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Autore: Aryuna    05/06/2009    9 recensioni
Neko è una cantante di successo, ma essere famosi stanca! Fuggendo dal mondo dello spettacolo incontra Inuyasha, un tuttofare che forse, grazie a lei e alla sua musica, riuscirà a sistemare la sua vita...
“I’m strong, and now it’s my turn, I’ll show you the way”
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Benvenuti a quest’ultimo appuntamento con Neko to Inu! ^o^ Non è proprio l’ultimo in verità, ma il prossimo capitolo è l’epilogo ù__ù

Non partirò con le solite crisi per il mio ritardo, non vi interessano e volete giustamente leggere dopo… quanti mesi? Sei? Cinque? Boh >__>

Consolatevi però, il capitolo è lungo e ricco di scene! XD

Buona lettura!

Aryuna

Unintended choice







 

 

 

“KAGOME!!!”, strillai, saltando verso le quinte. Sentivo la folla borbottare confusa, troppe voci che affollavano le mie orecchie troppo sensibili. Erano superflue. Inutili esistenze che attraversavano la mia vita senza lasciare alcuna traccia. Non dovevano frapporsi tra me e Kagome, come aveva appena scioccamente fatto l’uomo che brandiva il microfono.

Inuyasha?”. Mi fermai di scatto. Era una voce maschile, che non conoscevo. Come faceva a sapere il mio nome? Fissai gli occhi sulla figura dell’uomo in questione, a vista un trentenne con capelli scuri, legati, e uno sguardo fin troppo calmo.

“Cerchi Kagome?”. Mi prese alla sprovvista, e inarcai un sopracciglio. Non sapevo che pensare, ma al contempo la mia mente di affollava di troppi concetti che la facevano sentire piena e vuota allo stesso tempo: era come essere invasi da un’ondata di adrenalina, tutto scorreva così lento. “Posso portarti da lei”. Questo non faceva che confondermi ulteriormente. Quell’uomo aveva qualcosa di sospetto. Eppure, quando si incamminò verso il camerino di Kagome – potevo sentire la sua scia, era passata di là – non potei evitare di seguirlo. C’era una donna poggiata alla porta: era la stessa che aveva seguito Kagome nel mio palazzo. I suoi occhi, dal taglio felino, si soffermarono sui miei. L’ondata di odio che mi travolse fu impressionante. Avanzò a grandi passi verso di me, a tal punto che temetti di venire travolto. E invece, con una sequenza di rapidi movimenti si fermò davanti a me…

E mi schiaffeggiò.

“Questo è per aver fatto soffrire Kagome”, sibilò. Mi misi una mano sulla guancia dolorante, confuso. Stava ancora con la mano a mezz’aria, quando la fece tornare indietro alla stessa velocità, schiaffeggiandomi anche l’altra guancia con il dorso. “Questo è per aver interrotto il concerto”. La mano era ancora una volta immobile, pronta a colpire nuovamente. Erano tutte accuse fondate, e non riuscivo assolutamente ad oppormi a quei due. Uno era troppo calmo, l’altra era troppo violenta, e mi spiazzavano completamente. Quando ebbi l’impressione che stesse per muoversi nuovamente, chiusi gli occhi, pronto ad essere colpito nuovamente con una buona scusa.

“E questa…”. Sentii la sua mano calda prendere la mia, e lasciarci qualcosa di piccolo e altrettanto caldo. Aprii gli occhi, concentrandoli immediatamente sul piccolo oggetto. Era una chiave. “È la chiave del camerino di Kagome”, terminò la donna, fissandomi seria. Per un attimo vidi la sua rabbia sparire dal suo sguardo. Un attimo molto breve. Mi fulminò nuovamente, e venni travolto dall’ennesima sensazione di confusione… e paura. “Ma se la farai piangere, soffrire, o anche solo deprimere per un millesimo di secondo”, sussurrò, poggiandomi una mano sul petto, minacciosa, “ti ridurrò in uno stato tale che nemmeno tua madre riuscirà a distinguere la tua sporca faccia dal tuo culo puzzolente”.

Deglutii.

“Voglio una risposta”, ringhiò, facendomi sobbalzare. “S-Sì”, risposi balbettando, con la forte tentazione di rispondere invece con un più completo ‘sì, signora!’. Mi spinse verso la porta del camerino, senza staccarmi gli occhi di dosso.

“Su, Sango, calmati”, la pregò il ragazzo, mettendole un braccio sulle spalle. Lei sbuffò, fulminandolo, ma lui, a differenza mia, non fece una piega. Mi voltai nuovamente verso il camerino.

Avevo perso già troppo tempo con i due scellerati.



 

La chiave girò nella toppa, lentamente. Troppo lentamente. Sango apriva sempre la porta come un uragano. Alzai lo sguardo, impaurita. Non pensavo che sarei stata così nervosa. Eppure non aspettavo altro da giorni. Lo volevo, lo volevo con tutto il mio cuore. Speravo che fosse così, che fosse davvero amore. Non potevo sopportare di essere la donna di un uomo che odiavo.

La porta si aprì lentamente, svelando proprio quella vista che desideravo e temevo allo stesso tempo. Inuyasha era lì, davanti a me, e i suoi occhi dorati mi fissavano… come se volesse mangiarmi.

Inuyash…”, cominciai subito, terrorizzata, appiattendomi contro l’angolo del divano. “Non parlare”, mi fermò lui. Mi azzittii, come ordinato, ma la paura si stava impadronendo di me. Avevo paura che perdesse il controllo. E avevo paura di perderlo anch’io. Chiuse gli occhi, e prese un respiro breve e rapido. Lo vidi stringere i pugni.

“Questa stanza”, cominciò lui, aprendo lentamente gli occhi, “è satura del tuo odore”.

Inuyasha, io…”. “No”, mi fermò nuovamente, accompagnandosi con un gesto della mano, “sto cercando ancora di controllarmi”. Sospirai, e il suo odore raggiunse il mo naso, fermando il fastidioso pizzicore che lo assillava da giorni. Venni percorsa da un brivido, e lo fissai avida. Lui inarcò le sopracciglia, sembrava confuso.

Kagome, i tuoi occhi”, mi avvertì. Spostai il mio sguardo sullo specchio, contemplando confusa il mio riflesso. C’era un luccichio strano sulle mie iridi. Non mi resi conto immediatamente che erano diventate dorate.

“Ok”, dissi annuendo nervosamente, “ok, sai come facciamo? Facciamo che tu rimani lì, sulla porta e io rimango qui sul divano. Così possiamo parlare senza aggredirci. Ti va?”. La mia voce era spezzata e troppo acuta, ma lui richiuse la porta senza fiatare.

“Va bene. Facciamo come vuoi tu”. Peccato che subito dopo calò un silenzio agghiacciante. Ovvio, passato il terrore di aggredirci a vicenda dovevamo affrontare i problemi. E nessuno di noi sapeva da dove cominciare. La mia mente si affollò di pensieri, avida di sapere la verità su tutto ciò che mi confondeva. Mi amava o no? Era solo attrazione fisica? Perché era sparito da casa di Rin senza avvertirmi? Chi era quella donna? E perché non si era più fatto sentire?

Kikyo…”. Concentrai meglio lo sguardo su di lui. Non mi stava guardando, e sembrava imbarazzato. Kikyo? Era il nome di quella ragazza? “Lei era la mia ex”, ammise, fingendo indifferenza. Questo non fece che peggiorare il mio umore. Ero isterica, e simili affermazioni mi facevano ribollire il sangue. Artigliai un cuscino e glielo lanciai dritto sul volto.

“FUORI DA QUESTA STANZA!”,strillai, cercando vicino a me qualcosa di più grande e solido da lanciargli. Tipo un comodino, per intenderci. Di spigolo. Appuntito.  Lui scansò il cuscino, fermandolo con la mano, osservandomi confuso e preoccupato.

“Ehi, ho detto ex!”, sottolineò, trattenendosi dall’urlare. Stava cercando di frenare il suo carattere impulsivo. Sbuffai, fulminandolo, decisamente poco convinta.

“Ah, sì? E che ci faceva a casa tua?”, domandai in tono di sfida. Non aveva scusanti, non poteva averle. Lui si irrigidì. Visto? Non le aveva!

Ecco…”, cominciò, cominciando a torturare il cuscino che teneva tra le mani, “devo proprio parlarne?”. Spalancai gli occhi, incredula. Proprio parlarne? Proprio parlarne?! Perbacco se doveva! No Inuyasha, guarda, mettiti pure comodo sul divano, anzi, magari vuoi il tè con i pasticcini? Mi faceva proprio imbestialire, la mia ricerca di qualcosa da tirargli contro si fece più motivata. Lui sembrò notarlo, perché deglutì.

“Ok, ho capito, va bene”, disse, proprio mentre afferravo un pericolosissimo fermacarte di cristallo, pesante e adatto all’omicidio. Inarcai un sopracciglio perplessa. Lui prese qualche respiro, probabilmente indeciso su come cominciare. Io, dal canto mio, ero molto confusa. Finalmente lo avevo davanti, la tentazione di saltargli addosso era mostruosa. E invece stavo lì, seduta sul divano a fissarlo, aspettando risposte di cui effettivamente non mi interessava nulla. Non importava chi era la donna nella sua casa. Sapevo di non potergli stare lontano, e questo mi bastava. Eppure il terrore di sentirmi rifiutata sembrava talmente forte da impedirmi di alzarmi e muovere verso di lui.

Kikyo è scappata di casa tempo fa”, cominciò finalmente, soffermai le mie iridi dorato scuro su di lui, “perché la trattavo… male. Non fraintendermi, non intendo che la picchiavo. Ma non riuscivo a conviverci bene e non ricambiavo affatto il suo modo di aiutarmi.” Mi fissò, soffermandosi sui miei occhi caldi. Ormai riuscivo ad interpretare i suoi sguardi come se potessi leggergli nella mente. Era sorpreso dal cambiamento dei miei occhi, e questo lo attraeva. Immaginai che anche il mio odore stesse aumentando di intensità, perché i suoi occhi si fecero più accesi e rividi la stessa espressione di quel giorno, a casa di Rin: era affamato. Rabbrividii, stringendomi le spalle. Suonava così mostruosa quella parola. Cercai di convincermi che non mi avrebbe certo mai fatto del male.

Inuyasha?”, domandai, sperando che la mia voce potesse riscuoterlo, e pregando di non ottenere l’effetto contrario. Lui sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. “Stavi dicendo che era scappata”, gli ricordai, anche se quella storia mi innervosiva. Perché quella ragazza poteva stargli accanto e io no? Perché lui glielo permetteva?

“Sì. Kikyo mi sosteneva economicamente mentre finivo gli studi all’università e al conservatorio”, continuò. “Conservatorio?”, lo interruppi subito, confusa. Inuyasha? Conservatorio? Le immagini morbide e eleganti che mi inspirava quella parola facevano decisamente a pugni con la sua immagine, spigolosa e violenta. Lui tossì, forse intuendo i miei pensieri. “Facevo chitarra”, quasi ringhiò, “e ho dovuto abbandonare il corso all’ultimo anno per cominciare a lavorare quando Kikyo se ne è andata”. Di colpo capii perché un ragazzo con una casa così grande si ritrovava a fare il tuttofare. Inuyasha si era ritrovato di colpo nei guai per colpa della sua ragazza. Dentro me sentii l’antipatia nei suoi confronti accentuarsi, mentre la mia mente era invasa dalla gelosia e dai termini di paragone: anche io potevo sostenere economicamente Inuyasha, e potevo anche trovargli un lavoro nel campo musicale. Potevo e volevo farlo.

“Ho capito”, cominciai, molto lentamente. La mia voce era bassissima, e non riuscivo a parlare con un tono più forte. Lentamente sentivo tutto attutirsi attorno a me: i suoni, i movimenti, i colori si facevano più spenti. Riuscivo solo a rimanere concentrata su Inuyasha. “Ho sbagliato a giudicare la situazione così in fretta”, ammisi infine. Lui sembrava in imbarazzo, perché distolse lo sguardo.

“Credo sia normale”, mi disse, “in fondo eri spaventata”. Spaventata? I ricordi della settimana passata riemersero nella mia mente offuscata dal suo odore. Ah, giusto. Ecco perché era in imbarazzo.

Non…”, dissi, ma mi bloccai per un breve attimo, “non sono arrabbiata”. Già, non lo ero. O almeno non più. In verità non ero mai stata davvero arrabbiata con lui per quello, ero più arrabbiata con il mio destino ingiusto. O almeno, che io credevo ingiusto. “Non ho detto che eri arrabbiata”. Mi bloccai, mozzandomi il respiro. Inuyasha mi stava fissando con uno sguardo strano. Era diverso dal suo solito sguardo, così acceso e scontroso. Era terribilmente… triste. Il solo guardarlo mi faceva spezzare il cuore. “Che eri… che sei arrabbiata lo sapevo”, continuò lui, “e anche che eri spaventata in verità”.

“Non sono arrabbiata”, mi costrinsi a dire con maggior trasporto, “non lo sono Inuyasha! Ero spaventata, e ammetto che prima ero anche arrabbiata, ma non con te”. Sembrò credermi, perché il suo sguardo ottenne nuova luminosità. Questo mi fece sentire sollevata. Non potei evitare di sorridere, per un breve attimo.

“Mi sono tranquillizzata adesso”, spiegai lentamente, “so che non è stata colpa tua, e adesso so anche che non avevi cattive intenzioni”. Feci una breve pausa. Scegliere le parole in una situazione così delicata era molto complicato. “Credo che… dovremmo parlare un po’. Di questa situazione in cui ci siamo ritrovati… e di noi”. Lui annuì, ma non si schiodò dalla porta. Si vedeva che aveva paura: era lui quello spaventato, non io. Ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a capire di cosa lui dovesse avere paura.

Inuyasha, siediti qui”, gli dissi, con tutta la dolcezza possibile. Lui si irrigidì, rimanendo immobile. “Mi tengo lontana per sicurezza, ma ti prego, siediti qui sul divano”, lo implorai, cercando di spingere sul tasto dolente, “mi sento a disagio a vederti lì in piedi. Sembri un imputato alla corte e io il giudice. Ma io non sono qui per giudicarti”. Lui mi guardò fisso negli occhi. Stava valutando la situazione, probabilmente quanto poteva resistere accanto a me.

“Va bene”, decise infine, “ma stai attenta”.

Annuii, decisa a non farlo pentire della sua scelta.



 

Mi avvicinai molto cautamente a Kagome. Nel momento stesso in cui ero entrato in quella stanza ero diviso tra due emozioni contrastanti: la prima era l’impulso di renderla mia all’istante, come già era successo a casa di Sesshomaru, ma la seconda mi permetteva di mantenere la lucidità.

Ero terrorizzato. Avevo una paura impressionante di perdere il controllo, paura di spaventarla di nuovo, paura di non fermarmi. Contrariamente a Kagome, io sapevo cosa sarebbe successo se fosse avvenuto il peggio. Inoltre non ero affatto convinto che Kagome fosse innamorata di me. Lei era molto più umana, non sarebbe stato affatto strano se le sue due nature si fossero ritrovate in contrasto.

Mi sedetti con altrettanta cautela, cercando di mantenere comunque le distanze. Perché avevo accettato di avvicinarmi? Forse avevo troppa paura di vederla sparire davanti a me come già precedentemente era successo.

Io…”.

Io…”. Mi bloccai, guardandola. Avevamo cominciato a parlare contemporaneamente. Lei sorrise impercettibilmente a questa coincidenza, e le feci cenno di continuare. “No, vai tu”, ribatté invece lei, in un automatico gesto di cortesia. Non mi andava di andare avanti a lungo con quel botta e risposta, di conseguenza mi feci coraggio e presi un respiro profondo.

“Io vorrei mettere in chiaro la situazione”, cominciai con troppa foga. Non riuscivo più a trattenere tutto ciò che mi esplodeva dentro. E l’unica che potesse condividerlo con me era Kagome.

"Guarda che da Sesshomaru", cominciai, ma mi fermai subito. Non trovavo le parole per essere delicato e carino; non era da me esserlo. La guardai, sperando di trovare qualche aiuto nei suoi occhi ambra, ma non facevano altro che confondermi di più. "Non...". Lei continuava a guardarmi confusa, forse con una punta di preoccupazione. "Non credere che mi interessassi! Ti ho aggredito contro la mia volontà!", quasi strillai, guardandola fin troppo intensamente. Lei mi fissò inizialmente confusa e spiazzata. Poi, d'improvviso, la vidi tirare su con il naso.

Oh no.

NO!

"No, Kagome! Calmati, non hai capito!", cercai di calmarla, ma lei aveva già cominciato a piangere come una fontana, e sembrava non voler smettere più."Tu...", balbettò, guardandomi con gli occhi bagnati e singhiozzando. Vederla ridotta così mi ammutolii. "Dillo che non ti piaccio! Ecco perché mi hai fatto pagare il pigiama!", strillò di colpo, facendomi sobbalzare. Mi fissò arrabbiata per qualche secondo prima di scoppiare nuovamente in lacrime.

Il... il pigiama?

"K-Kagome", cominciai spiazzato, "scusa ma cosa c'entra questo adesso?". "Sai che ti dico?", mormorò con voce strozzata, "puoi tenertela la tua maglietta sbrindellata!". La guardai senza parole, con gli occhi spalancati. Stava proprio dando i numeri, ma alla grande!

"Kagome, non hai capito niente!", mi arrabbiai; non riuscivo a sopportare quel tono infantile che stava avendo, proprio quando io stavo cercando di parlarle seriamente. Lei immerse il volto tra le braccia, poggiandosi allo schienale del divano.

"Ti odio".

Rimasi paralizzato. Non mi guardava, ma continuava a singhiozzare. Sentii il sangue salirmi al cervello, cancellando ogni altro pensiero. Qualcosa in me si stava smuovendo, e dovevo impedirlo. Perché doveva sempre comportarsi così stupidamente? Perché doveva provocarmi in quel modo? Non aveva ancora capito quanto potessi essere pericoloso per lei? "Kagome, sei una stupida!", strillai scattando in piedi. Lei rialzò il volto rigato dalle lacrime. Il trucco le era colato, ma riusciva a essere terribilmente affascinante e attraente anche in quelle condizioni. "Stupida io?!", strillò a sua volta, alzandosi come me, "Tu dovresti cucirti la bocca, e ringraziare che non ti ho denunciato per violenza!". Si voltò, probabilmente decisa ad andarsene, concludendo così il nostro discorso. Eppure la vidi muoversi così lentamente, come se stesse esitando.

Quella sua frase... era stata così ingiusta.

Senza neppure rendermene conto, l’avevo affettata istintivamente per il polso. Si rivoltò verso di me, per divincolarsi. Aveva un'espressione adirata, ma al contempo così triste. Sembrava che dentro di lei si fosse infranto qualcosa. Ero sicuro di sentirla urlare di nuovo, ma invece quando mi guardò negli occhi ammutolì.

"Ti sbagli", riuscii a dire dopo un breve silenzio. La mia voce era solo un debole e roco sussurro, oppresso da tutto ciò che premeva dentro di me. Da tutto ciò che mi aveva detto, non potevo dedurre che una cosa: una parte di lei mi odiava. E io non potevo fare nulla se non cercare di far sopravvivere almeno lei a quel fato ingiusto. "Ti sbagli, Kagome. Io... io mi rendo che può sembrarti impossibile, ma non volevo che finisse così. Non volevo aggredirti a casa di Sesshomaru, non volevo che Kikyo tornasse, e vorrei tanto essere bravo ad esternare i miei pensieri, ma non lo sono. Finisco sempre per esprimermi male, e nessuno capisce mai quello che provo veramente". Mi interruppi di colpo: dove volevo arrivare? Lei mi avrebbe odiato comunque. Parlarle con sincerità avrebbe davvero cambiato qualcosa? "Mi dispiace", riuscii a dire distogliendo lo sguardo, "io non... non riesco a starti lontano. Ci ho provato, te lo assicuro, ma è inutile. Il tuo profumo è troppo forte". Sentivo il suo sguardo pesante su di me, insopportabile e magnetico. Ma dovevo costringermi a controllarmi, a non guardarla. "Io non voglio condannarti a starmi accanto se mi odi. Voglio solo che tu sia felice, e se non vedermi più servisse a qualcosa, sono ben disposto a spezzarmi gambe e braccia per impedirmi di raggiungerti. Però...". Mi costrinsi a sollevare lo sguardo, anche se sentivo le guance calde, e incrociai le sue meravigliose iridi dorate. "Però io voglio che tu sappia una cosa. Non volevo abusare di te da Sesshomaru. Sei la cosa più preziosa per me al mondo, e non ti farei mai del male. Quella volta... ho avuto così paura della mia reazione che anche adesso la parte umana di me riesce a frenare l'istinto che ho di...". Mi fermai di colpo, guardandola confuso. C'era qualcosa di diverso in lei. "Kagome?". La sua pupilla si era allungata, come quella di un gatto, e mi fissava avida.

"Tu mi ami, Inuyasha?".

La fissai spiazzato. Il suo sguardo era troppo intenso e concentrato. Dovetti distogliere lo sguardo per mantenere il controllo. Perché doveva fare domande così dirette? Sentii il calore alle guance aumentare, chiaro segno che stavo arrossendo notevolmente.

"Ecco... diciamo di sì", abbozzai timidamente. "Sì?", insistette lei subito, senza darmi neppure il tempo di pensare. Presi un respiro profondo, voltandomi verso di lei con gli occhi chiusi. "Sì", risposi aprendoli e fissandola.

Ma, quasi prima di finire la risposta, mi ritrovai scaraventato sul divano.



 

Non mi resi immediatamente conto della situazione. Mi ero mossa troppo velocemente, talmente tanto da spaventarmi. La mia mente fissava la scena con razionalità, ma sembrava completamente separata dal corpo. E, contemporaneamente, sentivo rimbombare nella testa un pensiero fisso, che continuava a occuparla, sotterrando ogni pensiero logico. Era come essere divisa in due.

Inuyasha mi fissava; gli occhi affamati cercavano di trattenersi, come anche lui. Aveva artigliato il divano, e si era appiatto del tutto contro di esso. Quando la mia parte razionale fu in grado di farsi un piccolo spazio nella mente, mi resi conto ciò che aveva causato quel mio gesto troppo veloce.

Lo avevo scaraventato sul divano, ed ero salita a cavalcioni su di lui, tenendo le mani ben premute contro il suo petto. Lentamente il mio controllo cominciò a cedere, invaso da uno strano istinto irrefrenabile.

Lui mi amava.

Non mi aveva aggredito per approfittarsene, non era colpa sua se la sua ex si era presentata da lui. Mi venne da piangere, ma i miei occhi si rifiutavano di farlo. erano concentrati solo su di lui. Sentivo il bisogno di averlo, solo per me. Non avevo più bisogno di mentire a me stessa per non soffrire.

"Kagome, scendi immediatamente". La sua voce era fredda, fin troppo misurata. Per la seconda volta, mi sembrò di avere davanti Sesshomaru invece di Inuyasha. "No", risposi secca, "non ci riesco".

Lui inarcò le sopracciglia, facendo una strana smorfia. Non mi sarei fatta sfuggire l'occasione di persuaderlo. Lasciai scorrere le dita sul ruvido tessuto della sua camicia, seguendone i dettagli con lo sguardo. Anche quella profumava di lui? Era così vicino che non riuscivo a dirlo con certezza. Avevo attirato la sua attenzione con quei gesti lenti e calcolati, probabilmente stava cercando di analizzarmi lentamente. Raggiunsi lentamente il suo colletto, per poi passargli la mano sul collo. Lo vidi rabbrividire per un attimo al contatto, la mia mano era incredibilmente fredda rispetto alla sua pelle calda. "Kagome?". La sua voce era nuovamente un sussurro roco; stava cercando di farmi ragionare. Il mio sguardo abbandonò la mia mano, per soffermarsi di nuovo sui suoi occhi ambra.

"Ho fatto la mia scelta involontaria", sussurrai, carezzandogli una guancia dolcemente, con il dorso della mano libera, "di ricostruire la vita che avevo prima. E non mi pentirò". Sorrisi, mentre lo vedevo già pronto a ribattere. Dov'era finita la divisione della mia anima? Non riuscivo più a percepirla. Ero invasa solo da una profonda dolcezza, e da una sola certezza. Mi chinai su di lui, percependo il contatto con il suo petto, e lascia scivolare con delicatezza le mie labbra sulle sue. Lo sentii irrigidirsi a quel contatto inaspettato, ma sapevo che non aveva la forza di respingermi: stavo approfittando di questa sua debolezza, ma era il mio unico punto di forza. Continuai a baciarlo a fior di labbra, con dolcezza, cercando di farlo sciogliere un poco. Mentre continuavo a carezzargli il collo con la destra, cominciai a giocare con ciocche dei suoi capelli argentati con la mano sinistra. Finalmente sembrò sciogliersi un poco, e ne approfittai per baciarlo con maggior trasporto. Sentivo che era ancora teso, e sentivo stridere il cuoio del divano che non si decideva a lasciare. Anche quando lo sentii respirare con più tranquillità, continuava  a tenersi saldamente aggrappato con le unghie.

, sarei riuscita a fargli lasciare quel maledetto divano.

Lasciai scivolare lentamente le mie mani sul suo petto, raggiungendo i piccoli bottoni della sua camicia scura. Lui mugolò qualcosa, protestando, ma mi affrettai ad approfondire il bacio per zittire le sue lamentele. Sbottonai con lentezza calcolata i lembi della camicia, e passai le mie mani fredde sul suo petto marmoreo. Lo sentii rabbrividire al contatto, e passai alla sua schiena per accentuare l’effetto. Sapevo bene che lo stavo conquistando pezzo per pezzo. Scesi con le mani fino ai fianchi, raggiungendo la cerniera dei suoi pantaloni. Lui protestò, ma lo ignorai, sbottonandoli e abbassando la zip. Ma quando tornai con le mani sui suoi fianchi, lui mi prese per i polsi, e mi costrinse a staccarmi da lui. Sentii un improvviso gelo sulle labbra, e capii che era lo stesso per lui. Mi fissava con occhi avidi e brillanti, e stava tremando.

Kagome. No.”, disse con voce ferma e autoritaria, fin troppo per la situazione. Io inarcai le sopracciglia offesa.

“E perché no?”, domandai come una bambina a cui è appena stato negato qualcosa. “No”, fu la sua unica e fredda risposta. Sentii immediatamente le lacrime salirmi agli occhi.

“Lo sapevo!”, strillai offesa, dimenandomi. Lui mi tratteneva, ma al contempo mi impediva di avvicinarmi nuovamente. “Tu non mi ami veramente, sei un bugiardo!”, continuai ad urlare piangendo. Inuyasha si irrigidì, e lo vidi colmarsi di rabbia.

“STUPIDA!”, urlò lui a sua volta, “non hai capito nulla!”.

Questo non fece che offendermi di più.

“Ah, è così?”, domandai con i nervi completamente altrove, “allora non avrai problemi con questo!”. Mi dimenai, e lui perse il controllo per un brevissimo istante. Si artigliò immediatamente al divano, per evitare di aggredirmi, e io ne approfittai spudoratamente. Scattai in piedi, e acchiappai i suoi pantaloni, cominciando a tirarglieli via.

Kagome, mollali!”, stillò lui, reggendoseli con una mano.

“L’hai detto tu che non ho capito nulla no? Bene, allora non avrai problemi!”, continuai io, tirandoli con più forza con entrambe le mani. Lui ringhiò. Mi immobilizzai di colpo, spostando gli occhi sul suo volto. Era decisamente molto arrabbiato, lo capivo ad occhio.

“Sì, non hai capito proprio niente!”, strillò di colpo, spaventandomi, “se vuoi morire così stupidamente fai pure! Ma io non ne ho alcuna intenzione, quindi non mi coinvolgere nelle tue manie suicide!”.

M-morire?”. La mia voce era solo un sibilo, mentre la sua espressione si faceva sempre più  seria.

“Mi hai detto che sono un bugiardo, ma semmai è il contrario; sei tu quella confusa, non io. Scambiarsi il profumo non è una sciocchezza, Kagome”, mi disse fissandomi negli occhi, dimostrando una resistenza che non pensavo potesse avere, “nel momento in cui si condivide il profumo del proprio compagno ci si unisce in anima e corpo. La separazione fisica o psicologica è talmente insopportabile che porta alla morte in breve tempo. Se uno dei sue lascia questo mondo, l’altro è destinato a seguirlo. E lo stesso vale per la lontananza emotiva”.

“Non capisco”, ammisi, confusa e spaventata. Cosa stava dicendo, così d’improvviso? Lo sguardo con cui mi fissava mi rendeva inquieta.

“Sono convinto che tu mi odi”, confessò, cogliendomi impreparata, “o meglio, la tua parte umana mi odia. Credo che sia una cosa che può succedere a noi mezzi demoni. Se è così, allora saremmo destinati a morire entro breve”.

Continuai a guardarlo senza sapere cosa dire. Era per questo che era così determinato a tenersi lontano da me? Com’era possibile che un matrimonio portasse alla morte.

“Allora Sesshomaru…”.

“Quando Rin morirà, lui la seguirà. Gli rimarranno pochi anni di vita probabilmente”, sussurrò lui, distogliendo per la prima volta i suoi occhi da me. Non sapevo più cosa pensare. Era un mondo così lontano dal mio, così crudele. Mi vennero le lacrime agli occhi.

“Capisco”, mormorai, ma la sua reazione mi spiazzò.

“No, non hai capito niente!”, sbraitò di colpo, facendomi sobbalzare, “io ho il terrore di avvicinarmi a te, per paura di condannarti a morte, e tu… tu… mi salti addosso!”. Era terribilmente esasperato. E mi fece sentire mortalmente in colpa.

Non… non lo faccio più”, fu l’unica stupidissima giustificazione che riuscì ad uscire dalla mia bocca. Lui mi guardò, prima di sbuffare distrutto, lasciandosi cadere sullo schienale del divano; si teneva ancora ancorato con gli artigli ai cuscini, ormai completamente squarciati.

“È inutile”, mormorò al limite della pazzia. Lo leggevo nei suoi occhi. “Siamo condannati, Kagome”. Spalancai gli occhi. Condannati?

“Se è così mi terrò lontana, davvero!”, confermai più convinta, sperando di farlo riprendere, “non mi avvicinerò finché non sarai convinto che non ti odio!”.

Lui scoppiò a ridere, isterico. Mi stava spaventando. Doveva avere i nervi a pezzi, come credeva di resistere in quelle condizioni?

“Siamo condannati”, ripeté tristemente, reggendosi la fronte con la mano, “siamo mezzi demoni, non potremo mai resistere, Kagome. Io sono già al limite, e tu lo sai”. Mi morsi un labbro, in difficoltà. Niente di tutto quello aveva senso. Perché si tratteneva ora se sapeva che presto non ci sarebbe più riuscito? Vedevo le sue forze prosciugarsi davanti a me; il cuore mi si stringeva, in una sensazione orribile.

“Io non ti odio”. Quelle quattro parole sfuggirono dalle mie labbra, senza che me ne accorgessi. Lui alzò lo sguardo, fissandomi confuso con quel solito luccichio nei suoi occhi ambra. “Non puoi dirlo Kagome, non ora”.

“Lo dico eccome!”, sbraitai di colpo, facendogli inarcare le sopracciglia per lo stupore, “Tu non sai come mi sento, non sai cosa provo! Come puoi dire che ti odio? Non è così, non è mai stato così!”.

“Non mentirmi, non funzionerà”, mormorò lui, chiudendo gli occhi.

Quello fu il colmo.

“Sì, è vero! Ti odio quando fai così! O quando mi rispondi a monosillabi! O quando mi affitti il pigiama!”, strillai isterica, “Ma… è normale… giusto?”. Sollevai gli occhi dal pavimento, sul quale li avevo puntati: Inuyasha mi fissava confuso.

“Questo non è odio, Inuyasha”, continuai in un sussurro, che sapevo lui avrebbe udito, “l’odio vero, quello per te non l’ho mai provato. Non mento, e non riuscirò mai a farlo: è questo che ho capito in questi giorni di lontananza. Non sono neppure capace di convincere me stessa di odiarti, e nessuno mi ha mai creduto”. Sbattei le palpebre un paio di volte, prima di rendermi conto che avevo gli occhi umidi. “Io volevo davvero essere in grado di odiarti! Stavo così male, non riuscivo a sopportare il dolore della lontananza, ma… non ci sono riuscita”, terminai con voce strozzata, cercando di fermare le lacrime, asciugandole con il dorso delle mani. “Non… non ci riuscirò mai… e voglio che sia così… Oh, stupide lacrime!”, strillai, “non smettono di scendere!”. Strofinai con forza le dita sulla guancia, quando una mano calda si posò con delicatezza sulla mia, fermandola. Spalancai gli occhi, fissandoli incredula su Inuyasha, in piedi a pochi centimetri dal mio volto.

“È la verità?”, domandò in un sussurro, con voce roca, facendomi arrossire. “Sì”, risposi con sincerità, posando la mano bagnata sulla sua guancia. Lui si avvicinò, asciugandomi una lacrima con un bacio. Sorrisi, ma mi scansai; lui mi fissò confuso.

Inuyasha, riesci a resistere qualche minuto?”. Non rispose subito, valutò la risposta. “Sì”, disse infine, trattenendo il respiro, “sempre che sia qualche minuto”.

Sorrisi, avvicinandomi al tavolino, e prendendo una scheda magnetica, con sopra impresse lettere dorate. Lui mi seguiva noi miei spostamenti, ma non mi infastidiva affatto: riusciva, non so come, a non intralciarmi mai nei movimenti. Aprii la finestra, per poi voltarmi verso di lui sorridente.

“Andiamo al mio albergo. Non ti dispiace portarmi in spalla, giusto?”, domandai retorica, conoscendo bene la risposta. Anche lui sorrise.

“Certo che no, salta su”.



 

Kagome aveva calcolato bene i tempi, impiegai solo pochi minuti a raggiungere il suo albergo. Certo, essere fuggiti dalla finestra come due fuorilegge mi aveva fatto una strana impressione.

Stavo dietro di lei, mentre passava la chiave magnetica nella fessura della serratura. Era davvero un’impresa trattenersi ora che non c’era più la paura a bloccarmi. Kagome aprì la porta, e cominciò a cercare il pulsante della luce. La abbracciai, senza darle il tempo di accenderla, e le baciai il collo scoperto. Lei rise.

Inuyasha! Un attimo!”, si lamentò ridendo, ma la ignorai. Anche lei stava crollando, e io la volevo subito. La porta si chiuse da sola dietro di me, lasciandoci nel buio totale.

Le scansai i capelli dal collo, mentre le cingevo la vita  con delicatezza. La sentii cedere, quando si voltò verso di me per baciarmi. Da lei mi aspettavo un bacio timido, non certo quello passionale e focoso che mi diede.

Forse fu proprio quello a farmi perdere completamente il controllo.

Kagome…”, mormorai sulle sue labbra, per poi catturarle con le mie. Lei gemette, infastidita dal mio eccessivo trasporto, ma mi assecondò quasi subito.

Inuyasha… un attimo…”, gemette ancora, mentre le scoprivo la spalla, tirandole il colletto della maglietta a maniche corte che indossava. Lei si allontanò da me, privandomi del piacere di quel piccolo dispetto che le stavo facendo. Mi teneva la mano, e mi guidava nel buio, dove i miei occhi demoniaci cominciavano a distinguere nitidamente gli oggetti. Mi fece sedere sul letto, e quando provai a baciarla si ritrasse.

Mhhh”, mugolai infastidito, e lei rise. Una risata irresistibile.

“Adesso ho esaurito l’ultimo goccio di autocontrollo che mi era rimasto”, sussurrò, sedendosi a cavalcioni sulle mie gambe, “e non ti resisterò più”.

Era proprio la frase che avevo bisogno di sentire.

Prima che potesse fare da sola, le sfilai con rapidità la maglietta, spettinandole inevitabilmente tutti i capelli. La sentii ridere e sbuffare contemporaneamente. Amavo quella risata. Avrei potuto passare le mie intere giornate a sentirla. Indossava un semplice reggiseno nero. Passai le mie mani sulla sua pelle gelida, accarezzandole la schiena. Lei abbassò nuovamente i suoi occhi nocciola su di me, sorridendo dolcemente. Era decisamente imbarazzata, potevo capirlo dal colore purpureo delle sue guance.

“Sei bellissima”, sussurrai, carezzandole le spalle. Lei distolse lo sguardo, mugolando debolmente, e coprendosi con le braccia. Aveva gli avambracci con manicotti a righe nere e fucsia.

“Che cosa sarebbero quelli?”, domandai ironicamente, per distrarla. Lei sbuffò, continuando a coprirsi. “Non è colpa mia se le idol si vestono così!”, rispose per ripicca, ma al contempo si affrettò a sfilarseli. Sorrisi, sembrava proprio una bambina. Eppure amavo anche quel lato infantile di lei. Le baciai il collo, mentre col le mani cercavo la chiusura del suo reggiseno.

“No!”, si lamentò lei, ritraendosi. La guardai come un cane bastonato. Lei arrossì nuovamente. “Mi sento a disagio”, borbottò, “possiamo infilarci sotto le coperte?”. Io inarcai un sopracciglio, guardandola perplesso. “Vestiti?”, domandai, cercando di trattenermi dal ridere. Lei arrossì ancora di più. Questo non faceva che aumentare la mia impazienza.

Io… è che…”, balbettò lei, coprendosi nuovamente con le braccia, “non ho mai… ecco… non so come fare!”. Mi fissò con i suoi grandi occhi, come qualcuno che si è appena tolto un grande peso dalla coscienza.

“Devi solo fidarti di me”, sospirai, chiamando a raduno tutto il mio autocontrollo. Le si inumidirono gli occhi.

“Ho paura!”. Oh cielo, ti prego fulminami!

“Scusami, Kagome”, cominciai al limite dell’esasperazione, “ma non eri tu quella che mi era saltata addosso nel camerino?”. Perché solo io dovevo affrontare situazioni tanto assurde? Lei mi fissò con i lacrimoni, le mani davanti alla bocca chiuse in due pugnetti innocenti: la tipica immagine del coniglio sofferente che deve far desistere il cacciatore.

“Solo che…”, squittì lei, tirando su con il naso, “non ero nel bel mezzo della situazione!”.

Perché questa frase è mostruosamente da lei?!

Kagome”, cominciai cercando di calmarmi, “comincio a chiedermi se mi ascoltavi quando parlavo prima. Ti giuro che non ce la faccio più, ma così mi fai sentire un cane!”.

“Lo so ma… ho davvero paura!”, continuò lei, “perché non so nulla su cosa devo fare, e come comportarmi, e magari tu penserai che sono un’incapace, e magari starai male con me, e…”.

“Frena, frena!”, la bloccai, sconcertato dalla velocità con cui parlava, “Respira! E poi  ti senti? Cosa stai blaterando? Non potrai mai essere un’incapace, per il semplice motivo che è con te che voglio stare, e non mi importa del resto, di nulla e di nessuno!”. Lei si immobilizzò di colpo.

Inuyasha”, mormorò, fissandomi confusa, “queste effusioni non sono da te”.

Giustissimo. Verissimo. Ma ormai ero troppo a pezzi per pensare a come sarebbe stato me stesso, o come avrebbe agito, o cosa avrebbe detto.

Khé!”, sbuffai, evitando di sottolineare questo particolare, “comunque se non vuoi mi tratterrò… in qualche modo… insomma, se mi rompo una gamba non posso mica fare miracoli!”.

“No!”, strillò lei, facendomi sobbalzare, “No. Mi sono calmata adesso…”. Inarcai un sopracciglio, perplesso. “Sicura?”. Lei annuì debolmente.

Però…”. Ecco, le ultime parole famose. “Posso toglierti la camicia?”.

“Ma che domanda è?”, chiesi esasperato, lei ridacchiò leggermente. “Ecco…”, disse, arrossendo e giocando con le dita, “è che io sono senza maglietta, e tu sei tutto vestito e… mi sento… a disagio”.

Sospirai, prendendole le mani tra le mie. Erano ancora incredibilmente fredde. “Stai congelando”, sussurrai, avvicinandole al mio volto. Le baciai delicatamente le dita, carezzandole ritmicamente per riscaldarle.

“Devi impazzire davvero con una come me…”, mormorò lei dispiaciuta, “non capisco come tu faccia a sopportarmi”.

“Non ricominciare, ti prego”, sbuffai sconsolato, continuando a strofinarle le mani, “sto cominciando ad impazzire seriamente”.

“Ho ragione io, visto?”, mi fece notare, sfilando le mani dalle mie. La fissai negli occhi, ma la sua espressione era illeggibile. “Non lo dico come critica solo che…”, disse lentamente, scegliendo le parole, “sei proprio sicuro che ti vada bene così?”. Rimasi in silenzio, mentre faceva scorrere le mani sulla mia camicia, con aria distratta. “È una domanda stupida, lo so. Tu mi hai già risposto, ma mi sembra davvero incredibile che qualcuno non mi trovi noiosa e odiosa”. Strinse il mio colletto con le sue piccole dita; mi sembrava così terribilmente fragile, come se fosse di cristallo.

Kagome, dove vuoi arrivare?”, domandai, avvicinandomi al suo volto. Lei non si scansò stavolta, ma non colmò neppure quel breve spazio che ci separava. Fece scorrere le dita fino al primo bottone della mia camicia, mentre il suo respiro caldo mi carezzava il volto.

“Non è che un giorno ti stuferai di me, e mi lascerai indietro?”, domandò fermandosi di colpo. Io sorrisi, sollevandole il mento con una mano, obbligandola a fissarmi con i suoi occhi oramai completamente dorati.

“Impossibile”, sussurrai, baciandole delicatamente le labbra. Le sentii incresparsi in un sorriso, prima di venir catturato da una passione irrefrenabile.

Sentii la mia mente annebbiarsi, esattamente come mi era successo altre volte.

In quel momento capii che non sarei più stato capace di fermarmi.



 

Ogni mia resistenza cessò in quel momento, con quel semplice e delicato bacio. Inuyasha era capace di annullare le mie barriere in un attimo, con una semplice parola. Forse non si rendeva conto dell’influsso che aveva su di me. Sorrisi inevitabilmente, e poi improvvisamente lui approfondì il bacio, prendendomi alla sprovvista. Certo non ero capace né volevo più resistergli. Cominciai a sbottonare rapidamente la sua camicia, mentre ricambiavo il suo bacio appassionato. Sentii le sua mani carezzarmi i fianchi, mentre le nostre labbra si cercavano, e le nostre lingue si rincorrevano in un’antica danza da sempre conosciuta.

Finii di sbottonare l’ultimo bottone, e gli sfilai la camicia con rapidità. Lui mi strinse a sé, con foga incontenibile. Mi sentivo trasportata da emozioni che non avevo mai conosciuto prima, sentivo la pelle bruciare, e solo il suo tocco riusciva ad alleviare quella piacevole pena. Cominciavo a sentire il bisogno di averlo, di saperlo solo ed unicamente mio. Volevo che chiunque lo capisse, doveva essere di mia proprietà, e nessuna donna più potesse portarmelo via, come aveva fatto Kikyo.

Mi tolse la gonna, ma quasi non ci feci caso, occupata com’ero ad accarezzarlo, baciarlo, volerlo. Senza rendermene conto mi ritrovai stesa sul letto, lui sopra di me mentre mi baciava il collo – focoso – e mi carezzava il seno. Sentii la sua mano scendere sui miei fianchi, mentre mi arcuavo contro il suo corpo caldo e accogliente. Percepivo il piacere che mi pervadeva ad ogni suo movimento, in una danza ritmica e naturale.

Ero percorsa da brividi, aggrappata alla sua schiena, il mio unico appiglio sicuro in quella situazione a me estranea.

Umana o demone? Non avevo mai capito quale era il mio mondo prima di allora.

Adesso, invece, tutto era più chiaro.

Era lui. E non l’avrei mai più lasciato.
















 

 

 

 

 

Ci ho messo tanto, lo so, ma la mia ispirazione era prosciugata ù__ù

Non ringrazio a dovere, pur avendolo promesso, perché altrimenti aggiornerei dopodomani >__>

Ringrazio comunque tutti i lettori, e tutti coloro che hanno cominciato a leggere la storia recentemente, rendendomi felice come una pasqua!!! *___*





 

 

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Ringraziamenti:

-Roro

-Vale728

-Achaori

-LizzyeJane

-Monik

-Inufan4ever *KIKKAAAAA!!! *___* Spupazz*

-Eriko Chan

- E tutti coloro che mi hanno aggiunto ai preferiti!!! ^^

 



Il prossimo capitolo ringrazierò a dovere, lo giuro!!! ç__ç *vorrei vedere, è l’ultimo! XD*

 

 

 

 

 

  
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