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Autore: kway831    29/03/2017    2 recensioni
Il naso freddo di Remus, da sotto il cappuccio, sfiorò il suo.
«Promettimi che non lo farai» mormorò con il respiro corto. «Promettimi che non tenterai di raggiungere i boschi di Dunkeld».
Tonks chiuse gli occhi. Era da tanto tempo che non appoggiava la fronte contro quella di Remus, che non si lasciava prendere il viso tra le mani, che non avvertiva l'impulso di mettersi in punta di piedi per raggiungere le sue labbra.
«Ti amo» sorrise tristemente Tonks.
Lo baciò, e quel bacio sapeva di neve.
ATTENZIONE: Storia in revisione, specialmente per quanto riguarda i primi capitoli. Leggere con cautela!
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Fenrir Greyback, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Altro contesto, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Remus raccolse una manciata di rami secchi, li gettò nel fuoco e tornò a sedersi accanto al tronco spezzato di un grosso albero. Doveva essere stato abbattuto da un fulmine, probabilmente durante uno di quei spaventosi temporali estivi che di tanto in tanto riducevano l'intera Gran Bretagna ad una grossa e fangosa pozzanghera, un paio di settimane prima.
Ma l'acqua aveva fatto in fretta ad andarsene, e in quel momento il terreno era umido quel che bastava perchè il muschio fosse morbido e scivoloso sotto gli stivali. Niente pioggia, niente nuvole. Niente di niente. Le stelle brillavano nel cielo di velluto sopra il bosco, oltre le sagome scure e un po' spigolose degli alberi. Remus volse appena il capo verso la bambina che giaceva poco distante, sull'erba secca, e la guardò con occhi spenti.
Le fiamme danzavano davanti al volto addormentato della piccola Lynlee, striandole di rame le lunghe trecce spettinate.
Sembrava un cucciolo di animale selvatico: raggomotolata su se stessa, con i piedi nudi che si sfioravano e le ginocchia sbucciate avvicinate debolmente contro il petto. Il caso aveva voluto che, tra tanti maghi e streghe, nei sobborghi malfamati di Perth avesse dovuto trovare proprio lei, una bambina di sette o otto anni, in cerca d'aiuto. Bambina, sì — e, certamente, anche una piccola mannara. Remus poteva giurarci. Aveva abbastanza esperienza da saper riconoscere un suo simile quando lo incontrava: quelle iridi pallide, quei piccoli graffi sulle braccia e sul volto, quei vestiti stracciati e quei piedini nudi erano segni inequivocabili.
L'avrebbe accompagnata a Dunkeld, a un'ora di treno da Perth. Il tragitto a piedi era lungo, e la mancanza di luce li aveva costretti a fermarsi non appena le tiepide luci del crepuscolo avevano lasciato spazio alla notte; così si erano accampati alla bell'e meglio tra le radici sporgenti di un'imponente quercia dal legno ruvido e scheggiato.
Remus sospirò piano, prese un l'ultimo dei rametti secchi che servivano per riattizzare il fuoco e se lo rigirò distrattamente tra le mani. Aveva all'incirca la stessa lunghezza della sua bacchetta, la stessa consistenza, persino lo stesso peso; chiudendo gli occhi, Remus ne era sicuro, avrebbe potuto percepire la forza della Magia che gli scorreva contro le dita. Ma non lo fece. Era rimasto a guardare il fuoco, il rametto tra le mani, sotto le stelle che con ogni probabilità ridevano delle sue pene e dei suoi segreti.
Quelle stesse stelle che erano rimaste a schernirlo quando, sotto un cielo che sembrava una distesa di diamanti da quanto era splendido e terso, aveva baciato Tonks per la prima volta. Riusciva ancora a percepire il sapore delle sue labbra sulle proprie, l'imbarazzo che ne era seguito, le scuse mormorate a mezza voce, lo stupido pretesto con il quale si era allontanato il più possibile dalla donna che gli aveva fatto perdere la testa. Quella volta, Remus si era vergognato come un cane. Riusciva a stento a non pensare alla sua risata cristallina, ai suoi occhi sinceri che rilucevano tra le ciocche rosa, alle sue figuracce maldestre in casa Weasley, al suo impagabile sorriso.
Si rigirò per un ultima volta tra le mani il rametto prima di gettarlo nel fuoco. Le fiamme che l'avvolsero si riflessero nello sguardo grigio di Remus.

Sirius cacciò un ululato. Tonks, a terra, si rotolava dalle risate. Remus sembrò finalmente convincersi ad alzare gli occhi dalla quinta pagina della Gazzetta del Profeta: vide la scena e sospirò.

«Buon Merlino, rido a crepapelle!» ululò Tonks.

«... a crepapalle, vorrai dire» gemette di risposta Sirius, piegato in due sul tappeto. «Giuro che appena riesco ad alzarmi ti Affatturo».


Il ritorno di Sirius era stato come prendere una boccata d'aria dopo dodici anni passati a trattenere il fiato. Grazie a lui era tornato a ridere, a scherzare, a scommettere su chi fosse riuscito a sopportare più a lungo le barzellette senza senso di Tonks senza dar fuori di testa. Perso nell'eco un po' malinconica di quei ricordi, Remus arrangiò un debole sorriso carico di stanchezza. Felpato aveva visto giusto fin dall'inizio.

«Oh, Lunastorta, avanti» disse Sirius con voce soave, fingendosi sorpreso. «Non avrai mica paura di scommettere su una ragazza, vero? A meno che…»

«…Sirius…»

«… a meno che non ci sia del tenero, sotto sotto. Ah, come dici, caro Lunastorta? Ti piace da impazzire ma non hai il coraggio di dirlo al tuo vecchio amico Felpato? Oh, Lunastorta… questo è male. Questo è molto, molto male».

Remus fece per replicare, ma Sirius lo zittì con un gesto della mano.

«Alt, vecchio mio, non dire una parola. Ci pensa Felpato. Cupido al confronto è un dilettante».


La piccola Lynlee si mosse nel sonno e Remus fu costretto a distolgliersi dai suoi pensieri. Non si era svegliata, ma le sopracciglia le si erano fatte debolmente corrucciate. Aveva incurvato le spalle, incassato la testa, e le mani le si erano strette in grembo. Mormorò qualcosa sottovoce. I piedi nudi sfregavano tra loro.
Remus si alzò senza fare rumore, la raggiunse, la scosse delicatamente per un braccio.
Lynlee si svegliò di colpo. I capelli le si erano appiccicati alla fronte madida di sudore. Ci mise un secondo a riconoscerlo, per poi di tirarsi a sedere, riprendere il fiato. Istintivamente guardò il cielo.

«Io non… non volevo disturbarti, abaich» si scusò poi con voce malferma, rannicchiandosi nei propri abiti malconci e tornando a fissarsi i piedi sporchi di terra e polvere.

«Non mi hai disturbato» la rassicurò Remus. «Capita a tutti di avere degli incubi, a volte».

«A volte» ripeterono senza voce le labbra di Lynlee.

Rimasero in silenzio per un po'. Poi la bambina si schiarì la gola e parlò.

***

«Abaich» chiese piano. «Tu non hai paura del bosco?»

«No» rispose l'abaich.

«E del buio?»

«Neanche».

«E dei lupi?»

«Solo a volte».

«Che significa “solo a volte”, abaich

«Significa che ho paura di un lupo soltanto» rispose Alistaire. «Ma un lupo che viene a trovarmi spesso, sempre puntuale. Non ha mai mancato un appuntamento e mi dà un sacco di noie».

«Quanto spesso?»

«Abbastanza».

«E quanto puntuale?»

«Come un orologio».

«E perché ti fa paura?»

«Perché è imprevedibile».

«Oh» rispose Lynlee, e rimase in silenzio per un po'. «Abaich» disse poi. «Ma quanto è grande il tuo lupo?»

«Be', come un leone, più o meno. O una tigre» rispose Alistaire in tono vago. «Perché me lo chiedi?»

«Perché di lupi così grossi non ne esistono» disse la bambina, e tacque di nuovo.

«Be', sospetto non si tratti di un normale lupo» osservò allora l'abaich.

«E di che lupo si tratta, se non è un normale lupo?»

Alistaire scoppiò a ridere, le scompigliò affettuosamente i capelli e rispose: «Fai un sacco di domande, Lynlee».

«Perdonami, abaich» disse allora Lynlee, chinando appena il capo. «D'ora in avanti non parlerò più».

Alistaire le sorrise. Poi si alzò, prese la propria bisaccia allacciata abilmente ad un ramo e ne trasse fuori qualcosa che assomigliava spaventosamente ad una mela.

«Hai fame?» le chiese Alistaire, porgendogliela. Lynlee si fece confusa, ma, senza staccare gli occhi dall'abaich, allungò ugualmente con cautela una mano e la afferrò. Era proprio una mela.

«Posso mangiarla?» domandò Lynlee, confusa e stupita, facendo scorrere gli occhi dal volto di Alistaire al frutto. «Voglio dire, sul serio?»

«Solo se vuoi» fu la risposta.

Lynlee non se lo fece ripetere due volte. Iniziò a divorare la mela come se non mangiasse da una settimana— ed effettivamente la bambina era digiuna fin da quando aveva lasciato il villaggio delle Facce Ruvide, due giorni prima — e quando il frutto finì, ne accettò un secondo da Alistaire, che intanto la osservava con aria impercettibilmente divertita. Lynlee mangiava come un lupo, in tutti i sensi. La mele dell'abaich erano così buone, lo scoppiettio del fuoco così tiepido, le stelle così splendenti, e gli occhi chiari di Alistaire sembravano piccole gocce d'acqua ghiacciata che si perdevano nelle riflesso delle fiammelle. Lynlee lo guardò con attenzione. Aveva qualcosa di familiare, ma non riusciva a capire di preciso cosa…

«Manca ancora un po' all'alba» disse l'abaich, slacciando il nodo che teneva la bisaccia appesa al ramo dell'albero. «Sarà meglio preparare qualcosa da mangiare per domani mattina. Vado a raccogliere qualcosa, d'accordo? Tu intanto riposa. Ci impiegherò poco, promesso».

«D'accordo» rispose Lynlee, accucciandosi a terra accanto al fuoco.

E vide Alistaire scomparire nel buio della notte, oltre le sagome contorte che la luce del fuoco ritagliava in mezzo agli alberi. Una bestia notturna lanciò un grido da qualche parte, poco lontano. Chissà che cosa avrebbero detto le Facce Ruvide non appena i loro occhi spaventosi si fossero posati sull'abaich. C'era qualcosa nel suo tono di voce calmo e profondo che aveva spinto Lynlee a chiedersi se fosse stato una Faccia Ruvida buona, un vero lupo-abaich che avrebbe fronteggiato Greyback. La bambina rabbrividì sul muschio umido. No, Greyback era imbattibile. Greyback: secondo solo alla luna, dicevano. Ma Alistaire era grande. Era forte. Avrebbe potuto farcela.
Ma poi pensava che non doveva affatto essere una Faccia Ruvida, perché le Facce Ruvide non ti aiutavano affatto a rialzarti da terra se cadevi, nè ti offrivano una mela quando avevi fame. No, forse l'abaich era solo uno stupido mago che voleva qualcosa da lei e dal suo branco. O magari non sapeva neppure dell'esistenza di un branco. O ancora, se l'era appena defilata per paura di rimanere da solo con lei nel bosco.
A Lynlee iniziava a far male la testa. Si coricò, chiuse gli occhi. No, l'abaich non era uno stupido mago, e neanche una spaventosa Faccia Ruvida. Era un abaich e basta, concluse: un Grande Buono, un protettore, un padre. E le andava bene così.

***
Fu svegliata dal clangore di metallo che sfregava, e Lynlee aprì gli occhi di colpo. Ciò che vide la lasciò senza parole.
Era giorno. Salda in piedi, accanto al focolare ormai spento, c'era una donna con polveri dorate sotto gli occhi. Puntava una piccola lama sottile alla gola dell'abaich, che aveva alzato le mani in segno di resa con una luce cauta negli occhi. La donna si chiamava Seiche. Era una ghalla, e Lynlee la conosceva bene. La vide assottigliare le palpebre con aria minacciosa.

«Fuori i soldi, forestiero» disse Seiche. Alistaire, che la superava in altezza di due buone spanne, parve non capire.

«Fuori i soldi!» ripetè la donna.

«Non ho nulla con me» chiarì allora l'abaich abbassando le mani lungo i fianchi, e non appena la donna gli premette con più forza il coltello alla gola, aggiunse con voce dolce: «Suppongo mi ucciderai, adesso».

«Potrei farlo» sibilò Seiche, e sulla lama del suo coltello si delineò una striscia rossa di sangue. Alistaire deglutì.

«No!» gridò Lynlee. «No, ghalla! Aspetta!»

Balzò in piedi e in un secondo fu tra i due adulti. Si aggrappò al mantello di Alistaire. L'abaich le posò una mano sulla testa, con gli occhi ancora incollati a quelli di Seiche, e lentamente disse: «Va' via, Lynlee».

«Taci, forestiero» ordinò la ghalla.

«Non è un forestiero!» protestò allora Lynlee.

«Sì che lo è, stupida» sibilò di risposta Seiche. «Prendi i soldi e scappa. Non avresti dovuto portarlo qui».

Lynlee corrucciò la fronte, arricciò il naso e si strinse ancora di più al mantello del suo protettore. «Non è un forestiero. È un abaich. E gli stai facendo male».

«Oh, questo non è ancora niente. Una mossa soltanto e lo sgozzo come un cerbiatto».

«Ghalla Seiche!».

«Ora taci. E quanto a te, forestiero» proseguì la donna senza allentare la presa del coltello sulla sua gola, «dammi una valida ragione per cui io non debba ucciderti».

Una vaga amarezza si dipinse negli occhi chiari di Alistaire.

«Perchè se avessi voluto» rispose guardandola, «lo avresti già fatto».

***

Quello parve l'epitaffio di Remus Lupin, ma per fortuna non lo fu. Seiche si limitò a studiarlo per un lungo istante.

«Dimmi che cosa ci fai in questa foresta».

«Accompagno a casa una bambina».

«Oh, storia commovente. Non c'è che dire».

Gli staccò la lama del pugnale dalla gola, prima di sfiorarlo con un dito nel punto in cui il metallo affilato gli aveva procurato il lieve taglietto. Remus non si mosse.

«Non hai paura, forestiero» osservò in un sussurro, mentre avvicinava il volto al suo orecchio. «Questo gioca a tuo favore».

Poi si infilò il coltello nella cintura, abbassò lo sguardo verso Lynlee e le rivolse un'occhiata che avrebbe fatto rabbrividire Merlino in persona. Remus la sentì stringersi contro il proprio mantello.

«Non sperare di passarla liscia così, piccola cagnetta» ringhiò Seiche. «Questa volta non ci sarà più nessuna ghalla a placare l'ira di Greyback, quando quello vorrà punirti».

Poi si voltò, fece un passo verso il focolare spento e si sedette. Remus, che si era irrigidito al nome del lupo mannaro più feroce di Gran Bretagna, attirò senza volerlo l'attenzione della piccola Lynlee. La bambina gli lanciò un'occhiata interrogativa ma, evidentemente presa da altri pensieri, tornò a rivolgersi a Seiche.

«Mi dispiace molto, ghalla Seiche» mormorò con vergogna, fissandosi i piedi sporchi di terra. «È stata tutta colpa mia. Mi sono persa mentre fuggivo, e l'abaich Alistaire mi ha salvata da un Mago Cattivo. L'ha fatto correre via a gambe levate, capisci? Gli ho chiesto di accompagnarmi fin qui e lui l'ha fatto. Mi stava solo proteggendo».

Seiche sbuffò una risata amara. «Oh, ma certo. Alistaire. Come il Protettore Di Uomini. Hai altro da dire prima che ti appenda per i capelli al ramo di uno stupido albero, ragazzina?».

«Oh, sì, ghalla Seiche» continuò Lynlee a capo chino, mansueta e servile come un agnellino. «Mi ha raccontato che un lupo viene a fargli visita regolarmente».

«E questo dovrebbe forse interessarmi?»

«Certamente, ghalla, dal momento che non si tratta di un comunissimo lupo».

Che Seiche iniziasse a sospettare, glielo si leggeva in faccia. Scrutò dapprima la bambina, per poi passare a Remus.

***

«Non un comunissimo lupo, eh?» ripetè con voce sarcastica, guardando Alistaire. «Così hai detto, Lynlee?»

«Hai sentito bene, ghalla» rispose Lynlee. «Un lupo grosso… grosso come una tigre, ecco, o un leone».

«Un lupo mannaro, insomma» concluse Seiche con perspicacia, alzandosi in piedi.

Nel bosco scese il silenzio. Lo sguardo attento e un po' spaventato di Lynlee passava rapidamente da Seiche all'abaich, e dall'abaich a Seiche. I due adulti si fronteggiavano nel fissarsi con uno strano distacco, quasi studiandosi a vicenda: gli occhi azzurrri di Alistaire contro quelli feroci della ghalla facevano sembrare entrambi due lupi a testa alta — e le due spanne di differenza tra loro accentuavano solamente l'agilità dell'una verso la forza dell'altro.

«Sembri sorpresa» commentò Alistaire, sorridendo appena.

Seiche lo guardava con aria sospettosa. Chiaramente non se l'aspettava.

«Oh, sorpresa? No di certo» rispose. «Piuttosto infastidita, direi. Questo sì. Ma te lo perdono».

Si voltò, raccolse da terra la bisaccia dell'abaich e gliela lanciò indietro senza guardare. Alistaire, alle sue spalle, la prese al volo.

«Torniamo a casa?» domandò Lynlee, trotterellandole dietro.

«Torniamo a casa» ripetè seccata Seiche.

E si incamminarono.




Note dell'autrice: Buonsalve, amici! Eccoci al quarto capitolo. Ogni mistero si è svelato, dunque? Certo che no. Ne vedremo di belle, temo, nei prossimi capitoli…
Ad ogni modo, torniamo a noi. I nomi in gaelico scozzese sono il mio piccolo ed umile omaggio a quella grandissima autrice di nome Trick, che ha scritto di lupi mannari ben prima di me (senza contare, poi, che il suo Remus e la sua Tonks sono a dir poco strepitosi). Ecco qui una breve spiegazione dei termini:

Abaich = "maturo, adulto"
Alistaire = "protettore"
Seiche = "pelliccia" (vedremo più avanti il perché)
Ghalla = "cagna"/"lupa"

Detto questo, recensite in molti! Ci si legge al prossimo capitolo (o, se vi va, con una brevissima recensione!). Ciao,

- Kway


   
 
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