-Figlio
mio…Galite!!!
Deglutii e
non osai
andare oltre. Lo vidi sollevare il corpo del figlio ricoperto di
sangue. Lo
strinse a se come un pupazzo inanimato e si allontanò nella
nebbia, verso il
villaggio forse. Non ci avrebbe
aspettati.
Mi sedetti a
terra
stanco . La nebbia ormai era un mantello fittissimo.
Quella notte il villaggio ci
aspettava alzato.
Entrammo in corteo guidando i cavalli e i carri con i feriti i morti e
quel che
rimaneva di armi e provviste. Con una mano tenevo le redini del mio
cavallo
mentre con l’alt-ùro tenevo alta la mia spada nera. Passsai tra le case mentre
il corteo si
svuotava degli uomini che passavano davanti alla loro. Vidi
più lontana la mia.
Dietro di me si avvicino il marito di Catama.
- Come lo
dirò ai miei
figli Vegeta?
Deglutii .
Ma il mio
rospo rimase.
- Gli dirai
che la
vita è così…che la morte è
di ogni giorno e che ora lo scopo della loro vita e
onorare la loro madre. E che
devono
essere forti- poi mi voltai verso di lui e gli posai una mano sulla
spalla - tu
devi essere forte anche per loro.
Il
ricordò di quello
che seguì è sfocato. Bulma mi
abbracciò scoppiando in lacrime quando vide la
sorella e cominciò a picchiare dei pugni contro il mio petto. Darsek
abbracciò i suoi due bambini mentre
gli diceva qualcosa nel giardino di casa mia. Trunks era seduto vicino
alla
casa.
- Dovevi
stare attento
anche a lei Vegeta! Quando nostro figlio sarà di fianco a te
saprai prendertene
cura?!
Quelle
parole mi
spezzarono il cuore. Mi rimbombarono in testa fino al giorno dei
funerali.
Sulla pira di Catama erano posati decine di rametti di lavanda. Di
fianco la
sua spada. Quando la fiamma si accese l’ombra della spada
formò tre lettere. D,
L e S….Sorrisi…forse nessun’altro se ne
accorse. Lei combatteva per la sua
famiglia. Per Drasek, Lorysh e Sam.
Fissavo
quelle lettere
per terra come incantato
- Saprò
prendermene cura….te lo
prometto.
Superai gli ultimi soldati e
finalmente fui solo. In mezzo
ai nemici. La vera battaglia era più indietro.
Sollevai gli occhi mentre con un colpo uccidevo tre
soldati che mi
stavano attaccando.
Mi voltai verso la collina. Trunks
spuntò in quell’istante .
Lessi nei suoi occhi la rabbia...poi un urlò. Una pioggia di
frecce si scagliò
sui soldati romani.
Ritirai le asce e sfilai dal mio
destriero una mazza. La
sfregai sul ruvido ferro della sella. All’improvviso
l’estremità della mazza si
infuoco. Feci piroettare la mazza sulla mia testa. Nel cielo ci formò per una
istante un cerchio di fuoco.
Fu un istante. Sulla parte di
esercito non ancora in
battaglia si scatenò una pioggia di pece e fuoco. Sfoderai
un ‘ascia mentre con
l’altro braccio brandivo la mia arma infuocata…
Intorno a me era un inferno.
Proseguii facendo mi strada nelle fiamme.
Lo fissavo. E sentivo i suoi occhi
incrociare i miei.
Era fermo a guardare
quell’inferno davanti a se. Come quello
che avevo dovuto guardare io.
Vicino a me esplose una palla di
pece. Io e il mio cavallo
fummo sbalzati via. Un soldato tentò di colpirmi. Ero supino
sull’erba
bruciata. Bloccai con i piedi la sua spada e lo spinsi via. Raccolsi la
mia
mazza e la riaccesi dal corpo rantolante di una soldato che lentamente
si
carbonizzava.
Mi feci strada verso il
fianco della collina. Era solo. Era indifeso. Era mio.
Uscii finalmente
dalla mischia. Il sudore mi imperlava il viso.
Ero un demone del
fuoco e miravo a lui. Lanciai un urlo. E corsi lungo la
fiancata ripida
della collina. Lui indietreggiò per un secondo. Poi al mio
fianco mi raggiunse
il mio cavallo. Vi saltai sopra e finalmente
lo ebbi vicinissimo. Poi dolore. Il cavallo si
fermò a un mio tocco.
Nella mia spalla era infilzata una freccia. Mi voltai.
Un’altra venne scoccata.
La fermai ad un centimetro dalla mia pelle. Mi chinai verso le mie
gambe. Il
mio pugnale divise l’aria e si conficco tra gli occhi
dell’arciere. Mi voltai
di nuovo e incitai il cavallo a proseguire. Con uno sforzo scalammo
l’intero
fianco.
Era di fronte a me. Leggevo la paura
nei suoi occhi.
Impugnava insicuro la spada. Scesi da cavallo.
-Kakaroth….
Non rispose. Un ghigno
attraversò il suo viso.
-Tu mi hai prelevato della mia
famiglia…della mia casa…della
mia felicità…
Sembrò sorpreso.
-La tua famiglia?- sorrise - Quale
famiglia?
Mi tremò il labbro.
-Mia moglie, mia figlia.-ringhiai
-
Quella era la tua
famiglia?- chiese drizzando la schiena - Da dove vieni tu?-
incalzò.
Respiravo affannoso. Strinsi
più forte la torcia.
-Non sono affari tuoi!
Gli corsi incontro brandendo la
fiaccola. Cozzò contro il
suo scudo e cadde dal cavallo. Sfoderai La mia ascia e lo scalciai.
Puntai la punta alla sua gola.
-Aspetta Vegeta!
-Sai il mio nome? –chiesi
-Strano visto che non hai mai
partecipato alle carneficine della tua gente.
- TU DEVI SAPERE. NOI NON CERCHIAMO
LA VOSTRA TERRA!
La sua risposta non mi
stupì. Gli uomini sono tutti codardi
ad un passo dall’oblio.
- E cosa vuoi? Vuoi questo luogo per
farne una provincia del
vostro impero! Questa è la mia terra!
-NON E’ VERO! E TU LO SAI!
Quelle parole mi smorzarono.
-
Che vuoi dire? –chiesi pungolando la sua gola.
Respirò piano conscio di
avere la mia attenzione.
- La tua battaglia è
combattuta sul fronte sbagliato… Vegeta
. Tu non sai chi sei.
- SMETTI!
ROMANO!
ASSASSINO!
Urlaì fortissimo, volevo
solo trafiggere la sua gola ma
qualcosa di inconscio frenava la mia mano.
-
Guarda il tuo
polso bretone….-
disse
- Conosco
il mio
polso.
-
Quella bruciatura,
quell’ustione…è un marchio Vegeta.
Non risposi. Non guardai lo sfregio
che mille volte Bulma
aveva accarezzato con le sue candide dita.
Lui mosse veloce il suo braccio e
porto il suo polso sulla
sua fronte e vidi il mio polso legato alla sua mano. Una freccia mi
trafisse il
cuore.
-E’ un marchio
romano…tu sei romano.
I miei occhi vibrarono. Bulma aveva
detto un giorno che
quello era uno strano sfregio.
Era una
notte. Dopo la
cerimonia dei cervi. Il giorno seguente sarei partito per la mia prima
stagione
di caccia. Ero al villaggio da sei settimane. Eravamo sul lago. Lei
correva a
piedi nudi nell’acqua e io la fissavo. Un po’
scettico , un po’ incantato.
Rideva e ballava con i talloni alzati.
- Vieni
coraggio!
-
No….non sono tipo da
queste frivolezze.
Mi si era
avvicinata,
saltellando sull’erba. Mi aveva afferrato la mano e mi stava
tirando verso
l’acqua.
- Non fare
il
burbero!!! E’ così fresca!!
- Bulma non
insistere…
- Ma
– aveva avvertito
qualcosa sotto le sue dita- cos’è questa ustione?
- Non lo
so…la avevo
già.
Lei aveva
portato il
mio polso al bagliore della luna e con le mani umide lo toccava
interessata.
- Sembra un
uccello…magari è impresso col fuoco.
Sollevai il
sopracciglio mentre nei suoi occhi potevo scorgere
l’affiorare di mille storie
avventurose legate a quella bruciatura.
Ho sempre
pensato che
le piacessi perchè, con un passato così buio,
poteva sbizzarrirsi ad
immaginarmi protagonista di mille gesta e imprese.
- No. E’ solo una
bruciatura. Forse con l’olio
o con l’elsa di una spada.
- Non
essere scettico.. magari sei il capo del clan dei…polli.
- Polli?
- Beh sembra un
pollo…
- Cosa?! Non è
vero!
Divincolai
la mia mano
ma ormai lei aveva preso a saltarmi intorno:
- Pollo,
Pollo!!!
Cocococo ! – poi
era scoppiata in
una risata
cristallina.
- Ah
davvero?!
L’avevo
sollevata
sulle spalle e l’avevo gettata nell’acqua mentre
ancora lei rideva. Quando
riemerse rideva ancora più forte.
- Come è
permaloso Pollo – Vegeta!
- Molto
simpatica. Ora
che me lo fai notare…sembra un’aquila.
Usci fuori
dall’acqua
e mi saltò addosso. Non potei fare altro che tenerla tra le
braccia.
- Una aquila? Forse un
falco…
- Non fa differenza.
I capelli le
scendevano morbidi sul collo e gocciolavano sul mio petto. Un brivido
mi
attraversò la schiena.
- Ok vada per
l’aquila…ma io sono convinta che
sia un falco.
Tornai al presente e digrignai i
denti.
- Vegeta?
Capisci
ora?
-
Sono passati 17
anni da quando sono qui….
-Lo so…ma…la
tua legione si perse e non sapevamo più dove
fossi…ora ti abbiamo ritrovato…Fratello.
Mi si fermò il cuore. Come
a fare silenzio per lasciarmi
udire meglio.
Fratello.
- Cosa?
-Nostra madre si chiama Giulia.
E’ romana. Nostro padre
Bardack. E’ egiziano.
- No…
-
Si….eravamo a
comando delle 12
legioni del Falco
Rosso. E’ la verità. Possibile che non ricordi?
Chiusi gli occhi. Non volevo
più ascoltare.
- No.
- Torna con me a Roma. Lasceremo
questa gente.
- No. – urlai mentre gli
occhi mi si riempivano di lacrime.
-Vegeta ma…- lui aveva
tentato di sollevare il collo ma la
fermezza della mia ascia lo sorprese
Puntai con più forza la
mia ascia sulla sua gola.
- Mi
dispiace ma ho
rinunciato al mio passato molto tempo fa…-respirai
profondamente e lo guardai
intensamente negli occhi. Una
parte di
me sperava di non vedere nulla, di non vedere il mio passato. Eppure
immagini
sfocate e un profondo senso di infelicità mi avvolse.
Se una parte della mia anima aveva
deciso di dimenticare
quella storia significava che era destino che andasse persa. Per sempre
Lo schizzo di sangue arrivo fino al
mio viso. Alzai gli
occhi al cielo. Dentro di me sentivo riaffiorare i ricordi. Il mio
passato
stava tornando. Ma a me di quel passato più nulla importava.
Gli unici ricordi a cui mai ho
attinto da quel momento sono
quelli degli anni al villaggio. Perché erano quelli che
importavano. E mai
permetterò che i nostri ricordi
vengano
persi.
Te
lo prometto,
Bulma.