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Autore: BambuBaoBab    18/03/2017    0 recensioni
Dal testo : Poi un’altra uscì dal cerchio per avvicinarsi. Era chiara come la neve. I capelli corti che le abbracciavano il volto. Aveva gli occhi rossi, e mi sembrò una tigre bianca. E anche lei continuò il giro e mi guardò intensamente. Poi una attirò la mia attenzione. Fece una capriola e si fermò di fronte a me. Poi si alzò e mi venne incontro. Era dolce ma aggressiva, discreta ma intrigante. I suoi capelli celesti brillavano alla luce del fuoco e i suoi occhi blu erano grandi come il mare.
Mi si avvicinò e mi porse la mano.
-Ciao, sono Bulma.
Ero solo. Lei fu il primo mattone con cui ricostruii il mio mondo
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PARTE 3

LO PROMETTO

Il mio cuore era nero. Nero di rabbia, di odio, di disperazione. Mi girai verso il mio esercito che aspettava un mio segnale.

- Compagni! -  urlai. Erano silenziosi e ascoltavano le mie parole – E’ facile dirvi di essere coraggiosi, di non temere la morte, di combattere per la patria.

Cavalcavo lungo la fila di  guerrieri e vidi che il mio avversario non faceva lo stesso. Stava fermo sul ciglio della collina a fissarci, mentre i suoi generali di districavano minacciosi tra le sue fila. Ripresi fiato e continuai.

- Io vi chiedo di guardare il vostro nemico. - molti chinarono il capo - Di guardare chi vi ha tolto la vostra casa e la vostra famiglia, chi ha cambiato la nostra vita. Io vi autorizzo ad odiarli. E ora vi dico che se vinceremo, questo dolore che proviamo, lenirà. E avrete vendetta. E avrete il loro sangue. E i vostri nipoti, i vostri figli, e i vostri  discendenti parleranno di voi…e, lo prometto, verrete ricordati per sempre. Immortali…come il ricordo dei vostri cari.

Il silenzio si fece più  pungente.

- Volete l’immortalità? Volete la libertà? Volete la vendetta?

Respirai profondamente…l’odore dell’erba mi entrò dentro fresca…nella mia mente un immagine candida.

La mia piccola Bra. Niente di più discordante di mia figlia.

Era autunno e la pioggia non accennava a smettere di cadere. Tornavo da una battaglia con un villaggio vicino. Allora ero appena stato promosso capitano di un  piccolo gruppo di guerrieri. Molti più vecchi di me.

Passammo di fianco al fiume e la vidi sul promontorio. Mi stava aspettando. Piccola, appena  4 anni. Guardava dalla parte sbagliata, come al solito. Mi staccai dal gruppo e  salii sul promontorio cercando di non fare rumore. La pioggia mi aiutò. Da dietro era la madre in miniatura. A gambe incrociate , i capelli turchini…da me aveva preso la postura un po’ ricurva. Mi chinai dietro di lei e urlai:

- Chi aspetti?

Lanciò un urlo agghiacciante e poi si girò. Ci ritrovammo naso a naso, i suoi occhioni blu che inghiottivano i miei piccoli neri.

Poi il suo viso si illuminò e le pupille le si dilatarono.

-Papà!- mi saltò al collo  e, dimostrando la sua forza, mi gettò sull’erba bagnata.

Affondo il viso nella mia spalla e sentii delle lacrime calde scendere sulla mia schiena, confondersi con la pioggia freddissima. Mi sollevai e mi misi in piedi tenendola stretta a me. Non accennava ne a staccarsi ne a smettere di piangere. Era sempre incomprensibile per me quando manifestava le sue emozioni. Piangeva spesso e silenziosamente, oppure si arrabbiata furiosamente tanto che  bisognava portarla via dalle risse, anche con maschi più grandi di lei. Presi a scendere dal promontorio per avviarmi verso il villaggio. Ormai il corteo era lontano. Dopo poco smise di lacrimare e si decise a parlare.

-Dove sei stato?-  la solita domanda

- Via-  la solita risposta

- Perché?

- Perché dovevo combattere.

Di solito la discussione si interrompeva qui e lei prendeva a raccontarmi di ciò che era successo mentre ero via. Ma quella volta fu diverso.

- Perché combatti?

-Per vincere le guerre.

Silenzio un attimo, rifletté e poi rispose.

- Cos’e la guerra?

Rimasi sorpreso dalla domanda. Come potevo spiegarlo?

- La guerra è quando delle persone litigano  per qualcosa. Qualcosa di bello o giusto, ma soprattutto qualcosa in cui credono ciecamente. E quindi combattono.

- Tu in cosa credi?

Sorrisi…in effetti era una domanda difficile anche per me.

- Nella libertà…nella giustizia…e in voi.

-Tu credi in me papà? – chiese quasi onorata.

-Certo…credo che sia mia dovere difenderti.

- Tu combatti per me?

Deglutii…la pioggia le aveva inzuppato i capelli…era buffa, e visibilmente stanca.

- Si anche….

- E  uccidi per me?

- Si…ma non è colpa tua!- mi affrettai a dire- E’ il mio dovere.

Silenzio. Si appoggio alla mia spalle, quasi come per dormire.

- Papà?

-Dimmi…

-Potresti smettere di combattere se io te lo chiedessi?

Sorrisi.. spesso anche Bulma sembrava voler abbozzare quella domanda. Ma sapeva che non sarei stato nulla senza . Non sapevo fare altro.

- No. Devo farlo…un giorno capirai.

Non rispose…la sentii sbuffare. Poi riprese a parlare.

- Però allora prometti che tornerai sempre per proteggermi?

Sorrisi, stringendola con una tale forza, che nemmeno il tempo avrebbe potuto strapparmela di dosso.

 -Lo prometto.

Lo sguainare delle spade mi riportò sul campo di battaglia. I miei occhi erano velati di lacrime.  Qualcosa in cui credevo…in quel momento credevo solo in una cosa.

-Volete Vendetta?!

Un boato si alzò dall’esercito.

- Prendetevela!

Urlando incitai il mio cavallo a galoppare contro l’esercito di romani. Dietro di me correvano i guerrieri bretoni come spiriti arrabbiati, volavano sull’erba  più veloci del vento e sopra di noi il falco di Kiok strideva sempre più forte.

Poi partirono. In formazione, compatti, l’esercito di Kakaroth ci venne in contro  come un’unica armatura priva di corpo e di anima. Sguainai le asce e le feci roteare  intorno a me, frustando rumorosamente l’aria. Lo sguardo era fisso su di lui. Fermo ,che troneggiava sulla valle mentre i suoi uomini gli correva intorto gridando ala massacro.

Ne vidi uno davanti a me. Un uomo maturo, a cavallo, con gli occhi neri macchiati di mille battaglie. Alzai l’ascia e fummo ad un passo. La mia lama rimbalzo sul suo scudo mentre lo sorpassavo. Si girò  mentre preparavo ad affondare l’altra nella sua schiena. Lo scudo non lo salvò di nuovo. Gli scappò dalle mani per via dell’impatto e la mia ascia gli si conficco nel fianco. Poi con uno strattono si stacco e il suo corpo cadde per terra finito. Davanti a me orami c’è n’erano decine. Impugnai saldamente le asce e le  feci roteare all’altezza delle mie spalle tagliando la gola a quelli che mi avevano circondato.

Il mio esercito usava un’altra strategia. Non avendo cavalli, delle lunghe lance venivano lanciate verso le prime fila a colpire i destrieri. Poi la fanteria completava il lavoro. Io e il vecchio avevamo ideato quella strategia. Guardai più in alto, e di Trunks nemmeno l’ombra. Ormai tutti e due gli eserciti erano riversati nella valle. Il piano doveva ancora iniziare. Eravamo in anticipo.

Sentivo le urla lontane come se non fossero nelle mie orecchie. Il sangue mi schizzava caldo sulle braccia. Un soldato si aggrappo al mio cavallo e mi fu di fronte. Era giovane, gasato dalla battaglia. Aveva gli occhi blu grandi e profondi. Le nostre nuche si scontrarono. Sentii il suo sangue giovane e le sue ossa ancora fragili spazzarsi e inondarmi il viso. Con una spallata lo gettai giù e proseguii in quel mare.

Un soldato affondo la spada a un centimetro dalla mia pancia. Senza voltarmi con una gomitata in pieno volto lo disarcionai e la sua spada cadde a terra. Mi voltai a sinistra.  Malakina era a cavallo, alle spalle di un soldato e gli stava conficcando un coltello nella schiena. Stava dando le spalle alla battaglia. Si riprese subito girandosi agilmente e saltò addosso ad una altro soldato uccidendolo mentre cadeva da cavallo. Poi non la vidi più. Conficcai la mia arma nel ventre di un soldato di fronte a me e proseguii.

Alzai gli occhi al cielo. Una pioggia di frecce stava colpendo il campo.

 Ma non era Trunks.

Schivai quelle che tentarono di colpirmi e mi feci strada ancora.  Intorno a me c’erano ancora guerrieri del mio esercito.  Davanti a me Lorysh stava spezzando il collo ad un soldato. Le sue mani erano sporche del sangue nero che usciva dal collo del soldato.

Lorysh era mio nipote. Era figlio di una delle sorelle di Bulma. Catama. Era bella quasi quanto lei. Era più alta con i capelli viola, lunghissimi e dei lineamenti sottili. Bulma diceva di guardare lei per immaginarsi suo padre. In effetti a me ricordava anche il vecchio saggio.

Lorysh saltò su un cavallo disarcionò il soldato e tirò fuori la sua spada. Corta e forata, lucente. Era da tempo che non vedevo quella spada.

La nebbia aleggiava quel giorno. I nostri nemici, degli stranieri venuti dall’entroterra erano arrivati alla ritirata.  Camminavo per il campo di battaglia ansioso di tornare a casa. Bulma era in cinta di Bra in quel periodo. Riuscivo a malapena a vedere ad un palmo dal mio naso .Mi chinai tentando di vedere qualcuno di familiare tra i caduti.

Girai un corpo con i capelli corti verde acqua. Mi smorzò il respiro. Takele, padre di due  bambine ancora piccole. La sua casa era dietro la nostra, nel villaggio. Continua accucciato tra le vittime. Facce conosciute, ma nessuno a cui tenessi. Molti nemici. Molti più dei nostri. Poi inciampai e caddi sopra il cadavere un nemico. Mi voltai e sul mio stivale erano impigliati dei lunghi capelli viola. Risalendo la vidi. Bellissima, sembrava addormentata. Catama riposava morta con una spada conficcata nell’addome. Un rigolo di sangue le scendeva dalla bocca. Una grande guerriera. Stringeva ancora la sua spada corta in mano.

Il labbro mi tremò. Le tolsi la spada dall’addome e la sollevai. La sua cadde a terra. Con un fischio richiamai il mio cavallo. Ve la adagiai sopra e vicino a lei posai Takele. Diedi un colpo al cavallo che partì spedito verso il margine. Lontano un pianto scoppiò. Nella nebbia vidi un gigante afflosciarsi. Era Mello. Tra i pochi guerriero che mi superava in potenza. Alto circa 2 metri sembrava un leone affamato quando combatteva. Mi avvicinai e sentii le sue urla più distinte. I suoi capelli rossicci intrecciati e la sua  barba, non splendevano più come la criniera del re della foresta. Era afflosciati e si scuotevano con i suoi urli.

-Figlio mio…Galite!!!

Deglutii e non osai andare oltre. Lo vidi sollevare il corpo del figlio ricoperto di sangue. Lo strinse a se come un pupazzo inanimato e si allontanò nella nebbia,  verso il villaggio forse. Non ci avrebbe aspettati.

Mi sedetti a terra stanco . La nebbia ormai era un mantello fittissimo.

 Quella notte il villaggio ci aspettava alzato. Entrammo in corteo guidando i cavalli e i carri con i feriti i morti e quel che rimaneva di armi e provviste. Con una mano tenevo le redini del mio cavallo mentre con l’alt-ùro tenevo alta la mia spada nera.  Passsai tra le case mentre il corteo si svuotava degli uomini che passavano davanti alla loro. Vidi più lontana la mia. Dietro di me si avvicino il marito di Catama.

- Come lo dirò ai miei figli Vegeta?

Deglutii . Ma il mio rospo rimase.

- Gli dirai che la vita è così…che la morte è di ogni giorno e che ora lo scopo della loro vita e onorare la loro madre. E  che devono essere forti- poi mi voltai verso di lui e gli posai una mano sulla spalla - tu devi essere forte anche per loro.

Il ricordò di quello che seguì è sfocato. Bulma mi abbracciò scoppiando in lacrime quando vide la sorella e cominciò a picchiare dei pugni contro il mio petto.  Darsek abbracciò i suoi due bambini mentre gli diceva qualcosa nel giardino di casa mia. Trunks era seduto vicino alla casa.

- Dovevi stare attento anche a lei Vegeta! Quando nostro figlio sarà di fianco a te saprai prendertene cura?!

Quelle parole mi spezzarono il cuore. Mi rimbombarono in testa fino al giorno dei funerali. Sulla pira di Catama erano posati decine di rametti di lavanda. Di fianco la sua spada. Quando la fiamma si accese l’ombra della spada formò tre lettere. D, L e S….Sorrisi…forse nessun’altro se ne accorse. Lei combatteva per la sua famiglia. Per Drasek, Lorysh e Sam.

Fissavo quelle lettere per terra come incantato

-  Saprò prendermene cura….te  lo prometto.

 

Superai gli ultimi soldati e finalmente fui solo. In mezzo ai nemici. La vera battaglia era più indietro.  Sollevai gli occhi mentre con un colpo uccidevo tre soldati che mi stavano attaccando.

Mi voltai verso la collina. Trunks spuntò in quell’istante . Lessi nei suoi occhi la rabbia...poi un urlò. Una pioggia di frecce si scagliò sui soldati romani.

Ritirai le asce e sfilai dal mio destriero una mazza. La sfregai sul ruvido ferro della sella. All’improvviso l’estremità della mazza si infuoco. Feci piroettare la mazza sulla mia testa. Nel cielo ci  formò per una istante un cerchio di fuoco.

Fu un istante. Sulla parte di esercito non ancora in battaglia si scatenò una pioggia di pece e fuoco. Sfoderai un ‘ascia mentre con l’altro braccio brandivo la mia arma infuocata… Intorno a me era un inferno. Proseguii facendo mi strada nelle fiamme.

Lo fissavo. E sentivo i suoi occhi incrociare i miei.

Era fermo a guardare quell’inferno davanti a se. Come quello che avevo dovuto guardare io.

Vicino a me esplose una palla di pece. Io e il mio cavallo fummo sbalzati via. Un soldato tentò di colpirmi. Ero supino sull’erba bruciata. Bloccai con i piedi la sua spada e lo spinsi via. Raccolsi la mia mazza e la riaccesi dal corpo rantolante di una soldato che lentamente si carbonizzava.

Mi feci strada verso il  fianco della collina. Era solo. Era indifeso. Era mio. Uscii finalmente dalla mischia. Il sudore mi imperlava il viso.

Ero un demone del  fuoco e miravo a lui. Lanciai un urlo. E corsi lungo la fiancata ripida della collina. Lui indietreggiò per un secondo. Poi al mio fianco mi raggiunse il mio cavallo. Vi saltai sopra e finalmente  lo ebbi vicinissimo. Poi dolore. Il cavallo si fermò a un mio tocco. Nella mia spalla era infilzata una freccia. Mi voltai. Un’altra venne scoccata. La fermai ad un centimetro dalla mia pelle. Mi chinai verso le mie gambe. Il mio pugnale divise l’aria e si conficco tra gli occhi dell’arciere. Mi voltai di nuovo e incitai il cavallo a proseguire. Con uno sforzo scalammo l’intero fianco.

Era di fronte a me. Leggevo la paura nei suoi occhi. Impugnava insicuro la spada. Scesi da cavallo.

-Kakaroth….

Non rispose. Un ghigno attraversò il suo viso.

-Tu mi hai prelevato della mia famiglia…della mia casa…della mia felicità…

Sembrò sorpreso.

-La tua famiglia?- sorrise - Quale famiglia?

Mi tremò il labbro.

-Mia moglie, mia figlia.-ringhiai

-  Quella era la tua famiglia?- chiese drizzando la schiena - Da dove vieni tu?- incalzò.

Respiravo affannoso. Strinsi più forte la torcia.

-Non sono affari tuoi!

Gli corsi incontro brandendo la fiaccola. Cozzò contro il suo scudo e cadde dal cavallo. Sfoderai La mia ascia e lo scalciai.

Puntai la punta alla sua gola.

-Aspetta Vegeta!

-Sai il mio nome? –chiesi -Strano visto che non hai mai partecipato alle carneficine della tua gente.

- TU DEVI SAPERE. NOI NON CERCHIAMO LA VOSTRA TERRA!

La sua risposta non mi stupì. Gli uomini sono tutti codardi ad un passo dall’oblio.

- E cosa vuoi? Vuoi questo luogo per farne una provincia del vostro impero! Questa è la mia terra!

-NON E’ VERO! E TU LO SAI!

Quelle parole mi smorzarono.

-  Che vuoi dire? –chiesi pungolando la sua gola.

Respirò piano conscio di avere la mia attenzione.

- La tua battaglia è combattuta sul fronte sbagliato… Vegeta . Tu non sai chi sei.

-  SMETTI! ROMANO! ASSASSINO!

Urlaì fortissimo, volevo solo trafiggere la sua gola ma qualcosa di inconscio frenava la mia mano.

 

-  Guarda il tuo polso  bretone….- disse

-  Conosco il mio polso.

-  Quella bruciatura, quell’ustione…è un marchio Vegeta.

Non risposi. Non guardai lo sfregio che mille volte Bulma aveva accarezzato con le sue candide dita.

Lui mosse veloce il suo braccio e porto il suo polso sulla sua fronte e vidi il mio polso legato alla sua mano. Una freccia mi trafisse il cuore.

-E’ un marchio romano…tu sei romano.

I miei occhi vibrarono. Bulma aveva detto un giorno che quello era uno strano sfregio.

Era una notte. Dopo la cerimonia dei cervi. Il giorno seguente sarei partito per la mia prima stagione di caccia. Ero al villaggio da sei settimane. Eravamo sul lago. Lei correva a piedi nudi nell’acqua e io la fissavo. Un po’ scettico , un po’ incantato. Rideva e ballava con i talloni alzati.

- Vieni coraggio!

- No….non sono tipo da queste frivolezze.

Mi si era avvicinata, saltellando sull’erba. Mi aveva afferrato la mano e mi stava tirando  verso l’acqua.

- Non fare il burbero!!! E’ così fresca!!

-  Bulma non insistere…

- Ma – aveva avvertito qualcosa sotto le sue dita- cos’è questa ustione?

- Non lo so…la avevo già.

Lei aveva portato il mio polso al bagliore della luna e con le mani umide lo toccava interessata.

- Sembra un uccello…magari è impresso col fuoco.

Sollevai il sopracciglio mentre nei suoi occhi potevo scorgere l’affiorare di mille storie avventurose legate a quella bruciatura.

Ho sempre pensato che le piacessi perchè, con un passato così buio, poteva sbizzarrirsi ad immaginarmi protagonista di mille gesta e imprese.

-  No. E’ solo una bruciatura. Forse con l’olio o con l’elsa di una spada.

-   Non essere scettico.. magari sei il capo del clan dei…polli.

-  Polli?

-  Beh sembra un pollo…

-  Cosa?! Non è vero!

Divincolai la mia mano ma ormai lei aveva preso a saltarmi intorno:

 

- Pollo, Pollo!!! Cocococo ! –  poi era scoppiata in una  risata cristallina.

- Ah davvero?!

L’avevo sollevata sulle spalle e l’avevo gettata nell’acqua mentre ancora lei rideva. Quando riemerse rideva ancora più forte.

-  Come è permaloso Pollo – Vegeta!

- Molto simpatica. Ora che me lo fai notare…sembra un’aquila.

Usci fuori dall’acqua e mi saltò addosso. Non potei fare altro che tenerla tra le braccia.

-  Una aquila? Forse un falco…

-  Non fa differenza.

I capelli le scendevano morbidi sul collo e gocciolavano sul mio petto. Un brivido mi attraversò la schiena.

 - Ok vada per l’aquila…ma io sono convinta che sia un falco.

Tornai al presente e digrignai i denti.

-  Vegeta? Capisci ora?

-  Sono passati 17 anni da quando sono qui….

-Lo so…ma…la tua legione si perse e non sapevamo più dove fossi…ora ti abbiamo ritrovato…Fratello.

Mi si fermò il cuore. Come a fare silenzio per lasciarmi udire meglio.

Fratello.

- Cosa?

-Nostra madre si chiama Giulia. E’ romana. Nostro padre Bardack. E’ egiziano.

-  No…

-  Si….eravamo a comando delle  12 legioni del Falco Rosso. E’ la verità. Possibile che non ricordi?

Chiusi gli occhi. Non volevo più ascoltare.

- No.

- Torna con me a Roma. Lasceremo questa gente.

- No. – urlai mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.

-Vegeta ma…- lui aveva tentato di sollevare il collo ma la fermezza della mia ascia lo sorprese

 

Puntai con più forza la mia ascia sulla sua gola.

-  Mi dispiace ma ho rinunciato al mio passato molto tempo fa…-respirai profondamente e lo guardai intensamente negli occhi.  Una parte di me sperava di non vedere nulla, di non vedere il mio passato. Eppure immagini sfocate e un profondo senso di infelicità mi avvolse.

Se una parte della mia anima aveva deciso di dimenticare quella storia significava che era destino che andasse persa. Per sempre

Lo schizzo di sangue arrivo fino al mio viso. Alzai gli occhi al cielo. Dentro di me sentivo riaffiorare i ricordi. Il mio passato stava tornando. Ma a me di quel passato più nulla importava.

Gli unici ricordi a cui mai ho attinto da quel momento sono quelli degli anni al villaggio. Perché erano quelli che importavano. E mai permetterò che i nostri ricordi  vengano persi.

 Te lo prometto, Bulma.

   
 
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