Capitolo 6
«Un passo, ancora solo un passo… dai ci
sei… forza…» non riusciva a credere di essere lì accucciata a incitare quella
bimba a camminare e di farlo soprattutto come se davvero fosse la cosa più
importante della sua vita. Ne aveva affrontati di momento eccitanti e
adrenalinici, ma nessuno batteva quell’istante…
«Non posso… non posso… come è possibile Gideon mh? Come diavolo è
possibile?» imprecare contro l’A.I. della Waverider
non sarebbe servito a nulla, lo sapeva, ma in quel momento non riusciva a fare
altro, mentre nervosamente camminava avanti ed indietro nell’infermeria della
nave.
«Sei sicura di volerlo fare?»
«Che altra scelta abbiamo Rip? Mh? Vogliamo davvero
rischiare che tutto quello che abbiamo costruito in questi anni non conti
nulla?»
Stava gesticolando nervosa in uno dei
corridoi della Checkmate, di fronte a lei l’uomo che
nello sguardo nascondeva il suo stesso identico tormento. Si passò una mano tra
i capelli e poi si avvicinò maggiormente a Sara scuotendo appena il capo…
Fu allora che Diggle
li raggiunse, concitato e ben capendo che aveva interrotto un momento
importante.
«Noi siamo pronti, voi siete sicuri di
volerlo fare?»
«Quei figli di puttana hanno ucciso
Oliver e Dinah… ovvio che vogliamo…»
«Sara ha ragione e poi William deve
rispondere del suo tradimento!»
Vedere quella casa dalla perfetta
staccionata bianca e il giardino le fece corrugare le sopracciglia, non era da
lei immaginarsi un giorno in un contesto del genere. Niente di tutto quello lo
aveva voluto o sperato per sé stessa, tuttavia non ricordava di essere mai
stata tanto felice come la certezza di un tetto o di una famiglia al proprio
fianco. E poi eccolo lì suo padre apparire all’orizzonte rinato dopo che quella
bambina era entrata nella loro vite sconvolgendole totalmente, ma allo stesso
tempo rendendole migliori…
«Eccola qui il mio “canarino”…»
Quella parola fu l’ultima che ricordò prima di svegliarsi di soprassalto
nel suo alloggio della Waveride, madida di sudore e
con il cuore che le batteva nemmeno come le accadeva dopo un combattimento
furioso. Sara sentì che non sarebbe riuscita a rimanere lì dentro e così uscì
velocemente bisognosa di versarsi un bicchiere di acqua ghiacciata e riprendere
il contatto con la realtà, la stessa contro la quale sbatté quando trovò anche Rip sveglio nel cuore della notte intento ad osservare la
foto di quella ragazzina bionda che sembrava essere divenuta il loro tormento.
«L’insonnia sta diventando contagiosa…» disse la donna per manifestare la
sua presenza, mentre raggiungendo Rip si sedette al
suo fianco, anche lui come lei stava bevendo qualcosa di estremamente freddo.
«Incubi?»
«A quello ci sono abituato… questi sono…»
«Ricordi…»
«Di una vita che non abbiamo ancora vissuto…»
«Ma come è possibile?»
Erano lì uno di fianco all’altro, a fissare quella foto e a massaggiarsi le
tempie con la stessa disperazione e confusione.
«Credo sia dovuto al fatto che le nostre controparti future non esistono…
più stiamo qui e più noi stiamo assorbendo il loro posto in questa realtà…»
«E di conseguenza i loro ricordi?»
«Dobbiamo chiudere questa missione il prima possibile o impazziremo!»
Concluse Rip sbattendo la foto sul banco della
cucina a volto giù, sentiva che era sull’orlo della follia più totale. Come se
già non bastasse tutto quello che la League of Doom
gli aveva fatto.
«E’ come una sensazione al centro del petto... mi opprime di un senso di
colpa… come se già non bastava quello che avevo…»
La voce tremava, i denti erano digrignati e la mano premeva sul proprio
dorso. Sara era convinta di non aver mai visto Rip
così, tanto che le venne naturale posargli una mano sul capo, tra i capelli e
accarezzarlo.
«So di cosa parli… lo provo anche io e non riesco a liberarmene…»
«E’ la sicurezza di aver deluso di nuovo qualcuno. Prima Miranda e Jonas…
poi il team… poi tu… è come se distruggessi tutto quello che tocco…»
«Stai parlando con la “Regina della Distruzione”…»
Ironizzò lei, solo per notare che quando lui si voltò a guardarla c’era
davvero qualcosa di più. Un perdono che lui non riusciva a dare a sé stesso.
«Ma io ti ho ucciso Sara… a sangue freddo ti ho uccisa… e non ho fatto
nulla per impedirlo… Da quando sono tornato nel gruppo quelle immagini non
fanno altro che ripetersi nella mia mente… ancora… ancora… ancora… come un loop infinito a ricordarmi le mie azioni…»
Il dito di Rip si ticchettava nervoso la tempia
sempre più forte fino a farsi male, tanto che Sara fu costretta a bloccarlo per
impedire che continuasse e dopo avergli dato un sonoro schiaffo –per fargli
riprendere lucidità-, gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto negli
occhi.
«Non sei stato tu. Sei stato SOLO una vittima… quindi SMETTILA… SMETTILA di
darti colpe… Perché io ti perdono…»
«Ma non dovresti!»
«E invece sì, perché voglio salvarti come tu hai salvato me. Ricordi
cos’ero? Solo una pazza assassina assetata di sangue e tu mi hai mostrato che
posso essere di più… meglio… Permettimi di fare lo stesso con e per te…»
Ormai Rip piangeva e anche Sara, travolti da un
discorso che avevano ignorato fin troppe volte e che era esploso in un momento
di debolezza dovuto da quella missione che in qualche modo si era insediata in
loro spezzandoli.
«Tu sei sempre stata migliore di me… basta guardare quello che hai fatto
con questo team… Tu-»
Ma Sara gli aveva messo un dito sulle labbra e scuotendo il capo lo stava
invitando a smetterla di parlare, per poi accoglierlo tra le sue braccia e
stringerlo forte a sé. Chiudendo gli occhi e cullandolo come un bambino che
aveva bisogno di essere perdonato. Fu allora che le immagini che l’avevano
svegliata di soprassalto tornarono prepotenti, tanto che adesso lei si stava
aggrappando a lui quanto lui stava facendo con lei.
Non sapevano se era colpa di quell'uragano di emozioni oppure dalla notte
complice che sembrava sempre dare l'impressione che tutto fosse lecito, ma Rip si allontanò un poco da lei solo per tuffarsi nel suo
sguardo cristallino e poi violentemente prenderla per il viso e baciarla con
violenza e urgenza. Un bacio che lei ricambiò con disperazione senza ragione e
senza pensieri.
Un bacio che entrambi morivano dalla voglia di darsi forse da fin troppo
tempo senza saperlo, un bacio che tanto avevano aspettato, un bacio che li
stava travolgendo in un viaggio inaspettato, ma che forse era sempre stato lì
ad aspettarli.
Un segreto nascosto nella notte che adesso si stavano regalando sulla
pelle, sulle labbra, fin dentro l'anima...
La mattina successiva la Waverider era più
silenziosa del solito, tanto che Sara poteva sentire i suoi pensieri rimbombare
tra i corridoi vuoti della nave, mentre raggiungeva la sala ove erano soliti
mangiare. Voleva solo bersi un caffè caldo e cercare di dimenticare la
cervicale che quasi gli impediva di piegare il collo, tuttavia mentre se lo
stava massaggiando finì ad appoggiarsi al bancone presente nella stanza e a
rivivere in una serie di flash quello che solo la notte prima era accaduto.
Qualcosa che per quanto volesse non riusciva a dimenticare e che non era
nemmeno sicura volesse farlo…
Si permise solo un attimo di chiudere gli occhi e rivivere quel ricordo
così fresco, provando gli stessi brividi e chiedendosi quanto fosse giusto o
quanto fosse normale, ma ben presto ogni suo viaggio mentale –probabilmente
dovuto anche dal poco dormire- venne interrotto dall’arrivo di Amaya.
«Oh allora c’è qualcuno! Il resto del team?»
«Metà alle STAR Labs, perché JJ li ha voluti per
farsi aiutare ad allenare i ragazzi e l’altra metà alla Checkmate…
a quanto pare c’erano novità…»
«E perché nessuno mi ha avvisata… e perché tu sei qui?»
Sara sembrava alquanto infastidita da quell’insubordinazione, come se il
suo mal di testa non fosse abbastanza e anche tutti i troppi pensieri strani
che l’assillavano…
«Amaya che c’è?»
«Il giovane Allen, è in infermeria… ha portato qui la ragazzina bionda… e
qualcosa mi diceva che tu volevi saperlo…»
Sara nemmeno finì il caffè, abbandonò la tazza sul bancone e superando la
compagna di squadra si fiondò dai due giovani.
«Ehi»
«Sara!»
Donald si voltò verso la donna e senza pensarci troppo l’abbracciò,
tremante e spaventato a morte. A Sara ricordava tanto Iris nell’aspetto, forse
per via della sua pelle scura e quegli occhi tanto grandi… ma la sensibilità
era tutta quella di Barry.
«Cosa è successo?»
«N-Non lo so… stamattina quando non è scesa per la colazione sono andata a
cercarla e… l’ho trovata svenuta accanto al letto… sanguinava dalla bocca e
aveva il corpo ricoperto di lividi… Non ho riflettuto e l’ho portata qui sapevo
che Gideon avrebbe potuto visitarla velocemente…»
«E hai fatto benissimo!» si intromise Amaya poggiando una mano sul braccio
del ragazzo e ben capendo che né lui né Sara in quel momento parevano troppo
lucidi per riuscire ad affrontare la situazione.
Proprio Sara si avvicinò meglio alla giovane e poggiandole una mano sulla
fronte lasciò scorrere il suo sguardo sul suo corpo esile, coperto solo alla
bene al meglio da un t-shirt di Donald che probabilmente aveva usato come
pigiama… questo lasciava gran parte della sua pelle scoperta e mostrava tutte
le ecchimosi che con tanta fatica nascondeva.
«Capitano Lance»
«Sì Gideon?»
«Non credo di poter far nulla per la ragazza»
«Cosa intendi?» chiese Donald raggiungendo il fianco di Sara e prendendo la
mano della giovane, mostrando un interesse un po’ troppo profondo per essere
solo un amico.
«E’ affetta da leucemia, stadio terminale…»
«COSA?»
Mentre all’unisono Donald e Sara sembravano sull’orlo della disperazione,
Amaya tentò di pensare lucidamente.
«Hai riportato indietro Sara dalla morte, non puoi fare nulla per lei?»
«Il suo sangue è completamente contaminato, andrebbe completamente tolto e
sostituito e purtroppo questo non posso farlo nemmeno io»
Donald scoppiò a piangere, mentre si stringeva una mano sulla bocca
incapace di reagire in qualsiasi altro modo, lasciando che Amaya lo
abbracciasse e lo portasse via per tentare quanto meno di farlo calmare, ma
Sara non si mosse… rimase al suo fianco, continuando ad accarezzarle la fronte
mentre la sua immagine si sovrapponeva a quella di sua sorella in un continuo senso
di impotenza che la distruggeva.
Non seppe quanto tempo era passato, sapeva solo che quando aveva raggiunto
il ponte di comando aveva trovato Donald seduto sui gradini dell’ufficio con le
ginocchia strette al petto e lo sguardo fisso di fronte a lui. Di Amaya nessuna
traccia.
«La tua amica è andata via… ha parlato di un possibile alleato che l’ha
contattata…» spiegò frettolosamente il ragazzo sicuro che Sara volesse capire perché
non c’era più nessuno tranne loro, ma in quel momento non le interessava.
Preferì sedersi accanto a lui e stare ferma lì. Senza un perché. Senza un
motivo.
«Sei innamorato di lei vero?»
«E’ così evidente eh?» chiese Donald con un sorriso imbarazzato, mentre
assentiva timidamente.
«Siamo sempre andati molto d’accordo, ma non ho mai osato dirle che mi
piaceva… Sai lei è sempre stata popolare e io… un nerd… e quando avevo deciso
di farlo, invitandola al prom… ci fu la morte dei
suoi e… lei è sparita… ma quella che è tornata non è la Laurel
che conoscevo…»
Nel desiderio di sfogarsi, il ragazzo si era totalmente lasciato andare
senza rendersi conto di aver fatto il suo nome. Per lui era normale, tutti
stavano giocando a carte scoperte e non sapeva che invece lei fino a quel
momento non lo aveva fatto.
«Laurel?»
«Laurel Hunter… P-Pensavo che lo sapessi…»
«Aspetta vuoi dire che lei è figlia di Rip?»
«E tua…»
Improvvisamente tantissime, troppe cose divennero chiare in un colpo solo e
per Sara fu come andare in apnea. Essere sbattuta violentemente sott’acqua
senza la possibilità di poter prima prendere una boccata di ossigeno. Forse per
questo si trovò a boccheggiare del tutto persa…
«S-Scusa pensavo te lo avesse detto e…»
«Per questo non mi voleva guardare in volto… per questo sentivo quel senso
di inquietudine che non sapevo spiegare…»
Non era da lei lasciarsi sopraffare dalle emozioni, piangere o perdere il
controllo eppure in quel momento stavano accadendo tutte quelle tre cose
insieme.
«Da quanto? Da quanto è malata?»
«Non lo so… nessuno di noi lo sapeva…»
Sara era sull’orlo di perdere il controllo e probabilmente si sarebbe
sfogata su Allen se non fosse che lui ricevette una telefonata che lo fece
sparire in un flash. A Sara non rimaneva nessun’altra possibilità e scoppiando
come una bomba atomica distrusse tutto in un misto di pura frustrazione e
tristezza che finì per farla cadere a terra tra lacrime e il suo stesso sangue
per via delle ferite che si era provocata alle mani distruggendo ogni cosa che
le era capitata a tiro.
Quando la breccia si era aperta durante gli allenamenti alle STAR Labs nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che la
persona che ve ne sarebbe uscita sarebbe stata niente di meno che Barry Allen,
lo stesso che dopo diciotto anni di assenza ora giaceva in coma nell’infermeria
della Checkmate con al suo lato la propria figlia che
non aveva perso tempo a contattare il fratello che in un flash comparve al suo
lato. Era ancora sconvolto da quello che aveva saputo su Laurel
che quella nuova informazione il suo cervello fece quasi fatica a processarla,
mentre raggiungendo Dawn non riuscì a far altro che
abbracciarla e piangere insieme a lei… entrambi increduli, scossi, ma pieni di
una felicità così ricca da far esplodere la loro già marcata sensibilità.
Non vollero lasciare per un secondo il padre, perché seppur privo si sensi,
era lì con loro e avevano quasi la paura che se si fossero allontanati
avrebbero corso il rischio di scoprire che tutto quello era solamente un sogno.
Snart all’infuori
dalla stanza osservava attraverso il vetro la scena, incapace di valutare come
tutto quello lo faceva sentire. Il suo sguardo di ghiaccio poteva dare l’impressione
che non fosse minimamente toccato, ma le dita strette sul mento e il braccio
conserto in vita non ingannavano Lily che ormai troppo bene lo conosceva.
«Come sta?» gli chiese la stessa, mentre raggiungendo il suo fianco cercò
la sua mano solo per poterla intrecciare con la sua e fargli sentire tutta la
sua vicinanza e la sua forza.
«E’ come se qualcuno gli abbia prosciugato tutta la sua forza vitale. E’ in
vita, ma al contempo è come se non lo fosse…»
«Il Flash Nero?» chiese lei ricordandosi di alcune chiacchierate che con
Cisco aveva avuto a proposito.
Ricordava che questo fosse una sorta di mietitore dei Velocisti, che faceva
pagare loro con la vita il giocare con il tempo.
«O la Forza della Velocità…» mormorò Leonard assorto, ricordando troppo
bene la fine di West e Quick. Solo in quel momento si
voltò verso di lei e imperturbabile come sempre, senza far trasparire nessuna
sua emozione, si portò il dorso della mano della moglie alla bocca e vi posò sopra
un bacio. Ormai Lily aveva imparato ad amare il suo modo di esprimerle amore,
fiera che fosse l’unica che sapesse comprenderlo e apprezzarlo.
«Non pensarlo…»
«Cosa?»
«Quello che so che stai pensando… Sei un eroe Leonard, sei Citizien Cold e non perché DOVEVI
esserlo, ma perché hai VOLUTO esserlo e tutto ciò che hai costruito in questi
anni non cesserà solo perché Barry è tornato…»
«Ma tutto questo è servito solo a questo, a farlo tornare. Che altro senso
ha la mia esistenza ora?»
Quanto ci aveva pensato a quel momento solo Snart
lo sapeva eppure Lily non gli avrebbe permesso di gettare alle ortiche tutto ciò
che lui aveva fatto e insieme avevano e per questo voltandosi completamente
verso di lui gli prese il viso tra le mani con quella delicatezza che solo lei
aveva saputo avere con lui. Toccandolo come se fosse ghiaccio freddo che si
sarebbe potuto spezzare se preso con troppa foga, ma che al contempo non si era
lasciata spaventare dal pericolo di rimanerne scottata.
«Non osare Snart… non osare a sminuire ciò che
abbiamo costruito… insieme… Noi non siamo stati parti di un piano, noi non
abbiamo seguito uno schema, noi abbiamo fatto le nostre scelte e quello che
abbiamo è NOSTRO… solo NOSTRO. Questo è il senso che ha. Ciò che sei, ciò che
siamo insieme, ciò che rappresenti per Central City e per Jai…
e Iris…» lei non dovette dilungarsi in altre parole e anche se avesse voluto
non avrebbe potuto, perché il marito aveva cercato le sue labbra e il loro
calore quello che aveva saputo scaldarlo negli inverni più rigidi o farlo
avvampare nelle calde sere d’agosto.
La strinse a sé, l’abbracciò e cercò in lei la sicurezza di cui aveva
bisogno per poi dargliela indietro, solo per notare in quel momento alle spalle
di Lily sia Mick che Stein a cui dopo aver sorriso debolmente, lesse nei loro
sguardi la comprensione di cui tanto aveva bisogno: del suo partner che non lo
avesse tradito e del professore di non essere un errore per sua figlia.
Quel momento però così importante venne interrotto dall’impeto di uno dei
giovani Allen che affacciandosi nel corridoio avvisò che il padre aveva ripreso
conoscenza portando così le due Leggende presenti e i coniugi Snart ad entrare nella stanza per controllare l’amico.
Barry che indossava la stessa divisa che anche il figlio portava non era
diverso da come ricordavano, seppur il suo sguardo era stanco e la pelle era
rinsecchita quasi come quella di una pianta a cui non era stata data acqua per
mesi.
Cercava di parlare con affanno e senza riuscirci, mentre Donald in un flash
era scomparso a chiedere aiuto e Dawn gli stringeva
la mano in preda al panico e distrutta da vederlo così. Non aveva chiamato sua
madre, forse era stata una scelta sbagliata, ma non voleva che lei soffrisse
ulteriormente… forse solo se suo padre si sarebbe salvato, sarebbe stato giusto
farla tornare, ma in quel momento che senso aveva? Per spezzarla
definitivamente?
«F-Fl… F-Flas…» la voce
di Barry suonava come quella di un moribondo e più ci provava e più tutti i
suoi parametri impazzivano, tanto che Lily cercava con il padre di farlo
calmare, ma Mick e Snart con la sintonia di un tempo –quella
mai spenta- compresero immediatamente che Allen aveva un messaggio per loro.
«Flashpoint…» esclamò Rory
vedendo Flash assentire agitato, mentre poco dopo lo stesso strinse con le
poche forze che aveva il polso di Snart
costringendolo a piegarsi verso di lui e sussurrandogli qualcosa all’orecchio
prima di perdere conoscenza. Il reparto medico della Checkmate
arrivò e buttò fuori tutti dalla stanza, mentre cercò disperatamente di
assistere Barry cui i segni vitali erano al minimo.
«Cosa ti ha detto nostro padre?»
«Cosa c’entra Flashpoint?»
Nel corridoio fuori dalla stanza Leonard venne assalito prima di Dawn e poi da Lily, mentre lui cercò di riportare a loro
con la calma necessario l’atroce messaggio che gli era stato dato.
«Flashpoint doveva finire il 25 aprile 2024…»
«L’anno in cui nostro padre scomparve!» notò Donald voltandosi verso la
sorella.
«Ma in che senso doveva finire? Forse il Flash Nero era venuto a
distruggere un qualcosa che non doveva creare?» cercò poi di capire Martin.
«Possibile, perché da quello che mi ha detto Barry lui è sparito per
impedirlo… così il Flash Nero si sarebbe occupato di rincorrerlo…»
«E questa linea temporale sarebbe stata salva!»
Concluse Mick con una certa logica che lo stupì, mentre i giovani Allen
iniziarono a comprendere il sacrificio di loro padre.
«Lui ha rinunciato alla sua vita per noi… per tutti noi…»
Lily non poté fare a meno di abbracciare Dawn
sempre più scossa e sconvolta, mentre con la sua lucidità e quella del marito e
le Leggende comprendevano che questo voleva dire che se Barry era tornato, lo
aveva fatto anche il Flash Nero e che sarebbe stato pronto a portare a termine
il proposito lasciato in sospeso diciotto anni fa…
Rieccomi qui con un nuovo capitolo. Ci ho
messo un poco di più perché ho avuto da fare in questi giorni, oltre il fatto
che ho voluto formattare di nuovo tutta la storia e correggerla dagli errori.
Spero che così sia più scorrevole e piacevole da leggere per tutti quelli che
vorranno farlo.
Continuate a seguirmi e se vi fa piacere
di commentare, così mi date la spinta per continuare e migliorarmi.