Benvenuti
a quest’ultimo appuntamento con Neko to Inu! ^o^ Non è proprio l’ultimo
in verità, ma il prossimo capitolo è l’epilogo ù__ù
Non
partirò con le solite crisi per il mio ritardo, non vi interessano e volete
giustamente leggere dopo… quanti mesi? Sei? Cinque?
Boh >__>
Consolatevi
però, il capitolo è lungo e ricco di scene! XD
Buona
lettura!
Aryuna
Unintended choice
“KAGOME!!!”,
strillai, saltando verso le quinte. Sentivo la folla borbottare confusa, troppe
voci che affollavano le mie orecchie troppo sensibili. Erano superflue. Inutili esistenze che attraversavano la mia vita
senza lasciare alcuna traccia. Non dovevano frapporsi tra me e Kagome, come aveva appena scioccamente fatto l’uomo che
brandiva il microfono.
“Inuyasha?”. Mi fermai di scatto. Era una voce maschile, che
non conoscevo. Come faceva a sapere il mio nome? Fissai gli occhi sulla figura
dell’uomo in questione, a vista un trentenne con capelli scuri, legati, e uno
sguardo fin troppo calmo.
“Cerchi
Kagome?”. Mi prese alla sprovvista, e inarcai un
sopracciglio. Non sapevo che pensare, ma al contempo la mia mente di affollava
di troppi concetti che la facevano sentire piena e vuota allo stesso tempo: era
come essere invasi da un’ondata di adrenalina, tutto scorreva così lento. “Posso
portarti da lei”. Questo non faceva che confondermi ulteriormente. Quell’uomo
aveva qualcosa di sospetto. Eppure, quando si incamminò verso il camerino di Kagome – potevo sentire la sua scia, era passata di là – non potei evitare di seguirlo. C’era una
donna poggiata alla porta: era la stessa che aveva seguito Kagome
nel mio palazzo. I suoi occhi, dal taglio felino, si soffermarono sui miei.
L’ondata di odio che mi travolse fu impressionante. Avanzò a grandi passi verso
di me, a tal punto che temetti di venire travolto. E invece, con una sequenza
di rapidi movimenti si fermò davanti a me…
E mi
schiaffeggiò.
“Questo
è per aver fatto soffrire Kagome”, sibilò. Mi misi
una mano sulla guancia dolorante, confuso. Stava ancora con la mano a
mezz’aria, quando la fece tornare indietro alla stessa velocità, schiaffeggiandomi
anche l’altra guancia con il dorso. “Questo è per aver interrotto il concerto”.
La mano era ancora una volta immobile, pronta a colpire nuovamente. Erano tutte
accuse fondate, e non riuscivo assolutamente ad oppormi a quei due. Uno era
troppo calmo, l’altra era troppo violenta, e mi spiazzavano completamente.
Quando ebbi l’impressione che stesse per muoversi nuovamente, chiusi gli occhi,
pronto ad essere colpito nuovamente con una buona scusa.
“E questa…”. Sentii la sua mano calda prendere la mia, e
lasciarci qualcosa di piccolo e altrettanto caldo. Aprii gli occhi,
concentrandoli immediatamente sul piccolo oggetto. Era una chiave. “È la chiave
del camerino di Kagome”, terminò la donna, fissandomi
seria. Per un attimo vidi la sua rabbia sparire dal suo sguardo. Un attimo
molto breve. Mi fulminò nuovamente, e
venni travolto dall’ennesima sensazione di confusione…
e paura. “Ma se la farai piangere, soffrire, o anche solo deprimere per un
millesimo di secondo”, sussurrò, poggiandomi una mano sul petto, minacciosa,
“ti ridurrò in uno stato tale che nemmeno tua madre riuscirà a distinguere la
tua sporca faccia dal tuo culo puzzolente”.
Deglutii.
“Voglio
una risposta”, ringhiò, facendomi sobbalzare. “S-Sì”,
risposi balbettando, con la forte tentazione di rispondere invece con un più
completo ‘sì, signora!’. Mi spinse
verso la porta del camerino, senza staccarmi gli occhi di dosso.
“Su, Sango, calmati”, la pregò il ragazzo, mettendole un braccio
sulle spalle. Lei sbuffò, fulminandolo, ma lui, a differenza mia, non fece una
piega. Mi voltai nuovamente verso il camerino.
Avevo
perso già troppo tempo con i due scellerati.
La
chiave girò nella toppa, lentamente. Troppo lentamente.
Sango apriva sempre la porta come un uragano. Alzai
lo sguardo, impaurita. Non pensavo che sarei stata così nervosa. Eppure non
aspettavo altro da giorni. Lo volevo, lo volevo con tutto il mio cuore. Speravo
che fosse così, che fosse davvero amore. Non potevo sopportare di essere la
donna di un uomo che odiavo.
La
porta si aprì lentamente, svelando proprio quella vista che desideravo e temevo
allo stesso tempo. Inuyasha era lì, davanti a me, e i
suoi occhi dorati mi fissavano… come se volesse
mangiarmi.
“Inuyash…”, cominciai subito, terrorizzata, appiattendomi
contro l’angolo del divano. “Non parlare”, mi fermò lui. Mi azzittii, come
ordinato, ma la paura si stava impadronendo di me. Avevo paura che perdesse il
controllo. E avevo paura di perderlo anch’io. Chiuse gli occhi, e prese un
respiro breve e rapido. Lo vidi stringere i pugni.
“Questa
stanza”, cominciò lui, aprendo lentamente gli occhi, “è satura del tuo odore”.
“Inuyasha, io…”. “No”, mi fermò
nuovamente, accompagnandosi con un gesto della mano, “sto cercando ancora di
controllarmi”. Sospirai, e il suo odore raggiunse il mo naso, fermando il
fastidioso pizzicore che lo assillava da giorni. Venni percorsa da un brivido,
e lo fissai avida. Lui inarcò le sopracciglia, sembrava confuso.
“Kagome, i tuoi occhi”, mi avvertì. Spostai il mio sguardo
sullo specchio, contemplando confusa il mio riflesso. C’era un luccichio strano
sulle mie iridi. Non mi resi conto immediatamente che erano diventate dorate.
“Ok”,
dissi annuendo nervosamente, “ok, sai come facciamo? Facciamo che tu rimani lì,
sulla porta e io rimango qui sul divano. Così possiamo parlare senza
aggredirci. Ti va?”. La mia voce era spezzata e troppo acuta, ma lui richiuse
la porta senza fiatare.
“Va
bene. Facciamo come vuoi tu”. Peccato che subito dopo calò un silenzio
agghiacciante. Ovvio, passato il terrore di aggredirci a vicenda dovevamo
affrontare i problemi. E nessuno di noi sapeva da dove cominciare. La mia mente
si affollò di pensieri, avida di sapere la verità su tutto ciò che mi
confondeva. Mi amava o no? Era solo attrazione fisica? Perché era sparito da
casa di Rin senza avvertirmi? Chi era quella donna? E
perché non si era più fatto sentire?
“Kikyo…”. Concentrai meglio lo sguardo su di lui. Non mi
stava guardando, e sembrava imbarazzato. Kikyo? Era
il nome di quella ragazza? “Lei era la mia ex”, ammise, fingendo indifferenza.
Questo non fece che peggiorare il mio umore. Ero isterica, e simili
affermazioni mi facevano ribollire il sangue. Artigliai un cuscino e glielo
lanciai dritto sul volto.
“FUORI
DA QUESTA STANZA!”,strillai, cercando vicino a me qualcosa di più grande e solido da lanciargli. Tipo un comodino,
per intenderci. Di spigolo. Appuntito.
Lui scansò il cuscino, fermandolo con la
mano, osservandomi confuso e preoccupato.
“Ehi,
ho detto ex!”, sottolineò, trattenendosi dall’urlare. Stava cercando di frenare
il suo carattere impulsivo. Sbuffai, fulminandolo, decisamente poco convinta.
“Ah,
sì? E che ci faceva a casa tua?”, domandai in tono di sfida. Non aveva
scusanti, non poteva averle. Lui si irrigidì. Visto? Non le aveva!
“Ecco…”, cominciò, cominciando a torturare il cuscino che
teneva tra le mani, “devo proprio parlarne?”. Spalancai gli occhi, incredula.
Proprio parlarne? Proprio parlarne?!
Perbacco se doveva! No Inuyasha, guarda, mettiti pure
comodo sul divano, anzi, magari vuoi il tè con i pasticcini? Mi faceva proprio
imbestialire, la mia ricerca di qualcosa da tirargli contro si fece più
motivata. Lui sembrò notarlo, perché deglutì.
“Ok,
ho capito, va bene”, disse, proprio mentre afferravo un pericolosissimo
fermacarte di cristallo, pesante e adatto
all’omicidio. Inarcai un sopracciglio perplessa. Lui prese qualche respiro,
probabilmente indeciso su come cominciare. Io, dal canto mio, ero molto
confusa. Finalmente lo avevo davanti, la tentazione di saltargli addosso era
mostruosa. E invece stavo lì, seduta sul divano a fissarlo, aspettando risposte
di cui effettivamente non mi interessava nulla. Non importava chi era la donna
nella sua casa. Sapevo di non potergli stare lontano, e questo mi bastava.
Eppure il terrore di sentirmi rifiutata sembrava talmente forte da impedirmi di
alzarmi e muovere verso di lui.
“Kikyo è scappata di casa tempo fa”, cominciò finalmente,
soffermai le mie iridi dorato scuro su di lui, “perché la trattavo…
male. Non fraintendermi, non intendo che la picchiavo. Ma non riuscivo a
conviverci bene e non ricambiavo affatto il suo modo di aiutarmi.” Mi fissò,
soffermandosi sui miei occhi caldi. Ormai riuscivo ad interpretare i suoi
sguardi come se potessi leggergli nella mente. Era sorpreso dal cambiamento dei
miei occhi, e questo lo attraeva. Immaginai che anche il mio odore stesse
aumentando di intensità, perché i suoi occhi si fecero più accesi e rividi la
stessa espressione di quel giorno, a casa di Rin: era
affamato. Rabbrividii, stringendomi
le spalle. Suonava così mostruosa
quella parola. Cercai di convincermi che non mi avrebbe certo mai fatto del
male.
“Inuyasha?”, domandai, sperando che la mia voce potesse
riscuoterlo, e pregando di non ottenere l’effetto contrario. Lui sbatté le
palpebre un paio di volte, confuso. “Stavi dicendo che era scappata”, gli
ricordai, anche se quella storia mi innervosiva. Perché quella ragazza poteva
stargli accanto e io no? Perché lui glielo permetteva?
“Sì.
Kikyo mi sosteneva economicamente mentre finivo gli
studi all’università e al conservatorio”, continuò. “Conservatorio?”, lo
interruppi subito, confusa. Inuyasha? Conservatorio? Le immagini morbide e
eleganti che mi inspirava quella parola facevano decisamente a pugni con la sua immagine, spigolosa e violenta. Lui
tossì, forse intuendo i miei pensieri. “Facevo chitarra”, quasi ringhiò, “e ho
dovuto abbandonare il corso all’ultimo anno per cominciare a lavorare quando Kikyo se ne è andata”. Di colpo capii perché un ragazzo con
una casa così grande si ritrovava a fare il tuttofare. Inuyasha
si era ritrovato di colpo nei guai per colpa della sua ragazza. Dentro me
sentii l’antipatia nei suoi confronti accentuarsi, mentre la mia mente era
invasa dalla gelosia e dai termini di paragone: anche io potevo sostenere
economicamente Inuyasha, e potevo anche trovargli un
lavoro nel campo musicale. Potevo e volevo farlo.
“Ho
capito”, cominciai, molto lentamente. La mia voce era bassissima, e non
riuscivo a parlare con un tono più forte. Lentamente sentivo tutto attutirsi
attorno a me: i suoni, i movimenti, i colori si facevano più spenti. Riuscivo
solo a rimanere concentrata su Inuyasha. “Ho
sbagliato a giudicare la situazione così in fretta”, ammisi infine. Lui
sembrava in imbarazzo, perché distolse lo sguardo.
“Credo
sia normale”, mi disse, “in fondo eri spaventata”. Spaventata? I ricordi della
settimana passata riemersero nella mia mente offuscata dal suo odore. Ah,
giusto. Ecco perché era in imbarazzo.
“Non…”, dissi, ma mi bloccai per un breve attimo, “non sono
arrabbiata”. Già, non lo ero. O almeno non più. In verità non ero mai stata
davvero arrabbiata con lui per quello, ero più arrabbiata con il mio destino
ingiusto. O almeno, che io credevo
ingiusto. “Non ho detto che eri arrabbiata”. Mi bloccai, mozzandomi il respiro.
Inuyasha mi stava fissando con uno sguardo strano.
Era diverso dal suo solito sguardo, così acceso e scontroso. Era terribilmente… triste.
Il solo guardarlo mi faceva spezzare il cuore. “Che eri…
che sei arrabbiata lo sapevo”, continuò lui, “e anche che eri spaventata in
verità”.
“Non
sono arrabbiata”, mi costrinsi a dire con maggior trasporto, “non lo sono Inuyasha! Ero spaventata, e ammetto che prima ero anche
arrabbiata, ma non con te”. Sembrò credermi, perché il suo sguardo ottenne
nuova luminosità. Questo mi fece sentire sollevata. Non potei evitare di
sorridere, per un breve attimo.
“Mi
sono tranquillizzata adesso”, spiegai lentamente, “so che non è stata colpa
tua, e adesso so anche che non avevi cattive intenzioni”. Feci una breve pausa.
Scegliere le parole in una situazione così delicata era molto complicato.
“Credo che… dovremmo parlare un po’. Di questa
situazione in cui ci siamo ritrovati… e di noi”. Lui
annuì, ma non si schiodò dalla porta. Si vedeva che aveva paura: era lui quello
spaventato, non io. Ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a capire di cosa
lui dovesse avere paura.
“Inuyasha, siediti qui”, gli dissi, con tutta la dolcezza
possibile. Lui si irrigidì, rimanendo immobile. “Mi tengo lontana per
sicurezza, ma ti prego, siediti qui sul divano”, lo implorai, cercando di
spingere sul tasto dolente, “mi sento a disagio a vederti lì in piedi. Sembri
un imputato alla corte e io il giudice. Ma io non sono qui per giudicarti”. Lui
mi guardò fisso negli occhi. Stava valutando la situazione, probabilmente
quanto poteva resistere accanto a me.
“Va
bene”, decise infine, “ma stai attenta”.
Annuii,
decisa a non farlo pentire della sua scelta.
Mi
avvicinai molto cautamente a Kagome. Nel momento
stesso in cui ero entrato in quella stanza ero diviso tra due emozioni
contrastanti: la prima era l’impulso di renderla mia all’istante, come già era
successo a casa di Sesshomaru, ma la seconda mi
permetteva di mantenere la lucidità.
Ero
terrorizzato. Avevo una paura impressionante di perdere il controllo, paura di
spaventarla di nuovo, paura di non fermarmi. Contrariamente a Kagome, io sapevo cosa sarebbe successo se fosse avvenuto
il peggio. Inoltre non ero affatto convinto che Kagome
fosse innamorata di me. Lei era molto più umana, non sarebbe stato affatto
strano se le sue due nature si fossero ritrovate in contrasto.
Mi
sedetti con altrettanta cautela, cercando di mantenere comunque le distanze.
Perché avevo accettato di avvicinarmi? Forse avevo troppa paura di vederla
sparire davanti a me come già precedentemente era successo.
“Io…”.
“Io…”. Mi bloccai, guardandola. Avevamo cominciato a parlare
contemporaneamente. Lei sorrise impercettibilmente a questa coincidenza, e le
feci cenno di continuare. “No, vai tu”, ribatté invece lei, in un automatico
gesto di cortesia. Non mi andava di andare avanti a lungo con quel botta e
risposta, di conseguenza mi feci coraggio e presi un respiro profondo.
“Io
vorrei mettere in chiaro la situazione”, cominciai con troppa foga. Non
riuscivo più a trattenere tutto ciò che mi esplodeva dentro. E l’unica che
potesse condividerlo con me era Kagome.
"Guarda che da Sesshomaru",
cominciai, ma mi fermai subito. Non trovavo le parole per essere delicato e carino;
non era da me esserlo. La guardai, sperando di trovare qualche aiuto nei suoi
occhi ambra, ma non facevano altro che confondermi di più. "Non...".
Lei continuava a guardarmi confusa, forse con una punta di preoccupazione.
"Non credere che mi interessassi! Ti ho aggredito contro la mia
volontà!", quasi strillai, guardandola fin troppo intensamente. Lei mi
fissò inizialmente confusa e spiazzata. Poi, d'improvviso, la vidi tirare su
con il naso.
Oh no.
NO!
"No, Kagome! Calmati,
non hai capito!", cercai di calmarla, ma lei aveva già cominciato a
piangere come una fontana, e sembrava non voler smettere più."Tu...",
balbettò, guardandomi con gli occhi bagnati e singhiozzando. Vederla ridotta
così mi ammutolii. "Dillo che non ti piaccio! Ecco perché mi hai fatto
pagare il pigiama!", strillò di colpo, facendomi sobbalzare. Mi fissò
arrabbiata per qualche secondo prima di scoppiare nuovamente in lacrime.
Il... il pigiama?
"K-Kagome",
cominciai spiazzato, "scusa ma cosa c'entra questo adesso?".
"Sai che ti dico?", mormorò con voce strozzata, "puoi tenertela
la tua maglietta sbrindellata!". La guardai senza parole, con gli occhi
spalancati. Stava proprio dando i numeri, ma alla grande!
"Kagome, non hai
capito niente!", mi arrabbiai; non riuscivo a sopportare quel tono
infantile che stava avendo, proprio quando io stavo cercando di parlarle
seriamente. Lei immerse il volto tra le braccia, poggiandosi allo schienale del
divano.
"Ti odio".
Rimasi paralizzato. Non mi guardava, ma continuava a
singhiozzare. Sentii il sangue salirmi al cervello, cancellando ogni altro
pensiero. Qualcosa in me si stava smuovendo, e dovevo impedirlo. Perché doveva sempre
comportarsi così stupidamente? Perché doveva provocarmi in quel modo? Non aveva
ancora capito quanto potessi essere pericoloso per lei? "Kagome, sei una stupida!", strillai scattando in
piedi. Lei rialzò il volto rigato dalle lacrime. Il trucco le era colato, ma
riusciva a essere terribilmente affascinante e attraente anche in quelle
condizioni. "Stupida io?!", strillò a sua volta, alzandosi come me,
"Tu dovresti cucirti la bocca, e ringraziare che non ti ho denunciato per
violenza!". Si voltò, probabilmente decisa ad andarsene, concludendo così
il nostro discorso. Eppure la vidi muoversi così lentamente, come se stesse
esitando.
Quella sua frase... era stata così ingiusta.
Senza neppure rendermene conto, l’avevo affettata
istintivamente per il polso. Si rivoltò verso di me, per divincolarsi. Aveva
un'espressione adirata, ma al contempo così triste. Sembrava che dentro di lei
si fosse infranto qualcosa. Ero sicuro di sentirla urlare di nuovo, ma invece
quando mi guardò negli occhi ammutolì.
"Ti sbagli", riuscii a dire dopo un breve
silenzio. La mia voce era solo un debole e roco sussurro, oppresso da tutto ciò
che premeva dentro di me. Da tutto ciò che mi aveva detto, non potevo dedurre
che una cosa: una parte di lei mi odiava. E io non potevo fare nulla se non
cercare di far sopravvivere almeno lei a quel fato ingiusto. "Ti sbagli, Kagome. Io... io mi rendo che può sembrarti impossibile, ma
non volevo che finisse così. Non volevo aggredirti a casa di Sesshomaru, non volevo che Kikyo
tornasse, e vorrei tanto essere bravo ad esternare i miei pensieri, ma non lo
sono. Finisco sempre per esprimermi male, e nessuno capisce mai quello che
provo veramente". Mi interruppi di colpo: dove volevo arrivare? Lei mi
avrebbe odiato comunque. Parlarle con sincerità avrebbe davvero cambiato
qualcosa? "Mi dispiace", riuscii a dire distogliendo lo sguardo,
"io non... non riesco a starti lontano. Ci ho provato, te lo assicuro, ma
è inutile. Il tuo profumo è troppo forte". Sentivo il suo sguardo pesante
su di me, insopportabile e magnetico. Ma dovevo costringermi a controllarmi, a
non guardarla. "Io non voglio condannarti a starmi accanto se mi odi.
Voglio solo che tu sia felice, e se non vedermi più servisse a qualcosa, sono
ben disposto a spezzarmi gambe e braccia per impedirmi di raggiungerti.
Però...". Mi costrinsi a sollevare lo sguardo, anche se sentivo le guance
calde, e incrociai le sue meravigliose iridi dorate. "Però io voglio che
tu sappia una cosa. Non volevo abusare di te da Sesshomaru.
Sei la cosa più preziosa per me al mondo, e non ti farei mai del male. Quella
volta... ho avuto così paura della mia reazione che anche adesso la parte umana
di me riesce a frenare l'istinto che ho di...". Mi fermai di colpo,
guardandola confuso. C'era qualcosa di diverso in lei. "Kagome?". La sua pupilla si era allungata, come quella
di un gatto, e mi fissava avida.
"Tu mi ami, Inuyasha?".
La fissai spiazzato. Il suo sguardo era troppo
intenso e concentrato. Dovetti distogliere lo sguardo per mantenere il
controllo. Perché doveva fare domande così dirette? Sentii il calore alle
guance aumentare, chiaro segno che stavo arrossendo notevolmente.
"Ecco... diciamo di sì", abbozzai
timidamente. "Sì?", insistette lei subito, senza darmi neppure il
tempo di pensare. Presi un respiro profondo, voltandomi verso di lei con gli
occhi chiusi. "Sì", risposi aprendoli e fissandola.
Ma, quasi prima di finire la risposta, mi ritrovai
scaraventato sul divano.
Non mi resi immediatamente conto della situazione.
Mi ero mossa troppo velocemente, talmente tanto da spaventarmi. La mia mente
fissava la scena con razionalità, ma sembrava completamente separata dal corpo.
E, contemporaneamente, sentivo rimbombare nella testa un pensiero fisso, che
continuava a occuparla, sotterrando ogni pensiero logico. Era come essere
divisa in due.
Inuyasha mi fissava; gli occhi
affamati cercavano di trattenersi, come anche lui. Aveva artigliato il divano,
e si era appiatto del tutto contro di esso. Quando la mia parte razionale fu in
grado di farsi un piccolo spazio nella mente, mi resi conto ciò che aveva
causato quel mio gesto troppo veloce.
Lo avevo scaraventato sul divano, ed ero salita a
cavalcioni su di lui, tenendo le mani ben premute contro il suo petto.
Lentamente il mio controllo cominciò a cedere, invaso da uno strano istinto
irrefrenabile.
Lui mi amava.
Non mi aveva aggredito per approfittarsene, non era
colpa sua se la sua ex si era presentata da lui. Mi venne da piangere, ma i
miei occhi si rifiutavano di farlo. erano concentrati solo su di lui. Sentivo
il bisogno di averlo, solo per me. Non avevo più bisogno di mentire a me stessa
per non soffrire.
"Kagome, scendi
immediatamente". La sua voce era fredda, fin troppo misurata. Per la
seconda volta, mi sembrò di avere davanti Sesshomaru
invece di Inuyasha. "No", risposi secca,
"non ci riesco".
Lui inarcò le sopracciglia, facendo una strana
smorfia. Non mi sarei fatta sfuggire l'occasione di persuaderlo. Lasciai
scorrere le dita sul ruvido tessuto della sua camicia, seguendone i dettagli
con lo sguardo. Anche quella profumava di lui? Era così vicino che non riuscivo
a dirlo con certezza. Avevo attirato la sua attenzione con quei gesti lenti e
calcolati, probabilmente stava cercando di analizzarmi lentamente. Raggiunsi
lentamente il suo colletto, per poi passargli la mano sul collo. Lo vidi
rabbrividire per un attimo al contatto, la mia mano era incredibilmente fredda
rispetto alla sua pelle calda. "Kagome?".
La sua voce era nuovamente un sussurro roco; stava cercando di farmi ragionare.
Il mio sguardo abbandonò la mia mano, per soffermarsi di nuovo sui suoi occhi
ambra.
"Ho fatto la mia scelta involontaria",
sussurrai, carezzandogli una guancia dolcemente, con il dorso della mano
libera, "di ricostruire la vita che avevo prima. E non mi pentirò".
Sorrisi, mentre lo vedevo già pronto a ribattere. Dov'era finita la divisione
della mia anima? Non riuscivo più a percepirla. Ero invasa solo da una profonda
dolcezza, e da una sola certezza. Mi chinai su di lui, percependo il contatto
con il suo petto, e lascia scivolare con delicatezza le mie labbra sulle sue.
Lo sentii irrigidirsi a quel contatto inaspettato, ma sapevo che non aveva la
forza di respingermi: stavo approfittando di questa sua debolezza, ma era il
mio unico punto di forza. Continuai a baciarlo a fior di labbra, con dolcezza,
cercando di farlo sciogliere un poco. Mentre continuavo a carezzargli il collo
con la destra, cominciai a giocare con ciocche dei suoi capelli argentati con
la mano sinistra. Finalmente sembrò sciogliersi un poco, e ne approfittai per
baciarlo con maggior trasporto. Sentivo che era ancora teso, e sentivo stridere
il cuoio del divano che non si decideva a lasciare. Anche quando lo sentii
respirare con più tranquillità, continuava a tenersi saldamente
aggrappato con le unghie.
Bè, sarei riuscita a fargli
lasciare quel maledetto divano.
Lasciai scivolare lentamente le mie mani sul suo
petto, raggiungendo i piccoli bottoni della sua camicia scura. Lui mugolò
qualcosa, protestando, ma mi affrettai ad approfondire il bacio per zittire le
sue lamentele. Sbottonai con lentezza calcolata i lembi della camicia, e passai
le mie mani fredde sul suo petto marmoreo. Lo sentii rabbrividire al contatto,
e passai alla sua schiena per accentuare l’effetto. Sapevo bene che lo stavo
conquistando pezzo per pezzo. Scesi con le mani fino ai fianchi, raggiungendo
la cerniera dei suoi pantaloni. Lui protestò, ma lo ignorai, sbottonandoli e
abbassando la zip. Ma quando tornai con le mani sui suoi fianchi, lui mi prese
per i polsi, e mi costrinse a staccarmi da lui. Sentii un improvviso gelo sulle
labbra, e capii che era lo stesso per lui. Mi fissava con occhi avidi e
brillanti, e stava tremando.
“Kagome. No.”, disse con
voce ferma e autoritaria, fin troppo per la situazione. Io inarcai le
sopracciglia offesa.
“E perché no?”, domandai come una bambina a cui è
appena stato negato qualcosa. “No”, fu la sua unica e fredda risposta. Sentii
immediatamente le lacrime salirmi agli occhi.
“Lo sapevo!”, strillai offesa, dimenandomi. Lui mi
tratteneva, ma al contempo mi impediva di avvicinarmi nuovamente. “Tu non mi
ami veramente, sei un bugiardo!”, continuai ad urlare piangendo. Inuyasha si irrigidì, e lo vidi colmarsi di rabbia.
“STUPIDA!”, urlò lui a sua volta, “non hai capito
nulla!”.
Questo non fece che offendermi di più.
“Ah, è così?”, domandai con i nervi completamente
altrove, “allora non avrai problemi con questo!”. Mi dimenai, e lui perse il
controllo per un brevissimo istante. Si artigliò immediatamente al divano, per
evitare di aggredirmi, e io ne approfittai spudoratamente. Scattai in piedi, e
acchiappai i suoi pantaloni, cominciando a tirarglieli via.
“Kagome, mollali!”, stillò
lui, reggendoseli con una mano.
“L’hai detto tu che non ho capito nulla no? Bene,
allora non avrai problemi!”, continuai io, tirandoli con più forza con entrambe
le mani. Lui ringhiò. Mi immobilizzai di colpo, spostando gli occhi sul suo
volto. Era decisamente molto arrabbiato, lo capivo ad occhio.
“Sì, non hai capito proprio niente!”, strillò di
colpo, spaventandomi, “se vuoi morire così stupidamente fai pure! Ma io non ne
ho alcuna intenzione, quindi non mi coinvolgere nelle tue manie suicide!”.
“M-morire?”. La mia voce
era solo un sibilo, mentre la sua espressione si faceva sempre più seria.
“Mi hai detto che sono un bugiardo, ma semmai è il
contrario; sei tu quella confusa, non io. Scambiarsi il profumo non è una
sciocchezza, Kagome”, mi disse fissandomi negli
occhi, dimostrando una resistenza che non pensavo potesse avere, “nel momento
in cui si condivide il profumo del proprio compagno ci si unisce in anima e
corpo. La separazione fisica o psicologica è talmente insopportabile che porta
alla morte in breve tempo. Se uno dei sue lascia questo mondo, l’altro è
destinato a seguirlo. E lo stesso vale per la lontananza emotiva”.
“Non capisco”, ammisi, confusa e spaventata. Cosa
stava dicendo, così d’improvviso? Lo sguardo con cui mi fissava mi rendeva
inquieta.
“Sono convinto che tu mi odi”, confessò, cogliendomi
impreparata, “o meglio, la tua parte umana mi odia. Credo che sia una cosa che
può succedere a noi mezzi demoni. Se è così, allora saremmo destinati a morire
entro breve”.
Continuai a guardarlo senza sapere cosa dire. Era
per questo che era così determinato a tenersi lontano da me? Com’era possibile
che un matrimonio portasse alla morte.
“Allora Sesshomaru…”.
“Quando Rin morirà, lui la
seguirà. Gli rimarranno pochi anni di vita probabilmente”, sussurrò lui,
distogliendo per la prima volta i suoi occhi da me. Non sapevo più cosa
pensare. Era un mondo così lontano dal mio, così crudele. Mi vennero le lacrime
agli occhi.
“Capisco”, mormorai, ma la sua reazione mi spiazzò.
“No, non hai capito niente!”, sbraitò di colpo,
facendomi sobbalzare, “io ho il terrore di avvicinarmi a te, per paura di
condannarti a morte, e tu… tu…
mi salti addosso!”. Era terribilmente esasperato. E mi fece sentire mortalmente
in colpa.
“Non… non lo faccio più”,
fu l’unica stupidissima giustificazione che riuscì ad uscire dalla mia bocca.
Lui mi guardò, prima di sbuffare distrutto, lasciandosi cadere sullo schienale
del divano; si teneva ancora ancorato con gli artigli ai cuscini, ormai
completamente squarciati.
“È inutile”, mormorò al limite della pazzia. Lo
leggevo nei suoi occhi. “Siamo condannati, Kagome”.
Spalancai gli occhi. Condannati?
“Se è così mi terrò lontana, davvero!”, confermai
più convinta, sperando di farlo riprendere, “non mi avvicinerò finché non sarai
convinto che non ti odio!”.
Lui scoppiò a ridere, isterico. Mi stava
spaventando. Doveva avere i nervi a pezzi, come credeva di resistere in quelle
condizioni?
“Siamo condannati”, ripeté tristemente, reggendosi
la fronte con la mano, “siamo mezzi demoni, non potremo mai resistere, Kagome. Io sono già al limite, e tu lo sai”. Mi morsi un
labbro, in difficoltà. Niente di tutto quello aveva senso. Perché si tratteneva
ora se sapeva che presto non ci sarebbe più riuscito? Vedevo le sue forze
prosciugarsi davanti a me; il cuore mi si stringeva, in una sensazione
orribile.
“Io non ti odio”. Quelle quattro parole sfuggirono
dalle mie labbra, senza che me ne accorgessi. Lui alzò lo sguardo, fissandomi
confuso con quel solito luccichio nei suoi occhi ambra. “Non puoi dirlo Kagome, non ora”.
“Lo dico eccome!”, sbraitai di colpo, facendogli
inarcare le sopracciglia per lo stupore, “Tu non sai come mi sento, non sai
cosa provo! Come puoi dire che ti odio? Non è così, non è mai stato così!”.
“Non mentirmi, non funzionerà”, mormorò lui,
chiudendo gli occhi.
Quello fu il colmo.
“Sì, è vero! Ti odio quando fai così! O quando mi
rispondi a monosillabi! O quando mi affitti il pigiama!”, strillai isterica, “Ma… è normale… giusto?”. Sollevai
gli occhi dal pavimento, sul quale li avevo puntati: Inuyasha
mi fissava confuso.
“Questo non è odio, Inuyasha”,
continuai in un sussurro, che sapevo lui avrebbe udito, “l’odio vero, quello
per te non l’ho mai provato. Non mento, e non riuscirò mai a farlo: è questo
che ho capito in questi giorni di lontananza. Non sono neppure capace di
convincere me stessa di odiarti, e nessuno mi ha mai creduto”. Sbattei le
palpebre un paio di volte, prima di rendermi conto che avevo gli occhi umidi.
“Io volevo davvero essere in grado di odiarti! Stavo così male, non riuscivo a
sopportare il dolore della lontananza, ma… non ci
sono riuscita”, terminai con voce strozzata, cercando di fermare le lacrime,
asciugandole con il dorso delle mani. “Non… non ci
riuscirò mai… e voglio che sia così…
Oh, stupide lacrime!”, strillai, “non smettono di scendere!”. Strofinai con
forza le dita sulla guancia, quando una mano calda si posò con delicatezza
sulla mia, fermandola. Spalancai gli occhi, fissandoli incredula su Inuyasha, in piedi a pochi centimetri dal mio volto.
“È la verità?”, domandò in un sussurro, con voce
roca, facendomi arrossire. “Sì”, risposi con sincerità, posando la mano bagnata
sulla sua guancia. Lui si avvicinò, asciugandomi una lacrima con un bacio.
Sorrisi, ma mi scansai; lui mi fissò confuso.
“Inuyasha, riesci a
resistere qualche minuto?”. Non rispose subito, valutò la risposta. “Sì”, disse
infine, trattenendo il respiro, “sempre che sia qualche minuto”.
Sorrisi, avvicinandomi al tavolino, e prendendo una
scheda magnetica, con sopra impresse lettere dorate. Lui mi seguiva noi miei
spostamenti, ma non mi infastidiva affatto: riusciva, non so come, a non
intralciarmi mai nei movimenti. Aprii la finestra, per poi voltarmi verso di
lui sorridente.
“Andiamo al mio albergo. Non ti dispiace portarmi in
spalla, giusto?”, domandai retorica, conoscendo bene la risposta. Anche lui
sorrise.
“Certo che no, salta su”.
Kagome aveva calcolato bene i tempi,
impiegai solo pochi minuti a raggiungere il suo albergo. Certo, essere fuggiti
dalla finestra come due fuorilegge mi aveva fatto una strana impressione.
Stavo dietro di lei, mentre passava la chiave
magnetica nella fessura della serratura. Era davvero un’impresa trattenersi ora
che non c’era più la paura a bloccarmi. Kagome aprì
la porta, e cominciò a cercare il pulsante della luce. La abbracciai, senza
darle il tempo di accenderla, e le baciai il collo scoperto. Lei rise.
“Inuyasha! Un attimo!”, si
lamentò ridendo, ma la ignorai. Anche lei stava crollando, e io la volevo
subito. La porta si chiuse da sola dietro di me, lasciandoci nel buio totale.
Le scansai i capelli dal collo, mentre le cingevo la
vita con delicatezza. La sentii cedere,
quando si voltò verso di me per baciarmi. Da lei mi aspettavo un bacio timido,
non certo quello passionale e focoso che mi diede.
Forse fu proprio quello a farmi perdere
completamente il controllo.
“Kagome…”, mormorai sulle
sue labbra, per poi catturarle con le mie. Lei gemette, infastidita dal mio
eccessivo trasporto, ma mi assecondò quasi subito.
“Inuyasha… un attimo…”, gemette ancora, mentre le scoprivo la spalla,
tirandole il colletto della maglietta a maniche corte che indossava. Lei si
allontanò da me, privandomi del piacere di quel piccolo dispetto che le stavo
facendo. Mi teneva la mano, e mi guidava nel buio, dove i miei occhi demoniaci
cominciavano a distinguere nitidamente gli oggetti. Mi fece sedere sul letto, e
quando provai a baciarla si ritrasse.
“Mhhh”, mugolai
infastidito, e lei rise. Una risata irresistibile.
“Adesso ho esaurito l’ultimo goccio di autocontrollo
che mi era rimasto”, sussurrò, sedendosi a cavalcioni sulle mie gambe, “e non
ti resisterò più”.
Era proprio la frase che avevo bisogno di sentire.
Prima che potesse fare da sola, le sfilai con
rapidità la maglietta, spettinandole inevitabilmente tutti i capelli. La sentii
ridere e sbuffare contemporaneamente. Amavo quella risata. Avrei potuto passare
le mie intere giornate a sentirla. Indossava un semplice reggiseno nero. Passai
le mie mani sulla sua pelle gelida, accarezzandole la schiena. Lei abbassò
nuovamente i suoi occhi nocciola su di me, sorridendo dolcemente. Era
decisamente imbarazzata, potevo capirlo dal colore purpureo delle sue guance.
“Sei bellissima”, sussurrai, carezzandole le spalle.
Lei distolse lo sguardo, mugolando debolmente, e coprendosi con le braccia.
Aveva gli avambracci con manicotti a righe nere e fucsia.
“Che cosa sarebbero quelli?”, domandai ironicamente,
per distrarla. Lei sbuffò, continuando a coprirsi. “Non è colpa mia se le idol si vestono così!”, rispose per ripicca, ma al contempo
si affrettò a sfilarseli. Sorrisi, sembrava proprio una bambina. Eppure amavo
anche quel lato infantile di lei. Le baciai il collo, mentre col le mani
cercavo la chiusura del suo reggiseno.
“No!”, si lamentò lei, ritraendosi. La guardai come
un cane bastonato. Lei arrossì nuovamente. “Mi sento a disagio”, borbottò,
“possiamo infilarci sotto le coperte?”. Io inarcai un sopracciglio, guardandola
perplesso. “Vestiti?”, domandai, cercando di trattenermi dal ridere. Lei
arrossì ancora di più. Questo non faceva che aumentare la mia impazienza.
“Io… è che…”,
balbettò lei, coprendosi nuovamente con le braccia, “non ho mai…
ecco… non so come fare!”. Mi fissò con i suoi grandi
occhi, come qualcuno che si è appena tolto un grande peso dalla coscienza.
“Devi solo fidarti di me”, sospirai, chiamando a
raduno tutto il mio autocontrollo. Le si inumidirono gli occhi.
“Ho paura!”. Oh cielo, ti prego fulminami!
“Scusami, Kagome”, cominciai
al limite dell’esasperazione, “ma non eri tu quella che mi era saltata addosso
nel camerino?”. Perché solo io dovevo affrontare situazioni tanto assurde? Lei
mi fissò con i lacrimoni, le mani davanti alla bocca
chiuse in due pugnetti innocenti: la tipica immagine
del coniglio sofferente che deve far desistere il cacciatore.
“Solo che…”, squittì lei,
tirando su con il naso, “non ero nel bel mezzo della situazione!”.
…
Perché questa frase è mostruosamente da lei?!
“Kagome”, cominciai
cercando di calmarmi, “comincio a chiedermi se mi ascoltavi quando parlavo
prima. Ti giuro che non ce la faccio più, ma così mi fai sentire un cane!”.
“Lo so ma… ho davvero
paura!”, continuò lei, “perché non so nulla su cosa devo fare, e come
comportarmi, e magari tu penserai che sono un’incapace, e magari starai male
con me, e…”.
“Frena, frena!”, la bloccai, sconcertato dalla
velocità con cui parlava, “Respira! E poi
ti senti? Cosa stai blaterando? Non potrai mai essere un’incapace, per
il semplice motivo che è con te che voglio stare, e non mi importa del resto,
di nulla e di nessuno!”. Lei si immobilizzò di colpo.
“Inuyasha”, mormorò,
fissandomi confusa, “queste effusioni non sono da te”.
Giustissimo. Verissimo.
Ma ormai ero troppo a pezzi per pensare a come sarebbe stato me stesso, o come avrebbe agito, o cosa
avrebbe detto.
“Khé!”, sbuffai, evitando
di sottolineare questo particolare, “comunque se non vuoi mi tratterrò… in qualche modo…
insomma, se mi rompo una gamba non posso mica fare miracoli!”.
“No!”, strillò lei, facendomi sobbalzare, “No. Mi
sono calmata adesso…”. Inarcai un sopracciglio,
perplesso. “Sicura?”. Lei annuì debolmente.
“Però…”. Ecco, le ultime
parole famose. “Posso toglierti la camicia?”.
…
“Ma che domanda è?”, chiesi esasperato, lei
ridacchiò leggermente. “Ecco…”, disse, arrossendo e
giocando con le dita, “è che io sono senza maglietta, e tu sei tutto vestito e… mi sento… a disagio”.
Sospirai, prendendole le mani tra le mie. Erano
ancora incredibilmente fredde. “Stai congelando”, sussurrai, avvicinandole al
mio volto. Le baciai delicatamente le dita, carezzandole ritmicamente per
riscaldarle.
“Devi impazzire davvero con una come me…”, mormorò lei dispiaciuta, “non capisco come tu faccia
a sopportarmi”.
“Non ricominciare, ti prego”, sbuffai sconsolato,
continuando a strofinarle le mani, “sto cominciando ad impazzire seriamente”.
“Ho ragione io, visto?”, mi fece notare, sfilando le
mani dalle mie. La fissai negli occhi, ma la sua espressione era illeggibile.
“Non lo dico come critica solo che…”, disse lentamente,
scegliendo le parole, “sei proprio sicuro che ti vada bene così?”. Rimasi in
silenzio, mentre faceva scorrere le mani sulla mia camicia, con aria distratta.
“È una domanda stupida, lo so. Tu mi hai già risposto, ma mi sembra davvero
incredibile che qualcuno non mi trovi noiosa e odiosa”. Strinse il mio colletto
con le sue piccole dita; mi sembrava così terribilmente fragile, come se fosse
di cristallo.
“Kagome, dove vuoi
arrivare?”, domandai, avvicinandomi al suo volto. Lei non si scansò stavolta,
ma non colmò neppure quel breve spazio che ci separava. Fece scorrere le dita
fino al primo bottone della mia camicia, mentre il suo respiro caldo mi
carezzava il volto.
“Non è che un giorno ti stuferai di me, e mi
lascerai indietro?”, domandò fermandosi di colpo. Io sorrisi, sollevandole il
mento con una mano, obbligandola a fissarmi con i suoi occhi oramai
completamente dorati.
“Impossibile”, sussurrai, baciandole delicatamente
le labbra. Le sentii incresparsi in un sorriso, prima di venir catturato da una
passione irrefrenabile.
Sentii la mia mente annebbiarsi, esattamente come mi
era successo altre volte.
In quel momento capii che non sarei più stato capace
di fermarmi.
Ogni mia resistenza cessò in quel momento, con quel
semplice e delicato bacio. Inuyasha era capace di
annullare le mie barriere in un attimo, con una semplice parola. Forse non si
rendeva conto dell’influsso che aveva su di me. Sorrisi inevitabilmente, e poi
improvvisamente lui approfondì il bacio, prendendomi alla sprovvista. Certo non
ero capace né volevo più resistergli. Cominciai a sbottonare rapidamente la sua
camicia, mentre ricambiavo il suo bacio appassionato. Sentii le sua mani
carezzarmi i fianchi, mentre le nostre labbra si cercavano, e le nostre lingue
si rincorrevano in un’antica danza da sempre conosciuta.
Finii di sbottonare l’ultimo bottone, e gli sfilai
la camicia con rapidità. Lui mi strinse a sé, con foga incontenibile. Mi
sentivo trasportata da emozioni che non avevo mai conosciuto prima, sentivo la
pelle bruciare, e solo il suo tocco riusciva ad alleviare quella piacevole
pena. Cominciavo a sentire il bisogno di averlo, di saperlo solo ed unicamente mio. Volevo che chiunque lo capisse,
doveva essere di mia proprietà, e
nessuna donna più potesse portarmelo via, come aveva fatto Kikyo.
Mi tolse la gonna, ma quasi non ci feci caso,
occupata com’ero ad accarezzarlo, baciarlo, volerlo.
Senza rendermene conto mi ritrovai stesa sul letto, lui sopra di me mentre mi
baciava il collo – focoso – e mi
carezzava il seno. Sentii la sua mano scendere sui miei fianchi, mentre mi arcuavo
contro il suo corpo caldo e accogliente. Percepivo il piacere che mi pervadeva ad
ogni suo movimento, in una danza ritmica e naturale.
Ero percorsa da brividi, aggrappata alla sua
schiena, il mio unico appiglio sicuro in quella situazione a me estranea.
Umana o demone? Non avevo mai capito quale era il
mio mondo prima di allora.
Adesso, invece, tutto era più chiaro.
Era lui. E
non l’avrei mai più lasciato.
Ci
ho messo tanto, lo so, ma la mia ispirazione era prosciugata ù__ù
Non
ringrazio a dovere, pur avendolo promesso, perché altrimenti aggiornerei
dopodomani >__>
Ringrazio
comunque tutti i lettori, e tutti coloro che hanno cominciato a leggere la
storia recentemente, rendendomi felice come una pasqua!!! *___*
Ricordate
di Commentare per supportare noi poveri scrittori! COMMENTATE!!! XD
Ringraziamenti:
-Roro
-Vale728
-Achaori
-LizzyeJane
-Monik
-Inufan4ever
*KIKKAAAAA!!! *___* Spupazz*
-Eriko
Chan
-
E tutti coloro che mi hanno aggiunto ai preferiti!!! ^^
Il prossimo capitolo ringrazierò a dovere, lo giuro!!! ç__ç *vorrei vedere, è l’ultimo! XD*