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Autore: Echocide    22/03/2017    5 recensioni
Dai lombi fatali di questi due nemici
toglie vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella,
le cui pietose vicende seppelliscono,
mediante la lor morte...

Agreste e Dupain sono due famiglie nobili di Paris, una città ricca di mistero e magia.
Una notte, il patriarca degli Agreste condanna i Dupain alla morte e dalla strage della famiglia, una bambina si salva: il suo nome è Marinette.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.947 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Inori e...beh, lasciatemelo dire: ogni capitolo di questa storia è un parto! Un po' perché so, che più mi avvicino alla fine e più arriverà una certa scena (che non ho molta voglia di scrivere) e poi...beh, è una storia che sta andando lenta e quindi anche la fase di realizzazione la segue di pari passo. Ma però, eccomi qua, pronta come sempre per l'aggiornamento!
Detto questo, vi lascio subito al capitolo, non senza ringraziarvi tutti quanti: grazie a chi legge, commenta, inserisce questa storia in una delle sue liste e me fra gli autori preferiti.
A voi tutti...
Grazie!!!



Clotilde Agreste si affrettò lungo i corridoio del convento, aumentando l’andatura del passo e sollevando le gonne, in modo da facilitarsi nella camminata: quando la novizia era giunta alla sua camera con la notizia che il nipote era giunto in visita, l’anziana si era allarmata, ancora scossa dalle parole che Sabine Dupain le aveva rivolto non molto tempo prima.
Possibile che quella donna, assetata di vendetta, avesse già mosso i primi passi?
Velocemente, uscì nel chiostro del convento e si fermò, notando il nipote chino davanti la pianta che lei curava personalmente un sorriso le piegò le labbra: «Sto curando personalmente quel roseto…» commentò, attirando l’attenzione del giovane e guardandolo mentre si alzava e la sovrastava con la sua altezza: «Buon dio, ragazzo! Non mi vieni a trovare da un po’ e…che cosa ti danno da mangiare in quel castello? Per caso la notte ti piantano in giardino e ti annaffiano?»
«Sono delle rose bellissime, nonna.» dichiarò Adrien, chinandosi e baciando l’anziana sulla guancia: «La perfezione fatta fiore.»
«Sentilo come adula…» mormorò la donna, prendendo il nipote sottobraccio e scortandolo verso un piccolo gazebo posto in una zona nascosta del chiostro: «Tuo padre ha aperto la porta della sua gabbia e tu sei volato via in cerca di libertà? E’ veramente raro vederti qui da solo, senza nessuno…»
«Nino mi sta attendendo nella carrozza fuori.»
«Potevi portarlo con te, povero ragazzo.»
«E’ rimasto traumatizzato dalla madre superiora, l’ultima volta che è venuto.»
«Per caso è lui il demone che è apparso dal nulla e ha visto…»
«Le intimità della superiora? Sì, nonna. E’ proprio Nino.» dichiarò Adrien, sorridendo al luccichio divertito che aveva attraversato lo sguardo dell’anziana: «Si stava annoiando e stava passeggiando per i corridoi, non pensava di esser giunto in una certa zona del convento…»
«Quel ragazzo…» sospirò Clotilde, allontanandosi dal nipote e sorridendo alla novizia che aveva sistemato sul tavolo un vassoio: «Un po’ di the, mio caro?»
«Certamente.»
L’anziana annuì, prendendo la teiera e versando la bevanda nelle due tazze che erano state fornite: «Qual è il tuo problema?» domandò, allungandone una al nipote e osservando lo sguardo verde posarsi su di lei: «Non pensare che non abbia notato quanto i tuoi occhi siano immersi in chissà quali pensieri. Riguarda tuo padre? Oppure Chloé Bourgeois?»
«Nessuno dei due.»
«Se non vuoi questo matrimonio, devi solo dirlo, Adrien. Sono certa che tuo padre…»
«Mio padre possa vedermi come una persona e non come uno strumento per aumentare il suo potere? Ne sei veramente convinta, nonna?»
«Quanto vorrei che tu avessi conosciuto tuo padre come era un tempo…» sospirò Clotilde, scuotendo il capo e accomodandosi sull’altra sedia: «Quando ancora non era così assetato di potere e Bourgeois non aveva questa presa su di lui. Pensi davvero che il matrimonio con Chloé accrescerà il potere di tuo padre? No, serve solo per avvicinare di un passo André Bourgeois al trono di Paris.»
Adrien chinò il capo, osservando il liquido aranciato nella sua tazza e sospirò: «Alle volte vorrei non essere nato principe...» mormorò, voltandosi indietro e fissando il punto in cui era il roseto della nonna: «Perché una rosa? Il fiore della nostra famiglia è il giglio.»
«Per ricordarmi di un vecchio amico.» mormorò Clotilde, sorridendo tristemente: «E ricordarmi della sua famiglia.»
«Se ben ricordo non esiste nessun casato che abbia come fiore la rosa.»
«Perché è un casato che è stato estinto dalla spada di tuo padre, Adrien.»
«I…»
«I Dupain, sì.» mormorò la donna con fare stanco: «La vera famiglia che dovrebbe governare Paris.»
Adrien assentì, chinando il capo e sorseggiando in silenzio il proprio the, sentendo la nonna sospirare: «Perché mio padre ha decimato i Dupain?» domandò, dopo una buona manciata di minuti in silenzio: «Da quel che ho sentito dal padre di Nino e da te, Tom Dupain era…»
«Perché quel povero disgraziato di mio figlio è entrato in un turbine di disperazione, dopo la morte di tua madre. Ed è stato allora che Andrè Bourgeois ha iniziato a usarlo come una marionetta, portando alla fine del casato dei Dupain.»
«E presto io dovrò sposare la figlia di Bourgeois.»
Clotilde sorrise, posando la tazza sul tavolo: «Sembra che questa prospettiva non ti aggrada, mio caro nipote. E non penso centri molto quello che ti ho detto…»
«Sono di così facile interpretazione, nonna?»
«Solamente per me.» dichiarò l’anziana, accentuando il sorriso: «Che cosa ti è successo, Adrien?»
«Ho incontrato una ragazza.»
«Oh, bene. Mi piace come inizia questa storia…»
«Ma lei…» Adrien si fermò, sospirando pesantemente: «Non credo che mi ricambi. L’ho incontrata durante i festeggiamenti del mio compleanno e le ho dato un appuntamento per il giorno seguente, lei è venuta ma…beh, non è andata come speravo. Le ho dato un altro appuntamento, ma non si è presentata…»
«Questa ragazza mi piace. Non cade sotto al fascino degli Agreste.»
«Sì, credo ti piacerebbe: non si fa problemi a dire quel che pensa ed è molto buffa. E poi…poi…»
«E’ bella?»
«Oh sì, è bellissima.»
«Perché non senti tuo padre, allora? Potresti…»
«E’ una popolana, nonna.»
«Oh, Adrien…»
«E’ la figlia di una prostituta in pensione, che fa la fornaia per vivere…» mormorò Adrien, socchiudendo gli occhi: «Ed io posso solamente sognare di stare con lei perché non è del mio stato sociale e dio solo sa cosa succederebbe se potessi…potessi…»
Clotilde rimase in silenzio, osservando il giovane prendersi la testa fra le mani e rimanere immobile: allungò una mano titubante, cercando le parole adatte per consolarlo. Ma esistevano? Il suo unico nipote aveva finalmente conosciuto quel sentimento che era l’amore ma, per colpa di quelle stupide regole sociali, non poteva viverlo.
Per colpa del padre che anelava a quel potere che non gli serviva, non poteva stare accanto alla persona che desiderava.
Non poteva vivere.
«Come si chiama, Adrien?» mormorò dolcemente Clotilde, poggiando la mano sulla spalla del ragazzo e riscuotendolo, l’osservò mentre posava lo sguardo verde su di lei: «Il suo nome?»
«Marinette…»
Clotilde inspirò profondamente, ascoltando quel nome: «E’ un bel nome.» mormorò, cercando di non pensare a un’altra fanciulla che si chiamava nello stesso esatto modo: quante probabilità c’erano che suo nipote avesse incontrato proprio la figlia di quella famiglia disgraziata?
«E sai la cosa buffa, nonna? Abbiamo la stessa età e siamo nati nello stesso giorno…»


Marinette sbuffò, posando il cesto con il pane sul tavolo e osservando il vecchio ometto che, abbandonato su una sedia, se la dormiva della grossa: «Monsieur Fu.» mormorò, avvicinandosi e strattonandolo leggermente: «Sono Marinette. Vi ho portato il pane…»
«Oh, ben arrivata, mia signora.» biascicò l’uomo, aprendo stancamente un occhio e osservando la giovane: «Mettete tutto sul tavolo e lasciate questo povero uomo con la compagnia del suo amato vino.»
La ragazza sbuffò, eseguendo l’ordine e uscendo velocemente dalla casa: di tanto in tanto, l’anziano si andava al piacere e all’oblio del vino e, in quelle occasioni, le parlava con tono ossequioso.
Per quanto poteva esserlo uno che dava ordini dandole del voi.
Si strinse nel mantello, alzando la testa e osservando il cielo plumbeo: dieci giorni. Non vedeva Chat Noir da dieci giorni.
Si era costretta a non andare al secondo appuntamento  che il giovane le aveva dato, domandandosi per tutto il tempo cosa lui aveva fatto e quanto l’aveva aspettata fra le rovine che, sfidando le intemperie, si ergevano poco fuori Parigi: era rimasto per tutta la notte, attendendola? Oppure poco dopo se n’era andato, sbuffando e mandandola al diavolo?
Non lo sapeva.
Il giorno successivo lo aveva aspettato inconsciamente, sobbalzando ogni volta che la porta della panetteria si apriva ma del giovane dai capelli biondi e gli occhi verdi non c’era stata ombra; era rimasta in attesa anche il giorno successivo e quello ancora dopo, ma Chat Noir sembrava essere scomparso nel nulla…
E lei…
Lei aveva iniziato a vivere dei ricordi che aveva del giovane: il sorriso che le aveva regalato più e più volte, gli occhi arguti e di quella tonalità di verde che le ricordava un immenso prato, il calore che le aveva dato la sua vicinanza...
Si era sentita una sciocca a struggersi per un ricordo, eppure così era, e aveva iniziato anche a maledirsi per non essere andata all’appuntamento: sarebbe cambiato qualcosa se, quella sera, lei fosse andata? Oppure il giovane sarebbe scomparso lo stesso dalla sua vita?
Sospirò, tenendo lo sguardo basso e sentendo gli occhi pizzicarle per via delle lacrime trattenute: stupida, stupida, stupida. Era stata una stupida.
Ed era ancora una stupida perché sentiva la mancanza e quasi piangeva per…per…
Oh, solo un’idiota come lei poteva accorgersi di essersi innamorata di qualcuno proprio quando questi era completamente sparito dalla sua vita.
Quanto poteva essere stupida e masochista? Quanto?
Innamorata di  chi, poi? Di un ragazzo che aveva visto solo due, tre volte e con cui, certamente, non avrebbe mai potuto avere una storia perché appartenenti a classi troppo diverse.
No, non poteva essere innamorata di Monsieur Chat Noir. Assolutamente no.
Lei…
Lei…
A lei era piaciuto quel corteggiamento sfrontato, ecco.
In fondo quale ragazza non avrebbe avuto piacere in quelle lusinghe che lui le aveva fatto e, adesso che ne sentiva la mancanza, aveva iniziato a vivere nei ricordi che aveva di lui.
Sì, era senza dubbio così.
Assolutamente sì.
«Marinette!» la voce allegra di Alya la riscosse dai suoi pensieri, facendole alzare la testa e notare la figura della ragazza nel vano di una porta: «Che ci fai qua?» le domandò, dopo che l’ebbe raggiunta e Marinette si accorse solo in quel momento che, mentre pensava a Monsieur Chat Noir, aveva vagato nel quartiere finendo davanti la taverna dove Alya lavorava.
«Pensavo…» mormorò la mora, agitando una mano: «Niente di importante.»
«Beh, è una fortuna che tu sia qui! E’ passata Myléne poco fa e non crederai mai a quello che mi ha detto!»
«Cosa?»
«Suo padre dovrà lavorare al palazzo reale la prossima settimana! A quanto pare c’è una festa o qualcosa del genere e Myléne mi ha chiesto se avevamo voglia di andare con lei ed io ho detto sì!»
«Cosa? A palazzo?»
«Sì!» strillò Alya, prendendole le mani e saltellando sul posto: «Pensa, noi due a palazzo.»
«Vestite così?»
«Myléne ci recupera degli abiti, non temere.»
«Mia madre non mi farà mai venire, sai che…»
«Ma noi non glielo diremo, no?»
«Alya…»
«Oh. Andiamo! Non hai voglia di vedere il palazzo reale dentro? Oppure di vedere il famoso principe Adrien contro cui ti piace tanto inveire? Andiamo, andiamo, andiamo! Non puoi lasciarmi andare da sola.»
Marinette osservò l’amica, lo sguardo nocciola speranzoso e sospirò: «D’accordo.» mormorò, scuotendo il capo e abbozzando un sorriso: «Ma mia madre non deve mai venire a saper nulla.»
«Promesso!» sentenziò Alya, ridacchiando: «Magari puoi incontrare il tuo bel Chat Noir e dirgliene quattro per averti lasciata qui, a struggerti d’amore per lui.»
«Alya!»


Clotilde inspirò profondamente, stringendosi nello scialle e osservando il roseto che, con tanto amore, curava ogni giorno: «Il destino è un bastardo divertente.» commentò, ascoltando distrattamente il singulto proveniente dalla novizia: «E non sconvolgerti, mia cara. Dovresti sapere che so esprimermi anche peggio di così…»
«Mia signora, siamo in un convento.»
«Non penso che l’Altissimo si scandalizzi, non se riesce a sentire ciò che penso…»
«Madame Agreste!»
«Quante probabilità c’erano che mio nipote incontrasse la figlia di Tom e se ne innamorasse in un batter d’occhio? Paris è grande e ci sono tante belle ragazze, eppure Adrien ha scelto proprio l’ultima di quella casata…»
«Mia signora, questo…»
La donna sbuffò, scuotendo il capo e allungando una mano, carezzando le foglie scure della pianta: «Il figlio degli Agreste innamorato della figlia dei Dupain…» mormorò, strusciando il pollice sulla parte superiore della foglia: «A che cosa mai ci porterà tutto questo?»


   
 
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