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Autore: Robin Stylinson    02/04/2017    1 recensioni
«Sei un'incendiaria, Allen. Ed io il tuo protettore.»
Il Demonium era segnato dalla "Diciannovesima" profezia. Tutto era nelle mie mani e avrei fatto il possibile per salvarmi da Enkeli ma soprattutto da Harry perché quando ti innamori di qualcosa di cui hai paura, capisci che niente e nessuno potrà salvarti all'infuori di te stessa.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ero salita in camera di corsa, lasciando Harry da solo ad aspettare gli altri. Finalmente ero riuscita a togliermi i vestiti fradici e a farmi una doccia tiepida. 
Ormai erano quasi le due ma il sonno non si faceva sentire per niente. Ero abituata ad andare a letto tardi ma di certo non ero una mattiniera. Odiavo la mattina, preferivo dormire fino a mezzogiorno quando ce n’era la possibilità.
Mi sedetti sul letto per un secondo a pensare. Con un gesto veloce presi l’i Phone poggiato sul comodino e mi alzai. Presi a frugare nella borsa, ero sicura di averle. Era lì, non potevano essere scomparse. Iniziai a tirare fuori varie cose: portafoglio, chiavi di casa, vari documenti e perfino la pochette dei trucchi. Dove erano finite? 
Dopo averle cercate per cinque minuti buoni, le trovai. Erano contorte attorno alla custodia di eco pelle dei Ray-Ban. Cercai di districare i nodi che, non si sapeva come, si facevano. Senza le mie cuffie ero persa. Amavo ascoltare la musica e spesso era una via di fuga. Spesso era per scappare dalle persone, dalle situazioni. O molte volte era solo per scappare dal mondo stesso. Mi facevano sognare e, anche sono per pochi secondi, mi facevano dimenticare chi ero facendomi entrare nel mio mondo, in quello che io stessa mi ero costruita. E lo amavo.
Mi strofinai gli occhi e con molta calma aprii la porta della camera. Cercai di fare il più piano possibile. Per fortuna non cigolava. 
Diedi una sbirciatina veloce al corridoio. Sembrava che tutti stessero dormendo nelle loro camere. Uscii dalla stanza con un passo felpato. Stingevo il telefono nella mano sinistra mentre le cuffiette penzolavano. Sul pavimento era stesa della moquette grigia chiara. La cosa che preferivo di più erano le lucine incastrate nei battiscopa. Quelle lampadine emanavano una luce biancastra ma non sgradevole agli occhi. Non dava per nulla fastidio.
Scesi le scale trattenendo il fiato, non volevo svegliare nessuno. Più che altro, anche se i miei passi non facevano rumore, non volevo che qualcuno si accorgesse di me.
Feci l’ultimo gradino. Rivolsi il mio sguardo alla porta d’entrata. Mi sembrava chiusa a chiave, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Almeno speravo.
Girai la testa verso sinistra, guardai la porta vetro della cucina. La luce di un lampione del giardino filtrava all’interno e, fioca, illuminava il tavolo. Mi avvicinai a esso e ci appoggiai sopra l’i Phone. 
Non sapevo che fare, non riuscivo a prendere sonno.
Decisi di aprire il frigo. Magari con un bicchiere di qualche liquore o un goccio di un alcolico funzionava. Dentro ci trovai di tutto: vodka, rum, cognac, brandy, tequila, whisky, gin e perfino qualche bottiglia di birra.
La scelta era tanta ma non ero una di quelle ragazze a cui piaceva ubriacarsi, ma decisi comunque di prendere un sorso di rum.
Aprii lo sportello sopra la mia testa e presi un bicchiere, uno a caso. Tirai fuori la bottiglia. Era alta e snella con un’etichetta attaccata sul davanti. Non riuscivo a leggere la marca, ma davvero m’importava?
Svitai il tappo color oro e versai due dita di quella bevanda nel bicchiere. Rimisi la bottiglia al suo posto e richiusi il frigo. 
Mi sedetti direttamente sul tavolo e m’infilai le cuffiette. Feci partire la musica in modalità casuale mentre mi facevo rigirare l’alcolico tra le mani.
Presi un piccolo sorso. Aveva un ottimo gusto.
Ne feci un altro.
Un altro ancora.
Lo finii in fretta ma non ne versai un altro bicchiere. Poteva bastare quello.
Appoggiai il bicchiere accanto a me.
Non era poi così male starsene lì al buio. Era innocuo, non poteva farmi niente, mi ero costruita tutto io, nella mia mente.
Stavo canticchiando la mia canzone preferita, avevo il volume basso, quando sentii un rumore. Un oggetto di vetro andare in mille pezzi. 
Mi girai di scatto e vidi il bicchiere per terra, rotto. Mi prese il panico. Tolsi le cuffiette di colpo, non ero stata io a buttarlo per terra. Ero rimasta immobile e poi me ne sarei accorta se gli avessi toccato per sbaglio.
Scesi dal tavolo velocemente e il mio cuore per un momento smise di battere. Vidi un’ombra accucciata ai miei piedi. 
Solo strizzando un po’ gli occhi mi accorsi che era lui. Chi poteva essere se non Harry?
«Che stai facendo?» chiese lui sotto voce mentre raccoglieva i cocci di vetro.
«Io…Ehm…» dovevo farmi forza per una volta. Non potevo sempre balbettare davanti a lui, era un ragazzo come gli altri. Strano, ma era come me. Presi un bel respiro e continuai. «Non riuscivo a dormire così…»
«Così hai pensato giustamente di farti un goccetto.» si alzò e fece una smorfia. Con molta delicatezza appoggiò i pezzi del bicchiere nel lavandino. 
«Non bevo quasi mai.»
«Ne sono sicuro, ma abbassa la voce.»
Dopo quelle parole si diresse verso l’entrata principale. Fece girare le chiavi che erano ancora nella serratura un paio di volte e fece per uscire.
«Dove vai?»
Non rispose. Si limitò a far si che la porta si richiudesse dietro di lui.
Mi avviai verso l’uscio e lo seguii sul pianerottolo.
«Ti ho chiesto dove stai andando.» non sapevo che stavo facendo, molto probabilmente era quel goccio d’alcol che mi stava aiutando.
Si fermò immediatamente. Era di schiena ma non si girò. La luce della luna piena delineava appena i contorni della sua figura.
«Rientra in casa.» disse lui
«No.»
Si girò di scatto verso di me e con una velocità inimmaginabile mi era quasi addosso. Mi prese per un braccio, nello stesso modo in cui mi aveva toccato al lago ma ora stava stringendo. E anche tanto.
Iniziava a farmi male.
«Non sono qui per stare dietro ai tuoi cambi di umore.» stava parlando con i denti stretti. Non riuscivo a vedere i suoi occhi. «Smettila di prendertela con tutti. Ora muoviti. Rientra in casa.» mi strattonò per un secondo. Strinse ancora di più la mano. La stretta faceva male.
«Lasciami, mi fai male.» sentivo stringere come una morsa.
«Vai.»
Mi lasciò il braccio e facendo un grande respiro si girò e prese a camminare. 
Solo dopo qualche secondo scomparve nell’oscurità.
Mi massaggiai il braccio. Mi sembrava di essere intrappolata nella sua stretta ogni volta che stringeva di più. Non ero riuscita a vedergli gli occhi. Volevo puntare il mio sguardo nel suo.
Ma non lo trovai.
Rientrai in casa, sentivo il braccio pulsare.
Andai in cucina a prendere il telefono e con uno scatto veloce me ne tornai in camera. Incurante degli altri sbattei la porta e la chiusi a chiave.
Mi recai in bagno. Mi specchiai e mi lavai la faccia con dell’acqua fredda. Non appena mi asciugai il viso, la mia attenzione ricadde su un particolare che vedevo nello specchio. 
Il mio braccio. Appena sotto la piega del gomito sinistro.
Dove mi aveva stretto Harry era rosso.
Abbassai lo sguardo su di esso per vedere meglio e sembrava bruciato. Come se mi fossi scottata o una pentola olio bollente mi fosse caduta addosso.
Com’era possibile questa cosa?
Non era successo nulla.
Mi passai una mano sul braccio. Faceva male da morire.
Mi stavano sorgendo delle domande a cui probabilmente non avrei trovato una risposta facilmente. O magari non l’avrei mai trovata.
Ma la cosa che ora urgeva fare era cercare di fare scomparire quella scottatura. Che ci potevo mettere sopra? 
E soprattutto come potevo nasconderla agli altri?


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