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Autore: Vago    31/03/2017    4 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Mea si voltò di scatto a quel contatto.
Davanti a lei una figura scura rimaneva dritta, ferma, sorpresa dalla reazione repentina di quel corpo martoriato.
La maga si alzò goffamente, cercando di rimanere in equilibrio sui sassi sconnessi su cui appoggiavano i suoi piedi.
- Che c’è? – chiese con voce dura.
- Io… io volevo solo controllare che stessi bene. – le rispose la figura davanti a lei.
Nirghe. Era la voce di Nirghe.
- Sto bene. – gli rispose secca.
- Non si direbbe, visto le urla che hai tirato. Avevamo paura che ti si fosse riaperta la ferita o ti fosse successo qualcosa di peggiore. –
- Sto bene, ho detto. E prima non era niente. –
- Senti, - disse il Gatto, accompagnato dal fruscio della sua veste lacerata e sporca, segno che si era chinato o seduto sulle pietre della banchina – so che ti da fastidio non poter far nulla, ma… Adesso, semplicemente, non puoi far nulla. Sei debole, ferita e non puoi utilizzare i tuoi incantesimi. Per ora, finché non riuscirai ad ottenere i tuoi poteri, lascia fare a noi. –
Mea non rispose, si voltò invece dalla parte opposta in silenzio.
- Ascolta, ti prego. – Nirghe non sapeva cosa fare o dire, in quella situazione – Almeno dimmi qual è il problema che ti assilla. Magari, tutti assieme potremmo aiutarti a risolverlo. –
La maga si voltò di scatto, in modo da permettere all’occhio non coperto di mettere a fuoco la figura scura dell’assassino.
– Come potreste aiutarmi? – chiese gelida – Voi ce l’avete fatta da soli, potete usare il vostro potere a comando, ora. Evidentemente, se dopo tutto quello che ho passato io non ci sono riuscita, mi sembra ovvio che Seila non sia stata l’unico errore di valutazione degli dei. –
- Come fai a dirlo? Il tuo compagno è lì, davanti a te, perché non dovresti trovare un punto d’incontro con lui e, insieme, accedere al vostro potere. Dopotutto tu… -
- Io cosa? Perché dovrei essere per forza speciale come voi altri? –
- Tu sei sempre stata quella più vicina ad ottenerlo, quel potere.  Ogni volta che il tuo compagno ti permetteva di vedere il mondo attraverso i suoi occhi,  credo foste sempre ad un passo dal rompere quel muro che vi divide. –
- E allora perché non l’abbiamo buttato giù? Dimmelo, visto che sembri sapere come funziono persino meglio di me. –
- Credo perché, nonostante lui si fidasse di te al punto di accoglierti nel suo corpo, tu non sia mai stata disposta a fare altrettanto. Mea, sii sincera con te stessa, non hai mai permesso a nessuno di avvicinarsi abbastanza per conoscerti davvero, nemmeno con le persone con cui hai viaggiato per degli anni. Dovresti aprirti, dovresti provare a fidarti di qualcuno, secondo me. Comunque, se davvero stai bene, io torno al falò. –
Nirghe si alzò da terra, pulendosi i pantaloni stracciati con qualche pacca a mano aperta, per poi avviarsi verso la rossa luce del fuoco che danzava nell’oscurità.
- Non posso. – disse ancora Mea.
- Non puoi cosa? – ribatté il Gatto fermandosi, ma senza voltarsi.
- Non posso fidarmi, non posso aprirmi. Non credo nemmeno di sapere come si faccia. –
- Dire agli altri cosa pensi davvero sarebbe un buon inizio. –
- Non posso. –
- Come non puoi? – sbottò Nirghe voltandosi – Piuttosto dì che non vuoi. Noi altri siamo sempre stati sinceri su tutto, sei tu quella che cerca di tenersi in isolamento. Solo tu. Vuoi che sia io a sbatterti l’evidenza in faccia? Bene. Potresti cominciare a parlare con noi, non blaterando solo ordini o tuoi piani, ma dicendoci quello che davvero pensi. Non credo che a qualcuno, qui, interessi di più il tuo sapere che te. –
- Dovrei parlarvi? E di cosa? Cosa vorreste sapere su di me? Che mi detesto perché sono uno schifo di mezzelfo, cacciato in metà delle città delle Terre? O forse perché ho imparato tutto dai miei libri, senza poter mai toccare con mano quello che avevo appreso dalle righe di testo? – La voce della maga si incrinò – Forse ti interesserà sapere che detesto questo compito che ci è stato affidato, così casuale, così oscuro e imprevedibile. Oppure, sicuramente vorrai sapere che odio con il profondo del mio spirito quel corvo che mi fissa, mi fissa e mi fissa, libero dai vincoli a cui sono sottoposta, che si rifiuta di darmi la possibilità di combattere ancora, di essere utile a voi. E ancora, odio Spazio, perché mi ha messo alla prova solamente per spedirmi in giro per le Terre come carne da macello, senza possibilità di sopravvivenza. –
Mea cominciò a singhiozzare, mentre il tono della sua voce continuava ad alzarsi, superando il gorgoglio dell’acqua e rompendo la quiete della notte.
Nirghe provò ad intervenire, ma la maga non gli permise nemmeno di aprir bocca.
- E se devo continuare, sono stanca di non essere abbastanza. Sono stanca di dover faticare, di dover fare solo affidamento sul cumulo di nozioni che ho nella testa per essere al livello degli altri. Io odio, detesto dovervi guardare mentre fate cose che io non posso fare, così come odio ogni singola ignobile emozione che provo, così fastidiosamente invasive. E non detesto solo loro, io odio Seila, per non essere stata all’altezza della sua prova, odio Keria, perché non l’ho mai vista perdersi d’animo, odio Jasno, perché è l’unico che deve combattere oltre che con il mondo anche con il suo corpo, perché è l’unico che dovrebbe lamentarsi e invece non lo fa, odio Hile, perché sarebbe dovuto essere fondamentale per sigillare il demone, ed odio te, perché… perché credo di provare qualcosa e non so come gestire questa situazione e ne ho paura. –
Il Gatto rimase interdetto, cercando di elaborare quello che aveva appena sentito. Il suo cuore accelerò i suoi battiti mentre la mano destra, meccanicamente, si introdusse nell’unica tasca della casacca rimasta integra per permettere alle sue dita di stringersi intorno al cilindretto di legno che lì riposava.
- Scusa… non volevo dire che… lascia stare, fai finta che non abbia detto nulla. – disse ancora il Corvo, calmandosi un poco.
Lo spadaccino rimase rigido, immobile. Era sicuro di aver capito bene le parole della mezzelfa, perché allora stava così male? Il suo sogno si era realizzato, perché non riusciva ad essere felice come avrebbe dovuto?
Si decise infine a fare qualcosa, avanzando goffamente verso la maga, per poi stringerla in un abbraccio stretto.
Mea non riuscì di nuovo a trattenere le lacrime, che irrorarono nuovamente la benda sull’occhio sinistro e corsero lungo l’abito del Gatto.
Un rapido rumore alle spalle di Nirghe ruppe il silenzio della notte, ma non quell’abbraccio.
Lo spadaccino sentì il corpo della maga sobbalzare, per poi gonfiarsi tra le sue braccia, divenendo morbido sotto le sue dita. Qualcosa di rigido, là dove prima si appoggiava il naso della mezzelfa, cominciò a premere contro la sua pelle, minacciando di bucarla.
- Nirghe… non sento più freddo. –
- Io… io non credo di c’entrare. – gli rispose l’assassino, cercando di fa allontanare il proprio petto da quello spuntone senza mettere in allarme il Corvo, che sembrava essersi finalmente calmata.
Centinaia di spilli ardenti sembrarono prender di mira i due corpi avvinghiati, aumentando il loro numero e l’intensità del pungolio man mano che i secondi avanzavano.
- Cosa sta succedendo? – chiese la maga con voce terrorizzata.
- Non ne ho idea. Tu devi solo rimanere calma, sono sicuro che non ci succederà nulla di male. –
Nirghe arrivò al limite della sua sopportazione del dolore. Si trovò a desiderare di avere ancora qualche brandello di pelle addosso, quando quella tortura sarebbe finita. Se sarebbe finita.
Poi tutto cessò così come era iniziato all’improvviso.
Lo spadaccino sentì la sua schiena scaldarsi rapidamente, mentre davanti ai suoi occhi era comparso un terrorizzato volto di Jasno illuminato da una danzante luce rossa.
L’Aquila fece appena in tempo ad alzarsi in piedi, che gli spilli ripresero a martoriare il corpo del Gatto e, a giudicare dalle espressioni intorno a lui, le sue membra non erano le uniche ad essere tartassate da quella punizione.
Questa volta gli spilli furono più violenti, ma la tortura fu più breve. Il caldo bagliore del fuoco scomparve per far spazio a un gelido vento battente.
La luna si rese visibile al gruppo nei suoi ultimi momenti di dominio sul cielo, mentre est i primi raggi del sole illuminarono lo scuro muro di cinta del Palazzo della Mezzanotte.
Nirghe sciolse lentamente l’abbraccio che ancora lo legava alla maga, i suoi occhi, intanto, guizzavano da una parte all’altra in cerca di capire cosa fosse successo.
Quella era la Terra degli Eroi, non c’erano dubbi. La vera domanda era perché fossero arrivati proprio lì, con tutta la superficie del mondo a disposizione.
Lo spadaccino fece un passo indietro, mentre il sole si decise infine a sorgere, rischiarando l’alba e gettando la sua luce sul lato orientale delle Terre. Davanti a lui c’era Mea, in piedi.
Un lungo piumaggio nero ricopriva il suo corpo, ondeggiando morbido al vento, il suo volto era irriconoscibile poiché là dove le piume non nascondevano le forme, un grosso becco scuro si era impossessato dei lineamenti, lasciando appena lo spazio necessario ad esistere a due piccoli e lucidi occhi color pece.
Brandelli di quelle che furono fasciature cadevano ora molli attorno alla fronte e all’ala destra della creatura.
Il corvo alzò lentamente le mani artigliate al cielo, facendo splendere le lunghe piume che ricoprivano le braccia alla calda luce mattutina.
- Questo… questo è davvero il mio potere? – chiese con voce tremante la maga.
- Mea, - disse Hile alzandosi da terra, dove ancora era seduto – perché ci hai portati qui? –
La creatura piumata si voltò verso il lanciatore di coltelli, gli occhi neri parvero volerlo trapassare, tanto erano profondi. – Io… non ne ho idea. Lui, il io compagno, mi ha detto di fidarmi e… io credo di averlo fatto. Ho sentito delle lame nel mio corpo e lui mi ha portato da voi, poi nuovo ha chiesto la mia e, questa volta, il volo in cui mi ha trascinato è durato di più e mi, ci ha portati… fin qui. –
- È ovvio che ne sai quanto noi, quindi. – continuò Hile, pulendosi i pantaloni dalla terra. Buio lo raggiunse, sedendosi al suo fianco.
- Io non credo che il motivo per cui siamo qui sia il nostro problema principale… - Keria si era portata verso il confine orientale della Terra degli Eroi ed ora guardava i suoi compagni con occhi sbarrati.
Ai piedi dei Monti Muraglia, si stendeva una distesa di corpi scuri e armi scintillanti, la rossa luce solare non faceva che rendere ancora più infernale quella scena. La massa avanzava inesorabile, seguendo un punto isolato che capeggiava l’esercito e gli batteva il passo da seguire.
Erano migliaia, centinaia di migliaia di demoni pronti alla battaglia, nessun esercito sarebbe mai riuscito a fronteggiarli e uscirne vittorioso.
Le gambe di Nirghe cedettero, facendolo crollare in ginocchio.
Hile rimasero immobile, incapace di chiudere gli occhi.
Mea fissava allibita la piana, mentre le piume che la ricoprivano si disgregavano lentamente andando a ricomporre il corpo del suo compagno.
Keria si era nuovamente allontanata per raggiungere il suo drago, per poi sedersi su una delle possenti zampe cristalline.
Jasno si sedette sulle sue caviglie, rimanendo appollaiato mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto.
Il Lupo si sentì di nuovo sprofondare nell’abisso dello sconforto. I libri che era stato costretto a studiare parlavano di numeri simili, durante la Guerra degli Elementi, ma, almeno, allora potevano vantare su un’alleanza delle maggiori razze, su unità mostruose, draghi, maghi addestrati e una trappola a tenaglia. Loro erano in cinque. Solamente cinque assassini contro gli stessi esseri che arrivarono ad un passo dall’uccidere tutti i sei eroi leggendari che avrebbero poi sconfitto Reis.
Mea non era minimamente, come maga, al livello di potere dei Sei. Il drago di Keria, per quanto potesse essere maestoso, non valeva la metà di un vero drago. I poteri che avevano ricevuto erano troppo dispendiosi, in termini di energia, per essere utilizzati più volte consecutivamente.
Da quanto il Gatto aveva detto, sarebbe riuscito a riavvolgere il tempo di appena un minuto, se si fosse trovato in una situazioni critica, prima di rimanere senza forze.
Il potere di Keria, da quanto aveva capito, la proteggeva come una barriera indistruttibile, ispirando in chi gli stava intorno nuova speranza, ma nulla più.
Il potere che gli aveva concesso Oscurità gli avrebbe permesso di intrufolarsi tra le linee nemiche o fuggire in sicurezza, ma non era certo di quanto tempo sarebbe resistito in quella dimensione, se avesse portato con sé i suoi compagni di viaggio.
Forse solo Jasno si sarebbe potuto trovare a suo agio nella bolgia di corpi che li avrebbe accolti, ma anche lui aveva dei limiti di resistenza.
Al Lupo comparve un amaro sorriso sulle labbra.
Ogni volta che facevano un passo avanti si ritrovavano su quella vetta mozzata ed ogni volta non erano abbastanza forti per fronteggiare quello che quello che sarebbe venuto.
Erano partiti da dentro quelle mura, come perfetti sconosciuti.
Erano tornati lì dopo aver incontrato i draghi, i Sei, gli dei, dopo aver ricevuto un dono dagli dei minori e aver perso anni di vita in una grotta.
Avevano poi partecipato all’assassinio di un attendente al trono e all’incoronazione di un loro alleato, si erano dovuti confrontare con nuove tecnologie e aveva ritrovato sua sorella.
Infine, erano partiti verso est, consapevoli che davanti a loro c’era il demone ad attenderli.
Ogni volta che tornavano, non avevano speranze di uscire vittoriosi da quello che li aspettava dopo. Però, inspiegabilmente, ogni volta si ritrovavano lì. Vivi.
Questa volta, però, la loro fortuna li doveva aver abbandonati.
- Quanto siamo disperati? – chiese a bruciapelo la maga, tastando ogni parte del suo corpo per assicurarsi che nulla fosse mutato permanentemente dalla sua trasformazione.
- C’è davvero bisogno di chiederlo? – le rispose il Lupo, voltandosi per non dover più vedere lo spettacolo che gli si presentava di fronte.
- Non è la risposta che voglio avere. Ho bisogno di sapere quanto siamo disperati. Credete di avere possibilità contro di loro? Se così è, allora possiamo combattere, altrimenti… ho una soluzione estrema per proteggere tutte le persone dalla guerra. – ripeté la mezzelfa con la voce indurita.
- Davvero hai una soluzione? – disse Nirghe voltandosi.
- È estrema. Dovete essere sicuri di quel che andremo a fare. Nulla sarà più come prima, se tutto andrà per il verso giusto. –
Seguì un momento di silenzio, nel quale gli occhi viola di Mea passavano in rassegna i visi contratti dei suoi compagni di viaggio.
- Io non ho intenzione di suicidarmi tra quei soldati – disse infine il Gatto – e ho intenzione di fidarmi di te. –
- D’accordo. Ho bisogno solo di un paio d’ore per creare un incantesimo adatto, poi avrò bisogno di tutti voi. –

Hile fece scorrere il suo palmo guantato sullo scuro muro di cinta del Palazzo della Mezzanotte, mentre avanzava a passo lento verso il lato occidentale.
- Chi lo sa, magari quel cilindro di legno è davvero servito a qualcosa. – Disse il Lupo non appena la figura del Gatto comparve davanti a lui, seduto su un masso ad osservare la volta verde della Grande Vivente.
- No… non credo. – gli rispose lo spadaccino, prendendo dalla tasca il pezzo di legno per poi portarlo all’altezza degli occhi – Dopotutto è solo un pezzo di legno con dei capelli attorcigliati sopra. –
- Tu ci credi davvero, che Mea può fermare da sola quell’esercito? –
- Ci spero. Tanto, se quello non funzionerà, saremo comunque morti. –
- Siamo in due, allora… -
I due assassini rimasero in silenzio, immobili, mentre davanti a loro il sole cominciava a calare verso il mare, illuminando di rosso le verdi foglie della foresta e i campi di grano che, a sud, si stendevano a vista d’occhio serpeggiando tra le colline e i pochi, piccoli paesi rimasti abitati.
- Da quassù, tutto questo sembra così insignificante. – disse dopo alcuni minuti Nirghe, sospirando.
- In che senso? –
- Gli umani, gli elfi, i draghi, i nani… tutti. Sono talmente piccoli che nemmeno si riescono a riconoscere. Le più grandi città che abbiamo visitato sono puntini scuri, davanti a noi. Perché dovremmo rischiare la nostra vita per loro? Perché loro dovrebbero valere così tanto? È perché siamo predestinati che dobbiamo sacrificarci per degli sconosciuti? O forse perché siamo solo degli idioti? –
- Non lo so. Ma è in momenti come questo che mi rendo conto di quanto vorrei tornare di nuovo sul Continente, esplorarlo, scoprire se, dal Cambiamento, qualcun altro ci vive… Per il momento so solo che non voglio morire. –
- Non mi dispiacerebbe andare di nuovo oltremare. – disse una voce alle loro spalle. Keria, silenziosa, aveva raggiunto il Gatto e il Lupo, lasciando il suo compagno cristallino solo ad osservare l’esercito in avanzata. – Mea ha finito e Jasno è appena tornato dal suo volo. Mancate solo voi. –

Mea era dritta, in piedi, al centro esatto di un’enorme glifo largo quanto una piazza, là dove sette raggi si univano. Decine e decine di linee si intrecciavano in cerchio, intersecandosi per formare motivi ricorrenti lungo tutta la lunghezza della circonferenza. Subito all’esterno della forma, piccoli fonemi della lingua del potere si susseguivano longilinei.
- Bene. – disse la maga uscendo dal cerchio, facendo attenzione a non rovinare il suo lavoro. – Ora che ci siete tutti possiamo cominciare. –
- Cosa dobbiamo fare? – le chiese lo spadaccino.
- Non mi chiedete cosa ho preparato? Non mi fate domande? –
- Ho detto che mi fido. – le rispose seccamente il Gatto. – Ora dicci a cosa ti serviamo. –
- Va bene. Devo dirvi solamente un paio di cose. Questo è un cerchio evocativo maggiore, per farlo funzionare avrò però bisogno di attingere alle vostre forze. Ora devo darvi le brutte notizie: non sono certa che, anche spremendovi fino all’ultima goccia di energia, riuscirò a portare a termine l’incantesimo, nonostante questo non dovete per nessun motivo unirvi al vostro compagno. Questo sì amplierebbe la vostra riserva, ma non sarei in grado di fermarmi in tempo e rimarreste bloccati in quella forma, se quel che ci ha detto Nirghe è vero. –
- Va bene. Non ricorreremo al potere che ci hanno dato gli dei. – disse Hile alzandosi la frangia con una mano – Avanti, ora disegnaci l’incantesimo sulla fronte come l’ultima volta. –
La mezzelfa intinse uno stecchino nel fango umido che teneva un mano, tracciando il glifo per la condivisione dell’energia sulla fronte dei suoi compagni.
- Andrà tutto bene. – le disse Keria, mentre lasciava ricadere i capelli castani sugli occhi verdi.
Mea le sorrise in risposta, passando a sporcare la fronte candida di Jasno.

- Ho finito. – la maga gettò a terra lo stecco sporco, tornando a voltarsi verso i suoi compagni. – Siete ancora certi di volerlo fare? –
- Credo che qui, tu sia la meno sicura. – le rispose Nirghe, sorridendo divertito.
- Va bene, allora cominciamo. Sedetevi a terra, così eviterete di farmi troppo male, se doveste cadere. –
La mezzelfa si inginocchiò davanti all’imponente incantesimo, appoggiando i palmi aperti sulle spesse righe tracciate.
Il petto della maga si riempì d’aria fino al suo limite, per poi lasciarla uscire lentamente. Infine, le palpebre si chiusero sugli occhi viola.
Hile sentì immediatamente la mano della magia stringersi sul suo petto, stringendogli il cuore nella sua morsa.
Un sacrificio necessario, la sua vita non era altro.
Tutto attorno, grazie all’energia che la maga incanalava attraverso le sue mani, la sabbia, la polvere, i sassi, parti di muratura appartenuti alle case e al muro di cinta si levavano in aria, turbinando con violenza attorno al cerchio evocativo.
Qualcosa, al centro esatto dell’incantesimo, cominciò a formarsi.



Angolo dell'Autore:

-5    Sto riuscendo a rimanere nella mia tabella di marcia, cosa strana, visto che non ci sono mai riuscito in tutta la mia vita.
Obiettivamente, ma neache tanto, mi sto divertendo a lasciare questi finali in sospeso, non riesco però ad immaginarmi voi come possiate effettivamente vederli. Ogni tanto mi rendo conto che io so già cosa ci sarà oltre quel punto finale, so cosa pensa ogni personaggio e come cercheranno di togliersi dalle situazioni in cui li inserisco, voi, vorrei sperare, non avete questa possibilità. Io ho cominciato a seguire questa via narrativa sperando di attirare maggiormente la vostra attenzione e farvi ipotizzare cosa verrà in seguito, in modo da non limitare la mia storia al semplice capitolo settimanale, ma estenderla anche alle vostre elucubrazioni. Fatemi sapere se ho centrato l'obbiettivo oppure ho fallito.
Per ora non ho molto da dire, se non chiedervi cosa pensiate stia facendo Mea in questo momento e che piani abbia.
Alla settimana prossima con la risposta.
Vago 

   
 
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