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Autore: Hellspirit    06/06/2009    2 recensioni
**Spoiler stagione 6** Per la prima volta nella sua vita Ziva ha bisogno di essere salvata. Post "Aliyah", TIVA
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“Dammene un altro, Jack.” Mormorò Tony, battendo il bicchiere vuoto sul bancone per attirare l’attenzione del barista.

L’uomo lo scrutò per qualche istante, versando comunque la vodka per l’ennesima volta. “Giornataccia, eh?”

Tony ignorò il tentativo di iniziare una conversazione e trangugiò avidamente il contenuto del bicchiere, apprezzando il modo in cui bruciava giù nella gola fino allo stomaco, arrivando in qualche modo anche alla testa. Provò un breve attimo di pace quando l’alcol cancellò tutti i pensieri, i dubbi e le preoccupazioni che da due giorni lo tormentavano.

Per la centesima volta guardò il suo orologio e calcolò che a Tel Aviv erano circa le otto del mattino. Per la centesima volta si chiese cosa stava facendo Ziva, a cosa stava pensando e se rimpiangeva la scelta di rimanere in Israele.

“Dio, quanto mi manca.” Non aveva problemi ad essere sincero nei suoi pensieri, specialmente con l’aiuto di qualche superalcolico. Se Ziva fosse lì lo avrebbe rimproverato per tutti i bicchieri di troppo e commentato le condizioni disgustose del suo fegato, ma sarebbe rimasta con lui anche tutta la notte insistendo poi per riaccompagnarlo a casa... come se quello non fosse più pericoloso che guidare ubriachi.

A quel pensiero Tony scoppiò a ridere e le altre persone sedute al bancone del bar lo guardarono come se fosse pazzo. Non gli importava. Poteva anche esserlo: antidolorifici e alcolici non erano una buona combinazione e la notte precedente non aveva chiuso occhio.

Continuava a rivivere gli eventi degli ultimi giorni, chiedendosi dove aveva sbagliato per far precipitare così la situazione. Sapeva di aver violato il protocollo andando a casa di Ziva senza avvisare nessuno, ma quello era stato l’ultimo dei suoi pensieri: voleva solo parlare con lei e darle l’opportunità di spiegarsi, perché non poteva minimamente accettare l’idea che stesse nascondendo intenzionalmente delle informazioni. Ma quando fu Rivkin ad aprire la porta finalmente capì tutto.

“Rivkin è morto. Tony lo ha ucciso.”

A colpirlo non era stata tanto la frase, bensì il tono accusatorio con cui l’aveva pronunciata. Lo feriva sapere che lei lo credeva capace di uccidere a sangue freddo e senza nessun motivo, come un volgare assassino. Era sinceramente dispiaciuto per il dolore che, senza volerlo, le aveva provocato. Ma non provava nessun senso di colpa per averlo ucciso: non aveva fatto altro che difendersi dal suo attacco, ed era stanco di doversi continuamente giustificare.

Con se stesso poteva anche ammettere che, più che il suo istinto di investigatore, a spingerlo al confronto era stata la gelosia, ma non cambiava il fatto che Rivkin era uno dei cattivi: aveva ucciso un Agente Federale, alcuni terroristi sul suolo americano e, cosa ancora più imperdonabile, aveva preso in giro Ziva.

Ripensò al viaggio in Israele, all’interrogatorio con Eli David, alla sua ultima conversazione con Ziva e a come aveva aspettato che salisse sull’aereo, invano.

“Hai compromesso la tua intera carriera, e per cosa?”

“Per te.”

Non era mai stato così sincero: il suo lavoro, la sua vita... era disposto a sacrificare tutto pur di proteggerla. Per la prima volta le aveva aperto il proprio cuore, eppure non era bastato. Che ironia.

Forse avrebbe potuto, anzi, dovuto fare o dire qualcosa di più per convincerla a tornare a Washington. Qualsiasi cosa, incluso saltare giù dall’aereo un secondo prima della chiusura del portellone, come in una stupida commedia romantica. Invece non aveva fatto nulla.

Una voce interruppe il filo dei suoi pensieri. “Vuoi compagnia?”

Girò la testa quel tanto che bastava per vedere una ragazza sedersi sullo sgabello accanto, concentrandosi poi nuovamente sul suo drink. L’ultima cosa che voleva era socializzare con una sconosciuta in un bar.

“Ti sei ferito in un incidente?”

Tony si guardò il braccio sinistro ingessato, cimelio della sanguinaria lotta contro uno spietato assassino del Mossad. Era chiaro che la ragazza aveva l’istinto da crocerossina e fino a poco tempo fa lui avrebbe sfruttato la ferita per rimorchiarla facilmente. Ma era una cosa che non voleva più fare, non da quando aveva iniziato a comparare tutte le altre donne con l’unica da cui era attratto: nessuna reggeva il confronto perché erano o bionde, oppure troppo alte, alcune erano timide, molte erano frivole e tutte parlavano un inglese perfetto. Quella ragazza era carina ma non era Ziva, quindi non era abbastanza.

“Perché mi ignori? Sei gay, vero?”

Tony sospirò stancamente, non voleva far altro che restare da solo ad auto commiserarsi e annegare i suoi pensieri nell’alcol. “... Sì.”

Guardò soddisfatto la ragazza alzarsi con aria indignata e uscire dal bar, per nulla preoccupato di essersi appena rovinato la reputazione. Il suo lavoro, la carriera, l’approvazione delle persone e ora la sua fama di dongiovanni... Lo sorprendeva come le cose che un tempo considerava importanti, su cui aveva costruito tutta la propria vita, ora semplicemente non lo erano più.

Finito un altro bicchiere, questa volta di whisky, frugò nella tasca dei pantaloni per prendere il cellulare e fissò pensieroso il numero di Ziva, sfiorando con il pollice il tasto di chiamata. Quella mattina, più per rassicurare se stesso, aveva detto a Gibbs che lei chiamerà quando si sentirà pronta, ma entrambi sapevano che non sarebbe successo.

“Avresti potuto chiamare.”

Quelle parole lo tormentavano da mesi e spesso si sorprendeva a chiedersi cosa sarebbe successo se l’avesse fatto. Forse le cose sarebbero andate in maniera diversa, forse Rivkin non sarebbe mai entrato nell’equazione e forse lei sarebbe ancora a Washington.

Voleva solo che tutto tornasse alla normalità, con lui e Ziva in ufficio che scherzavano e si stuzzicavano a vicenda, facendo finta entrambi di non accorgersi del legame speciale che c’era tra di loro.

Per come era andata la loro ultima conversazione a Tel Aviv, Tony dubitava che Ziva gli volesse ancora parlare, ma doveva fare almeno un tentativo. Cosa poteva dirle?

Mi dispiace.

Vorrei che fossi qui.

Mi manchi.

Ti amo.

Anche se non aveva ancora deciso, appena raccolse abbastanza coraggio fece partire la chiamata e aspettò nervosamente. Invece degli squilli, un messaggio registrato lo avvisò che il numero chiamato era spento o non raggiungibile.

Aggrottò le sopracciglia, preoccupato: anche senza la regola numero tre di Gibbs, sapeva che Ziva portava sempre con sé il cellulare e, se proprio voleva bruciare i ponti con loro, avrebbe cambiato numero. A meno che il padre l’avesse già mandata in qualche missione.

Sperò che non fosse troppo tardi.

  
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